This page hosted by TiscalinetGet your own Free Full Internet Access


La Morpia

E' ormai risaputo che l'uomo industrializzato, moderno, è sottoposto a stress fisico e psichico. In seguito ad una vita sbagliata, dove la fa da padrone lo smog, il denaro, le cosce e le vacanze a Rimini, l'uomo si è via via degradato, perdendo il "senso della natura", quel senso di vita magari duro, ma salutare per il corpo e per la mente. E' tuttavia curioso notare come la vita media si sia allungata forse per via dell'industria farmaceutica incredibilmente fiorente, ma è altrettanto curioso notare che, se da una parte la quantità della vita è aumentata, la qualità molto spesso diminuisce in modo inquietante. A tale causa consegue tutta una serie di effetti che spesso sfuggono anche alla comprensione degli stessi studiosi del comportamento umano.

A tale proposito ci siamo documentati per chiarire un po' le nostre idee e quelle dei lettori, per far luce su questa piaga subdola ma terribile.

Ci era giunta all'orecchio notizia di un professore che aveva dedicato praticamente tutta la vita allo studio sociologico; ci siamo premurati di trovarlo e di porgli i quesiti che ogni giorno, osservando la vita quotidiana, ci lasciano ancora ignoranti sulla natura triste e stravagante dell'uomo urbano.

Abbiamo trovato, la sera del cinque gennaio scorso, il professor Camorzio Taleggio nella sua residenza estiva in quel di Cervinia.

Per raggiungere la baita di sua proprietà abbiamo dovuto scarpinare per ventidue ore sino a raggiungere il tavoliere delle puglie, unica indicazione allora a noi disponibile, da lì un pastore sardo ci ha aizzato contro il suo pastore belga che ci ha gentilmente indirizzati verso Tobruk. Durante il cammino abbiamo incontrato una monaca di Monza che ci ha dirottati verso l'isola di pasqua; in pieno Pacifico un'onda anomala di proporzioni gigantesche ci ha regalato un naufragio alle isole Fiji dove un ciarlatano che si credeva Robinson Crusoe, ci ha indicato l'aeroporto più vicino. Imbarcati sul primo volo, abbiamo fatto rotta per Tokyo, città più vicina. Era il giorno 7 agosto, due mesi dopo la partenza (tavoliere). Finalmente riuscimmo a raggiungere l'Europa, ormai dissuasi dall'idea di trovare il fantomatico professore. Ma la sfortuna volle che incontrassimo, all'aeroporto di Parigi, un vecchio collega che ci propinò un'indicazione da lui giudicata "sicura". Nostro malgrado accettammo di comune accordo di dirigerci varso il Madagascar. Il giorno dopo eravamo già in volo, all'altezza del deserto del Sahara, quando una tempesta di sabbia di proporzioni inimmaginabili risucchiò l'aereo e tutto il suo carico. Inutile dire che vagammo per otto giorni sotto un sole micidiale. Ci raccolse una carovana di beduini che ci portò a Suez. Lì decidemmo di desistere dal trovare il maledetto professore.

Prendemmo quindi il primo aereo per Roma, allorquando un fetentissimo dirottatore decise che l'aereo avrebbe dovuto cambiare destinazione per finire a Lourdes dove il disgraziato voleva un miracolo a vantaggio suo e a completo svantaggio della suocera napoletana di centoventisei chili.

Una volta a Lourdes, era la sera del 29 agosto, decidemmo di chiedere anche noi la grazia alla Madonna. Durante la notte, prima di poter mettere in pratica il nostro appello di fede, la nostra camera d'albergo si trasformò in grotta, con tanto di sorgente. A dire la verità la pozza d'acqua somigliava più ad una fetente palude, ma la Madonna, che intanto era apparsa, ci spiegò sbrigativamente che la colpa di questa cattiva immagine era dovuta principalmente alla quantità smisurata di persone che venivano a farsi il pediluvio e agli scarichi abusivi.

In ogni modo, la Dolce Signora ci disse che la nostra nobile missione non poteva finire così e che le dure prove sarebbero state gradite, su, in alto.

Ci risvegliammo estremamente corroborati, come se l'apparizione, oltre al beneficio spirituale, ci avesse fornito un'inaspettabile carica fisica. Ci sentivamo anche più snelli, e affamati.

Mentre, ancora assonnati ma eccitati, andavamo ricordandoci l'apparizione, qualcuno di noi notò che l'orologio digitale sul comodino, completo di fasi lunari, calendario e putipù, indicava la data del 28 dicembre. Superfluo aggiungere che, in seguito all'apparizione, pagammo all'albergo un conto della madonna.

Con estremo spirito sportivo ci avviammo verso l'indicazione fornitaci dalla Madre Celeste. E arrivammo finalmente alla baita del professore.

Ed eccoci al due gennaio.

Dopo sei ore, nelle quali facemmo i turni per bussare alla porta, finalmente una delle tavole cedette e Maurizio, il fotografo, poté infilare la mano all'interno, aprendo la porta.

La baita, dall'esterno, si presentava come la classica casetta del nonno di Heidi, ma l'interno era preciso identico a un ospedale. Muri verdino-dispiacere, pavimento di linoleum color ghiaietta, neon, padella nell'angolo e banco tipo reception.

Mentre ci guardavamo intorno, scattò un allarme di una potenza incredibile. Il suono era così forte che procurò uno smottamento il quale, naturalmente, si riversò violentemente sul tetto della casetta, sfondandone una buona parte con un fragore assordante. Spavantati fuggimmo all'esterno gridando come dei pazzi, ma, trovandoci su un pianoro distante dal centro urbano, nessuno ci sentì; in compenso scoprimmo che al suono dell'allarme si era sostituito l'abbaiare di un ferocissimo lupo assetato di sangue che ci indusse a rifugiarci nuovamente nella baita semidistrutta. Chiusa violentemente la porta, il maledetto animale si avventò sulla casetta, addentando, con latrati spaventosi, quà e là la povera baita. Noi, ovviamente, non potevamo far altro che gridare come dei pazzi, allorquando Maurizio (sempre il fotografo) trovò un archibugio, probabilmente vecchio di cent'anni. Gli gridai di mirare all'orrenda bestiaccia, da una finestra, e di fare il tentativo di sparargli una bordata micidiale. Il Maurizio prese la mira e mentre io gridavo "Eccolo! Eccolo!" tuonò una bombardata disumana che lo scagliò di rinculo contro una porta bianca.

Mentre cercavo di prestare soccorso al povero fuciliere, udii i latrati allontanarsi velocemente. Scampata questa serie di pericoli, notammo sulla porta bianca, chiusa, una targhetta con su il numero cinque.

Questa volta non bussammo ed entrammo direttamente scardinando la porta con un robusto piede di porco (o palanchino).

All'interno trovammo, su una comoda sedia a rotelle, il presunto professore, tranquillamente addormentato.

Dopo esserci scambiati un'occhiata senza senso, decidemmo di svegliarlo per iniziare la maledetta intervista.

Bastò un colpettino sulla spalla e il professore si svegliò.

 

Segue l'intervista.

 

Intervistatore:

- Professore buonasera.

 

Professor Camorzio Taleggio:

- Eh? chi è?

 

Intervistat.:

- Siamo venuti per un'intervista.

 

Professor Taleggio:

- Cosa? Che avete detto... gli apripista?

 

Intervist.:

- Come?... apripista?... Ah, no. Intervista, professore. Intervista.

 

Professore:

- Ma voi chi siete? Non sono oculista!

 

Interv.:

- Ma no professore, volevamo sapere quali conclusioni ha tratto dai suoi studi sul genere umano.

 

Prof.:

Io non so nulla sul gene africano...

 

Int.:

... no, Professore, sul GENERE UMANO.

 

P.:

Ah. Genere umano... si ma io non ho fatto abluzioni.

 

I.:

No, non abluzioni, CONCLUSIONI!

 

P.:

Oh, scusi sa ma il mio udito non è più come una volta... ho capito, lei vuole sapere so ho trovato buoni i cannelloni che fa zio Germano...

 

I.:

NO. LE HO CHIESTO QUALI CONCLUSIONI HA TRATTO DAI SUOI STUDI SUL GENERE UMANO!

P.:

Sul genere umano? Quali studi?

 

I.:

... ma... mi hanno detto di venire da lei per la sua esperienza, per ciò che in questi anni ha studiato sui...

 

P.:

... ZZZ... ZZZ...

 

I.:

Professore...

 

P.:

... ZZZ... ZZZ...

 

I.:

PROFESSORE!!

 

P.:

Eh?! ... Ah, si... Colofonia! Mi hai chiamato? E' pronta la minestrina?...

 

I.:

Professore... Professore... sono io... si ricorda di me?... L'intervista... ricorda?

 

P.:

Giovanotto, lei chi è? Chi l'ha fatta entrare?

 

I.:

Sono quello dell'intervista. L'intervista sulle abitudini dell'uomo... ricorda?

 

P.:

Uh, mi scusi, ma appena svegliato non connetto più bene come una volta, sa, l'età...

 

I.:

Lasci stare Professore, veniamo al dunque, mi dica cosa ne pensa delle abitudini dell'uomo.

 

P.:

... ZZZ... ZZZ...

 

I.:

MA DI NUOVO?... PROFESSORE, PROFESSOREEEE!!

 

P.:

AAAAGGHHHH!!!! I TEDESCHI! I TEDESCHI!

 

I.:

COME I TEDESCHI? PROFESSORE, SI CALMI!

 

P.:

Ach thudenberg Gotudrawenstrasse veil...

 

I.:

Professore, ma che dice?

 

P.:

Ah, ma lei parla la mia lingua! Che spavento!

 

I.:

Ma che spavento CHE COSA? ... è pazzo...

 

P.:

Ma giovanotto, lei non era venuto qui per un'intervista? Aspetti... sono già le cinque e un quarto, alle cinque e mezza ho la lezione di aerobica...

 

I.:

Non le ruberò molto tempo. Voglio solo finire questa stramaledetta intervista, ha capito?

 

P.:

Certo, giovanotto. Mi chieda pure ciò che vuole.

 

I.:

Oh, bene. Le ho chiesto ragguagli sulla natura umana.

 

P.:

... ma la coltura del Gana non ha conguagli...

 

I.:

... mghmghmghmgh...

 

P.:

... ZZZ... ZZZ...

 

I.:

Me ne Vado. ME NE VADO! VAFFANCULO!!!

 

P.:

Eh?... Ohu! Chi ha liberato il mulo? Attenti che quello spara calci!

 

I.:

Ma speriamo che te ne prendi uno in faccia, brutto vecchio rincoglionito! Io me ne vado!

 

P.:

Lei chi è, giovanotto? Assomiglia a uno che voleva farmi un'intervista un po' di anni fa... mi pare di ricordare che mi chiedesse qualcosa sulle mie conclusioni al riguardo della natura umana, o qualcosa del genere. Non ricordo bene cosa gli risposi... comunque, sa, io ho studiato molto l'argomento e ormai posso dire di saperne molto... lei mi capisce...

 

I.:

... certo, vada avanti...

 

P.:

Bene, la vedo sinceramente interessato. Ora, sicuramente lei avrà penato non poco per raggiungermi...

 

I.:

Penato non poco? Porcogiuda! Abbiamo viggiato per mari e...

 

P.:

Si, lo so. E questo fa parte del programma.

 

I.:

Quale programma?

 

P.:

Vede caro amico, lei ha fatto un sacco di strada, ha impiegato un sacco di tempo, soldi, passione, vita... per raggiungere l'obiettivo che si era prefissato...

 

I.:

Già...

 

P.:

Poi, quando finalmente è arrivato, si è trovato alle prese con altri imprevisti e come se non bastasse, entrato in questa stanza, ha trovato un "vecchio rincoglionito".

 

I.:

...

 

P.:

Bene. Ora le spiegherò in due parole le conclusioni sul genere umano. Non le è mai capitato di andare a trovare qualche vecchietto che chiede "Chi sei?", lei risponde nome, cognome, parentela eccetera eccetera, il vecchietto allora risponde "Ah si, mi ricordo di te. Come stai?" e lei risponde, inizia un discorso, conversa, e dopo qualche minuto il vecchietto mostra uno sguardo sempre più attento, sino a quando domanda: "Ma tu, chi sei?". Ovviamente lei capisce che il vecchietto non ci sta più con la testa.

 

I.:

E' vero.

 

P.:

Già. Ora, caro amico, lei forse non ha notato che anche nel mondo del lavoro, anche fra colleghi non sclerotici, almeno apparentemente, c'è una stragrande maggioranza di persone che dicono "si, ho capito", poi non hanno capito nulla. O, ciò che è peggio, fanno l'opposto. E non si riesce quasi mai a sapere se lo hanno fatto in buona o cattiva fede perché, vede, quando uno si fa in quattro per raggiungere un obiettivo e arrivando alla fine trova che proprio il pezzo che gli mancava per concludere non combacia, lo smarrimento è totale. E' in questo momento che la persona subisce un colpo fortissimo, non è preparata, e allora crolla. Come se tutta la serie di urti che sino ad allora aveva affrontato, non avessero più valore. E' l'ultimo a dare il colpo di grazia. La persona manda all'inferno tutto fra imprecazioni, intorcinamenti di budella sue e di chi gli vuole bene e gli sta vicino. E lei lo sa com'è mai che dopo ore, giorni, mesi, soldi e lavoro, la persona abbandona tutto per l'ultimo ostacolo?

 

I.:

Beh, perché generalmente è il perno di tutto, è la "chiave di volta": mancando quella, l'arco non sta in piedi e tutto il lavoro è inutile...

 

P.:

No. Non è così. Il fatto è che la gente che lavora con passione cerca di pensare a tutto, a tutti gli imprevisti. Ma non pensa che possa accadere QUESTO imprevisto.

 

I.:

...

 

P.:

Le faccio un esempio. Ci sono due ragazzi che hanno presente l'obiettivo di fare carriera in elettronica. Si mettono in società con un socio-finanziatore che di elettronica non ne capisce un fico. Un bel giorno arriva un amico e aiuta i due a iniziare il primo lavoro della società neonata. Il socio finanziatore viene regolarmente messo al corrente della cosa, ma a lui non glie ne importa molto. Perché ha tante cose da fare e oltretutto, ciò che è peggio, ha la morpia...

 

I.:

La... morpia?...

 

P.:

Non mi interrompa. Allora, succede che i due si danno un gran daffare perché vogliono raggiungere l'obiettivo finale e hanno poco tempo. Alla fine riescono, dopo aver penato non poco, a fare un gran figurone però... però hanno dovuto metterci loro i soldi. Si perché il socio "finanziatore" è indaffaratissimo, introvabile e quindi i due decidono che è meglio metterci i soldi loro e poi si vedrà. A lavoro finito i due sono molto soddisfatti e cercano di mettere al corrente il socio finanziatore in modo da recuperare i soldi che ci hanno messo loro. Sa cosa succede?

 

I.:

...

 

P.:

Beh, succede che il socio famoso sta a sentire il racconto dei due entusiasti. Poi, dopo una breve riflessione chiede "si, ma voi in questi ultimi mesi, nel frattempo, cosa avete fatto?". E' chiaro che i due rimangono di merda. Ma la cosa è naturale. Non avevano pensato che, in tutti gli imprevisti possibili, ci fosse di mezzo la morpia.

 

I.:

... e cos'è?

 

P.:

La morpia è quella raspa che ti lima le cellule. E' un agente che si crea nel cervello delle persone che si mettono a fare un sacco di cose senza nemmeno sapere lontanamente di che cosa si tratti. La morpia si trova in una di quelle persone che non sa nulla di tecnica e quando parla coi tecnici sa tutto lui ma, dato che non è vero, sono inevitabili le figuracce e la morpia aumenta. Sono quelli che quando fanno un preventivo si spremono per "vendere" cose che i tecnici non sanno nemmeno se esistono nella fantascienza e fanno i prezzi che di logico non hanno nemmeno la prima cifra figuriamoci gli zeri! Sono quelli che si alzano alla mattina e sperano di incontrare le persone importanti e di mangiare con i personaggi per raccontare tutto quello che gli frulla per la testa e se un semplice dipendente conosce qualcuno, la morpia si trasforma in invidia. Sono quelli che quando vedono qualcuno "l'hanno già inquadrato" o quando vedono qualcosa "sanno già come funziona" perché loro sanno tutto, conoscono il mondo e sono furbi. In realtà è sempre la morpia che li guida, poverini.

 

I.:

... e allora?...

 

P.:

Vede, caro amico, con tutta quella serie di segnali che le ho descritto poc'anzi, uno che incontra un individuo con la morpia, lo riconosce subito. La morpia è facilmente scopribile, non le pare?

 

I.:

Beh, si.

 

P.:

Ecco, ora il fatto sta nel capire com'è mai che, pur essendo così evidente, moltissime persone si stupiscono; sembra quasi che non abbiano visto in quella persona la morpia. E allora succede che quando arrivano in fondo, dopo tutti gli sforzi, e si trovano faccia a faccia con la morpia, cascano come delle pere cotte. E sa com'è mai?... Perché queste persone sono quelle fortunate che hanno una corazza speciale, forse sin dalla nascita, o forse glie l'ha fatta la famiglia, contro la morpia, ché non si impossessi di loro; sono le persone buone che si trovano dovunque, come lei. Caro amico. E sono quelli che credono, ovviamente, che anche gli altri appartengano alla loro categoria, e quindi quando vedono qualcuno che ha la morpia, quasi quasi non ci vogliono credere, pensano che in fondo una persona magari è buona, comprensiva, e magari ci si può ragionare. Ma non è così. La morpia è un male terribile, prende con i suoi tentacoli tutta la società, la distorce, fa del male ai buoni. E soprattutto agli sfortunati senza la corazza.

 

I.:

Grazie, professore. Mi deve scusare per prima, ma non lo sapevo che lei...

 

P.:

Si ricordi della morpia...

 

I.:

Grazie professore. Arrivederci.

 

P.:

Arrivederci.

 

I.:

.........

 

P.:

Ah... dimenticavo... si guardi anche dai lughi...

 

© Emilio 1993

torna all'HomePage | indietro ai raccontini | La Nave


Creata il: 8 giugno 1997
Data ultima revisione: 12 giugno 1997
CLICK HERE TO VISIT THE WORLD'S TOP 1000 LIST!