Forze e costanti naturali

Alberto Masani

GLI ATTUALI STUDI sull'evoluzione stellare e dell'Universo hanno messo in evidenza che tutti i 90 tipi che caratterizzano i nuclei degli elementi chimici - e alla cui esistenza si deve la varietà di strutture molecolari che rendono possibile la vita - si sono formati a partire dall'elemento più semplice, l'idrogeno, che viene considerato come originario.

11 processo che ha dato luogo alla formazione degli elementi è assai complesso, ma è ormai condivisa dalla grande maggioranza l'idea che l'Universo, dopo le primissime fasi evolutive, fosse costituito da un miscuglio di protoni e neutroni (i primi in proporzione maggiore dei secondi) i quali, a un certo momento dell'evoluzione cosmica, si combinarono dando luogo a elio. Dopo questa fase, l'Universo uscì chimicamente caratterizzato da una buona percentuale di elio (circa il 20 per cento) e per il resto da idrogeno che non poté combinarsi per mancanza di un numero sufficiente di neutroni. Tutti gli altri elementi erano assenti e sono apparsi sulla scena cosmica soltanto dopo la formazione delle stelle: è nel loro interno che si producono, e vengono poi riversati nello spazio durante le fasi finali della vita stellare.

Diciamo subito che in questo processo di formazione degli elementi più pesanti viene consumato ben poco dell'idrogeno primordiale: infatti, tutti gli elementi più pesanti dell'elio considerati insieme costituiscono oggi solo il 2 per cento circa della massa dell'idrogeno e dell'elio originari; si deve a questo fatto se attualmente la materia cosmica ha in media una composizione chimica molto simile a quella originaria.

Cerchiamo adesso di mettere in evidenza alcuni aspetti dell'importanza che questa circostanza riveste agli effetti della fenomenologia che caratterizza l'Universo attuale e a tale proposito facciamo alcune ipotesi.

Supponiamo, per esempio, che nella fase dell'evoluzione cosmica in cui ebbe luogo la nucleosintesi vi fossero stati tanti neutroni quanti protoni; tutto l'idrogeno si sarebbe praticamente combinato con i neutroni e l'Universo si sarebbe presentato alle successive fasi evolutive chimicamente costituito di solo elio: sarebbe mancato l'idrogeno! Le stelle nel loro evolvere non avrebbero incontrato la fase del bruciamento dell'idrogeno, che è quella che arresta la loro contrazione gravitazionale e le fa vivere per diversi miliardi di anni (parliamo delle stelle di massa simile al Sole); in altre parole, si sarebbero contratte fino a trovare la condizione tipica delle nane bianche che ne avrebbe bloccato l'evoluzione. Le stelle di massa maggiore avrebbero incontrato prima la fase dell'innesco del bruciamento dell'elio, ma queste fasi sarebbero state assai veloci e la vita stellare si sarebbe svolta nel volgere delle centinaia di milioni di anni anziché delle decine di miliardi di anni.

I pianeti delle stelle sarebbero stati anch'essi privi di idrogeno per cui sarebbe venuta meno la ricchissima varietà di composti chimici che caratterizza la nostra Terra (dall'acqua a tutti i composti della chimica organica), indipendentemente dalle condizioni fisiche e ambientali del pianeta. Non si potrebbe dire inoltre che, agli effetti molecolari, l'idrogeno avrebbe potuto essere sostituito dall'elio, perché l'elio è un elemento nobile e non si combina con altri elementi chimici per formare molecole. Non è difficile concludere che, in tali condizioni, nessuna forma di vita sarebbe stata concettualmente possibile.

Naturalmente si potrebbe obbiettare che tutto ciò riposa sull'ipotesi non realistica dell'uguaglianza numerica dei protoni e dei neutroni al momento della nucleosintesi cosmica, la quale non si è verificata per motivi fisici ben determinati. Ciò è sicuramente vero, ma la nostra ipotesi significa in definitiva arrivare a esaminare questi motivi e le conseguenze di un'eventuale loro diversità.

Si apre così un vasto campo di ricerca che consiste nell'esaminare cosa sarebbe accaduto dell'Universo se certe grandezze avessero avuto un valore diverso da quello attuale. Il quale è quello che è, senza che per noi abbia il carattere della necessità, nel senso che avrebbe potuto essere diverso senza contravvenire ad alcuna delle leggi fisiche fondamentali sulla base delle quali l'Universo attuale si struttura. Queste grandezze sono quelle che chiamiamo costanti di natura.


NASCITA DI UN ELEMENTO

LE COSTANTI fondamentali di natura compaiono nelle leggi che regolano la fenomenologia generale dell'Universo e il cui valore non è riconducibile ad altre e quindi deve essere dedotto sperimentalmente. Per esempio, la legge della gravitazione universale dice che la forza attrattiva F di due masse inerziali m1 e m2 è proporzionale al prodotto di queste ultime, inversamente al quadrato della loro distanza r. La stessa legge fa intervenire una costante, che viene generalmente indicata con la lettera G, che rappresenta in un certo senso "il tono" secondo cui fra le due masse separate dalla distanza r si esercita la forza attrattiva F. Ovviamente, quel valore avrebbe potuto anche essere diverso e allora sarebbe risultato diverso tutto il fenomeno gravitazionale che la formula newtoniana esprime.


Proibito il diprotone

Quanto si è detto per G può essere ripetuto per altre grandezze - quali la carica elettrica elementare e o la costante di Planck h, la velocità della luce c e così via - e negli ultimi tempi si è cercato di vedere come cambierebbe la fenomenologia dell'Universo se quei valori fossero diversi. Ne è derivata una conclusione che ha stupito: specialmente nei confronti di alcune di esse, la fenomenologia sarebbe risultata alterata in maniera profonda anche per IL semplice loro cambiamento di qualche punto percentuale.

Riprendiamo l'esempio relativo al processo che porta a formare nell'Universo nuclei atomici più complessi dell'idrogeno. La struttura dei nuclei atomici è determinata dal combinarsi di forze diverse, alcune attrattive e altre repulsive. Le prime dipendono, tra l'altro, dalla costante detta dell'interazione forte e da quella dell'interazione debole, mentre le seconde dipendono essenzialmente dalla carica elettrica elementare di cui sono dotati i protoni.

La formazione degli elementi connessa all'evoluzione stellare comincia con la combinazione di due protoni, uno dei quali, a combinazione avvenuta, si trasforma in un neutrone. Il protone e il neutrone rimangono uniti per l'intervento di forze di natura nucleare e formano il deuterio.

Questo processo di formazione del deuterio è diverso da quello della diretta combinazione di un protone con un neutrone che si verifica nelle prime fasi dell'evoluzione cosmologica, ma è il solo che può verificarsi perché nell'interno delle stelle come il Sole i neutroni non esistono liberi.

In linea di massima, la combinazione di due protoni può aver luogo senza che uno dei due si trasformi in neutrone: potrebbe formare un nucleo costituito da due protoni, il cosiddetto diprotone (o elio-2). Se ciò non accade è perché la costante dell'interazione forte, da cui dipendono le forze attrattive di tipo nucleare, non è sufficientemente alta da consentire la stabilità del diprotone. Se il diprotone fosse stabile, si formerebbero molti più diprotoni che nuclei di deuterio poiché questi ultimi si formano con difficoltà. Dai diprotoni seguirebbe una serie di reazioni che molto rapidamente formerebbe l'elio-4; in seguito a ciò, la contrazione della massa di materia cosmica da cui le stelle si formano si arresterebbe quando la temperatura centrale della stella risultasse più bassa di quella attuale e quindi tutto il processo evolutivo delle stelle verrebbe alterato, con tempi evolutivi più brevi di quelli attualmente richiesti e con un conseguente processo molto accelerato di consumo dell'idrogeno e di formazione degli elementi pesanti. Ma c'è di più. Nell'ipotesi dell'evoluzione cosmologica di tipo Big Bang, un eventuale maggior valore della costante dell'interazione forte avrebbe conseguenze assai più drastiche, perché anche nella prima fase nucleosintetica si formerebbe una notevolissima quantità di diprotoni: tutto l'idrogeno verrebbe rapidamente consumato e l'Universo uscirebbe dalle sue prime fasi evolutive costituito di solo elio. Nelle stelle non potrebbe neppure aver luogo la fase della formazione del diprotone, perché nel loro interno mancherebbe l'idrogeno.

Si giunge così alla constatazione che l'attuale costante dell'interazione forte non è abbastanza alta da tenere legato il diprotone, ma è sufficiente a legare il deuterio; in tal modo nell'Universo può essere abbondante l'idrogeno, con tutte le possibilità chimiche che ciò comporta, specie per i pianeti.

Esaminiamo ora le conseguenze di un eventuale valore più basso della costante di interazione forte. In tal caso, non potrebbe formarsi il deuterio e sarebbe impedita la formazione degli elementi pesanti dato che, come abbiamo detto, la formazione di questi ultimi avviene per successive combinazioni, dai nuclei più semplici ai più complessi.


Ruolo della carica elettrica elementare

Si avrebbe, così, un Universo di solo idrogeno con l'impossibilità per le stelle di usufruire delle stasi, che durano diversi miliardi di anni (per le stelle di tipo solare), durante le quali viene prodotta energia termonucleare e si formano gli elementi chimici.

Ma allora qual è l'intervallo "consentito" (in più o in meno) per il valore della costante dell'interazione forte in modo da rendere possibile la struttura chimica dell'Universo attuale? La risposta è abbastanza sorprendente: qualche punto percentuale in più condurrebbe alla possibilità dell'esistenza del diprotone, qualche punto in meno all'impossibilità della formazione del deuterio. In questa logica, la possibilità di un mondo in cui può manifestarsi la vita risulta legata al valore della costante dell'interazione forte nell'intervallo di qualche punto percentuale, in più o in meno!

Rimanendo nell'ambito nucleare, si può esaminare la criticità del valore di altre costanti fondamentali quale, per esempio, quello della carica elettrica elementare.

Consideriamo il nucleo di elio: esso è costituito da due protoni e due neutroni. Le quattro particelle sono tenute insieme dalla forza attrattiva di cui la costante dell'interazione forte determina 'il tono"; ma agiscono anche forze repulsive, dovute ai due protoni, le cui cariche elettriche sono uguali e di ugual seguo. Naturalmente, le forze attrattive prevalgono su quelle repulsive e il nucleo di elio è compatto e stabile; tuttavia, la differenza è relativamente piccola nel senso che se la carica elementare avesse un valore circa tre volte superiore a quello che ha, le forze repulsive prevarrebbero su quelle attrattive e il nucleo di elio non sarebbe stabile.

Se, anziché all'elio, ci si riferisce agli altri nuclei atomici si giunge a una conclusione analoga, specie per quanto riguarda i nuclei pesanti e quelli intermedi. La struttura di questi ultimi risulta pertanto assai "fragile" dal punto di vista del valore delle costanti di natura che la rendono possibile.


VERSO LO SVILUPPO DELLA VITA

QUANTO PRECEDE si riferisce alla formazione degli elementi; ma anche l'aspetto della struttura molecolare e di quella che rende possibile lo stato solido e liquido si presenta con notevoli caratteristiche di criticità. È evidente la necessità di tali stati per l'affermazione e il successivo sviluppo della vita: basti pensare, per esempio, al meccanismo degli scambi molecolari che rende possibile il metabolismo, per il quale l'organismo si garantisce il necessario rifornimento energetico dall'ambiente.


Stato solido e stato liquido

Le strutture di stato solido e liquido, in particolare, sono un derivato della struttura molecolare. Stato solido e liquido si realizzano in un intervallo di energie specifiche di legame atomico e molecolare. Ebbene, l'energia specifica che caratterizza l'ambiente della superficie terrestre - e che è determinato da condizioni di diversa natura (locali e astronomiche) - è proprio quello ottimale per la vita: si deve alla circostanza per la quale la temperatura media sulla Terra è circa 280 K la possibilità dell'esistenza di molecole complesse e della loro cinematica. Una temperatura più alta, anche solo di qualche punto percentuale, avrebbe reso impossibile la formazione delle molecole complesse e una temperatura più alta di alcune decine di punti percentuali avrebbe reso impossibile lo stato liquido dell'acqua.

Infine, una temperatura più elevata di un fattore poco maggiore di 2 avrebbe reso impossibile lo stesso stato solido di molti composti.

Invece, una temperatura leggermente più bassa avrebbe reso impossibile la cinematica delle molecole e avrebbe comportato, oltre all'esistenza dell'acqua sotto forma di ghiaccio, una velocità di reazione molecolare (che consente la formazione dei composti molecolari e, con essa, il rifornimento energetico necessario al manifestarsi di tutti i fenomeni vitali) estremamente bassa.


Circostanze "locali" e astronomiche

Ma a ben pensarci, l'energia specifica che si ha sulla superficie terrestre dipende strettamente dalle costanti di natura in modo sia diretto sia indiretto. Per esempio, tale energia deriva dalla struttura dell'atomo che, a sua volta, è determinata dal valore della massa e della carica dell'elettrone, oltre che della costante di Planck.

Naturalmente, è legata anche ad altre circostanze "locali" - come la distanza Terra-Sole, la struttura dell'atmosfera terrestre, il periodo di rotazione della Terra - ma, m ultima analisi, anche tutte queste caratteristiche ambientali dipendono dalle costanti di natura, seppure in maniera assai più complessa, in quanto concorrono a determinarle vari fattori di tipo astronomico, quali la luminosità e la temperatura superficiale del Sole.


Dalle stelle ai pianeti

Studiando le caratteristiche strutturali delle stelle è possibile ricavare delle formule che descrivono le loro grandezze fondamentali - come la luminosità e il raggio, la temperatura superficiale, la vita media - in funzione solo delle costanti di natura.

Da tali formule risulta che un'eventuale piccola diversità del valore di queste costanti comporta un cambiamento significativo delle grandezze fondamentali.

Non solo, ma si può esprimere, sempre in funzione delle costanti di natura, anche il valore del raggio, chiamiamolo R1, raggiunto il quale la stella diviene elettronicamente degenere (una nana bianca). Come si è già osservato in precedenza, quando ciò accade la stella non può evolvere ulteriormente.

Quando le stelle si formano da una nebulosa originaria non riescono in generale a contrarsi fino a questo raggio R1, perché si arrestano a un valore più grande (R2) in cui si innescano le reazioni termonucleari.

Anche in tal caso la contrazione si arresta, ma il processo evolutivo non risulta impedito perché le reazioni termonucleari consumano l'idrogeno, lo trasformano in elio e, proseguendo l'evoluzione, in elementi chimici più pesanti fino ad arrivare alla fase evolutiva finale nella quale tali elementi vengono irradiati nello spazio. Con questo processo la materia interstellare si arricchisce di elementi pesanti, rendendo possibile la formazione dei pianeti nei successivi processi di formazione di stelle.

Come si è già avuto modo di considerare, R2 è maggiore di R1. A questo punto, è opportuno considerare che lo è in misura leggerissima: entrambi dipendono dai valori delle costanti di natura e un eventuale leggero diverso valore di queste ultime comporterebbe che R1 risultasse maggiore di R2.

In tale eventualità le stelle, contraendosi, conseguirebbero il raggio R1 prima di conseguire quello R2. Poiché una volta raggiunto R1 la stella non può contrarsi ulteriormente, l'eventualità sopra prospettata avrebbe come conseguenza l'impossibilità per le stelle di raggiungere la fase termonucleare: non riuscirebbero quindi a essere fucine chimiche, come lo sono adesso, e nell'Universo non esisterebbero praticamente gli elementi chimici pesanti.

Ciò spinge l'analisi assai più in profondità, mettendo in evidenza come tutta l'evoluzione cosmica concorra in maniera critica a rendere possibile quella notevolissima serie di condizioni senza la contemporanea presenza delle quali l'esistenza delle forme vitali e della loro successiva evoluzione non sarebbe affatto possibile.

Con questo approfondimento dello studio cosmologico, gli scienziati si sono trovati di fronte a una serie di circostanze talmente critiche per l'esistenza di vita sui pianeti da essere spinti a esprimere il loro stupore formulando un principio che, più che una spiegazione, costituisce una forte sottolineatura di questa criticità ed esprime il rifiuto che tale criticità sia legata al caso. In sostanza, gli studiosi hanno espresso la convinzione che la successione di circostanze particolari, sia di natura cosmica sia di natura locale e ambientale, risponda all'esigenza del verificarsi di condizioni possibili per l'affermazione della vita, addirittura fino al livello umano, inteso come il livello con cui la natura riesce a compiere un atto di riflessione su se stessa e a riconoscersi. A un tale principio è stato dato un nome: "Principio Antropico".

Si tratta oggi di approfondire questo concetto che si affaccia all'orizzonte scientifico. Al fine di non creare fraintendimenti, è bene insistere sul fatto che il modo con cui la scienza perviene alla formulazione di questo principio è completamente diverso da quello introdotto dalla riflessione filosofica e religiosa. La scienza intende con esso proporre una visione strettamente unitaria di tutta la fenomenologia che nel cosmo si manifesta, ivi compresa quella in base alla quale appare il genere umano, e cerca di stringere questa unità individuando nella natura stessa i sintomi più significativi, quantitativamente espressi, che parlano di tale unità. Non dimentichiamo il fatto che alcune filosofie e religioni sostengono la profonda divisione fra ciò che è umano e ciò che non lo è.

Tuttavia, nonostante le notevolissime differenze, il Principio Antropico formulato dalla scienza ha un'importanza notevole non solo sul piano scientifico, ma anche su quello filosofico e religioso perché si pone come punto fondamentale di riferimento che non può essere dimenticato da nessun'altra attività speculativa umana, proprio in quanto scientificamente impostato. Uno dei problemi che il principio introduce è proprio questo: comprendere il concetto di uomo con le molteplici attività che lo caratterizzano (affetti, speculatività filosofica e religiosa, scientifica, tecnica, politica) offrendo al contempo a tutta la cultura umana il motivo sul quale le due discipline fondamentali in cui si articola, umanistica e scientifica, possono trovare un valido terreno di confronto e quindi di riunificazione.


(dalla rivista l'astronomia, luglio 1982)

La vita: un prodotto accidentale, oppure il fine stesso dell'Universo?