Le Interviste del Boss

Springsteen, rock per le ferite dell'America
di Salvatore Mannironi
da Il Centro, 18-10-2002

Al Palamalaguti l'unica tappa italiana di "The rising", breve tour europeo d'autunno. Sul palco la E Street band al completo Springsteen, rock per le ferite dell'Americaa Stasera a Bologna il concerto con i brani nati dalla tragedia dell'11 settembre
Undici nuove canzoni e un tuffo nel passato a bilancio di 30 anni di carriera musicale
di Salvatore Mannironi "Mio padre è il proprietario di una delle Torri gemelle: per un bacio e un sorriso, piccola, te la regalo". Può bastare questa frase tratta da "Darlington county", una delle canzoni di "Born in the Usa" (1984), per farsi un'idea di cosa rappresentasse nell'immaginario di un americano il World Trade Center. Visto dal "campagnolo" New Jersey, poi, non era solo la forma dell'orizzonte di là dal fiume; era il simbolo del tesoro a portata di mano, Manhattan, le mille luci di New York. Indicava il posto dove suonano le grandi band e i principi del punk, la terra promessa per i giovani rocker di Asbury Park che speravano, un giorno, di fare il grande salto. L'11 settembre, con migliaia di vite, si porta via tutti i simboli e la tragedia è ancora più incredibile perché fa sparire ciò che, semplicemente, si credeva eterno. Su questo addolorato stupore Bruce Springsteen ha costruito "The rising", il suo ultimo disco, fulcro del concerto che il Boss e la E Street band terranno stasera al Palamalaguti di Casalecchio (Bologna), unica tappa italiana del piccolo tour europeo d'autunno. Undici delle 23 canzoni in scaletta stasera sono tratte da "The rising" e raccontano non la tragedia, ma ciò che essa ha tolto, aggiunto, modificato o provocato alle vite degli uomini e delle donne, di quella gente comune (non solo gli operai di "Factory" o "Youngstown") che è da sempre il riferimento di Springsteen, eroi di una normalità che è spesso fatica di tenere in piedi una famiglia con un piccolo stipendio o con un lavoro precario. Senza un filo di retorica, ogni canzone è la fotografia di un sentimento colto attraverso dettagli-chiave: il vuoto (le case senza le vittime, i cieli senza le torri), l'abituarsi all'assenza della persona amata, il tentativo di capire, la polvere (delle macerie), la rabbia, il dolore, la difficoltà di spiegare ai figli cosa è successo e perché. Non c'è nulla di ipocrita, niente che si presti a speculazioni politiche. Bruce è d'accordo con l'attacco in Afghanistan, ma è anche quello che apre ponti verso i "mondi a parte" come l'Islam; forse perché da ragazzo, in tempi di segregazione e scontri razziali, suonava in una band fatta da due italo-americani, due neri e un chicano. Il messaggio finale dell'artista è racchiuso nel titolo dell'album, in quel verbo (rise o rise up) che ricorre e martella in diversi brani e che in Springsteen unisce un laico ottimismo tutto americano (anche a Hollywood "Solo chi cade può risorgere") e il concetto cattolico della Resurrezione, appreso in gioventù dalle perfide suore della scuola di Freehold insieme agli altri precetti ricorrenti nelle sue canzoni: peccato, espiazione, tentazione, colpa, penitenza, tutta roba che lo fa sembrare uscito da un libro di John Fante. La E Street band è entusiasta. Lui, il Boss, dice che questo è uno dei suoi dischi migliori e non è una questione d'affetto per un figlio avuto in età (artistica) avanzata. "The rising" ha una forza che va oltre la tragedia che ha ispirato gran parte delle canzoni; è qualcosa che viene dalla musica e - a parte il marchio di Brendan O'Brien in fase di produzione - discende dal fatto che sembra il (primo) bilancio di una carriera trentennale. E' come se Springsteen avesse aperto i cassetti della memoria e tirato fuori i suoni, i ritmi e le melodie che lo affascinavano agli esordi, quando in concerto inseriva pezzi di Jackie DeShannon, di Martha & The Vandellas, gli hit del soul da classifica anni Sessanta ed era ossessionato dal sound di Phil Spector. Tutta roba che si ritrova spesso senza filtri in "The rising", dove sfilano soul, blues, rhythm'n'blues, ballate country e rock e persino un classico gospel, quella "My city of ruins" - scritta per il disfacimento economico e demografico di Asbury Park e poi inevitabilmente riferita alle Torri gemelle - che è forse il brano più bello dell'album. Questa operazione di recupero si riflette sui concerti del tour che oltre ai nuovi brani finora hanno proposto canzoni di tutti i vecchi album ed escluso (con l'eccezione di un pezzo da Tunnel of love) tutta la produzione più recente. Una scelta difficile perché quei brani erano stati scritti per l'energia e la voce di un ventenne, ma l'esperienza di Bruce sul palco e qualche sotterfugio con la complicità della band rendono tutto perfetto. Il gruppo, in fondo, se ne sbatte dei capelli bianchi e continua a suonare come quand'era la più forte rock'n'roll band in circolazione. (18 ottobre 2002)

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