verso un nuovo modo di pensare e di  agire nella pianificazione.

Pianificazione e progettazione quali i limiti?

Il superamento: quali novita?

urbanistica tradizionale: verso il rinnovamento?

i programmi complessi e le nuove lur: una svolta storica?

DUE CASI EMBLEMATICI: LA SPEZIA E GENOVA.

conclusioni

note.

 

Verso un nuovo modo di pensare e di agire nella PIANIFICAZIONE

La pianificazione tradizionale è, come appare agli occhi di molti, esperti e meno esperti, fortemente in crisi, a causa dei principi su cui si è fondata sin dalla sua nascita e dei modi con cui si è operato; i suoi limiti sono stati messi in luce dall’applicazione concreta sul campo e ampiamente dibattuti in sede teorica.

Le riflessioni culturali, iniziate in seno agli anni ’80 e proseguite successivamente negli anni ’90 sino a giungere ai giorni nostri, hanno analizzato, criticato e modificato ampiamente il concetto di pianificazione, di territorio, di planner, sino a rivedere il termine stesso di atto creativo.

Nonostante permanga, nell’ambito dell’urbanistica e della progettazione contemporanee, l’idea di un progettista unico artefice, che, ignaro di certi problemi, va ancora alla ricerca di un metodo certo,[1]si sta cercando di affermare un nuovo modo di pensare e, soprattutto, di agire, che con i nuovi apparati normativi degli anni ’90, ha già innescato una vera e propria rivoluzione; i cui risultati, malgrado i vari problemi causati soprattutto dal carattere innovativo e totalmente antitetico al tradizionale modo di operare, si cominciano ad intravedere.

 Pianificazione e progettazione tradizionale: quali i limiti?

Partendo da un’analisi qualitativa della città contemporanea, ci si rende conto che questa è un’entità molto complessa non riconducibile a dei modelli lineari semplificativi e riduzionisti; lo sviluppo urbanistico non interessa esclusivamente l’aspetto strettamente fisico del territorio, ma coinvolge anche i settori economici, sociali e culturali che in esso s’intrecciano secondo modi e rapporti biunivoci e non lineari.

Ma la pianificazione tradizionale si è basata su altri postulati, che hanno portato, il più delle volte, al degrado del territorio, postulati che non sono stati (e non sono) monopolio dell’urbanistica ma che anzi sono comuni a tutto un filone di pensiero, oggigiorno ancora dominante, che ha nella conoscenza tecnocratica e scientista le proprie radici.

Tale conoscenza si basa essenzialmente sull’approccio e sulle regole della meccanica classica, e su una fiducia illimitata nella tecnica e nelle capacità dell’uomo, in grado di conoscere e dominare la realtà in cui vive. Una conoscenza meccanicista, tecnocratica, scientista e assolutista, in cui la realtà è governata da leggi immutabili e assolute, scoperte le quali è possibile prevedere l’evoluzione del sistema – realtà.

La meccanica classica viene, così, strumentalizzata e risulta essere inadatta per descrivere e conoscere il mondo quotidiano e una realtà così complessa quale risulta essere la città e il territorio in genere: lo spazio e il tempo sono ridotti a delle invarianti, non influenzabili dal resto del sistema; il sistema stesso, oggetto del processo conoscitivo, si presenta come immutabile e statico (anche nella sua dinamicità evolutiva); l’osservatore, freddo e oggettivo, è in grado di analizzarlo totalmente e trovare l’espressione matematica,[2] che perfettamente (o statisticamente) riesce a descriverlo. È possibile quindi prendere un oggetto (nel nostro caso la città oppure il territorio), sradicarlo dal suo ambiente, collocarlo in un ambiente artificiale (sia esso un laboratorio oppure un tavolo di lavoro di un ufficio tecnico, poco importa), modificarlo e controllare le sue modificazioni al fine di conoscerlo.[3]

Da questo modo di pensare scaturiscono due grosse tendenze, oggigiorno imperanti: l’olismo e il riduzionismo; il primo ignora le parti per conoscere il tutto, il secondo vuole comprendere il tutto a partire soltanto dalla qualità delle parti;[4]entrambi, comunque, procedono per variabili di numero limitato e limitanti ai fini della conoscenza. In ogni caso, si perviene ad una realtà falsata, fortemente semplificata,[5] e soprattutto modellizzata: estratto il modello, si lavora su di esso e, a lavoro finito, si vorrebbe che la realtà si conformasse ad esso, adattandosi alle leggi che lo descrivono e alle previsioni da quest’ultime estrapolate. Ci troviamo di fronte a risposte certe, assolute, da un lato, e semplificazione – specializzazione, dall’altro; ma, come già detto, la realtà, il territorio e la città sono sistemi autopoietici, molto complessi, e la complessità si presenta come difficoltà e come incertezza, non come chiarezza e come risposta.[6]

La complessità, fortemente combattuta, per i limiti nati nel comprenderla con questo modo di pensare, è necessaria per la vita di ogni sistema vivente, le correlazioni, che scaturiscono tra i costituenti del sistema naturale (complesso), permettono al sistema di essere più flessibile, di adattarsi ai mutamenti ambientali, di avere più probabilità di sopravvivere e, quindi, di evolversi. Viceversa, la sua specializzazione, settorializzazione, significa povertà di variabilità interna e maggiore vulnerabilità:[7]queste sono delle caratteristiche peculiari della città contemporanea, dove sussiste una organizzazione del territorio semplificata, secondo una zonizzazione di parti monofunzionali (lo zoning dei piani urbanistici tradizionali), regolate dalle leggi spazio – temporali del sistema produttivo tayloristico – fordiano,[8]che ha portato a vari tipi di aree degradate, quali ad esempio i centri storici, in parte svuotati e in parte occupati dai ceti meno abbienti; le periferie – dormitorio, vuote e desolate durante le ore lavorative; le aree produttive dismesse, soprattutto quelle di tipo industriale; tutto questo, inoltre, è accompagnato dalla mancata integrazione tra le parti del territorio: ad esempio porto – città, campagna – centro urbano, ecc..

Un forte limite, questo, che ha avuto notevoli ripercussioni non solo sul territorio, ma anche sulla società e sull’ambiente: questa semplificazione e scomposizione (settorializzazione) dei luoghi urbani in spazi funzionali, finalizzati ad ottimizzare il funzionamento della macchina produttiva e del mercato, dal momento in cui ha sottratto dal processo di formazione del territorio la componente temporale e le interdipendenze fra società insediata e ambiente, ha contribuito alla distruzione delle identità storiche territoriali e delle loro capacità autoriproduttive ed evolutive.[9]

I piani, sia quelli a carattere generale sia quelli a carattere settoriale, sono stati e continuano ad essere ancora oggi, fortemente rigidi, con poca flessibilità, sia all’interno, nel modo in cui trattano il territorio su cui agiscono, sia all’esterno, nelle relazioni che dovrebbero instaurarsi biunivocamente e coordinarsi tra di loro. Il territorio viene trattato nel piano come un sistema di funzioni disteso su di un supporto spaziale omogeneo,[10] privo di identità. La costruzione artificiale della città si fonda ancora su un concetto di spazio funzionale, isotropo, atemporale, istantaneo, in cui il tempo è fuori dall’atto stesso della pianificazione.

La relazione ternaria individuo – società – ambiente, chiave interpretativa delle dinamiche della vita, e che sta alla base dell’Ecologia della Mente e della Natura,[11]risulta totalmente stravolta, causando sul territorio una grave crisi, che è soprattutto una “crisi di relazioni” interrotte.

L’urbanistica tradizionale vede, così, gravemente compromessa la propria efficacia, e all’interno del settore, e in parte anche all’esterno, si sente la necessità di un superamento di questi limiti, che, come visto, sono di carattere concettuale – teorico, ma allo stesso tempo strutturale – normativo e attuativo: il rinnovamento (iniziato già sul piano teorico e normativo) deve procedere quindi su diversi fronti coinvolgendo e influenzando l’intero ambito dello sviluppo.

 Il superamento: quali novità?

Consapevoli ormai di una imperfezione e della non linearità delle relazioni tra piano, territorio e città,[12] della necessità di ricostruire le relazioni interrotte, è opportuno passare da una pianificazione quantitativa e funzionale ad una che inneschi processi spazio – temporali, non più oggetto di alcuni “specialisti”, guidate da leggi in cui il tempo resti fuori dal processo, ma che anzi assuma il tempo (qualitativo) come variabile interna all’azione pianificatoria, e dove le nuove comunità in divenire, i diversi soggetti, possono ritornare ad essere non più semplici spettatori, ma artefici creatori della costruzione della propria territorialità.[13]

Questa nuova concezione sta cominciando a farsi largo, e ad affermarsi non solo in sede teorica, ma anche in ambito istituzionale e operativo: nei nuovi scenari sta mutando soprattutto il ruolo dei soggetti (non più solo tecnici, e non più solo istituzionali) e con esso il significato ultimo della pratica di pianificazione, trasmutando da una prassi strumentale, prescrittiva e regolamentativa, ad una più comportamentale, di indirizzo e valutativa.[14]Con il rinnovamento disciplinare e istituzionale già in atto, si vengono a delineare due urbanistiche, spesso contrapposte, a volte interagenti, ma in ogni caso necessarie: all’urbanistica del piano tradizionale (istituzionale, prescrittiva, conformativa dei diritti di proprietà, un’urbanistica che ha manifestato spesso una propulsione a divenire autoreferenziale), si sovrappongono e/o si sostituiscono pratiche diffuse, che partendo da istanze, anche deregolative, vanno ricomponendosi sui temi europei della sostenibilità e della coesione, sperimentando procedure concertative (nelle varie forme con cui queste si possono esplicitare) e concorsuali.[15]Si assiste così ad un passaggio radicale dalla città degli standard al territorio dei programmi complessi, dalla risposta ai fabbisogni primari (essenzialmente quantitativi) all’offerta di opportunità insediative e di rifunzionalizzazione nelle trasformazioni urbane.[16]

La struttura dei rapporti istituzionali e lo stile di pianificazione restano comunque in larga prevalenza quelli tracciati dalla legge 1150/42. Il piano, nonostante le diversificazioni legate ai contesti locali e alle leggi regionali, resta, nella sua più diffusa e praticata utilizzazione, un atto giuridico complesso alla cui definizione concorrono istituzioni con ruoli distinti: un Piano che, ai fini attuativi, è staticamente e rigidamente previsivo rispetto agli assetti.[17]Il superamento, già in atto, investe tutto il settore, attraverso non solo strumenti straordinari, quali possono essere i programmi complessi, ma anche mediante nuove leggi regionali, le quali propongono forme di concertazione – copianificazione tra gli enti locali e di concorsualità pubblico/privato nella definizione e gestione del Piano, ma questo avviene “a sbalzo” in assenza della Riforma urbanistica[18] da tutti sentita urgentemente necessaria.

URBANISTICA TRADIZIONALE: VERSO IL RINNOVAMENTO?

Il sistema di pianificazione del territorio è stato normato per la prima volta a livello nazionale con la legge 1150/42: un sistema basato essenzialmente su due tipi di piano:

·        Il PTC, piano territoriale di coordinamento

·        Il PRGC, piano regolatore generale comunale

e su due soggetti istituzionali:

·        Lo Stato

·        I Comuni

L’ architettura dei poteri di pianificazione e governo del territorio e la natura ed i contenuti dei piani sono stati considerati, sin dalle prime fasi, come un insieme strutturato secondo un modello poco articolato e fortemente gerarchico basato sul controllo da parte dello Stato dell’attività di pianificazione dei Comuni.[19]Questo stato di fatto è rimasto immutato non solo per ciò che riguarda il sistema di pianificazione del territorio, ma anche per ciò che concerne la sua articolazione tra Stato e Comuni.

Il quadro subisce elementi sostanziali di riforma e “ristrutturazione” solo dopo il 1970 con la riforma regionale volta a superare il grave “deficit” nell’organizzazione in senso democratico ed autonomistico dello Stato.[20]A questo proposito, è possibile individuare tre fasi, nel trasferimento dei poteri dallo Stato alle Regioni e alle autonomie locali:

1.            la prima è quella del 1970-72 attuata da un primo trasferimento parziale di funzioni dallo Stato alle Regioni con il Dpr 8/1972.

2.            la seconda regionalizzazione è quella del 1975-77, che, con il Dpr 616/1977, rende realmente operante la riforma istitutiva delle Regioni a Statuto ordinario.

3.            la terza regionalizzazione, anticipata dalla L. 142/90, ha portato con il Dlgs 112/98, una forte novità, non tanto nell’ulteriore diminuzione della presenza e del ruolo dello Stato in materia di territorio ed urbanistica, quanto nell’affermazione del principio di sussidiarietà per tutti i livelli istituzionali ed il conseguente decentramento anche dei poteri regionali verso le autonomie locali.[21]

Il territorio è passato dall’essere soprattutto “dello Stato” alle istituzioni territoriali e con la L. 142/90 insieme alla Regione si assiste positivamente ad un nuovo protagonismo delle autonomie locali[22] (Province e Comuni).

Accanto a questo decentramento, si assiste ad un rapido cambiamento che, nell’ultimo decennio, ha investito un settore della pianificazione complesso e tendenzialmente rigido che cerca di associare le parti più solide rendendole meno aperte al cambiamento.

Alcune questioni comunque sembrano delinearsi, a partire innanzitutto dalla ridefinizione dei ruoli dei diversi soggetti, attraverso la modifica dei rapporti tra i tradizionali soggetti della pianificazione: l’elezione diretta dei sindaci e dei Presidenti delle Regioni ha introdotto una componente di autorevolezza e di responsabilità nell’attività di pianificazione che non riesce ancora ad esprimersi, filtrata e contraddetta spesso dal ruolo filtro degli assessori tecnici.[23]

La seconda questione è relativa alla iperproduzione ed al crescente settorialismo dei Piani, che vede sul territorio la concomitanza di diversi piani (e programmi) adottati e gestiti da diversi soggetti istituzionali che aumentano incertezze, conflittualità ed un diffuso scetticismo sulla loro utilità; la questione è esasperata dalle eccessive settorializzazioni di certi strumenti che coniugano tendenze solistiche – superficiali con tendenze iperspecialistiche e riduzionistiche.

Una terza questione è quella relativa alla coerenza dei regimi urbanistici a quelli immobiliari ed a quelli fiscali, questione che rimanda ancora alla necessità di una Riforma urbanistica su scala nazionale: infatti, anche se in alcune Regioni e in specifici PRG sono stati introdotti e sperimentati i temi della sostenibilità e della perequazione, spesso però domina l’incertezza con tutte le conseguenze che, sul piano economico, questo comporta.

Occorrono, probabilmente, delle leggi e dei piani meno rigidi, che devono tendere a rimettersi in gioco nella costruzione di una nuova disciplina, più pluralistica ed in quanto tale più aperta, ma anche più incerta, meno sistemica, forse meno razionale, ma più relazionale.[24]Da un modello di pianificazione basato su una rigida gerarchica divisione dei compiti istituzionali si sta passando ad un modello che riconosce le autonomie delle diverse politiche all’interno dei diversi contesti.[25]

Gli anni successivi alla regionalizzazione e al decentramento amministrativo – istituzionale sono caratterizzati da fasi in cui diverse tendenze si modificano e si incrociano portando in ambito urbanistico delle ripercussioni notevoli, introducendo elementi di riforma e innovativi.

E’ possibile, così, distinguere nell’azione legislativo – normativa dello Stato: un carattere e/o obiettivi di deregulation, finalizzati alla semplificazione procedurale e alla riduzione dei vincoli e dei controlli dell’iniziativa privata di intervento sul territorio, affiancato da un carattere “ri – regolativo” o “neo – regolativo”[26], finalizzato ad aumentare efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa e degli interventi.

Lo Stato caratterizza la propria azione secondo due direttrici: da un lato, è possibile distinguere il carattere di indirizzo e coordinamento dell’iniziativa dei soggetti (istituzionali), dall’altro, la predisposizione di strumenti e la regolamentazione di procedure. L’azione dello Stato si configura, dunque, da un lato, per la duplice natura di indirizzo – coordinamento o di legislazione – normazione, dall’altro per il carattere e gli obiettivi prevalentemente “de – regolativi”, “ri – regolativi”, “riformisti”.

Il carattere “riformista” diventa notevole soprattutto con l’inizio degli anni ’90 e in tutto il decennio successivo, in cui un peso rilevante hanno avuto la riforma dell’intera pubblica Amministrazione e dei suoi compiti, con la legge sulle Autonomie locali (L. 142/90) e la legge Bassanini (L. 59/97) di “Delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali”.

In tutto questo assume grossa importanza il principio di sussidiarietà[27] e il conseguente spostamento verso il basso dei poteri, da un lato, la responsabilizzazione delle autonomie locali, dall’altro, e al tempo stesso l’esigenza dell’indirizzo e del coordinamento.

Riconducibili all’azione riformista e innovativa dello Stato si collocano i programmi complessi, che caratterizzano tutti gli anni ’90 e che rappresentano una vera e propria svolta storica all’interno del settore urbanistico, accompagnati da iniziative a carattere regionale che li hanno preceduti nella seconda metà degli anni ’80 e che, nella seconda metà degli anni ’90, hanno portato alla stesura delle nuove LUR.

 I PROGRAMMI COMPLESSI E LE NUOVE LUR: UNA SVOLTA STORICA?

All’inizio degli anni ’90 si è manifestata in Italia una forte flessione del mercato edilizio: con la crisi economica dei primi anni ’90, infatti, si assiste ad una caduta della domanda edilizia. Questa situazione ha messo fortemente in crisi il tradizionale meccanismo produttivo all’interno della pianificazione urbanistica: fino ad allora infatti la misura dei piani urbanistici è stata data sostanzialmente dall’offerta di aree trasformabili per realizzare edifici che avrebbero dovuto rispondere ad una domanda sostanzialmente indifferenziata di abitazioni ed uffici.[28]

Un modo di procedere, questo, basato su una crescita quantitativa e funzionale della città, che si basava sulla capacità di previsione del piano; di contro, si venivano delineando, invece, l’insostenibilità e l’ingovernabilità[29] dei piani, mettendo in luce la scarsa qualità di gran parte dei tessuti più recenti. Si assiste, inoltre, all’emergere di nuove domande del mercato: parcheggi, attività commerciali, ricreative, ricettive ed espositive, accompagnate dall’esigenza del recupero e della riqualificazione urbani, del tutto nuovi rispetto alle pratiche urbanistiche consolidate: il fine dell’azione urbanistica non consiste più nell’omologazione, intesa come distribuzione omogenea di servizi ed adeguamento ad uno standard, ma nella differenziazione , come sviluppo delle potenzialità e come valorizzazione delle risorse e delle specificità locali.[30]

Ma questo tipo di riqualificazione necessita di grossi investimenti, di cui spesso mancano i bilanci dei vari enti, per cui si apre la strada della compartecipazione privata ai costi delle spese pubbliche[31]. In tale clima prendono le mosse i vari tipi di programmi complessi e, nella seconda metà degli anni ’90, le nuove LUR.

Nati come strumenti non ordinari all’interno della pianificazione, è possibile individuare l’origine dei Programmi complessi nei programmi integrati previsti dall’articolo 18 della legge 203/91. Questi primi programmi erano stati istituiti specificatamente per la costruzione di nuove abitazioni per le forze dell’ordine ma introducono, per la prima volta, all’interno di una programmazione pubblica di edilizia residenziale, la possibilità di proporre destinazioni d’uso in difformità con la previsione degli strumenti urbanistici, evitando la procedura ordinaria di variante, infatti la delibera di adozione comunale con la quale viene adottato il programma equivale a variante degli strumenti urbanistici vigenti, alterando quindi gli equilibri decisionali tra istituzione regionale e comunale. I principali parametri qualitativi, fatti proprio dal confronto concorrenziale, sono: la qualità prestazionale degli alloggi; la qualità morfologica, il recupero fondiario o edilizio; la qualità morfologica dell’insediamento in relazione al contesto urbano; l’effetto di risanamento urbano sulle aree circostanti; l’incremento degli standard caratterizzanti la qualità dell’insediamento[32]. La qualità risulta essere strettamente legata alla fattibilità, alimentando, così, il carattere concorsuale dello strumento. Il carattere episodico e settoriale ed il ruolo essenziale di promozione svolto dal bando nazionale con risorse statali li hanno rilegati in secondo piano nel processo di innovazione.[33]

Un anno dopo, con l’art. 16 della legge 179/92, vengono introdotti i Programmi integrati che, pur nella loro straordinarietà, hanno un carattere meno episodico e più sperimentale; i Pii si inseriscono nel contesto della nuova programmazione degli interventi di edilizia residenziale: occupandosi non solo di riqualificazione del tessuto edilizio ma anche di quello urbanistico e ambientale; quindi, un interesse non esclusivamente legato alla scala edilizia. Il programma prevede l’individuazione di zone urbane caratterizzate da forte tensione abitativa e dalla compresenza di degrado fisico e sociale: ai fini pratici, il Pii ricerca l’integrazione tra edilizia residenziale e non residenziale e, all’interno dell’edilizia residenziale, l’integrazione tra tipologie diverse finalizzate all’integrazione sociale. Tutto questo viene previsto per cercare di incidere sulla riorganizzazione urbana, infatti i Pii intervengono su aree collocate tra quelle di trasformazione, con una valenza strategica per l’intera città. Con tali strumenti si cerca di superare la logica della pianificazione tradizionale ancorata ancora alla sostanziale monofunzionalità e cercando, invece, di approdare ad una concezione di complessità urbana.

Due sono gli aspetti positivi introdotti da questo tipo di programmi: la flessibilità, di cui il programma si fa portatore, relazionata alla libertà concessa ai Comuni di aggregare le diverse componenti strutturali, e il recupero, che, come già detto, va ben al di là del recupero edilizio in senso stretto, estendendosi a parti di città, a problematiche e a funzioni differenziate e per la prima volta all’ambiente.[34]

Gli interventi incidono sulle destinazioni d’uso e sui parametri funzionali della città; quindi, l’incontro – scontro con la pianificazione tradizionale era inevitabile. Le Regioni avevano la facoltà di interpretare e di stabilire regole di natura amministrativa e di natura edilizia e territoriale, in rapporto alle specificità locali, ed erano sempre le Regioni a gestire i fondi attribuiti loro dal CER per la programmazione dell’edilizia pubblica, andando a decidere sulla parte di questi da destinare ai Programmi integrati di intervento.[35]

Alcuni comma dell’articolo 16 della L. 179/92, però, erano chiaramente mirati allo snellimento dell’iter attuativo: ai fini del rilascio della concessione, era equivalente all’approvazione del programma da parte del Consiglio Comunale;[36]occorreva, però, la compatibilità del programma con la strumentazione urbanistica vigente, generale e attuativa. Nel caso di contrasto era prevista la decadenza delle eventuali osservazioni in mancanza di provvedimento da parte della Regione entro 150 giorni.[37] Inoltre era consentito la deroga ai vigenti limiti di densità fondiaria stabiliti per le zone omogenee, purché il programma contenesse la disposizione planivolumetrica degli edifici.[38]

La sentenza della Corte costituzionale n. 393/92 ha, però, fortemente ridimensionato il carattere innovativo dei Pii, soprattutto dal punto di vista procedurale e attuativo, abrogando alcuni comma (per l’appunto il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e il settimo), rimandando ad una legislazione regionale per la loro attuazione, legislazione redatta tardi, solo in alcune regioni e alla fine degli anni ’90.[39] Si sono venute, così, a creare grandi diversità tra le varie regioni nella produzione, nel finanziamento e nei contenuti stessi dei Pii.[40]In ogni caso, i Pii si sono configurati come variante agli strumenti urbanistici vigenti.

Successivamente, nell’ambito del provvedimento legislativo 493/1993 (art. 11), nascono i Programmi di Recupero Urbano (PRU), orientati al recupero dell’edilizia residenziale pubblica, per combattere il degrado della periferia. La dimensione degli interventi è quella urbana e di quartiere, l’ambito è quello dell’edilizia residenziale pubblica, ma interessa anche le aree contigue e prossime: nonostante, quindi, l’attenzione prioritaria ai tessuti residenziali in alcune regioni, quali ad esempio il Piemonte, ci sono stati interventi non residenziali. I PRU seguono meccanismi consolidati dell’edilizia residenziale pubblica, intervenendo sul tessuto urbano attraverso la realizzazione, la manutenzione e l’ammodernamento delle urbanizzazioni primarie; l’edificazione di completamento e d’integrazione dei complessi urbanistici esistenti; la manutenzione ordinaria e straordinaria; il restauro e il risanamento conservativo; la ristrutturazione edilizia degli edifici.

Elemento centrale è rappresentato dall’integrazione degli interventi e dei finanziamenti (pubblici – privati), estendendo il concetto di recupero dalla scala strettamente edilizia a quella urbana. Il confronto con i Piani di recupero (di cui alla legge 457/78) della pianificazione urbanistica tradizionale mette in luce alcune differenze sostanziali, che non sono solo peculiari degli strumenti in questione, ma proprie di due filosofie differenti; tenendo ben presenti i diversi contesti temporali e soprattutto culturali in cui nascono, è possibile individuare due diversi approcci. Innanzitutto, adesso siamo di fronte ad un Programma e non ad un piano; diversi anche gli ambiti di intervento: il piano di recupero si riferisce a particolari aree urbane stabilite dai Comuni che in genere coincidono o sono localizzate all’interno delle zone “A” del PRG, con l’obiettivo di qualificare socialmente la politica pubblica relativa alle abitazioni e frenare il degrado cercando di circoscrivere la crescita tumultuosa delle periferie urbane.[41]Ma paradossalmente proprio quelle periferie di cui si voleva evitare la crescita indiscriminata, a causa degli esiti spesso deludenti, sono divenute l’ambito di intervento dei PRU. Altri fattori caratterizzanti sono, innanzitutto, il passaggio dal semplice recupero dell’immobile al recupero infrastrutturale e qualitativo dell’intorno urbano; la compartecipazione dei privati per aumentare il budget delle risorse a disposizione, nell’ottica di “trattare” o scambiare regole, diritti e proprietà in cambio di aree e/o della realizzazione da parte del privato di opere di adeguamento infrastrutturale e di trasformazione urbana di qualità.[42]

Il ruolo delle regioni è essenziale anche perché è stato loro attribuito il finanziamento centrale per la distribuzione tra i Comuni, secondo la consolidata procedura dell’edilizia residenziale pubblica beneficiando, così, in misura maggiore i Comuni di minore dimensione.[43]Ai Comuni è affidato, invece, il compito della promozione e dell’attuazione: mediante la formazione (in accordo con i privati), la valutazione e la selezione ed, infine, l’approvazione, tramite l’accordo di programma. Il Comune, inoltre, con un atto ancora rigido, può, facoltativamente, individuare l’ambito di intervento a priori, mediante un Programma preliminare che, se da un lato favorisce le politiche urbanistiche e urbane già in atto sul territorio, dall’altro, stimola fortemente la partecipazione.

Altro tipo di Programmi complessi sono i PRiU (Programmi di Riqualificazione Urbana), filiazione interpretativa dell’art. 16 della 179/1992.[44]Questi, avendo in parte abbandonato una sostanziale dipendenza dalla legislazione per la casa, risultano l’occasione più propizia per fare emergere un nuovo modello della pianificazione urbana, secondo una logica che, partendo dal particolare, tende all’assetto generale.

Strumento finalizzato alla riconfigurazione spaziale e funzionale di parti di città attraverso l’attuazione di un insieme coordinato e sistematico di interventi pubblici e privati, ha un campo di intervento più ampio: insistendo su un ambito territoriale a scala urbana, caratterizzato da particolari condizioni di degrado non solo edilizio – urbanistico, ma anche ambientale, economico e sociale. I processi di riqualificazione sono avviati attraverso vari interventi tra cui:

·              L’acquisizione di immobili da destinare ad urbanizzazioni primarie o secondarie o edilizia residenziale pubblica.

·              La realizzazione, il completamento o l’adeguamento di opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

·              L’introduzione di opere per la sistemazione ambientale o di arredo urbano.

·              Il risanamento di parti comuni di fabbricati residenziali, oltre che la manutenzione ordinaria e straordinaria, il restauro e il risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia di fabbricati residenziali e non residenziali.

Il tutto finalizzato a innescare processi di riqualificazione fisica dell’ambito considerato.

Una forte azione di indirizzo centrale è stata quella assunta dallo Stato all’interno dei PRiU, mediante una guida redatta dal M.LL.PP., e la selezione nazionale operata dal CER e dalla Conferenza Stato – Regioni.

I contenuti maggiormente innovativi dei Programmi di Riqualificazione Urbana sono legati al superamento del concetto di recupero attraverso l’assunzione di più ampi interventi di riconfigurazione funzionale e di ricucitura della città o di parti significative di essa, accompagnata da una certa flessibilità delle norme attuative del programma, intese come un insieme di criteri guida.[45]Inoltre, c’è una concezione interattiva dei processi di pianificazione e di gestione urbana e la volontà di produrre significativi effetti a scala urbana complessiva.[46]Con questo strumento c’è la possibilità di destinare le risorse non solo per l’edilizia residenziale, ma anche per il tessuto urbano, con il fine di riqualificare l’intero ambito (e non solamente da un punto di vista fisico).

I finanziamenti pubblici (statali) previsti sono quelli stabiliti dall’art. 2 della legge 179/1992 e dall’art. 2 della legge 662/96: la spesa pubblica si è trasferita, così, dalla realizzazione del singolo manufatto residenziale alla più ampia riqualificazione del contesto urbano. Ruolo centrale ha giocato il bando, che stabilisce le procedure per l’approvazione e il finanziamento dei programmi, le tipologie di intervento, i soggetti abilitati a presentare le proposte, gli elaborati da trasmettere e, infine, i criteri di valutazione adottati dal CER.[47]E’, comunque, il Comune che delimita l’ambito territoriale oggetto del programma, tenendo presente il suo ruolo strategico rispetto al contesto urbano e metropolitano; e di competenza comunale è, inoltre, la definizione del programma preliminare e l’individuazione dei relativi contenuti ed obiettivi, che ha permesso di coniugare gli interventi con le politiche urbane (già in atto, oppure stimolati dal programma da innescare). Si viene, così, a delineare un’ampia casistica che spazia dagli interventi nei Centri Storici, alle aree industriali dismesse, dalle periferie indifferenziate ai quartieri di edilizia residenziale pubblica.[48]Ed, infine, è sempre il Comune a selezionare le proposte in conformità a convenienze economiche: si vengono, così, a modificare le leggi tradizionali che hanno governato il rapporto pubblico – privato: le proposte sono valutate, infatti, sulla convenienza pubblico – privato, in cui incidono, sulla prima, gli interventi pubblici finanziati con risorse private, sulla seconda il valore delle opere private concordate con l’ente locale, che, se in contrasto con la strumentazione urbanistica vigente, si configurano in termini di variante.[49]

Il rapporto con la pianificazione tradizionale ha sottolineato il carattere innovativo di questo tipo di strumento e l’inadeguatezza della strumentazione ordinaria, la quale non prevedeva, e spesso ostacolava, certe nuove modalità di intervento. E’ possibile individuare differenti forme di relazioni instaurate tra i PRiU e la strumentazione urbanistica, a seconda delle capacità di quest’ultima di relazionarsi, recepire e dialogare attivamente con strumenti più flessibili.

Laddove è presente una legislazione regionale di tipo tradizionale accompagnata da limitate capacità da parte dell’ente, si sono verificate delle incongruenze che hanno minato lo strumento nei suoi caratteri innovativi, rendendolo poco efficace: l’individuazione delle aree di intervento è stata molto generica, con ambiti troppo ampi o troppo puntiformi: inoltre, si è verificata spesso una definizione del programma preliminare superficiale, priva di indicazioni progettuali ed economiche concrete, rendendo, di fatto, complicata la partecipazione dei privati.

Diversa è la situazione nel caso in cui si è in presenza di un Comune che, nonostante deficitario in termini di legislazioni regionali innovative, riesce a sviluppare capacità di scelta, produrre negoziazione e gestione del territorio. In questo caso il PRiU assume un punto di riferimento per innovare i processi di trasformazione in atto, assumendo il ruolo di strumento di adeguamento del piano.[50]Là dove, invece, le regioni hanno rinnovato la loro strumentazione normativa e i Comuni hanno recentemente adottato il nuovo PRG, il PRiU assume il ruolo di verifica, da un lato, e di strumento attuativo del piano, dall’altro. Un’ultima situazione è quella che si può presentare nel caso in cui la regione ha una legislazione innovativa, ma i Comuni non si sono ancora adeguati. E’ il caso, questo, di Genova, dove i PRiU sono stati elaborati e portati avanti nella fase finale del periodo in cui era ancora in vigore il vecchio PRG del 1980 e in cui si stava avviando lo studio e l’elaborazione del nuovo PRG, adottato più tardi nel 1997: essendo conformi al piano territoriale di coordinamento provinciale, modificano le norme del vecchio PRG, diventandone lo strumento attuativo.

Passando a strumenti più recenti, nel 1997, il M.LL.PP., con il decreto ministeriale del 22/10/97, promuove i Contratti di Quartiere, i quali approfondiscono alcuni nuovi temi, quali ad esempio la partecipazione – comunicazione con i cittadini - utenti, la coesione sociale, la bioarchitettura, il tema del recupero. Questo nuovo strumento è finalizzato, essenzialmente, al raggiungimento di più elevati standard di vivibilità attraverso una pluralità di azioni in settori diversi oltre a quello edilizio e una pluralità di attori, che prevede, oltre al coinvolgimento delle Amministrazioni pubbliche locali e centrali, anche quello di Associazioni senza fini di lucro, organizzazioni di volontariato e operatori privati, mediante la stipula di convenzioni tra i soggetti interessati e l’attivazione di procedure di partecipazione e comunicazione tese a garantire una più diffusa conoscenza. La scala di intervento è, rispetto ai programmi sin qui presi in esame, generalmente più piccola, con tutte le eccezioni relative ai singoli casi; infatti, l’ambito in cui si opera è il quartiere, segnato da un diffuso degrado fisico delle costruzioni, ma anche dell’ambiente urbano, e da carenza di servizi in un contesto di scarsa coesione sociale e di marcato disagio.

I finanziamenti pubblici resi disponibili possono essere utilizzati nel settore dell’edilizia residenziale sovvenzionata e relative urbanizzazioni, ma particolare attenzione, ai fini della selezione concorsuale, è attribuita alla presenza di investimenti finanziari aggiuntivi (pubblici, privati, comunitari) in grado di ampliare la dimensione complessiva dell’intervento anche nel campo sociale e nella formazione di nuove occasioni occupazionali. Si colloca in questo contesto l’accordo del 28/01/1998 tra il M.LL.PP. e il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, relativo agli aspetti occupazionali attivabili all’interno dei Contratti di Quartiere. Anche in questo caso, il bando di gara per l’attribuzione delle risorse centrali ha rivestito un ruolo importante in cui lo Stato (nella veste del CER, che ha organizzato incontri formativi con le Amministrazioni comunali e ha fornito assistenza tecnica per la redazione dei programmi) ha consolidato il suo ruolo di indirizzo e coordinamento.

I progetti, come richiede il bando di gara, riguardano prevalentemente periferie popolari degradate, dove gli interventi pubblici di edilizia residenziale sovvenzionata sperimentale si affiancano ad interventi per il recupero di spazi sociali, centri sportivi, spazi destinati ad ospitare attività commerciali ed artigianali. Gli interventi previsti più ricorrenti sono, da un lato, quelli che incidono direttamente sul degrado fisico (interventi di edilizia residenziale e di adeguamento delle urbanizzazioni connesse con quest’ultimi), dall’altro, quelli che affrontano il degrado sociale e culturale (mediante la realizzazione di impianti sportivi, centri polifunzionali per attività socio – ricreative, centri per anziani, ecc.) e il problema occupazionale (recuperando edifici industriali dismessi e realizzando laboratori, con il fine di innescare processi legati ad attività commerciali e artigianali).

Rilevanza notevole assume l’attenzione dei C.d.Q. verso la “qualità ecosistemica”, soprattutto per le possibili ripercussioni che potrebbero provocare sul tessuto urbano e sugli strumenti tradizionali che su di esso intervengono: qualità che viene perseguita mediante il miglioramento complessivo del tessuto urbano, con la realizzazione di nuove aree verdi e con l’attivazione delle “performance ambientali” degli alloggi.

Dato il vasto spettro di tipologie di intervento, tale strumento si può prestare ad una lettura fortemente differenziata da parte dei soggetti istituzionali, in base alle strategie portate avanti sia con gli strumenti ordinari che straordinari: i connotati più sociali e partecipativi e la declinazione più orientata al recupero ha determinato una valenza più locale, ma maggiore valenza metodologica per la gestione delle trasformazioni minute.[51]

Si è assistito, da un lato, alla partecipazione degli abitanti, che con gli altri soggetti sociali ed economici locali ha assunto particolare rilevanza, dall’altro, lo strumento si è rivelato poco efficace nel reperire investimenti di tipo privato: a questo proposito, la presenza degli operatori locali è risultata piuttosto debole.

Infine, con il Decreto Ministeriale 1169 dell’8/10/1998, il Ministero dei Lavori Pubblici ha avviato una nuova sperimentazione che, con il bando nazionale, ha aperto un nuovo capitolo all’interno dei Programmi complessi, quello dei P.R.U.S.S.T. (Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio). Rispetto agli altri strumenti complessi sin qui esaminati, questo mira a degli obiettivi molto più vasti e ambiziosi, che spaziano dalle infrastrutture allo sviluppo produttivo del territorio, dalla riqualificazione ambientale alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico ed architettonico. Inoltre, altri due elementi li differenziano in maniera abbastanza netta: l’area d’intervento e la destinazione dei fondi pubblici previsti dal bando nazionale. L’ambito d’intervento si amplia, infatti, passando dalla dimensione urbana e di quartiere a quella dell’area vasta, con dimensioni territoriali che, secondo il caso, possono essere quello subregionale, provinciale, sovracomunale e comunale, ma tutti sono individuati sulla base di caratteristiche fisiche, morfologiche, culturali e produttive omogenee, quantomeno da un punto di vista teorico. Ciò complica notevolmente il rapporto con la strumentazione tradizionale, dovendosi relazionare in maniera diretta con strumenti di scala differente (PRG, PTCP, PTR), oltre che con strumenti settoriali che spesso non sono coordinati tra loro (Piano di Bacino, Piani d’Area, ecc.).

I finanziamenti messi a disposizione dal bando mirano essenzialmente alla copertura economica della progettazione: per ciascun programma ammesso a finanziamento, sono concessi solo quattro miliardi, di cui uno è destinato alla copertura dei costi di assistenza tecnica. Questo rimanda direttamente ad un’altra caratteristica saliente, costituita dalla partecipazione obbligatoria dei soggetti privati al finanziamento del programma per una quota pari, almeno, ad un terzo del costo complessivo.

Lo strumento affronta diverse tematiche, spaziando dagli interventi di tipo fisico – urbanistico ad interventi per lo sviluppo economico (industriale, artigianale e commerciale) e sociale. Innanzitutto, visto il carattere coordinatore, tende a migliorare le infrastrutture sia puntuali (porti, aeroporti, interporti, stazioni, ecc.) che lineari (strade, metropolitane, linee ferroviarie, ecc.) quali occasione per la creazione di strategie di sviluppo a scala territoriale; i PRUSST mirano, inoltre, a realizzare, adeguare o completare attrezzature di livello territoriale e urbano in grado di promuovere e orientare occasioni di sviluppo sostenibile sia sotto il profilo economico, sia sotto il profilo ambientale e sociale, con particolare attenzione al patrimonio storico, artistico e architettonico del territorio su cui agiscono.

Ultimo aspetto è quello finalizzato all’ampliamento e alla realizzazione di insediamenti industriali, commerciali e artigianali, alla promozione turistico – ricettiva e alla riqualificazione di zone urbane centrali e periferiche interessate da degrado. L’attenzione alla promozione dello sviluppo socio – economico li lega maggiormente alle politiche urbane intraprese sul territorio, così come il carattere di coordinamento: i PRUSST mettono in connessione tra loro diversi “punti focali” di programmazione previsti in un medesimo ambito territoriale ognuno con la propria dotazione di strumenti normativo – tecnico – finanziari, i quali, seppur finalizzati a propri obiettivi, dovranno trovare ordine in un quadro organico unitario tale da assicurare un governo efficace ed ordinato delle diverse iniziative che concorrono allo sviluppo di uno stesso territorio.[52]Le politiche prevalenti all’interno dei PRUSST, al di là delle specificità locali di ognuno, sono di varia natura e vanno da quelle finalizzate al recupero del deficit infrastrutturale a quelle di recupero e di valorizzazione del territorio (inteso nella sua accezione più ampia, alla maniera di Magnaghi, come sistema vivente ad alta complessità, esito sapiente di processi storici e di successivi cicli di territorializzazione e prodotto di una co – evoluzione di lungo periodo fra comunità insediata e ambiente[53]), da quelle che perseguono fini sociali a quelle di partenariato, di sussidiarietà e di concertazione.

I PRUSST, nei confronti della pianificazione tradizionale, hanno avuto un ruolo di catalizzatore, accelerando i processi di revisione disciplinare, ponendoli fuori dalla sacralità del PRG di tradizione, innescando con forza nella pianificazione ordinaria i temi della valutazione e della concorsualità, che mirano a superare la storica frattura tra intervento pubblico (buono) e intervento privato (cattivo) nei processi di costruzione della città.[54]Rompendo le geografie istituzionali, hanno posto all’attenzione dei pianificatori oggetti territoriali concreti, la cui coerenza e compatibilità devono essere ricercate nelle relazioni instaurate nei confronti degli altri soggetti, con i luoghi e con le comunità insediate: emergono, così, in maniera pesante, le identità territoriali nelle loro dimensioni profonde, storiche, culturali e spesso archeologiche.[55]

Ma quali effetti avrà questo tipo di strumento rispetto alle trasformazioni urbane? Quale utilità finale avrà sul miglioramento del modo di fare i piani e di governare le città e il territorio? E’ ancora presto, probabilmente, per dare delle valutazioni in questo senso, visto che i primi PRUSST ammessi a finanziamento risalgono a poco meno di un anno fa (Decreto M.LL.PP. in data 19/04/2000). Alcuni dubbi, però, nascono ai fini di capire l’utilità finale dello strumento, legata essenzialmente a due aspetti: come si adattano reciprocamente queste “tessere di piano” nel configurare nuovi oggetti territoriali? Che capacità hanno di porsi in relazione con una trama sottintesa che sia le azioni di governo, che le prospettive europee prefigurano? Probabilmente, visto che spesso il territorio è frutto di una sovrapposizione di iniziative che definiscono una sorta di progetto implicito fatto di tessere, pezzi di oggetti tradizionali, i PRUSST si pongono come strumento mirato a progettare i nodi più complessi di questo piano implicito, raccordando la pianificazione tradizionale e le aspettative europee, senza però ricadere in relazioni di tipo gerarchico.

Il secondo aspetto è ancora più intimamente connesso al piano tradizionale: come si pongono nella definizione della città contemporanea? A differenza del Piano razionalista, visto il carattere sperimentale e il “valore di sonda” che i PRUSST hanno, questi si collocano in una prospettiva più aperta nel cogliere le nuove necessità della città contemporanea, in cui il progetto non è dato, non corrisponde ad una dimensione perfetta della società, anzi ha proprio nella sua costruzione “tentativa”, fatta di incertezze, di conflittualità, un modello implicito di piano.[56]

Parallelamente all’istituzionalizzazione dei Programmi complessi, i primi anni ’90 hanno dato avvio ad una fase legislativa in cui si è registrata una ripresa della pianificazione territoriale regionale in un’ottica rinnovata rispetto ai decenni precedenti.[57]Queste innovazioni hanno risentito delle riflessioni teorico – disciplinari, le quali hanno mostrato alcuni caratteri necessari al sistema pianificatorio (comuni, spesso, anche ai programmi complessi): dalla processualità come condizione necessaria per gestire in modo efficace la complessità e la debole prevedibilità dei fenomeni da governare, alla sostenibilità come salvaguardia delle risorse irriproducibili e garanzia di condizioni di vita, ricucendo le relazioni interrotte sul territorio e, infine, alla trasparenza e alla partecipazione, come condizioni necessarie per costruire degli strumenti pianificatori non calati dall’alto, in cui i cittadini utenti abbiano solo un ruolo passivo, di tipo concorsuale, ma che miri a qualcosa di più nei limiti della complessità che ciò comporta, cercando di farli entrare nel processo decisionale, in modo da far sentire loro lo strumento pianificatorio.[58]

 A fronte di queste forti sollecitazioni nei confronti dell’innovazione legislativa, si è assistito, nell’ultimo decennio, a diverse tendenze riconducibili a tre differenti linee innovative: da un lato, sono state emanate delle leggi urbanistiche organiche ed innovative, che combinano le novità derivanti dall’applicazione della L. 142/90 con l’innovazione delle varie forme di piano (soprattutto quello di tipo comunale), dall’altro, si collocano leggi urbanistiche organiche ma non innovative e una pluralità di leggi parziali, che si sono limitate a recepire solo alcuni aspetti nuovi, senza, però, agire di conseguenza, spesso troppo legate ad una pianificazione tradizionale e razionalista.[59]Ad oggi sono sei le Regioni che hanno condotto a termine un’operazione di effettiva innovazione della propria legislazione urbanistica e che dispongono di leggi di “seconda generazione”, in vario modo informate ai principi elaborati in sede teorica, in ordine di anzianità della legge: Toscana, Liguria, Umbria, Basilicata, Emilia Romagna e Lazio.[60]Le sei leggi si sforzano di ribadire, in sede legislativa, quanto la disciplina della pianificazione territoriale ed urbanistica ha, in questi ultimi tempi, sottolineato con sempre maggiore enfasi ed urgenza, sia in termini teorico – metodologici (soprattutto), sia nella pratica (molto meno e con difficoltà): che il territorio è unico e complesso e che, di conseguenza, non è né rappresentabile né trattabile come una frammentazione di sistemi sconnessi tra loro, ma che, invece, è da intendersi come un sistema unico, dove le singole parti sono fortemente relazionate e non è possibile conoscerlo procedendo in maniera riduzionista o olista.

Per analizzare le relazioni esistenti tra i Programmi complessi e le nuove LUR (strumenti ordinari e, al tempo stesso, innovativi), ci si è limitati a studiare le situazioni esistenti in Liguria: come già detto, è la seconda regione che, in termini temporali, subito dopo la Toscana, ha avviato un processo di riforma urbanistica che, dal livello regionale, coinvolge il livello provinciale e, soprattutto, comunale; ciò garantisce, ai fini della trattazione, di poter verificare, concretamente, la compatibilità e le relazioni che si possono creare con i processi già in atto o prossimi ad essere innescati mediante i Programmi complessi, valutando, soprattutto, la flessibilità e la capacità di integrazione sul territorio.

La nuova Legge Urbanistica Regionale della Liguria nasce nel 1997 e, sin da subito, la riflessione sulle pratiche e le forme della pianificazione sembra focalizzarsi su alcuni temi comuni: la questione ambientale e la sostenibilità dello sviluppo, la riscoperta di identità del territorio e dei segni della storia, il carattere partecipativo e operativo dei processi.[61]

In Liguria la nuova legge regionale assume, infatti, tra i suoi principi generali quello della concertazione degli atti tra gli Enti titolari del potere di pianificazione territoriale e della sussidiarietà intesa come attribuzione agli Enti locali della più ampia sfera di responsabilità, in rapporto di reciproca interazione e cooperazione nell’esercizio delle reciproche funzioni.[62] Istituendo, inoltre, da un lato, le Conferenze di pianificazione, come strumento di co – pianificazione per Regione e Provincia, e precisando, dall’altro, procedimenti speciali connessi alla pianificazione territoriale di livello regionale, provinciale e comunale, quali l’Accordo di pianificazione, l’Accordo di programma e Conferenze di servizi.

Particolare attenzione è data al processo che porta alla realizzazione del piano, dalla conoscenza – analisi del “territorio” sino alla costruzione vera e propria che, abbandonando vecchi schemi propri della pianificazione funzionalista (incentrati sul rapporto problemi – soluzioni tecniche), mira a coinvolgere i cittadini/utenti mediante pratiche comunicative volte a costruire consenso, anche attraverso la pubblicizzazione e discussione di documenti preliminari e la costruzione di sistemi informativi territoriali, che assumono la funzione di osservatori permanenti.[63]In questo, si riconosce già una certa influenza dei Programmi complessi che, probabilmente, hanno comunicato, in maniera più diretta, esigenze analizzate e dibattute in ambito teorico. Il piano comincia ad abbandonare il carattere autoritativo fatto di prescrizioni, indirizzandosi a processi che mirano a costruire il consenso nella prima fase della redazione del piano, durante la quale il discorso descrittivo assume un ruolo fondamentale.

Nella Legge Liguria è possibile individuare, a tutte le scale (Piano Territoriale Regionale P.T.R.; Piano Territoriale di Coordinamento P.T.C.; Piano Urbanistico Comunale P.U.C.), tre parti costitutive: una descrittiva, una degli obiettivi e una strutturale. Entro ciascun livello, la componente descrittiva rappresenta la lettura critica del territorio e la sintesi interpretativa pertinente al livello a cui si riferisce lo strumento in questione, lettura che è ben lontana dall’idea di una descrizione oggettiva e completa, inoppugnabile e assolutamente valida[64], ma che anzi tende ad una rappresentazione inevitabilmente orientata, per la quale non resterebbe che esplicitare il proprio carattere intenzionale, selettivo e parziale. La lettura critica della legge ligure deve costituire un riferimento esplicito per la definizione degli obiettivi, delle azioni e degli sviluppi dello strumento a cui si riferisce. Quadro descrittivo (se riferito al PTR) o descrizione fondativa (se riferita al PTC o al PUC), che sono frutto di un’interpretazione della realtà, tutt’altro che neutra, ma anzi fortemente intenzionata e si caratterizza come descrizione per, oltre che come descrizione di, una sorta di filtro correlato con le altre parti di piano. Il documento degli obiettivi del piano definisce, in modo esplicito, gli obiettivi che il piano intende assumere, le finalità perseguite e gli esiti attesi; ed, infine, la parte strutturale e quella normativa stabiliscono l’importanza del piano. Le tre parti in questione sono strumenti correlati, secondo un processo consequenziale e progressivo. In particolare, riferendosi al P.U.C., la descrizione fondativa, in quanto altresì partecipativa ed operativa, deve condurre all’indicazione delle due parti in cui viene suddiviso il territorio comunale, ovvero agli ambiti di conservazione e riqualificazione e ai distretti di trasformazione, mentre il documento degli obiettivi, sviluppando gli elementi propositivi che scaturiscono al termine della costruzione della descrizione stessa, permette di individuare ed articolare le componenti di assetto territoriale.[65]Si assiste, così, durante l’analisi finalizzata all’elaborazione del piano, alla puntuale definizione e delimitazione degli ambiti di conservazione e riqualificazione, in coerenza con le realtà presenti sul territorio e la necessità di un loro migliore assetto, in modo da rispondere tempestivamente e con snellezza alle esigenze degli operatori. Da quanto già detto, emergono sul territorio due nuovi tipi di sovrazzonizzazioni: gli ambiti di conservazione e riqualificazione e i distretti di trasformazione, legati non più ai parametri di tipo razionalista, ma alle politiche urbane agenti o prossime ad essere innescate sul territorio.

Capitolo a parte merita il carattere di flessibilità dei P.U.C., ai fini del rapporto con altri eventuali programmi attuativi presenti sul territorio e non conformi ad esso (quali potrebbero essere i Programmi complessi). La LUR enuclea quattro possibilità attraverso le quali le scelte del P.U.C. possono essere modificate: la prima è data dai margini di flessibilità che il piano deve contenere ed, in questo caso, la variante è, quindi, “automatica”, nel senso che il piano deve contenere al suo interno dei margini di tolleranza entro cui è possibile l’attuazione, garantendo un certo grado di flessibilità alle indicazioni del piano. Questo è un elemento innovativo che permette di disporre di piani agili e adattabili alla varietà di situazioni che possono manifestarsi.

Altra opportunità è costituita dall’aggiornamento periodico, che, però, consente una limitatissima possibilità di apportare modifiche con procedure accelerate. Per quanto concerne la terza categoria di varianti e cioè quelle in senso stretto, sono modifiche strettamente connesse agli ambiti di conservazione e di riqualificazione e ai distretti di trasformazione. L’ultima categoria consiste nella revisione del Piano, a causa di varianti non riconducibili ai casi precedenti.

Da quanto sin qui visto e conformemente a quanto proposto dall’INU ai fini di un rinnovamento dell’urbanistica tradizionale,[66]la LUR 36/97 individua uno strumento unitario, nell’ambito del quale distingue le componenti a carattere di fatto strutturale e quelle a carattere operativo: la fase attuativa è affidata, così, a strumenti ordinari (concessione edilizia, P.U.O. – Progetto Urbanistico Operativo, P.A. – Programma attuativo), che nei casi concreti possono essere affiancati da strumenti straordinari, quali i vari Programmi complessi.

A livello di pianificazione comunale, per non bloccare i piani in itinere, la legge ligure prevede un regime transitorio della durata di circa sei mesi, che ha consentito la presentazione di PRG redatti ai sensi della legislazione anteriore a quella vigente; inoltre, la Regione ha il potere di valutare se tali PRG presentino le caratteristiche necessarie e se è il caso di indicare le modifiche d’ufficio, per attribuirgli il valore e gli effetti del P.U.C.[67].

 DUE CASI EMBLEMATICI: LA SPEZIA E GENOVA

RAPPORTO TRA ORDINARIO E STRAORDINARIO

Il Comune di La Spezia ha innescato, negli ultimi anni, un processo che mira a sviluppare politiche urbane in scala ecosistemica, attraverso vari tipi di strumenti, sia di carattere ordinario e innovativo (quali il P.U.C.) che di carattere straordinario (quali il PRUSST).

La Spezia ha attraversato, durante gli anni ’90, un periodo di profonda trasformazione, che ha visto un processo di deindustrializzazione, di crisi demografica, economica e occupazionale. Da questo contesto sono emerse alcune problematiche, legate, da un lato, al governo dei processi di trasformazione urbana, connessi, prevalentemente, alla dismissione delle grandi aree produttive e al recupero del rapporto tra città e mare, dall’altro, alla necessità di avviare una riqualificazione morfologica e funzionale della città consolidata.[68]In questo contesto, nel 1995, è stato avviato lo studio del nuovo Piano Urbanistico Comunale, attraverso due tipi di incarichi: la revisione del PRG e la progettazione urbanistica dei distretti di trasformazione del nuovo piano, con la redazione anticipata di tre piani d’area.[69]I piani d’area riguardano tre temi progettuali ben precisi:

1.            la revisione del piano d’area dell’ex raffineria IP

2.            il piano d’area del Primo bacino portuale

3.            il piano d’area degli ambiti territoriali del Levante.

Si sono venuti, così, a delineare sul medesimo territorio due classi di strumenti che, agendo in concomitanza e mirando ai medesimi obiettivi, hanno portato al delinearsi di azioni integrate, che hanno confluito, negli ultimissimi anni, nel P.U.C. (il cui preliminare è stato adottato nel 2000) e nel PRUSST Area Centrale La Spezia – Val di Magra, promosso dal Comune e presentato dalla Provincia nell’agosto ’99. Il preliminare del PUC costituisce un quadro di riferimento per le grandi scelte e la sua costruzione è avvenuta contestualmente alla redazione dei tre Piani d’area, che hanno affiancato nell’ottica della sostenibilità il processo di formazione e l’impianto del piano stesso. All’interno di questo audace disegno urbano, molta importanza è associata allo sviluppo del porto commerciale: sia per quanto riguarda il polo della nautica da diporto, dei servizi e della recettività localizzata a Ponente, che per quanto riguarda il polo della microcantieristica a Levante.

Importanza fondamentale assumono la riorganizzazione della linea di costa e la riqualificazione delle aree dismesse e retroportuali del Levante, da realizzarsi attraverso interventi strategici, evidenziati dal preliminare del PUC ed inseriti nel PRUSST. Inoltre, relazioni di tipo verticale e orizzontale vengono intrecciate con il PTC La Spezia – Val di Magra, con il PTCP in corso di redazione e il PTC della costa e con il PRP (Piano Regolatore Porto, elaborato nel 1998).

Il PUC individua tre classi di distretti destinati a trasformazione, articolati in otto sottoclassi, cui è assegnato uno specifico indice edificatorio; destinazioni d’uso e funzioni sono integrate con approfondimenti progettuali predisposti dal Comune nei singoli Piani d’area, integrati successivamente nel PRUSST.

PUC e PRUSST instaurano delle relazioni incisive, con il fine di innescare dei processi sul territorio: si sono, così, delineati dei progetti “forti” relativi al Primo bacino portuale e al Levante. Il fatto che il PRUSST sia giunto al termine del processo di revisione del vecchio PRG, sfociato, poi, nella realizzazione del PUC, ha permesso a tale strumento di integrare i progetti[70] proposti in ambito comunale dall’Amministrazione. In questo senso, svolge un’azione, da un lato, coordinatrice e, dall’altro, di verifica e di attuazione.[71]

Tra i vari interventi strategici contenuti nel PRUSST, quello della riorganizzazione della linea di costa gioca un ruolo notevole, intervenendo su un ampio territorio che va da Codimare al Levante lungo tutto il Golfo spezino, attraverso la razionalizzazione delle risorse spaziali esistenti e l’ottimizzazione dello sviluppo infrastrutturale e logistico del porto. La crescita del porto, negli ultimi anni, ha evidenziato forti condizioni di conflittualità con la città, per le sue esigenze di espansione ed infrastrutturazione, ma, per La Spezia, il porto, oltre che una componente essenziale dell’economia locale, rappresenta anche un fattore fondamentale dell’assetto urbano e dell’identità della città.

Volendo ricercare sia il coinvolgimento degli imprenditori, sia la sostenibilità sociale ed ambientale, l’Amministrazione Comunale si è mossa sinergicamente con l’Autorità Portuale per ricercare una soluzione adeguata allo sviluppo del porto, individuata nell’espansione verso il mare.

Gli interventi principali previsti da questo primo progetto riguardano il trasferimento della Marina di Fossamastra alla radice del Molo Enel; il trasferimento della Marina di Canaletto, utilizzando il Molo Mirabello, il Molo Italia e il Molo Paita, con il fine di ampliare a levante il Porto Commerciale; lo sviluppo verso il mare del Molo Ravano, con vari lavori di adeguamento per i servizi di carico/scarico dei containers; lo sviluppo del Molo Garibaldi ed, infine, il recupero di un’area industriale dismessa prossima al porto, per la realizzazione di un centro direzionale.

Il PRUSST svolge un ruolo attuativo, da un lato, contenendo diversi interventi inerenti il presente progetto e coordinatore, dall’altro, muovendosi in un’ottica di integrazione fra golfo e valle.

Un secondo progetto riguarda il Molo Mirabello con il quale si intende perseguire l’ottimizzazione funzionale del porto e la modernizzazione ed ampliamento dell’offerta turistica spezina. Con questo progetto viene ribadito il ruolo importante della città come porte di mare all’interno del sistema territoriale di La Spezia, elemento confermato sia dal PRUSST che dal preliminare del PUC.

L’integrazione tra porto e città, attraverso un sistema di relazioni e di funzioni, diventa un elemento trainante per innescare nuovi scenari anche in chiave turistica.

L’intervento è stato previsto da tempo e prevede la costruzione di una struttura da diporto-turistica, per un totale di 1.430 posti barca e rientra nell’accordo Interenti siglato nel ’96, recepito dal PTC, dal preliminare del PUC e dal PRUSST.

Il PRUSST gioca un ruolo fondamentale: da un lato, verifica il progetto dal punto di vista economico, dall’altro, svolge un compito attuativo (nel ’99 il PRUSST aveva formulato un’ipotesi di intervento attraverso project financing; oggi tale soluzione è stata accantonata).

Un terzo progetto prende il nome di Piano d’area Primo Bacino Portuale. Anche qui si ha a che fare con un intervento di riassetto urbanistico strettamente correlato col rapporto città - mare. Il progetto è finalizzato alla definizione di un nuovo waterfront, attraverso il quale si amplia l’affaccio sul mare lungo la passeggiata Morin, riqualificando così il lungomare.

Ciò comporta la riconfigurazione urbanistica della banchina, nonché l’organizzazione edilizia della Calata con nuovi insediamenti, la stazione crocieristica e quella del servizi di trasporto marittimo; l’area in oggetto riguarda il fronte mare compreso tra il Molo Mirabello ed il Molo Garibaldi, coinvolgendo la Calata Paita.

Il progetto prende avvio a partire dall’Accordo Interenti del ’96; il Piano d’Area del ’98 ne ha verificato e approfondito gli aspetti urbanistici, relazionandosi al PTC, al PTC della costa e al preliminare del PUC.

Nel ’99 l’intervento è parte del PRUSST, il quale, oltre a svolgere un’azione di coordinamento, ha formulato alcune ipotesi di attuazione, avanzando la proposta di intervento tramite project financing valutando la fattibilità dal punto di vista economico.

Un quarto progetto, quello del distretto nautico produttivo del Levante è parte del Piano d’Area degli ambiti territoriali del Levante del Comune di La Spezia (1998) e si inserisce in un contesto in cui convivono diversi interventi già avviati e diverse ipotesi di trasformazione.

Nell’area sono localizzate varie attività di forte impatto ambientale, alcune delle quali in via di diminuzione o già dismesse, come ad esempio le attività retroportuali, i depositi militari, gli impianti ENEL ed alcun rami ferroviari.

Questa parte di città rappresenta una zona di trasformazione strategica, non solo all’interno dei propri confini ma per tutta la città. La politica urbana, portata avanti dal Comune attraverso il Piano d’Area, il PUC ed il PRUSST, ha inteso stringere un forte legame tra la problematiche urbanistiche del Levante e quelle dell’intera città. In essa gioca un ruolo fondamentale l’azione coordinatrice del PRUSST, ma anche la flessibilità del PUC, il quale ha previsto nell’area distretti di trasformazione integrati e distretti di trasformazione per servizi.

Molta attenzione è posta alla rete infrastrutturale, che consente di connettere maggiormente il Levante alla città, riducendo il traffico pesante verso il centro urbano, e alla realizzazione del distretto produttivo integrato di iniziativa pubblica nelle aree dismesse e retroportuali del Levante, attorno alla darsena-canale. Quest’ultimo intervento rappresenta una grossa opera di riqualificazione e trasformazione, e si concentra nelle aree individuate dal Piano come Distretti di Trasformazione (ca 31 ha), da destinare prevalentemente alla riorganizzazione delle funzioni produttivo - artigianali e alla realizzazione di infrastrutture legate alla produzione (ad es. la darsena - canale) e alla creazione di strutture pubbliche (tra cui una stazione intermodale del trasporto pubblico).

L’inserimento del progetto nel PRUSST ha permesso di avviare una prima fase di verifica della concreta fattibilità, con coinvolgimento di soggetti privati, con esiti spesso positivi. In tal senso, alcuni di essi hanno formalizzato l’adesione al progetto.

Inoltre, il finanziamento del M.LL.PP., previsto per i PRUSST, ha permesso di coprire i costi della progettazione urbanistica ed architettonica.

Da quanto visto, centrale è il ruolo del Comune entro un agire meno prescrittivo e più regolativo, a cui danno seguito sia l’autorità portuale, che altri Enti istituzionali affiancati da una certa partecipazione e integrazione con privati interessati dall’aspetto economico della trasformazione.

Meno peso, invece, è dato al coinvolgimento dei cittadini/utenti, che recepiscono la trasformazione in atto senza un vero e proprio ruolo attivo. Attenzione merita anche il SIT (Sistema Informativo Territoriale) che ha consentito la sintesi e la gestione integrata delle informazioni rilevate con le indagini e di quelle importate da archivi anagrafici e catastali, sia ai fini della redazione della descrizione fondativa del preliminare del PUC, sia come supporto per la definizione degli obiettivi “strategici” tanto all’interno del PUC che all’interno del PRUSST.[72]

 Altro caso significativo è Genova: la città è stata interessata, nell’ultimo decennio, da rilevanti trasformazioni socioeconomiche, che hanno investito tanto la struttura demografica che quella produttiva. L’invecchiamento della popolazione, la fuga dalla città verso l’hinterland, correlata al degrado urbano e alla ridotta offerta di lavoro, il ridimensionamento dei posti di lavoro (soprattutto nel settore industriale) hanno rappresentato alcuni fattori di deterioramento che hanno investito Genova.[73]Dopo il periodo di profonda crisi industriale, con la chiusura di una parte consistente degli impianti siderurgici, il declino delle attività portuali, la delocalizzazione a Sud degli impianti petroliferi, il ridimensionamento dell’industria cantieristica, è seguita una certa ripresa, correlata soprattutto al terziario e al dinamismo delle imprese di piccole – medie dimensioni. Segnali positivi giungono anche dal settore trasporti e comunicazione correlato al Porto genovese, in consistente ripresa. All’interno di questo quadro per certi tratti drammatico sul piano economico e territoriale, Genova ha saputo delineare una prospettiva di rinascita, mediante un processo di crescita che l’ha pienamente lanciata nelle dinamiche europee.

All’origine della svolta vi sono gli Enti locali (Comune, Provincia e Regione), protagonisti di numerose “politiche urbane” a carattere specifico e circoscritto: la deindustrializzazione di Campi, i PRU, i Contratti di Quartiere, i Programmi Urban.[74]Ma negli ultimi anni, si è verificato il passaggio da singole azioni localizzate alla progressiva formazione di “politiche incrementali a rete”, che ha visto coinvolta, innanzitutto, l’Amministrazione Comunale e poi, via via, altri Enti istituzionali e non, sino a giungere ad una forte presenza partecipativa degli operatori economici, di alcuni grandi protagonisti industriali presenti sul territorio e di un terzo attore, espressione della società locale: i sindacati e i cittadini/utenti. Si sono venute a creare nuove relazioni tra piano e politiche urbane, che hanno innescato la ricerca di nuove forme e di nuovi ruoli del piano, da un lato, e, dall’altro, si è cercato il superamento delle “occasioni” isolate che i programmi complessi e i bandi europei hanno promosso, cercando di inserirle all’interno di una programmazione del territorio più strategica e complessa. In questo senso, sicuramente, un forte ruolo catalitico hanno avuto le varie iniziative straordinarie nell’indirizzare la pianificazione di tipo ordinario verso soluzioni più flessibili e verso temi innovativi. Ma, al tempo stesso, si è registrata l’insufficienza del piano urbanistico come unico strumento di regolazione delle trasformazioni urbane e la conseguente necessità di uno strumento strategico che coordini azioni di trasformazione fisica e non, e la rigenerazione socio – economica: in questo contesto, si va ad inserire il PRUSST “unico”, promosso dal Comune nel 1999 e finanziato dal M.LL.PP., al quale vengono ricondotte tutte le azioni in corso, attuate all’interno del territorio comunale. All’interno dell’ambito urbano genovese, è possibile individuare tre macroaree soggette a 3 diversi tipi di processi:

1.            la rigenerazione del Centro Storico

2.            la riqualificazione del litorale, con particolare attenzione alle aree dismesse e fortemente degradate del Ponente

3.            la rifunzionalizzazione del porto storico.

Processi che il PRUSST vuole coordinare secondo un progetto più unitario.

Come detto inizialmente, il territorio di Genova è stato interessato, agli inizi degli anni ’90, da una serie di azioni puntuali che hanno rivitalizzato l’ambiente (fisico e non), innescando processi di sviluppo e di riqualificazione ambientale, di riordino e di potenziamento infrastrutturale: in questo contesto, si inseriscono sia il Pii ex art. 11 della L. 203/91 di S. Biagio che i programmi di Riqualificazione Urbana. I Programmi integrati ex art. 18 L. 203/91, denominati S. Biagio 1 e 2 costituiscono, di fatto, un unico intervento di trasformazione urbana in corso di realizzazione, sull’area un tempo sede delle raffinerie Erg in Val Polcevera.[75]L’industria petrolifera genovese, dopo aver raggiunto negli anni ’60 la sua massima espansione, grazie alla presenza di grandi gruppi, come Erg, Agip e Schell, subì un rapido declino negli anni ’70 e ’80, alla base del quale vi furono questioni ambientali, ma anche esigenze logistiche e di mercato, sino a giungere, nel 1988, alla chiusura delle raffinerie.

La prima idea di riutilizzo trovò concretezza in un progetto presentato dalla Erg, che, per mancanza di dialogo tra le istituzioni pubbliche e le imprese proponenti, fallì. Un secondo progetto di riuso dell’area fu proposto qualche anno più tardi, ma anche questo non trovò seguito. La situazione si sbloccò con l’approvazione della legge 203/92, per realizzare abitazioni destinate alle forze di polizia in aree a rischio attraverso un programma integrato. La novità riguardava il coinvolgimento dei privati, la cui presenza era sollecitata e agevolata, sia con incentivi finanziari, che attraverso snellimenti amministrativi (l’intervento veniva recepito dal vecchio PRG del 1980 come variante). Per concorrere al bando nazionale fu costituita la Soc. Immobiliare S. Biagio Nuova, dopo che la Erg si ritirò dal ruolo imprenditoriale che aveva perseguito negli ultimi anni, e dopo aver bonificato l’area. Il progetto, nella sua stesura attuale, prevedeva la realizzazione di 630 abitazioni (di cui 210 di edilizia agevolata e sovvenzionata, destinate alle forze di polizia e 420 di edilizia privata), di un centro commerciale di 28.000 mq, di un complesso di 25.000 mq, dove sarà collocata la sede operativa del Secolo XIX, di un albergo, un centro ricreativo e di un complesso sportivo. L’intervento, da una parte, ha rotto la logica di specializzazione monofunzionale del vecchio PRG, attraverso la plurifunzionalità che ha assunto l’area, dall’altra, ha innescato un processo di risanamento su tutta la zona. L’intervento, nei confronti del vecchio PRG del 1980, si inserisce come variante: nel ’94, venne siglato l’Accordo di programma con il Comune e con la Regione e, nel ’96, vennero rilasciate le prime concessioni edilizie. Nel ’97, l’intervento fu recepito dal nuovo PRG (adottato il 16/7/97), che inserisce l’ambito di intervento all’interno di una zona di trasformazione “TR”.

Durante la fase di revisione per il PRG del 1980, all’aggiornamento del quale hanno provveduto gli uffici tecnici comunali, l’Amministrazione Comunale si è trovata a dover selezionare e licenziare le proposte di PRiU da sottoporre al CER, in un momento assai delicato.[76]Vista la tendenza degli operatori a proporre e attuare interventi di recupero urbano, l’ufficio di revisione del PRG ha sollecitato la presentazione dei PRiU, con l’espressa richiesta che i progetti rispettassero una serie di norme e criteri aggiuntivi, messi a punto nel processo di revisione del PRG in corso. I PRiU costituivano un’anticipazione del nuovo piano e permettevano di sperimentare alcuni modi di intervento. Ad esempio, nei casi in cui il PRiU prevedeva la demolizione e la ricostruzione, mentre il vecchio PRG predisponeva la ricostruzione a parità di volume, adesso è richiesto che nei PRiU la ricostruzione avvenga a parità di superficie lorda abitabile (S.L.A.), come prescritto dal PRG del ’97. La possibilità di collegare i PRiU con la rielaborazione del vecchio PRG ha interessato non solo aspetti normativi, ma anche scelte localizzative e aspetti strategici. Il PRG ’97 stabilisce e persegue obiettivi di riqualificazione urbana e ambientale, stabilendo, vista l’impossibilità di conseguire un riequilibrio immediato e assoluto, delle condizioni per una graduale riorganizzazione del tessuto urbano e del territorio, predisponendo degli strumenti per far convergere su questi obiettivi le iniziative di soggetti pubblici e privati.[77]In questo contesto, i PRiU hanno rappresentato, da un lato, la possibilità di innescare processi di riqualificazione nel territorio in tempi (relativamente) brevi, dall’altro, la possibilità di verificare alcune scelte in comune con il PRG del ’97: tra i punti fondamentali del Piano, hanno una posizione importante sia la riorganizzazione del tessuto urbano e l’accrescimento dei servizi in termini qualitativi, sia il recupero dell’edificato, piuttosto che l’espansione della periferia, con grande attenzione alla vecchia città (da riqualificare), al porto antico (da riqualificare e recuperare) e all’insieme delle aree dismesse o sottoutilizzate che, in ragione delle loro caratteristiche, costituiscono un’importante opportunità per la città di riorganizzare i servizi e riqualificare ampie parti del territorio.[78]Perciò, gli uffici tecnici comunali hanno puntato su PRU che riguardassero aree semiperiferiche o degradate, potenzialmente strategiche per la riqualificazione dei servizi e delle funzioni. Buona parte dei dieci PRU riguardava il riuso di aree industriali dismesse; in due casi è previsto il reinserimento di attività produttive industriali; è, invece, più frequente la destinazione ad attività terziarie e commerciali.

Su dieci proposte presentate, solo sette hanno avuto l’approvazione in consiglio comunale (PRiU Piazza Sopranis, Porta Soprana, Carmine, Mirto, Darsena, Fiumara e Cornigliano): sono stati abbandonati gli interventi previsti in via Germiniano a Bolzaneto, nella zona di Tegli e quello di Fegino, entrambi collocati su aree dismesse industriali nella zona della Val Polcevera. Tutti i PRiU sono stati finanziati interamente, ad eccezione di Mirto e Cornigliano, finanziati al 50%. Nell’ambito del Centro Storico, sono stati avviati due PRiU, quello dell’Area Porta Soprana e quello dell’Area del quartiere del Carmine. Il primo intende far fronte al degrado di due ambiti del centro storico genovese: quello di Porta Soprana – San Donato e quello di Sarzano, che presentano tuttora profonde lacerazioni e consistenti porzioni di tessuto urbano in stato di abbandono a causa di danni subiti durante l’ultimo conflitto mondiale.[79]L’ obiettivo principale è di proporre alcune funzioni pubbliche aggregative finalizzate ad assicurare un miglioramento della qualità urbana e un’integrazione tra i diversi ambiti del centro della città. Il programma prende avvio dalle prescrizioni del vecchio PRG del 1980 e dalla successiva variante relativa alla revisione dei vincoli universitari. Tale variante, secondo quanto disposto dall’accordo quadro tra Amministrazione comunale, Consorzio recupero edilizio e Consorzio centro storico, individua diversi comparti urbani per la realizzazione di interventi di recupero urbanistico ed edilizio nella zona del centro storico Porta Soprana – S. Donato. Il programma mira al recupero dell’ambito urbano di Sarzano e, precisamente, dei comparti “A” (zona storico – ambientale, soggetta a strumento attuativo unico) ed “E” (zona storico – ambientale, soggetta a strumento attuativo unico, con destinazione a servizi, quali spazi pubblici destinati al verde, al tempo libero e allo sport). Inoltre, è previsto il riassetto urbanistico del comparto “D” (zona storico – ambientale, soggetta a strumento urbanistico unico, con recupero di servizi). Per quanto riguarda il risanamento della zona di San Donato – Porta Soprana, sono previsti interventi puntuali di recupero e ricomposizione delle volumetrie esistenti per attività residenziale, commerciale e servizi pubblici d’interesse esclusivamente locale. Il programma, rispetto al PRG vigente del ’97, comporta una variante, per riclassificare alcuni immobili oggetto di intervento, contenuti nei comparti “A”, “D” ed “E”. Per il comparto “D”, si è reso necessario il cambio di destinazione per sostituire a spazi per l’istruzione, spazi per attrezzature d’interesse comune, al fine di consentire la realizzazione di un asilo – nido, così come, per il comparto “E”, per permettere l’inserimento della destinazione d’uso commerciale, quale attività compatibile al piano terra di Salita del Prione.

Il secondo PRiU che insiste nell’ambito del centro storico è quello situato nel quartiere del Carmine, Circoscrizione Prè – Molo – Maddalena, e interessa il patrimonio immobiliare del Pio Istituto Negrone Durazzo Brignole Sale. Si tratta di un patrimonio, in stato di abbandono, composto da abitazioni danneggiate dai bombardamenti dell’ultima guerra e mai recuperate, da un edificio scolastico che ha subito un crollo nel gennaio 1998 e di edifici degradati per mancanza di manutenzione. In accordo con quanto previsto dal PRG ’97, che inserisce l’area nelle zone di trasformazione “TR” individuate da perimetri speciali[80], si è avviato un processo di riqualificazione dell’intero quartiere del Carmine, attraverso vari tipi di intervento mirati a migliorare la qualità dei servizi e a salvaguardare il quartiere storico. Gli interventi sul Pio Istituto riguardano sia azione di risanamento, sia di ristrutturazione e ricostruzione. Altri interventi sono finalizzati a migliorare l’infrastrutturazione pubblica della zona, mediante la risistemazione delle infrastrutture a rete e la costruzione di un parcheggio sotterraneo, su più livelli, per 170 posti auto.

Sempre nell’ambito della circoscrizione Prè – Molo – Maddalena, si inserisce il PRiU Darsena Comunale, che rientra in un vasto programma di risanamento del litorale, portato avanti non solo a livello comunale e recepito dal PRG del ’97, ma anche dal PTC (del 1999) della costa promosso dalla Regione[81]e dal PRP[82](del 1998), di competenza dell’autorità portuale. L’obiettivo di utilizzare per funzioni urbane il porto antico è complementare a quello di recuperare il centro storico: il primo avrebbe contenuto le infrastrutture, i servizi, le funzioni innovative, che non potevano essere ospitate in edifici storici, indispensabili per fare di Genova una meta turistica. La prospettiva delle celebrazioni Colombiane del 1992 fu vista come l’occasione per ottenere finanziamenti straordinari che mettessero in moto la macchina del recupero. Terminato l’Expo, si apriva il problema di dare continuazione a tale processo. Il Comune, da un lato, creò un soggetto operativo ad hoc per la gestione (Porto Antico di Genova S.p.A.), dall’altro, ha sviluppato una politica “incrementale a rete” che prevede la collocazione nell’area dell’Expo di un museo del mare e la riqualificazione della Darsena Comunale. Il programma mira, così, a contribuire al processo di riqualificazione già in atto nella Darsena Comunale, promovendo interventi integrati al recente insediamento universitario e attivando risorse economiche pubbliche e private. L’area della Darsena è situata al centro del Porto Antico e rappresenta il waterfront del centro storico, interessando una superficie di circa 10.000 mq. Negli anni recenti, con il venir meno della funzione portuale e con l’inserimento della Facoltà di Economia e Commercio, nel quartiere Scio, la Darsena ha assunto un nuovo ruolo urbano. Il PRG del 1980 e lo Studio organizzativo di insieme per il centro storico prevedevano per la Darsena Comunale una zona adibita a servizi pubblici misti e infrastrutture marittime e portuali. Benché le azioni previste dal programma siano coerenti con le prescrizioni urbanistiche del vecchio PRG e con la sua revisione decennale, si è resa necessaria una variante per classificare l’ambito urbano come zona “A” (zona storico – ambientale da salvaguardare). Il PRG del ’97 include l’ambito di intervento all’interno della zona di trasformazione denominata “TR – Darsena – Porto antico”, per la quale sono previste azioni di riqualificazione degli edifici e delle aree, da perseguire mediante l’insediamento progressivo di funzioni cittadine in sostituzione di quelle di deposito ed emporio portuale.[83]

In area semicentrale, a ridosso del centro antico, si colloca il PRiU di Piazza Sopranis. L’ambito urbano interessato dal programma è situato ad est di “Principe”, in una valle discendente di Granolo. Si tratta di un ampio spazio che ormai ha perso la sua funzione di piazza pubblica per trasformarsi in parcheggio; tra gli edifici in visibile stato di degrado che si affacciano, alcuni, attualmente abbandonati, ospitavano un tempo la Fabbrica del Ghiaccio. Obiettivi del programma sono, innanzitutto, la riconversione dell’ex Fabbrica del Ghiaccio da destinare a biblioteca pubblica, la realizzazione di un edificio polivalente destinato ad accogliere una piscina e una palestra, la sistemazione di infrastrutture (parcheggi e verde attrezzato), la bonifica della cava prevista esplicitamente dal PRG del ’97 con la simbologia Tda; ed, inoltre, la costruzione di edifici destinati a residenza e commercio, integrati da un parcheggio interrato nel sottosuolo di Piazza Sopranis. Il programma è stato avviato dalla SAPA Srl, proprietaria dell’ex Fabbrica del Ghiaccio ed è stato favorevolmente accolto dall’Amministrazione comunale ed approvato il 27/03/97. Per quanto riguarda il rapporto con gli strumenti urbanistici vigenti, il nuovo PRG del 1997 include l’ambito di intervento nella zona di trasformazione “TR 2/II”, concernente il recupero urbano di Piazza Sopranis, con l’obiettivo di riqualificare l’area mediante interventi misti pubblico – privati. Le modalità attuative sono contenute in un’apposita convenzione che indica la procedura di approvazione da applicare a tutti gli interventi inseriti nel programma e che prevede, per le opere private, l’esame da parte della Conferenza dei servizi.

Un capitolo tutto a parte riguarda i due PRiU avviati nella zona centro – occidentale genovese, nelle circoscrizioni di Sampierdarena e di Cornigliano. Il Programma di Riqualificazione Urbana della Circoscrizione Sampierdarena riguarda un’area denominata “Fiumara”, in un punto focale tra la viabilità di costa e quella di penetrazione della Val Polcevera. L’area rappresenta una parte urbanisticamente ancora incompiuta, nonostante si trovi in una posizione baricentrica all’interno del territorio urbanizzato di Genova. Il programma riflette le indicazioni del PTC approvato dal consiglio regionale nel ’92, relativamente all’ambito di intervento n°16, e del nuovo PRG. Il PTC traccia le linee di una evoluzione del territorio compreso fra Multedo e la Val Polcevera, attraverso l’individuazione di obiettivi e di criteri relativi ai potenziali interventi da realizzare in specifiche aree produttive in parte dismesse. Le linee guida prevedono una rivalutazione di questo ambito con la realizzazione di un polo per la direzionalità e per il terziario avanzato, con la possibilità di insediamenti residenziali, commerciali e servizi pubblici. Attraverso il PTC, viene dunque definito, nell’ambito del programma, un nuovo assetto per quest’area, che riveste una posizione strategica per l’intero ambito comunale. Qualche perplessità viene sollevata a riguardo delle infrastrutture, attualmente non molto sufficienti; nonostante il programma preveda un potenziamento di queste, gli interventi procedono con forte ritardo. Lo stato iniziale, in cui si è andato a inserire l’intervento, era costituito da un complesso industriale – portuale dismesso (ex Ansaldo): su di esso il programma ha previsto, innanzitutto, l’insediamento della nuova Facoltà di Ingegneria, il recupero di fabbricati esistenti da adibire a Palazzo dello Sport (da 6.000 spettatori) e un complesso cinematografico multisala, accompagnati da spazi destinati ad attività direzionali, terziarie, commerciali e residenziali. Inoltre, è stata prevista la costruzione e il recupero di edifici da destinare al terziario avanzato. Attualmente, è stato redatto uno Schema di Assetto Urbanistico (SAU), come da PRG, volto a individuare le attività insediabili, ammesse e compatibili, finalizzato a definire l’assetto progettuale definitivo. Creare nelle aree verso Ponente un altro polo urbano, promosso dall’Amministrazione pubblica, si è scontrato con la mancata adesione nel trasferire la Facoltà di Ingegneria.

Anche il PRiU per l’area di Cornigliano si inserisce nel contesto della politica urbana attivata negli ultimi anni dall’Amministrazione genovese, volta, in questo caso, a recuperare e riqualificare la Circoscrizione. L’area, negli ultimi secoli, aveva visto lo sviluppo spontaneo di ville suburbane, ma, nel dopoguerra, è stata oggetto di un forte inurbamento con la realizzazione intensiva di complessi residenziali e insediamenti industriali: questi ultimi hanno sconvolto rapidamente il territorio. Il programma si propone due obiettivi essenziali: attuare alcuni interventi previsti dal Piano di recupero Cornigliano, risalente al ’94, in modo da assicurare il recupero e la riqualificazione su tutta l’area, e avviare una vasta e articolata azione di recupero e riqualificazione nelle zone urbane più degradate. Il programma si è proposto di acquisire immobili dismessi (l’ex Cinema e l’ex complesso industriale “Cotonificio Ligure”), da riconvertire in edilizia agevolata e sovvenzionata. Inoltre, è previsto che alcuni locali vengano destinati ad attività commerciali e sociali: infine, sono previsti parcheggi pubblici e un parco urbano. Dal punto di vista  degli strumenti urbanistici vigenti, il Piano Territoriale e di Coordinamento del ’92 considera l’ex complesso industriale “Cotonificio Ligure” come tessuto urbano non assoggettato a specifica e autonoma disciplina paesistica.[84]Il PRG del ’97 comprende l’ex complesso industriale all’interno di una vasta zona di recupero, destinandola a “sottozona residenziale” e a zona “FP”, ossia parcheggio pubblico.[85]

L’ultimo PRiU approvato e finanziato è quello dell’Area di via del Mirto, che insiste su una zona fortemente edificata (e degradata), che sorge sulla sponda sinistra del torrente Bisagno, nella Circoscrizione di Staglieno, vicino allo Stadio comunale L. Ferraris. La situazione iniziale era particolarmente grave, dovuta allo stato di abbandono di alcuni edifici e alla sovrapposizione di spazi artigianali e commerciali, capannoni di deposito e micro – officine, anch’esse in declino. Inoltre, le condizioni igienico – sanitarie sono particolarmente gravi (il Rio Mirto è ridotto ad un fosso maleodorante per via degli scarichi fognari, così come particolarmente degradata è l’unica area verde della zona, che versa in uno stato di completo abbandono). Il programma mira, innanzitutto, ad una bonifica igienico – sanitaria, accompagnata dalla realizzazione di opere di urbanizzazione primarie e secondarie, dal recupero del patrimonio edilizio esistente e dalla costruzione di nuovi spazi residenziali e commerciali. Per quanto riguarda il rapporto del programma con gli strumenti urbanistici vigenti, l’intervento proposto è conforme al nuovo PRG del ’97, che classifica l’ambito di intervento come zona “ZBR” di ristrutturazione urbanistica.[86]Il programma individua distinti settori: “A”, “B”, “C” di nuova edificazione con destinazione residenziale e commerciale e “V” destinati a verde pubblico e strutture sociali. L’indagine di rilevamento ha messo in luce una presenza prevalente di volumetrie non residenziali incompatibili con le destinazioni d’uso previste dal PRG, che costituisce un forte freno per gli operatori economici. Inoltre, ricorrere a procedure espropriative costituisce un altro elemento di rigidezza.

Da questa breve rassegna di interventi, si nota che i PRiU hanno sicuramente innescato dei processi di rinnovamento sulla pianificazione tradizionale (in particolare sul PRG), sia per le politiche urbane che li contraddistinguono, sia per le procedure: mettono, però, in luce alcuni aspetti negativi, quali la mancanza di potere coordinativo del PRG del ’97 che non è riuscito, in molti casi, a integrare e a relazionare gli interventi tra loro. Il piano del ’97 sembra essere positivamente influenzato da procedure di programmazione non ordinaria quali i PRiU visti, il C.d.Q. di Via Giustiniani, ma conserva ancora il carattere regolamentativo; certo, rinuncia alla pretesa di prevedere un disegno complessivo di medio – lungo termine, dichiarando programmaticamente l’impossibilità di farlo nell’epoca dell’incertezza. Introduce meccanismi di notevole flessibilizzazione (probabilmente influenzato dalla legge regionale, che è stata redatta in contemporanea allo studio del PRG di Genova), senza indicare, però, quando e come valutare la coerenza d’insieme degli interventi, consentendo un’attuazione per singole azioni anche disconnesse. Nelle norme dell’adozione del PRG vengono predisposti e finanziati i vari PRiU, il programma Urban a Cornigliano, il C.d.Q. in via Giustiniani, ma sembra che il piano si sia limitato a recepire questi interventi, per sommatoria semplice, senza inquadrarli in un disegno a più ampio respiro. L’aspetto più innovativo del PRG ’97 riguarda l’ambito normativo e procedurale, rappresentato dall’istituzione di “distretti di trasformazione” e di “ambiti di riqualificazione”, come è stato previsto in contemporanea alla LUR della Regione Liguria 36/97. A ciascuno di essi è dedicata una scheda, nella quale sono stabiliti gli obiettivi della trasformazione e/o riqualificazione e le specifiche essenziali che deve soddisfare. Mentre, nel caso degli ambiti, gli interventi prefigurati hanno rilievo prevalentemente locale e dimensioni più contenute, che consentono una maggiore definizione, nel caso dei distretti di trasformazione, che prefigurano interventi consistenti, la più puntuale definizione delle metodologie d’intervento viene lasciata alla fase attuativa. Ciò, da un lato, rende il piano meno prescrittivo e più flessibile e, dall’altro, mette in discussione il ruolo del piano come strumento di governo delle trasformazioni fisiche. Appare, quindi, che il PRG sia uno strumento necessario ma non sufficiente, a cui occorre affiancare uno strumento strategico. Il piano passa, così, sullo sfondo, diventando una sorta di quadro delle azioni possibili, mentre la conferenza strategica del 1999 ha attivato un processo verso il “piano della città”, di cui il PRUSST, promosso dal Comune, rappresenta un’anticipazione.

Il Comune di Genova ha, infatti, optato per la promozione di un unico PRUSST, che interviene su un’ampia porzione del suo territorio, che comprende la Val Polcevera, l’area del centro storico e del porto antico e la Val Bisagno. L’Amministrazione comunale svolge il duplice ruolo di soggetto promotore e soggetto proponente di alcuni tra i più significativi interventi pubblici. L’obiettivo che il comune si è posto è stato quello di pervenire ad un’unica proposta, che prevede una vasta concertazione tra i soggetti coinvolti, con il fine di attivare risorse utili, e di pervenire ad un’unica politica urbana complessa. Gli interventi previsti dal PRUSST, e che il PRUSST si pone lo scopo di coordinare, sono interventi pubblici realizzati direttamente dal Comune e da altri Enti pubblici e interventi privati realizzati dai soggetti proponenti (con risorse private o con risorse provenienti dalla Comunità europea o dallo Stato). Accanto a questi, si pongono altri interventi a carattere “complesso”:

·              alcuni POI (Programmi Organici di Intervento) che intervengono sul Centro Storico con azioni di recupero e riqualificazione

·              i sette PRiU descritti in precedenza

·              il Contratto di Quartiere di via Giustiniani

·              il programma integrato di intervento ex art. 18 L. 203/91 localizzato nelle aree dismesse di S. Biagio

·              alcune procedure di programmazione negoziata attuate in specifici e articolati Accordi di Programma (ad es. quello relativo alle acciaierie di Cornigliano) e il Patto territoriale di Genova e delle valli del genovese.

Già da questa molteplicità di interventi, si evince la complessità del programma e il difficile ruolo che ad esso viene assegnato; ma si assiste anche ad un passaggio fondamentale a Genova, da politiche urbane puntuali ad un’azione più coordinata ed omogenea sul territorio, ruolo che era impossibile assegnare al PRG. All’interno di quest’azione coordinatrice si segnalano interventi sul sistema della mobilità e sulle infrastrutture, con la riorganizzazione e il potenziamento del sistema viario che attraversa il nucleo del sistema metropolitano e con il potenziamento delle strutture per la sosta e il parcheggio. Sempre in questo contesto, si inseriscono gli interventi legati ai caselli autostradali, alle ferrovie, al terminale traghetti e anche alla viabilità pedonale.

Nel PRUSST sono inserite iniziative economiche e imprenditoriali che mirano al rilancio produttivo della città di Genova (in particolare, nei settori del turismo, della cultura e dell’ambiente). Accanto a questi, si collocano numerosi interventi di trasformazione e di riqualificazione urbana in ambiti produttivi e portuali dismessi, con azioni mirate alla riorganizzazione e alla ricucitura del tessuto urbano, attraverso la realizzazione di servizi e di attività produttive compatibili (come, ad esempio, piccole – medie imprese manifatturiere o ad alta tecnologia). Nell’ambito del recupero del centro storico e del waterfront, assume un posto rilevante il progetto di Ponte Parodi, su cui si trovano attualmente magazzini portuali dismessi. Il PRUSST prevede la trasformazione di quest’area, realizzando una grande piazza pubblica sul mare, in cui verrà localizzato un centro ludico – ricreativo di tipo multimediale, ponendo molta attenziona all’aspetto architettonico. Molti interventi sono portati avanti in previsione del 2004, anno in cui Genova sarà città europea della cultura. Si tratta, in particolare, della promozione delle iniziative di recupero dei palazzi dei Rolli, finalizzato alla riqualificazione ambientale e dell’immagine turistica della città. Il PRUSST, rispetto agli strumenti urbanistici vigenti, si pone in un’ottica di non facile interpretazione: recepisce molte delle questioni lasciate irrisolte, cercando di inserirle in un’azione a carattere più unitario. Allo stato attuale, non è possibile capire in che forma (a livello normativo) inciderà sul PRG e sugli altri strumenti pianificatori ordinari, ma, probabilmente, rappresenta quello strumento strategico di cui il PRG aveva bisogno, capace di avviare politiche urbane sul territorio in modo più unitario, ma anche di permettere quel processo di negoziazione – concertazione tra i vari enti istituzionali locali e tra questi e i privati.

 CONCLUSIONI

Se da un lato, probabilmente, i programmi complessi hanno innescato un forte processo di rinnovamento per tutto il settore urbanistico (e non), dall’altro, è evidente che, spesso, queste relazioni non sono armoniche tra loro e, in molti casi, compromettono l’efficacia stessa del programma.

Aspettando un rinnovamento legislativo a livello nazionale, auspicato da molti, ci si rende conto che, in molti casi, viene a mancare la flessibilità di accettare queste innovazioni e non ci si riferisce esclusivamente all’aspetto legislativo e normativo della questione, ma anche (e soprattutto) all’aspetto culturale. In altri termini, la mancata efficacia, probabilmente, dipende dai soggetti coinvolti nella progettazione odierna, incapaci, spesso, di cogliere le innovazioni, col fine di sfruttarle al meglio. Col termine soggetti, ci si riferisce non solamente alle varie Amministrazioni locali, ai tecnici comunali e provinciali, ma a tutti, pubblici e privati, operatori economici e cittadini – utenti: fra tutti questi attori, un ruolo diverso deve assumere il planner, non più tecnico, ma artista, parte integrante di un processo costruttivo, in collaborazione con una molteplicità di altri attori, istituzioni e strutture, per avviare e tenere in piedi questo virtuale cantiere aperto di costruzione.[87]

Poiché il piano non è più precostituito, non è più un “abito” che il territorio deve “indossare”, ciò che più conta non è predeterminare il futuro, ma costruire trame di relazioni.[88]Così, il problema non sarà più quello di rendere compatibili i programmi complessi con i vecchi strumenti, ma di innescare relazioni e processi di sviluppo armonici.

 

 
 

NOTE


[1] Cfr. L. Decandia, Dell’identità. Saggio sui luoghi: per una critica della razionalità urbanistica, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2000, p. 126.

[2] Cfr. I. Sachs, I nuovi campi della pianificazione, ed. Lavoro, Roma, 1994, p. 17.

[3] Cfr. E. Morin, Le vie della complessità, in AA.VV., Physis: abitare la terra, FrancoAngeli, Milano, 1989, p. 53.

[4] Cfr. E. Morin, Le vie della complessità, op. cit., p. 52.

[5] E. Tiezzi afferma che semplificazione significazione, instabilità, minor difesa e degradazione. E. Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, in AA.VV., Physis: abitare la terra, op. cit., p. 447.

[6] E. Morin, Le vie della complessità, op. cit., p. 49.

[7] E. Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, op. cit., p. 443.

[8] Cfr. A. Magnaghi, Ecologia e…® Urbanistica, Urbanistica e…® Ecologia, in E. Tiezzi, a cura di, Ecologia e…, Laterza, Roma – Bari, 1995, pp. 46 - 47.

[9] Ibidem, p. 47.

[10] Ibidem, p. 50.

[11] Cfr. G. Pizziolo, Ecologia e… Estetica, in E. Tiezzi, a cura di, Ecologia e…, op. cit., pp. 62 - 64.

[12] P. Properzi, Introduzione al Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, a cura dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, ed. INU, Roma, 2000, p. 9.

[13] Cfr. L. Decandia, Dell’identità. Saggio sui luoghi: per una critica della razionalità urbanistica, op. cit., p. 183.

[14] P. Properzi, Introduzione al Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 9.

[15] Ibidem, p. 10.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem.

[19] Il governo del territorio: da una concezione unitaria e autoritativa ad una plurale e cooperativa, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, a cura dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, ed. INU, Roma, 2000, p. 13.

[20] Ibidem.

[21] Ibidem.

[22] Ibidem, p. 14.

[23] Politiche, piani e programmi per il governo del territorio: le tessere di un processo di riforma, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 30.

[24] Politiche, piani e programmi per il governo del territorio: le tessere di un processo di riforma, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 30

[25] Ibidem, p. 31.

[26] Territori dello Stato – Territori delle regioni: leggi, governi e piani, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 33.

[27] Il principio di sussidiarietà precisa i limiti di intervento dello Stato; tale principio, introdotto in Urbanistica solo negli ultimi decenni, è tratto da altri contesti; Giovanni Paolo II scrive a riguardo che, secondo tale principio, una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista di un bene comune. Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, Lettera Enciclica, ed. Paoline, Milano, 1991, punto 48, p. 68.

[28] I programmi complessi: un processo evolutivo ed interattivo, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 165.

[29] Ibidem.

[30] Ibidem.

[31] Ibidem.

[32] Manuela Ricci, I Programmi integrati della legge 203/1991: un’occasione congiunturale per innovare i modelli operativi dell’urbanistica, in AA.VV., Il rinnovo urbano, Carocci editore, Roma, 1998, pp. 46-47.

[33] Programmi integrati ex art. 18 L. 203/91, in AA.VV., Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 166.

[34] Manuela Ricci, I Programmi integrati di intervento della Botta – Ferrarini: portata strategica sotto controllo, in AA.VV., Il rinnovo urbano, op. cit., p. 52.

[35] Ibidem, pp.51 – 52.

[36] Legge 179/92, art. 16, comma III.

[37] Manuela Ricci, I Programmi integrati di intervento della Botta – Ferrarini: portata strategica sotto controllo, in AA.VV., Il rinnovo urbano, op. cit., p. 53. Tale aspetto era previsto dal comma IV della legge 179/92, art. 16.

[38] Ibidem. Tale aspetto era affrontato dal comma V della legge suddetta.

[39] I programmi complessi: un processo evolutivo ed interattivo, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 166.

[40] I Programmi integrati di intervento, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 166.

[41] Mara Moscato, I Programmi di recupero urbano e di riqualificazione urbana, in AA.VV., Il rinnovo urbano, op. cit., pp. 74 – 75.

[42] Ibidem, p. 75.

[43] I Programmi di recupero urbano, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 166.

[44] Mara Moscato, I Programmi di recupero urbano e di riqualificazione urbana, in AA.VV., Il rinnovo urbano, op. cit., p. 85.

[45] Mara Moscato, I Programmi di recupero urbano e di riqualificazione urbana, in AA.VV., Il rinnovo urbano, op. cit., p. 86.

[46] Ibidem.

[47]Ibidem, p. 87.

[48] Cfr. Programmi di riqualificazione urbana, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 167.

Cfr. Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Programmi di riqualificazione urbana. Azioni di programmazione integrata nelle città italiane, a cura dell’Istituto nazionale di Urbanistica, ed. INU, Roma, 2000.

[49] Programmi di riqualificazione urbana, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 167.

[50] Mara Moscato, I Programmi di recupero urbano e di riqualificazione urbana, in AA.VV., Il rinnovo urbano, op. cit., p. 90.

[51] Contratti di quartiere, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 167.

[52] P.R.U.S.S.T. Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio, www.llpp.it/NuovoSito/dicoter/documenti/PRUSST/relazione_prusst .

[53] A. Magnaghi, Ecologia e…® Urbanistica, Urbanistica e…® Ecologia, op. cit., pp. 43 - 44.

[54] Prusst, prime valutazioni, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 178.

[55] Ibidem.

[56] Ibidem, p. 182.

[57] Cfr. Lo Stato della pianificazione regionale: dai Piani ai Quadri Regionali, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 47.

[58] Cfr. Orientamenti della legislazione nazionale, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000, op. cit., p. 55.

[59] Ibidem, pp. 55-56.

[60] Ibidem, p. 60.

[61] Barbara Marangoni e Elena Marchigiani, Le nuove LUR Toscana e Liguria, Urb. Inf. n. 168/1999, p. 33.

[62] L.R. 36/97, art.2.

[63] Barbara Marangoni e Elena Marchigiani, Le nuove LUR Toscana e Liguria, op. cit., p. 33.

[64] Patrizia Gabellini, Un processo descrittivo, Urb. Inf. n. 16/1999, p. 35.

[65] Regione Liguria, Prime riflessioni per l’elaborazione dei P.U.C., www.regione.liguria.it .

[66] L’INU, per quanto riguarda la pianificazione di livello comunale, conviene sull’opportunità che le componenti strutturali e quelle operative siano strettamente individuate, possibilmente mediante l’articolazione in due piani (comunque in due strumenti) distinti. INU, La nuova legge Urbanistica, Allegato Urbanistica n. 110/1998.

[67] Cfr. Anna Kunitz, Attuare nuove leggi urbanistiche. Riflessioni sui primi P.U.C. della Liguria, Urb. Inf. n. 173/2000, pp. 15-16.

[68] Cfr. La Spezia, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Politiche urbane. Dai programmi complessi alle politiche integrate di sviluppo urbano, a cura di Paolo Avarello e Manuela Ricci, ed. INU, Roma, 2000, pp.62 - 63.

[69] Cfr. Fabia Begliomini, La Spezia e i nuovi piani, Urb. Inf. n. 164/1999, pp. 19 - 20.

[70] Tra gli strumenti di programmi di attuazione del PUC, nella normativa di piano, vi è la previsione dei Progetti urbani per parti di città interessate da interventi di trasformazione complessa di rilievo urbano; si formano attraverso bandi di gara e sono finalizzati ad acquisire le migliori offerte di attuazione dei “Distretti di trasformazione”; le proposte, nel caso di soluzione alternativa a quanto previsto dal PUC, possono essere recepite senza costituire variante al piano. Cfr. La Spezia, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Politiche urbane. Dai programmi complessi alle politiche integrate di sviluppo urbano, op. cit., pp. 62 - 63.

[71] Si veda il sito del Comune di La Spezia, www.comune.sp.it.

[72] Cfr. Comune di La Spezia, Piano Urbanistico Comunale, in AA.VV., IV Rassegna Urbanistica Nazionle. I casi in rassegna, a cura di Paolo Avarello, Carolina Giamo, Nicola Martinelli, ed. INU, Roma, 1999, pp. 34 - 36.

[73] Cfr. Censis, Genova per la ripresa. Luoghi, progetti e protagonisti dello sviluppo urbano. La riqualificazione della Valpolcevera come intervento di eccellenza, www.censis.it/censis/ricerche/2000/genova_per_la_ripresa, 17 gennaio 2000

[74] Genova, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Politiche urbane. Dai programmi complessi alle politiche integrate di sviluppo urbano, op. cit., p.59.

[75] Francesco Gastaldi, PRU e programmi integrati a Genova: a che punto siamo?, Urb. Inf. n. 159/1998, pp. 60-61.

[76] Roberto Bobbio, I programmi di riqualificazione urbana nel comune di Genova, Urb. Inf. n. 147/1996, p. 18.

[77] Cfr. Comune di Genova, Piano Regolatore Generale, in IV Rassegna Urbanistica Nazionale. I casi in rassegna, op. cit., pp. 342-344.

[78] Cfr. Comune di Genova, Piano Regolatore Generale, in IV Rassegna Urbanistica Nazionale. I casi in rassegna, op. cit., p. 344.

[79] Genova, Area Porta Soprana, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Programmi di riqualificazione urbana. Azione di programmazione integrata nelle città italiane, a cura di Lucio Contendi, Mara Moscato e Manuela Ricci, ed. INU, Roma, 2000, pp. 108 - 109.

[80] Si veda l’art. 4 dell’apparato normativo del PRG che recita: Nelle planimetrie del PRG, in alcuni casi, sono sovrapposti alle zonizzazioni perimetri speciali che individuano ambiti speciali soggetti a recupero, a progettazione unitaria, a controllo ambientale, a regimi normativi, per i quali valgono le prescrizioni proprie delle zone che li comprendono nonché quelle particolari, connotative del singolo ambito. ancora basato su leggi tradizionali quali la 457/78, ma che, probabilmente, risulta influenzato dalla LUR regione liguria 36/97.

[81] Cfr. Regione Liguria, Piano territoriale di coordinamento, in IV Rassegna Urbanistica Nazionale. I casi in rassegna, op. cit., pp. 270 - 272.

[82] Fabio Capocaccia, Porto di Genova: un piano regolatore per lo sviluppo, Urb. Inf. n. 159/1998, pp. 6-7.

[83] Cfr. Genova, Darsena comunale, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Programmi di riqualificazione urbana. Azione di programmazione integrata nelle città italiane, op. cit., pp. 112 - 113.

[84] Si veda art. 18 delle norme di attuazione del PTC.

[85] Cfr. Genova, Area Cornigliano, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Programmi di riqualificazione urbana. Azione di programmazione integrata nelle città italiane, op. cit., pp. 65-66.

[86] Cfr. Genova, Area via del Mirto, in Ministero dei Lavori Pubblici DiCoTer, Programmi di riqualificazione urbana. Azione di programmazione integrata nelle città italiane, op. cit., pp. 33-34.

[87] L. Decandia, Dell’identità. Saggio sui luoghi: per una critica della razionalità urbanistica, op. cit., p. 201.

[88] Ibidem.