|
ROCCA
DEL CASTELLO
Giuseppe Vagliani nelle sue Rive del Verbano (pag. 252) scrive
che il Castello sulla Rocca è antichissimo, edificato per
la sicurezza dei paesi vicini e distrutto dagli Svizzeri nel 1513.
Il Moriggia cap. 24 conferma l'epoca e gli autori di tale distruzione.
Secondo il Ballerini parebbe ciò avvenuto nel 1518. Monti
(Storia di Como) pag. 1 Vol. 1 pag. 98 "Gli Svizzeri dal
1510 s'erano impadroniti di Luino e della Val Travaglia con quella
di Marchirolo eccetto i luoghi fortificati. Ottomila Svizzeri
nel 1512 occupato Ponte Tresa cacciarono 600 Francesi e si accamparono
a Varese. Nel seguente anno vinti i francesi presso Novara nel
ritornare occuparono la Valcuvia. Francesco Maratti parla di queste
guerre nelle cronache dal 1492 al 1520: Narra il Ballerini che
gli Spagnuoli nel 1526 cambiarono Mendrisio e la pieve di Balerna
dati ai 12 cantoni Svizzeri con Luino e la Valle Travaglia e di
Marchirolo, e poco prima gli Svizzeri, tranne il castello di Bellinzona
dispersero tutti i siti fortificati al di qua delle Alpi. Bonsbegnoni
nel suo Antiquario della Diocesi Milanese ha queste parole: "Castello
era una rocca creduta inespugnabile. Furono qui a difenderla il
re Adalberto, figliuolo del re Berengario e Vidone Marchese suo
fratello nel 962 contro gli attentati di Ottone Imperatore il
quale arrivò ad impadronirsi nel 964 e probabilmente con
l'assistenza del nostro Arcivescovo Valperto tanto da lui privilegiato.
Indi noi vediamo che questo nostro paese era soggetto ai nostri
Arcivescovi i quali ne fabbricarono anche un palazzo per loro
abitazione. Anzi si sa che l'Arcivescovo Ottone fabbrica anche
questa fortezza.
Sismondi nella Storia dei Francesi all'anno 931, dice che a quell'epoca
la Francia coperta di fortezze non prima conosciute. So deve pensasse
lo stesso dell'Italia conviene credere che la Rocca di Val Travaglia
sorgesse in questo torno, cioè prima della metà
del secolo X massime che allora eranvi grandi contese pel regno
d'Italia, a cui pigliarono parte prima il re di Borgnogna Rodolfo
2º poi Ugo di Berta duca di Provenza e succedette allora l'invasione
degli Ongari. Come era bambina questa Rocca nel 962 così
era bambina l'arte degli assedii e non è meraviglia se
il grande Ottone durò fatica ad espugnarla.
Alla morte dell'Arciv. Di Milano Gio Visconti avvenuta nel 1254
si compì la confusione tra i possessi dell'Arcivescovado
e quelli del Principato civile di Milano; allora il nipote di
Ottone Matteo 1º si usurpò molte rocche e giurisdizioni
spettanti alla mensa arcivescovile, e scomunicato nel 1214 dal
ar sassone della Torre per aver invaso i beni della Chiesa e tra
le altre le castellanze di Travalia. E dopo il 1254 non si trova
più cenno che l'arcivescovo avesse ragione sul Castello.
Dallora in poi sembra che il Castellano dipendesse non più
dall' Arcivescovo ma dal Principe di Milano fino al 1513 in cui
trovatolo per avventura di ostacolo ai loro disegni venne atterrato
dagli Svizzeri che possedevano questi luoghi.
Primo feudatario della Val Travaglia fu nel 1416 il principe Lotario
Rusca che ridusse il titolo di principe a quello di conte, facendosi
cedere queste terre dal duca Maria Visconti. Dal 1513 al 1526
il paese era dominato dagli Svizzeri. Dappoi sino al 1538 compare
qual feudatario a Luino il conte e senatore Gian Battista Pusterla.
La terre di Valtravaglia Luino, Porto Castello, Veccana, Musadino,
Muceno, Brezzo, Ticinallo, Bedero, Rogiano, Brissago e Mesenzana
furono cedute dal conte Rusca coll'assenso regio al Cavaliere
Pietro Antonio Lonato a cui restarono fino all'estinzione dei
Lonati verso il 1598. Luino colla Valtravaglia inferiore era passata
ai Lonati avanti il 1524 essendo stato dato qual pegno di dote
da Galeazzo Rusca a Laura sua figlia maritata a Paolo Lonato,
il cui comun figlio cav. Pietro Antonio Lonato posse dette questo
feudo fino al 1598.
L'ultimo feudatario di Rusca fu ucciso a Gorgonzola a tradimento
nei primi del 1570 e dallora tornarono alla regia ducal camera
tutti i feudi ad eccezione di quella parte impegnata ai Lonati,
siccome istrumento di fedeltà 23 Dicembre 1570 a rogito
Silvestro Scappa (I feudi tornati alla camera furono donati poi
dal re di Spagna a Sic Marliani col titolo di Conte mediante diploma
2 Dic 1589 e la donazione fu riconosciuta dal Senato di Milano
il 15 Genn 1584, vale a dire 1º la Valle Intelvi 2º la Valle Veddasca
che comprendeva Brigno,Lozzo, Armio, Graglio Cadero, Garabiolo,
Campagnano e Musignano. 3 la Valle di consiglio Maggiore contenente
Monte, Curiglia, Cossano, Agra, Runo, Colmegna, Dumenza 4º la
Valle Marchirolo cioè Ardena, Lavena, Viconago, Marchirolo,
Cagliate, Fabiasco, Cunardo 5º la Valle di mezzo cioè Tronzano,
Pino, Bassano Maccagno di Sopra, Germignaga, Voldomino, Bivione
Montegrino, Bosc e Grantola).
Estinto il fuedo dei Lonati forse nel 1598 li 24 Nov detto anno
fu esposto in vendita e in Dicembre del 1599 fu deliberato al
conte Ruggero Marliani figlio del fu conte Giov che ne venne infeudato
con istrumento 24 Genn 1600 per lire 30.000 imperiali rogato dal
Notaio Cesare Reganio Così tutta la pieve di Valtravaglia
fu unita sotto la giurisdizione dei conti Marliani.
Il conte Cristoforo Marliani nel 1694 però la dismisedi
nuovo vendendo al 12 di Agosto le terre sunnominate acquistate
dal conte Ruggero, eccetto Luino per £ 27500 al questore
Giovanni Moriggia e in questa famiglia durò il feudo sino
alla morte del Marchese Gianbattista nel 1792 per cui tornò
in camera. Durante questo feudo, per quasi un secolo, la pretura
feudale e li carceri erano a Porto Le altre terre del feudo Marliani
con a capo Luino furono dendute dal conte Ruggero IIIº Marliani
nel 1773 al conte Antonio Crivelli per lire 617 mille compresi
tutti i beni privati a Luino e Maccagno. Ma i diritti feudali
ormai erano incamerati e la durarono poco più. Dal conte
Antonio passò al figlio Ferdinando Crivelli per instrumento
27 Aprile 1789 Gariboldi notaio che morì a Milano il 12
Aprile 1860. Passo al conte Alberto che morì a Roma ambasciatore
Austriaco presso il Pontefice Pio IX
Si sa per tradizione ed alcuni vecchi attestano Rocca avessero
veduto gli indizi, che dalla parte a tra montana si scendeva per
un sentiero a scala scavato nella viva roccia sino al lago, ove
era un molo con darsena a portico ad uso del Castellano e dei
suoi armati di cui ricordasi il nome: molo del portichetto.
Da due parti a ponente sulla via che conduce a S. Veronica ed
a Tramontana sotto il piano di S. Celso vi doveva essere delle
porte. Triplice mura cingevano il forte e una torre vi sorgeva
nel mezzo di cui non restano che i fondamenti. Si noti che nei
membri del paese, specialmente a Ronchiano Pessina e Creda vi
furono fino a questi tempi indizii che l'ingresso delle contrade
era chiuso da porte costruite per avventura al tempo dell'invasione
degli Svizzeri nel 1510 11, 12 quando irrompevano in Lombardia
niente altro che per saccheggiare.
L'anticaglia profana più degna d'essere veduta è
la rocca di Travaglia che ora malamente da taluni s'intitola di
Caldiere o di Porto. Chi naviga sul lago Maggiore appena entrati
in quella parte di esso che ha maggior larghezza e dirittura,
sia passato Belgirate col salire e meglio discendere oltre il
poggio di Tronzano veda sul lato meridionale tra Luino e Laveno
un promontorio di forma conica affatto singolare coronato dai
ruderi di un Castello coi fianchi verso il lago squarciato dalle
pietriere che alimentando numerose fornaci di calce, vanno rendendolo
da quel lato più orrido, se non avesse al piede un'altra
corona di fornaci, sastre e cataste di legna che ne danno l'aspetto
di continuate abitazioni. Una stradicciola non difficile passando
dietro la Chiesa Parrocchiale del paese, che indi ebbe nome Castello
conduce alla sua cima, ove esistono alcuni avanzi di cisterne,
case, torri, fossi corte, bastioni e altre indizi di fortificazioni
ad uso guerra. In un piano inferiore, come dire sulle spalle del
colle verso levante appaioni le tracce di un oratorio dedicato
a S. Celso, scendendo ancora verso tramontana in un piano inclinato
ora detto Brugo, imminente al lago esistevano visibilmente delle
abitazioni, finalmente in un terzo piano a ponente sovrastanti
lefornaci è un Oratorio detto di S. Veronica ove sono pitture
di Gio Cassonio del 1441 per altro di nessun merito.
Le mezzalune tuttora in piedi sulla cima non danno una idea troppo
vantaggiosa del buon gusto e dell'intelligenza di chi murava quei
luoghi e si direbbe piuttosto che la fabbrica fu precipitata onde
fu duopo poi con barbacani e restauri sostenuta se pure questi
non sono prove del danno recati al forte dagli assedii e dal tempo.
Nondimeno qualche torre e casa eretta con maggior lusso e regolarità
ci dovette essere specialmente nel piano detto del Brugo, perché
le pietre sono lavorate a scalpello come si può attualmente
osservare, che da quivi asportate s'adoperavano ad innalzare il
vicino campanile di S. Pietro. Forse era ivi il palazzo arcivescovile
di villeggiatura o d'amministrazione con granai e cantine situate
entro la cerchia della rocca di Travaglia, cui fa menzione Landolfo
contando di S. Arialdo O veramente fu la chiesa di S. Tommaso
che giusto una carta del 1261 era rinchiusa in questa rocca e
aveva dei possedimenti. Se non sorse nella prima invasione dei
barbari che come torrente allagarono le pianure, obbligando i
pacifici cittadini a cercare la sicurezza sui monti ed in luoghi
fuor di mano e di non facile accesso, certamente ebbe origine
allorchè sul finire del X (IX) secolo si replicarono le
invasioni degli Ungari in Lombardia. Chi troppo in loro si era
confidato la prima volta di certo non li aspettò la 2º,
chi non potè o non credette fuggire ebbe almeno cura di
fortificarsi, ed anche a rifugiarsi su questi monti non si riputavano
tutelati abbastanza restando all'aperto. Troviamo che nel 960
il luogo era già fortificato, e gli aderenti di Berengario
ed Adalberto marchese d'Ivrea e pretendente al regno d'Italia,
volendo tenere un piede su tutti i punti settentrionali della
Lombardia, come occuparono la rocca di Garda nel Benaco, l'isola
comacina nel Lario o quella di S. Giulio nel Cusio o Lago d'Orta
cisì sul lago Maggiore non credettero più propizio
di fortificarvisi della rocca Travaglia....Quasdam muniziones,
dice il continuatore della cronaca di Regizione citata dal Giulini:
"cum suis seguacibus adhuc possidebant, hoc est Gard et Travallium
et insulam in lacu cumano etc" Vediamo da Landolfo menzionata
questa fortezza nel raccontare il martirio di S. Arialdo e che
ne parla come fosse una posessione di S. Ambrogio vale a dire
dell'Arcivescovato di Milano a cui è verosimile che fosse
donata dall'Imperatore Ottone 1º dopo averlo espugnata e tolta
ai suoi emuli, come donò al vescovo di Como l'isola Comacina
e a quel di Novara l'isola di S. Giulio d'Orta. Anzi un altro
biografo del B. Arialdo, il prete Siro, milanese e contemporaneo
di questi avvenimenti, chiama inespugnabile la Rocca Travaglia
in quel tempo del 1066, in Travallia arce inespugnabile e menziona
in essa una torre altissima.
NB. (In una carta del 1294 è nominato Dom.nus Arddricos
de Conturio castellano di Travallia per Dom.no Archiepi. Mediolanese.
In un altro del 1284 è nominato Castellano un tal Rocagnardus.
In altre 1261 è nominato Dom.us Francescus de Sessa castellanus
Travallliae nel 16 marzo 1496 castellano fu Tommaso di Pepius
di Carate).
Dal che abbiamo ad intendere che sebbene ora non conterebbe niente
questo castello anche sussistendo nella sua interezza, non era
così in allora, ma coi mezzi e colle cognizioni che allora
si avevano di fare la guerra, dare assalti e sostenere assedii
codesta era un potente arnese militare. Ragione di crederlo si
è pure che due secoli dopo dall'Arciv e Signore di Milano
Ottone Visconti il quale morì nel 1295 fu restaurata forse
anche ampliata e certamente abellita la rocca ad incremento della
mensa arcivescovile: "decoravit arce etiam decorum Travallium"
così leggesi in un antico catalogo degli Arcivescovi inserito
in un codice di Beroldo e pubblicato dal Muratori.
Per tradizione costante di questi terrieri si ha che il piano
di S. Veronica fosse abitato, poco di sotto a quell'Oratorio negli
scavi del sasso calcare nel 1825 Domenico Rossi di Ori d.to Ferrando
aveva trovato poco sotterra alcuni pezzi d'un sasso assai tenero,
configurati così che da tutti furono creduti modelli qualche
argentiere. Tra gli altri uno presentava una partita dello spuntone
e d'uno spadino, donneschi arredi, ed era stato donato al Parr.
Bini; trovò pure ivi alcune spadine ma sembravan di rame
o d'altro simile metallo. Avea pure trovato una buca spaziosa
piena di ossami e di carbone le ossa furono credute di animali.
Poco oltre l'imboccatura della strada da Castello a S. Veronica,
dove i dirupi di sopra e di sotto lasciano uno stretto calle,
ci deve essere una porta relativa alle fortificazioni della rocca,
ed è chiaro argomento di sua esistenza il nome che rimase
ai fondi sottoposti, appellati ancora adesso "sottoporta"
La frazione di Creda deve aver nome da una (Ora S. Pietro) cava
di creta nei dintorni della Chiesa; e qui sembra che possono essere
stati fabbricati e cotti i mattoni romani di cui si hanno dei
frantumi (scavando per fabbriche a San Pietro si su tutti i lati
della Rocca, e ve ne sono ancora sul trova altri mattoni Romani
quali tetto di S. Veronica adattate ad uso di lastra coperture
di sepolcro) e piote.
Nel 1827 quando si allargò il coro della Parrocchia dal
lato del giardino del Parroco nel gettare le fondamenta delle
mura attuali si trovò un sasso abbandonato di fornace per
lavori di creta ed insieme varii mattoni e frantumi di opera mal
cotti.
Alla riva del lago discendendo dalle cosidette Portacce della
rocca quasi per linea retta, quando il lago è molto abbassato
si vedevano e forse si vedono ancora degli avanzi di un Porto,
che si suppone apposito per gli abitatori del Castello. Portaccia
è chiamato quel seno della rupe che s'incontra ascendendo
alla Rocca per la strada di Creda, la ove non solamente di sotto
ma anche di sopra, gli scogli erti ed impraticabili lasciano un
sol varco, ed è verosimile che vi fosse una porta. Sopra
quel luogo vi stanno segni manifesti di una fossa, che rompesse
la continuazione del promontorio che da S. Pietro va ascendendo
sino al cucuzzolo della rocca.
Questo redefosso che doveva recingere le spalle alla rupe di S.
Celso non fu forse terminato o meramente sarà stato ingombrato
dal terrapieno.
Un medesimo segnale di passo che recinge il sommo scoglio della
rocca si vede altresì dalla Parte di S. Veronica.
Più in qui verso la Selva, alla diritta della strada, poco
dopo terminati i fondi coltivati vi è ancora qualche avanzo
di un'area in pendio verso il lago chiamata Lazzaretto dove a
ricordanza d'uomini viventi furono trovati nello scavare varie
casse da morto e molte ossa Nel 1850 si trovavano ancora dal lato
opposto del promontorio nei fondi Vigo tre casse fatte e coperte
da lastre di vivo, con entro delle ossa che alcuni giudicarono
gigantesche. Furono trovate 2 o 3 monete d'argento che si dicono
fossero di Giulio 2º, forse il papa che viveva quando gli Svizzeri
diroccarono il Castello.
Sul piano della rocca a destra ed a sinistra del sentiero che
vi sbocca ascendendo da S. Celso sono ancora visibilissimi avanzi
di due cisterne con apertura ad imbuto verso le case acciò
riempirle dello scolo dei tetti e con altra apertura proprio dell'attingere.
In mezzo al piano, un poco più sopra di questa cisterna
si ha uno scoglio su cui appaiono ancora i fondamenti di una torre
quadrata la quale doveva essere il cuore della rocca. La parte
poi del piano che guarda sopra Orì e Castello era sicuramente
destinata alle abitazioni siccome la più sicura. La parte
opposta verso S. Celso doveva essere intersecata da doppio giro
di mura oltre quella esterna che coronava tutto quel piano ed
anche adesso in tutti quei lati l'altezza dei dirupi qualche volta
poco praticabili ne mostran chiaro bisogno. La parte sopra S.Veronica
e verso Caldè anche attualmente presenta vestigia di abitazioni
circondate da tre mezzalune, delle quali due rotonde e quella
di mezzo a tre faccie ma di lati ineguali. Queste sono le opere
di fortificazioni che tuttora sussistono a dispetto del tempo
e delle intemperie della stagione a cui sono esposte e che veggonsi
da lontano di su e di giù per il Verbano notano al navigante
che nelle età trapassate ivi fu qualche arnese di guerra.
Nell'inverno 1844-45 cadde metà della muratura estrema
verso Ghiffa. notar si dee la singolare coincidenza del nome di
due lembi del territorio di Castello sul declivio della Rocca
a Sud Est chiamati a Vigo. Comè che ambedue significano
Villaggio il primo Vicus in lingua latina ed il secondo in lingua
greca. Fù forse distrutto il primo villaggio negli assedii
della Rocca e risorse a Creda e si divise in molte frazioni più
discoste dalla Rocca.
|