Una tesi materialista |
Iosif Shklovskij |
Per svuotare di contenuti finalistici il Principio Antropico bisogna arrivare a ipotizzare l'esistenza di un'infinità di universi. |
DURANTE il ventesimo secolo gli astronomi hanno fissato il quadro di riferimento
dentro cui comprendere l'intera evoluzione dell'Universo. In pratica, lo
sconfinato mondo delle galassie, le "isole" cosmiche, costituite
ciascuna da molti miliardi di stelle, e ciò che oggi chiamiamo Metagalassia; le
sue dimensioni sono quasi un milione di volte superiori a quelle della nostra
Galassia. Ogni fase di sviluppo dell'astronomia
è andata di pari passo con la crescita del dominio osservativo del cosmo. Dai
tempi di Galileo le dimensioni del nostro campo di indagine sono aumentate di
cento milioni di volte. Ci si deve attendere che, dopo la fase "metagalattica"
dell'astronomia, intervenga una qualche nuova fase, che potremmo definire "supermetagalattica"? E come si può (se si può) immaginare,
in questa ipotetica fase successiva, fino a che livello si amplierà il campo di
ricerca?
Una domanda "infantile" Tutto l'insieme dei dati osservativi
finora accumulati conferma la teoria del Big Bang, secondo la quale 15-20
miliardi di anni fa la materia del nostro Universo era tutta concentrata in un
punto: la "singolarità". Si può quindi parlare di "inizio"
del mondo? Questa domanda rientra nella categoria di quelle che potremmo
definire "infantili", cioè di quelle che solitamente sono le più
profonde e radicali. A essa bisogna dare una risposta non ambigua. Chi non è
seguace del materialismo può ammettere che questo "supergene" (oppure
l'Universo stesso, che da esso si è formato per chissà quali leggi interne di
sviluppo) di dimensioni infinitamente piccole (circa 1 0-33 cm), di densità e
temperatura incredibilmente alte fu creato dal nulla. Ma noi siamo materialisti,
e non crediamo ai miracoli, e allora riteniamo che sussistano solo due risposte
possibili alla domanda "infantile" formulata poc'anzi. La prima è pienamente nello spirito di
Poprischin, protagonista del Diario di un pazzo di Gogol: "Non c'era nulla,
c'era il diavolo sa che cosa!". Un modo di intendere questo tipo di
risposta, alla luce della scienza moderna, è di ricordare che tutte le leggi
fondamentali della natura, comprese le relazioni spazio-temporali, sono valide
solamente in determinate condizioni. Non si può escludere, dunque, che ai
valori estremi di densità, di temperatura, di estensione spaziale che regnavano
sulla singolarità, perdano ogni senso i concetti del "prima" e del
"dopo". Dobbiamo semplicemente ammettere che noi quelle leggi della
natura, in tali condizioni limite, per ora non le conosciamo. In ultima analisi,
la "risposta di Poprischin" è questa: noi non siamo abbastanza avanti
da concepire la singolarità, e non sappiamo quando ci arriveremo. Questa
risposta è corretta, ma certamente elusiva e non soddisferà mai la curiosità
infantile. Tanto più che ne esiste un'altra che potrebbe a pieno titolo essere
attribuita allo sfortunato filosofo volterriano Pangloss: "Non vi è nessun
problema, bambini! Noi viviamo nel migliore dei mondi". Questa risposta
presuppone che di universi ve ne siano parecchi e che, per la maggioranza, si
tratti di luoghi poco confortevoli.
Quell'incredibile
"predisposizione" alla vita L'Universo nel quale noi viviamo,
possiede uno spettro ricchissimo di proprietà e una storia assai complessa. Ci
si è sempre chiesti: è qualcosa di esterno a noi? E non potrebbe essere completamente
diverso da quello che è, con altre leggi? Certamente, potrebbe esserlo, ma...
in un Universo qualsiasi non potrebbe esistere una forma di materia così
complessa e altamente organizzata qual è la vita. Già negli anni Cinquanta, i
più famosi cosmologi si soffermarono a considerare l'incredibile
"predisposizione" delle proprietà dell'Universo a favorire lo
sviluppo della vita. Secondo l'astrofisico sovietico Zelmanov gli altri universi
(ammesso che esistano) si evolvono "senza testimoni La nostra tesi, secondo
la quale noi osserviamo l'Universo così com'è semplicemente perché noi
esistiamo e perché in un altro Universo non potremmo esistere, è stata
definita Principio Antropico. La sua consiste nel considerare la vita, e in
particolare noi stessi, come parte integrante dell'Universo, la naturale
conseguenza della sua evoluzione. L'Universo non è qualcosa di esterno alla
vita; e in piena coscienza si può affermare: "L'Universo siamo noi".
Per questo motivo non ci si deve stupire se esso è così meravigliosamente
capace di accogliere la vita.
Un'infinita moltitudine di universi Restando su posizioni materialiste, non
si può certo affermare che l'Universo sia stato creato appositamente perché,
in una determinata fase del suo sviluppo e in microscopici campi
spazio-temporali sorgesse la vita, e per di più una vita razionale. Che
conclusione si deve trarre allora? Solamente una: considerare che l'Universo
osservato non esista al singolare, ma che vi sia un'enorme, infinita moltitudine
di universi (con la lettera minuscola) differenti. Nella quasi totalità questi universi
sono "deserti", cioè in essi non vi è vita alcuna. Solo con una
probabilità estremamente rara, tra di essi capitano anche realtà più o meno
simili al nostro stupefacente e meraviglioso Universo (con la lettera
maiuscola). Formulando questa ipotesi, dettata
dalla logica e dalla filosofia, noi compiamo un nuovo balzo in avanti verso la
conoscenza dell'Universo. E questo balzo rende necessaria l'introduzione di un
particolare concetto di varietà illimitata, che includa in sé una molteplicità
infinita dei più svariati universi, ciascuno dei quali ha un certo numero di
costanti fisiche fondamentali. Definiremo questo concetto "Metauniverso".
Universi non osservabili Una particolarità molto importante
caratterizza quest'ultimo "ordine" del cosmo da noi percepibile, e lo
rende qualitativamente diverso dalla Metagalassia. Gli oggetti innumerevoli e
incredibilmente differenti tra loro del Metauniverso non possono essere, in
linea di principio, osservati poiché si trovano oltre i confini del nostro
orizzonte degli eventi. Essi non possono essere collegati da segnali luminosi,
per cui si può ritenere che ogni universo sia un'entità rigidamente isolata. Viene spontanea la domanda: ha un senso
occuparsi di categorie che non possono essere osservate? In effetti, anche la
meccanica dei quanti "accoglie in sé" tutto ciò che, in linea di
principio, non può essere osservato (per esempio, il moto degli elettroni
nell'atomo secondo determinate orbite). Nel caso, comunque, del Metauniverso, la
situazione è differente. Le leggi che regolano il nostro Universo, possono
essere comprese (o per lo meno si stanno aprendo delle possibilità per la
comprensione) solo facendo ricorso alle categorie del Metauniverso. Inoltre, al livello in cui si trova
attualmente la scienza, non si può stabilire con piena certezza che gli altri
universi (e in generale tutto ciò che si trova al di là dell'orizzonte
cosmologico) in linea di principio non siano osservabili. Penso ai coraggiosi
tentativi di superare, sebbene solo col pensiero, le barriere spazio-temporali
utilizzando le sorprendenti proprietà dei buchi neri e bianchi. Per questi
motivi, l'analisi delle proprietà degli altri universi ha pienamente diritto di
esistere nella scienza moderna. Verrà il giorno in cui, col pensiero,
potremo compiere un nuovo passo dalla Metagalassia al Metauniverso. Per adesso
la rappresentazione della moltitudine degli universi si trova allo stadio
embrionale. Ma bisogna supporre che questo nuovo emozionante grado della
conoscenza umana sia il terna della prossima rivoluzione in astronomia.
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