Il manuale senza regole

Carlo Bo

Introduzione a

Manuale di Conversazione

BUR - Rizzoli Editore, Agosto 1976

Ci sono scrittori avari, gelosi fino alla mania del proprio capitale e ci sono scrittori prodighi o addirittura incuranti del proprio tesoro e disposti ad aiutare il tempo nella sua impietosa opera di distruzione. Achille Campanile appartiene all'ultima famiglia e anche oggi, nel pieno della maturità, non ha perduto nulla della sua prima e lontana grazia d'invenzione libera con cui era riuscito a imporsi all'attenzione di giudici difficili con il teatro e il romanzo. Ne sono passate delle stagioni, ne sono stati fatti dei tentativi in tutti i sensi, lo spettatore disinteressato è stato sottoposto a delle vere e proprie battaglie per stabilire e consolidare delle fame ma nei fogli di questo enorme registro legato dalla moda e dall'industria il nome di Campanile non appare mai.

Così come non lo trovereste nelle tante storie della letteratura, e qui la cosa sorprende e stupisce perché Campanile è stato uno dei rarissimi inventori di un nuovo genere letterario e soprattutto perché é - a suo modo - un classico del Novecento, uno dei pochissimi scrittori del nostro tempo a cui una definizione del genere si addica senza suscitare dubbi e perplessità. Campanile forse ha giuocato sul tempo, sicuro come dev'essere del proprio lavoro e cosciente con grande chiarezza dei suoi limiti e quindi sostenuto dall'idea di aver svolto liberamente il suo compito, restando fedele alla sua natura.

Questo volume di racconti riflette molto bene questo suo respiro doppio: da una parte lo scrittore si presenta ancora una volta con in mano un certo numero di storie che non dipendono né dalla ricerca artificiosa né da un atto di presunzione, si presenta, cioè, nella sua solita maniera di conversatore, dall'altra parte - senza darlo a vedere - vi sottopone un test, un'ulteriore prova della sua particolarissima natura di inventore. Una definizione unica che lo colga in tutti questi aspetti è impossibile, c'è soltanto una scappatoia ed è quella di cominciare a considerarlo nel suo aspetto più immediato e semplice, quello del narratore al di fuori dei canoni tradizionali. Un po' come se fosse uno che vi si mette vicino e prende a raccontarvi delle storie che non potrebbero mai diventare esemplari o - tanto meno - rappresentative di un certo mondo. Qui tocchiamo uno dei punti a suo vantaggio: Campanile non ha un suo "mondo", così come non ha una sua visione letteraria delle cose. E' invece uno spettatore libero, un uomo di passaggio guidato soltanto dagli umori della sua fantasia, uno con cui ci si può accompagnare senza che vi chieda garanzie o esiga speciali attenzioni. Con la stessa grazia con cui vi è venuto vicino e è rimasto un po' di tempo con voi, se ne va ed è soltanto allora che cominciate a capire qualcosa e che sotto il velo del divertimento puro sentite muoversi qualcosa di più autentico e diverso. A questo punto il giuoco è fatto, l'operazione è riuscita e avete la certezza di essere stati in compagnia di un inventore d'eccezione. Ma di quale eccezione si tratta?

Qui sta il secondo punto della novità, l'eccezionalità della pagina di Campanile è di non essere nata come eccezione, come effrazione a una regola ma come la più paradossale delle investigazioni che siano mai state condotte sulla realtà.

Campanile non aggredisce mai nulla, non si propone né come antagonista né come un mago prodigioso che vanti i suoi metodi segreti di rovesciamento e di scoperta, no, si presenta nella maniera più anonima e in apparenza completamente consegnato alle minuscole vicende che vuole raccontare. Il suo lavoro di guastatore è quasi impercettibile, limitato a particolari minimi ma tali da consentirgli di mettere in dubbio la credibilità del fatto. Il suo "guastare" è concentrato su degli intoppi minuscoli, una parola, un aggettivo, un'inezia che però mettono in crisi la solida costruzione apparente della norma. A un certo punto blocca il corso delle soluzioni e si distacca da tutto il resto: il fatto va per conto suo e lo scrittore vi introduce in un mondo del tutto nuovo che è poi il mondo del rigore segreto, della logica spietata che per ragioni di comodo viene sempre scartata e dimenticata. Tutto questo gli viene dall'abitudine naturale, dal suo abito intellettuale delle rivoluzioni minime del linguaggio, è a volte l'errore casuale di pronuncia o di lettura a spingerlo a una contrapposizione inarrestabile che - alla fine - gli consente di alzare il sipario su un altro mondo, ipotetico quanto si vuole ma per lo meno logico e così strettamente legato al rispetto delle conseguenze. Lo scrittore famoso di teatro preferiva il rapporto fulminante di queste scoperte, poche battute, due battute o addirittura una battuta gli erano sufficienti per portare alla luce una situazione drammatica e creare un mondo assolutamente libero che - a suo modo - dipendeva dalla poesia. Ma poesia è un termine inadeguato, a Campanile non interessano categorie del genere, non conta la bellezza, non conta il gusto o il piacere, per lui ha valore l'intervento miracoloso del caso. Ma anche qui stiamo attenti, i miracoli non hanno per Campanile nulla di misterioso o di segreto, al contrario sono sempre degli interventi a sorpresa nella realtà comune. Se il narratore di professione crede di dover offrire al proprio lettore un mondo circoscritto, dandogli tutte le informazioni necessarie al fine di ottenere uno spettacolo, per Campanile lo spettacolo comincia dal momento in cui la definizione dell'argomento viene messa improvvisamente in crisi. Allo stesso modo il suo personaggio-tipo cammina senza saperlo su un terreno minato, lo vediamo partire per la sua brava rappresentazione ed ecco che di colpo qualcosa della macchina illustrativa si inceppa e non si può più andare avanti. Sono queste sue invenzioni, piuttosto delle scoperte involontarie del granello di sabbia che va a bloccare il punto più delicato del congegno e, a loro volta, diventano il nuovo tema, il nuovo soggetto.

L'assurdo però che pure è una categoria riscoperta prima dal Campanile e in seguito adoperata da scrittori che ebbero fortuna e fama mondiali, in lui resta come un momento astratto: non vi si fonda sopra nessuna teoria. Come c'era grazia e liberta nel momento iniziale del racconto, grazia e liberta si ritrovano puntualmente al momento delle conclusioni che - oltre tutto - non sono mai definitive, conservando il loro rapporto di colloquio. Ed è proprio questo senso di vita che continua a dispensare il Campanile dal diventare o dall'atteggiarsi a maestro di qualcosa. Se ha un compito è soltanto questo di insinuare un dubbio, in modo da invalidare la rappresentazione formale della realtà. Da notare ancora che per mettere in crisi certe situazioni lo scrittore non adopera soltanto i normali conflitti di sentimenti, al contrario si serve di contrattempi, di qualcosa che viene dal di fuori e ci si era dimenticati di tenere in considerazione. E' allora che un improvviso disturbo, l'intervento di un'altra voce, l'inserimento di un semplice animale nel discorso umano mandano all'aria i drammi di natura psicologica e i protagonisti si ritrovano di colpo disarmati, immersi in una realtà che non consente più il proseguimento della recita. Che è poi un accorgimento da regista, se per regista accettiamo uno che voglia tener conto dell'imprevedibile. La realtà involontariamente ricostruita dal Campanile per un secondo intervento miracoloso finisce per mantenere una sorta di nuova unità e compattezza: sia pure nell'assurdo, sia pure nella scomposizione casuale dei vari motivi la rappresentazione trova un nuovo teatro che - a sua volta - è destinato a scomparire non appena si riaffacci alla superficie l'antico scenario. E' per questo che anche i suoi personaggi hanno qualcosa della grazia e della libertà intellettuali del loro inventore, sono ospiti temporanei ma dotati di una straordinaria incisività e si muovono davanti a noi portati da un piccolo vento di follia. Una follia - si badi bene - di non lunga durata perché Campanile vi fa trovare immediatamente a vostro agio e i suoi racconti non sono mai frutto di calcoli al millimetro, al contrario sono quasi sempre delle umili restituzioni nel senso del racconto. Le rare volte che lo scrittore non si attiene a questo modo spontaneo di restituzione cade in soluzioni e riferimenti letterari, come per esempio una certa disposizione crepuscolare, che non sono suoi. Il racconto secondo delle precise norme letterarie finisce per rispettare delle convenzioni, quello che fa Campanile, anche nel regno dell'inverosimile, è - caso mai - legato a un processo di scollature, di piccole rotture. In questo senso i suoi personaggi adottano per forza di cose un guardaroba di necessità e l'abilità dello scrittore è di costringerli a continuare la rappresentazione anche in quelle condizioni. Ecco perché riesce assai difficile parlare di "eccezione", di "raro", due categorie che Campanile priva di qualsiasi residuo di veleno letterario e di artificio. Le sue contravvenzioni alla realtà apparente sono, sì, degli strappi nel grande sipario che divide il mondo dalla sua rappresentazione ma che nello stesso momento in cui si registrano aprono altri orizzonti. In altri termini quando ci si mette in viaggio con Campanile non si sa mai dove si finirà né in che condizioni. Non solo ma l'alternativa proposta involontariamente è molte volte assai più allettante, certamente più nuova e costituisce un caso, un piccolo problema del tutto diverso dal libro dei codici quotidiani.

A mettere in dubbio la credibilità del mondo apparente - lo ripetiamo - basta un errore da nulla ma un errore che illumina improvvisamente la straordinaria ricchezza del mondo segreto e invisibile, dell'altra parte del mondo che sfiora perennemente il mondo della realtà quotidiana.

E' lecito parlare di un surrealismo di Campanile? L'accostamento non sembra positivo, anche perché nel surrealismo c'è sempre un dato di provocazione e di eccesso che in Campanile manca. Nel surrealismo predomina la volontà della sorpresa che deve toccare, scatenare delle reazioni; nei racconti di Campanile c'è soltanto un piccolissimo cedimento, il più delle volte non avvertibile allo sguardo semplice, al gusto della beffa. Comunque, la cosa non si svolge mai fra uomo e uomo o fra uomo e la società ma fra il personaggio e una quantità variabile di mistero e questo senza bisogno di insistere o di alzare il tono della voce o caricare le tinte.

Anzi, si ha l'impressione che Campanile con il tempo abbia saputo perfezionare talmente questo suo atteggiamento di distacco e di libertà da dare quasi la sensazione fisica di un mondo totalmente disancorato. Quasi fosse il risultato di un giuoco straordinario di trasposizione gratuita. Trasposizione dell'insieme e non di un particolare o di un atto della vita, ecco perché se qualche volta il suo tessuto narrativo sembra punteggiato di atti gratuiti, in effetti la formula non tiene. L'atto gratuito - così come lo configuriamo sulla memoria di Gide è soprattutto un atto di volontà mascherata o magari un modo per contestare il rapporto logico della nostra vita.

Campanile insegue - caso mai - un altro obbiettivo: operare una sostituzione della logica. Cioè, se per noi è logico ciò che rientra nel quadro di una filosofia, per Campanile l'unica logica è quella completamente svincolata dal controllo delle nostre idee.

Alla fine, il lettore si accorge di possedere uno strumento nuovo di individuazione psicologica e di godere - proprio come i personaggi di Campanile - di una nuova situazione nel mondo dell'abitudine e mentre la vita macina per conto suo i giorni nella più desolata delle malinconie, il regime del caso inatteso adottato da Campanile ci si presenta in tutta la sua luce di libertà, di disponibilità e sopratutto di separazione dalle leggi fisiche. E' un'idea di levitazione, quella che a poco a poco si insinua nello spirito del lettore, il quale è portato a dimenticare le leggi di gravità che regolano la narrativa tradizionale. Naturalmente anche Campanile ha avuto i suoi maestri ma sarebbe errato volerli individuare esclusivamente nel libro della letteratura comica e questo perché il suo senso del comico non solo è involontario ma gli è stato dato, è un dono. Si ha una conferma di tutto questo dall'uomo: chi ha avuto la fortuna di incontrare Campanile e di passare qualche ora con lui, sa benissimo che fra lo scrittore e lo spettatore casuale c'è sempre di mezzo un altro interlocutore, una specie di diavolo benigno che gli suggerisce in continuazione quei tali accenti di distorsione della realtà che costituiscono il trampolino per le sue variazioni. Si sa che di fronte a uno scrittore vero, nell'attimo in cui certe sue ricognizioni toccano un segno diverso da quello che ci è consentito, siamo costretti a dire: ecco, c'è una cosa che era sfuggita ai miei occhi e di solito spieghiamo il fenomeno con il dato della pazienza e dell'arte. Per Campanile valgono le stesse impressioni di sorpresa ma con una piccola differenza e, cioè, che il risultato non è dovuto né all'arte né all'insistenza dello sguardo ma a un dono, alla grazia, alla carica che ha Campanile di rendere la realtà monotona e grigia suscettibile di improvvise scintille. E' chiaro che un sistema di tanta libertà lo sottrae allo scotto normale dei segni di fatica, dello sforzo: nulla di tutto questo e allora o la cosa va per conto suo o cade, fallisce. Campanile non conosce vie di mezzo, anche come scrittore segue il ritmo e la norma dell'invenzione libera. Non sarebbe possibile infatti riportarlo nel quadro delle esperienze di questo secolo: è vissuto da isolato e ha avuto la fortuna di vincere senza troppe prove e senza tentennamenti. E' stato subito lui e - cosa ancora più strana - lo è rimasto fino ad oggi, incurante del successo e sciolto da tutti i vincoli che ogni scrittore accetta pur di poter diventare ai propri occhi un monumento o una occasione di meditazioni compiaciute e di taciute esaltazioni delle proprie imprese.

Forse è stato proprio questo regime a salvarlo dall'usura delle speculazioni letterarie e a metterlo naturalmente nel numero ristretto degli scrittori autentici che hanno vinto la loro partita. Come un giuocatore fortunato? No, direi piuttosto come un giuocatore che conosce il nome delle carte su cui puntare e ha sostituito i miraggi e le illusioni con il senso delle cose concrete.