Pietra Dipinta
     
Opere su pietra del Cinquecento e del Seicento da una raccolta privata milanese


a cura di Marco Bona Castellotti
Il catalogo della mostra Opere su pietra del Cinquecento e del Seicento contiene un saggio introduttivo di Marco Bona Castellotti, nel quale, seguendo quanto esposto da Federico Zeri nel documentario a commento della raccolta, viene tracciata una specie di percorso storico sulla produzione dei dipinti su pietra - alabastro, lapislazzuli, ametista -.
Tale produzione conosce alcuni significativi esempi dell’antichità, ma sono soprattutto il XVI secolo - nell’ambito della cultura del Rinascimento e poi del Manierismo italiano e internazionale - e il XVII, in alcune scuole italiane e straniere, a svilupparla. I centri di maggiore fioritura in Italia sono la Toscana, dove viene dipinta la pietra alberese o paesina, dalle variegate venature che disegnano “naturalmente” i fondali di paesaggio; Roma, che già nei primi decenni del Cinquecento era stata il palcoscenico degli esordi dell’attività di un pittore su lavagna di un maestro del calibro di Sebastiano del Piombo; il Veneto, nei centri di Venezia, dove l’interesse per la pietra dipinta si sviluppa specialmente nella bottega dei Bassano, e di Verona, che nel Seicento diviene la scuola che, meglio delle altre, attribuisce all’uso del “paragone”, ossia di un’ardesia particolarmente consistente, un valore di stile.
Nel saggio vengono ricordati anche alcuni antichi musei privati, come quello Settala di Milano, dove la presenza di dipinti su pietra è da connettersi con il gusto intellettuale e prezioso della Wunderkammern.

Nel saggio di Sergio Marinelli, inteso come esemplificazione e approfondimento di un “caso” interessante, è presa in esame la produzione veronese, concentrata intorno alle personalità di alcuni artisti dediti ai dipinti su pietra di paragone: Felice Brusasorci, Pasquale Ottino, Alessandro Turchi, Claudio Ridolfi, Santo Creara.
Segue poi il catalogo vero e proprio delle opere esposte che riserba, all’interno delle 95 schede corrispondenti a poco più di 100 dipinti, eccezionali sorprese sul piano attributivo.
Tale catalogazione, condotta con severità e rigore da un gruppo di studiosi competenti nel riconoscimento dei diversi artisti operosi in varie scuole d’Italia, ha permesso di individuare il nome di molti autori o l’ambito di appartenenza dei dipinti che lo stesso Federico Zeri aveva giudicato di difficile, a volte difficilissima attribuzione, difficoltà determinata dalla scarsità degli studi specifici, ma soprattutto dal fatto che il supporto lapideo non consentiva la “disinvolta libertà” della tecnica su tela o tavola e ciò rappresenta un ostacolo alla localizzazione delle opere.
In sede di schedatura sono emersi i nomi di pittori quali Bartolomeo Schedoni, Jacopo Ligozzi, Antonio Tempesta, Filippo Napoletano, del francese Jacques Stella e di altri.
Segue quindi un inventario, corredato da brevi schede o da didascalie, delle opere che, pur essendo esposte, allo stato attuale delle ricerche non sono attribuibili.

Alcune di loro sono nominate nel documentario di Zeri, ma se ne sono aggiunte altre che, con quelle studiate, compongono un complesso di oltre duecento esemplari, tutti fotografati a colori.

Anche le opere comprese in questa sezione possono riserbare interessanti sorprese, considerando anche il fatto che l’esposizione al pubblico di questa raccolta, che, nel genere della pietra dipinta, è forse la più importante, rappresenta un’eccezione anche nella prospettiva di procedere nello studio del tema.
Proprio perché si tratta di una collezione non poteva mancare nel catalogo un excursus nella storia del collezionismo dei dipinti su pietra.

Nella consistente appendice al catalogo sono pertanto pubblicati i risultati di un sistematico spoglio degli antichi inventari delle collezioni private dove sono nominate opere su supporto lapideo. Questi apparati, molto utili anche all’eventuale riconoscimento di dipinti ancora esistenti, sono stati ordinati per scuola, a partire da Venezia e Verona, proseguendo con Lombardia e Piemonte, Emilia, Firenze, Roma e Napoli.
Dalla loro consultazione emerge come il gusto di simili opere era particolarmente vivo a Roma, nel Veneto e a Firenze, quindi nelle zone di più intensa produzione.

Lo spoglio degli inventari si colloco scientificamente nel solco degli studi sul collezionismo antico, avviato da vari istituti universitari ed è preceduto da saggi introduttivi che illustrano e spiegano le ragioni e le caratteristiche di questa particolare “specialità” a Venezia, in Lombardia, in Emilia e a Roma.
In appendice al catalogo viene pubblicato il testo integrale e sino a oggi inedito del commento di Federico Zeri alla raccolta.
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Il catalogo Pietra Dipinta. Opere su pietra del Cinquecento e del Seicento da una raccolta privata milanese è edito da Federico Motta Editore

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