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Enrico Brizzi

NON METTETE
PAZIENZA
IN FRIGIDAIRE

A dieci anni dalla morte,
un artista scomodo


RICORRERA' tra breve il decennale della morte di Andrea Pazienza. Sorprendentemente, quest'anno se ne sono ricordati tutti. Rendiamo gloria alla potenza della cifra  tonda che mette fine a decennali amnesie, quindi.
Oggi la prismatica grandezza di Andrea è qualcosa su cui non si pu= più discutere. D'altro canto già nel 1985 Pier Vittorio Tondelli (un altro ragazzo che, da una  prospettiva molto diversa, visse la Bologna di fine '70) riconosceva a Pazienza il titolo di «James Joyce del fumetto italiano+. Ed è proprio grazie a Paz che oggi appare un po' più goffo chi vorrebbe ostracizzare il  fumetto, esiliarlo in una provincia periferica dell'arte. C'è poesia vera, in quelle tavole; la vera poesia marcia di un decennio brillante di devianze e riflussi, rese separate (fondatissime) paranoie. Quel decennio  tragico, b-side dell'Italia potenza craxiana e industriale, Andrea l'ha vissuto alla grande, e nel mentre l'ha immortalato per certi amici, per noi sbarbi arrivati dopo.
Come tutti i grandi, ci ha rapito.
Ci ha  spinti col cuore in gola in via Emilia Ponente, a decifrare la casa all'angolo con via del Cardo. Così, per misurare passi intorno alla casa in cui viveva Pompeo. Zanardi poi, salta sempre fuori, specie quando a Bologna  il sabato notte incurva verso la domenica, e sai con certezza l'unica disciplina che ti salverà nel generale confondersi, esitare e gettare spugne.
In questo periodo c'è chi si affanna a celebrare la memoria di  Andrea, e chi fa di tutto per non evocarne la scomoda presenza. Il mondo del fumetto italiano ha perso dieci anni fa il suo Pelè e il suo Sid Vicious, che per molti resta solo una pietra di paragone innominabile, troppo  scomoda. Come scomoda fu la sua vita di genio disordinato: non si abbass= alla grafica pubblicitaria, preferì la trincea di Cannibale e Frigidaire a determinate rassicurazioni milanesi indispensabili ai suoi coetanei,,  e in epoca di nuovi fumettari fichetti e gruppi valvoline, emerse inequivocabilmente come il più grande. Perché Andrea, rifiutando il precetto biblico, sparse il seme: disegni in regalo, opere appena terminate  divenivano oggetti di baratto, schizzi lasciati qua e là. Con la consapevolezza di non perdere nemmeno una briciola di quel talento inesauribile che gli permetteva di vivere intensamente e, quasi in simultanea, creare  storie indelebili.
La vita e l'opera di Andrea Pazienza costituiscono, a livelli differenti, qualcosa di ancora indigesto. La sua sincerità non ne ha offesi pochi, a quanto pare. La sua esistenza resta un oltraggio  per chi preferisce chiudere gli occhi, fingere che certe turbe collettive, certi scazzi, certa roba non sia mai esistita.
(E voi che per capire i giovani date retta agli amici pariolini di Maria De Filippi, je vous en prie... ).
Luigi Abramo di «Mucchio Selvaggio+, nell'ampio servizi che il settimanale ha dedicato Paz, ha sottolineato  un'altra delle ragioni che hanno contribuito al silenzio pubblico intorno a questo grandissimo, cioè il fatto che l'appassionato vero è profondamente geloso, preferisce non parlare di Andrea per non banalizzarne  l'opera, il ricordo. Vero, anch'io volte la penso così: tuttavia esauriti i nostri riti d'adorazione privata, credo sia arrivato momento di unire le forze, mettersi a disposizione perché finalmente Andrea sia onorato  come merita un artista e un uomo così strabiliante. D'altronde, arrivisti e posatori hanno già detto la loro, dimostrato infatti la loro pochezza costitutiva. Squali e sciacalli parlano impunemente di Andrea.
Ne profittano solo perché vecchio Paz non pu= più levare il suo primordiale e definitivo Alamm'echite'mmurt!
Poi c'è chi vuole onorare la memoria di un amico, come Vincenzo Mollica, che ha raccolto materiale  pazienziano (l'avventura fiorentina di Zanardi; la guida al West; i ricordi estivi della prima adolescenza, e poi ancora tavole, schizzi, scritti, poesie e un'intervista ormai introvabile apparsa la prima volta in un  libretto split che presentava insieme Pazienza e Manara) per offrire agli ancora ignari un piccolo saggio dello stile e della consapevolezza di Andrea, un'occasione per avvicinarsi alla sua opera.
Opera che non ha  ancora conosciuto una sistematizzazione, ma il decennale rischia di essere un'occasione per mettere d'accordo tutti quanti, dagli eredi agli editori. Che sia la volta buona?
 

Enrico Brizzi

 

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