Aurélie Zanarotto
“Dare voce al mio silenzio è un dovere:
troppe storie esistono nel silenzio e sono rimaste nel silenzio,
nell’attesa che qualcuno lo raccogliesse.”
-Elisa Spriger-
I libri sul
nazismo e sul genocidio nazista parlano di bambini uccisi nei campi di
concentramento, ma nessuno si è mai soffermato su come fu la loro vita durante
la guerra. Cosa pensavano, cosa speravano, come vivevano?
E’ doveroso
ricordare che mentre si è parlato molto della Resistenza armata, i gruppi di
assistenza ai giovani non sono mai stati inclusi nella storia ufficiale,
riconosciuta e legittimata; molti di quei resistenti erano donne, che dopo la
guerra scomparvero dalla vita pubblica, non cercarono pubblicità e lasciarono
scarse testimonianze del loro lavoro. Troppo spesso si dimentica che ovunque
nell’Europa occupata, le reti di solidarietà ebraiche si adoperarono per la
salvezza dei giovani.
La scarsità di
documentazione sulla vita dei giovani ebrei durante gli anni del nazismo
consiste nel fatto che, come per tutta la storia dell‘infanzia, è molto
difficile rintracciare autentiche fonti infantili. I bambini molto piccoli non
possedevano i necessari strumenti, e dunque non furono in grado di lasciare
testimonianze scritte come agende, lettere o diari.
I bambini non erano che carne per la macina dello sterminio nazista. I tedeschi non avevano alcun interesse a prolungarne la vita, nemmeno di un attimo. La loro morte rientrava in una procedura automatica. È logico che negli archivi tedeschi non vi sia quasi nulla direttamente pertinente alla vita giovanile.
§ Il viaggio
§ L’arrivo
§ La selezione
§ La routine
§ Il lavoro e le attività nel tempo libero
§ Condizioni igienico-sanitarie
§ Punizioni e torture
§ Gli esperimenti
§ L’annullamento della dignità umana