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    La gioia di servire i lebbrosi
   
 

M. Livia Giobelli, canossiana di Varese e missionaria in India dal 1951, è morta lo scorso 15 febbraio, dopo aver servito i lebbrosi delle zone tribali di Talasari per quasi 50 anni, lavorando alla nostra clinica e in 10 Centri mobili, da lei gestiti. Qui la gente, al servizio di ricchi proprietari terrieri, era molto povera e mancava di necessità primarie, quali il cibo, l'istruzione e l'assistenza sanitaria. M. Livia, molto amata e stimata da questa gente, ha lasciato un ricordo indelebile, soprattutto tra gli ammalati di lebbra che ha servito fino all'ultimo, visitandoli regolarmente nei vari Centri. Lei stessa ci racconta come è cominciato:

   
   

E' stato circa 50 anni fa quando, per la prima volta, sentii parlare del lavoro svolto tra gli ammalati di lebbra. A quel tempo la gente aveva tanta paura di questa malattia, ma io sentii subito un forte desiderio di lavorare per queste persone più "sfortunate". Quando arrivai a Talasari, nel 1951, ebbi l'opportunità di incontrare persone affette da questo male e di aiutare le sorelle che si prendevano cura di loro. Ricordo quando, per la prima volta, la Superiora mi portò con sé a visitare un ammalato nella sua capanna. Quest'uomo una volta aveva percorso alcune centinaia di chilometri a piedi, fino a Bombay, per chiedere medicine per la sua malattia. Ora egli era avvolto in una coperta, poiché il suo viso e tutto il suo corpo Madre erano ricoperti di lebbra. Gli demmo le medicine necessarie, e dopo averlo salutato cordialmente lo lasciammo. In seguito chiesi ai Superiori di poter aiutare anch'io le sorelle in questo lavoro. Così visitai altri pazienti e a poco a poco mi fu insegnato come curarli.
Aiutate da alcuni Padri Gesuiti e altri collaboratori, le sorelle si recavano spesso nei villaggi per scoprire dove abitavano le persone affette da lebbra. In seguito si decise di avere piccoli Centri sulla strada, all'ombra di grandi alberi, per offrire cibo e medicine. Un giorno, al piccolo centro di Vewji, ci fu detto che un ammalato di lebbra stava dormendo all'aperto, e siccome stava piovendo, alcune persone avevano sistemato alla meglio un piccolo tetto su di lui per ripararlo. Gli era anche stato portato del cibo. Era già sera, e appena ci fu possibile ci recammo da lui. Stava molto male e a causa della pioggia non potemmo muoverlo.
Inoltre, per poterlo spostare occorreva il permesso della polizia locale e quando riuscimmo ad ottenerlo era già notte fonda.
Così, per il resto della notte, lo sistemammo alla meglio in un rifugio vicino, appartenente ai Padri, e al mattino, quando la pioggia si era un po' calmata, andammo da lui con la jeep portando con noi bende, vestiti, the e medicine. Era ancora vivo, ma le sue condizioni erano assai peggiorate. Subito lo caricammo sulla nostra jeep e, mentre la moglie, piena di gratitudine, ci salutava piangendo, lo portammo al Centro, dove egli fu ripulito e messo a proprio agio. Dopo un po' di tempo egli ci offrì un gran sorriso e... morì, lasciando i nostri cuori nella pace e nella gioia.
Un'altra volta, un uomo che di solito veniva a prendere medicine per la lebbra venne da me e piangendo disse: "Sorella, dammi una compressa e lasciami morire; non posso andare avanti così...". Gli chiesi cosa era successo e lui, piangendo, continuava a dire: "Mio fratello...". Cercai di rassicurarlo per suo fratello, con cui aveva litigato per questioni di proprietà, ma gli dissi che non avrei mai potuto dargli ciò che chiedeva.
Ogni tanto persone affette dalla lebbra vengono per chiedere una particolare compressa che causa la morte, oppure vogliono restare al Centro per evitare problemi con la propria famiglia. Molte persone, infatti hanno ancora tanta paura della lebbra, per cui cercano di evitare ogni contatto con persone affette da questa malattia. Così i lebbrosi sono spesso emarginati dal resto della società e perfino dai loro cari.
Un giorno qualcuno venne a dirci che una donna voleva vederci. Ci recammo da lei: le sue gambe erano piene di macchie. Era molto triste e ci disse che i suoi parenti le avevano consigliato di buttarsi nel pozzo vicino casa, così avrebbe smesso di soffrire. Le offrimmo di venire con noi al Centro, e siccome non riusciva a camminare la trasportammo al nostro Istituto. Rimase con noi per molti anni; non riusciva più a vedere, nè a camminare, ma era felice di stare con noi. Ci prendemmo cura di lei fino a poco tempo fa, quando, con molta pace, ci lasciò per il cielo.


Oggi la missione di Talasari offre scuole e dispensari con personale infermieristico, oltre a collaborare per lo sviluppo del villaggio. Molti ammalati vengono, ogni giorno, accolti e curati in questi piccoli Centri. Tanti. guariscono, altri non ce la fanno... ma tutti godono della speciale dedizione e della cura materna delle nostre sorelle, che, quotidianamente, senza chiedere nulla in cambio' sono lì ad offrire ciò che sono e ciò che hanno, per dire a queste persone, così toccate dalla malattia e dalla sofferenza, che esse sono amate teneramente da un Padre che, per loro, ha dato tutta la vita del proprio Figlio.


Grazie Madre Livia!

Sr. Zinha Mathias

India Centro

  Nel 1992, il governo di Maharashtra ha conferito il premio "Savatri Phule" a M. Livia per ringraziarla del suo lavoro, generoso e disinteressato, tra i lebbrosi.
   
 
 

Immagini e testo tratti dalla rivista VITAPIU' n. 1 gennaio-marzo 2003.

Casa Gen. Canossiane