Gli amici di Ungaretti

Questa sezione contiene una breve descrizione di alcuni personaggi importanti nella vita del poeta:

 

GUILLAUME APOLLINAIRE

Guillaume Apollinaire è lo pseudonimo del poeta e scrittore francese Wilhelm Apollinaris de Kostrowitzky nato a Roma nel 1880 e morto a Parigi nel 1918. Figlio naturale di una polacca e di un ufficiale pontificio, imparò il francese a scuola (a Monaco, Nizza, Cannes). Intorno ai vent'anni, nelle pause della sua vita vagabonda (percorse, anche a piedi, Baviera, Renania, Boemia, Olanda), scrisse un primo romanzo (perduto) e i primi versi, Rhénanes, nati da una delusione amorosa e inclusi nell'importante raccolta Alcools* (1913). A partire dal 1903 non ci fu a Parigi movimento d'avanguardia di cui non fosse protagonista. In arte si fece acceso sostenitore di una pittura “concettuale”, che prese il nome di “cubismo”; in poesia, di una totale libertà formale e di nuovi contenuti, frutto di una profonda indagine nell'inconscio. A. gettava insomma le basi teoriche della poesia moderna. In tal senso funge da manifesto La jolie rousse di Calligrammes (1918; Calligrammi*), che è la sua seconda grande raccolta. Non meno interessanti appaiono le prose poetiche dell'Enchanteur pourrissant (1909; Il mago putrescente), le bizzarre novelle dell'Hérésiarque et Cie (1910; L'eresiarca e compagnia), il saggio sulla Poésie symboliste (1909) e Méditations esthétiques. Les peintres cubistes (Meditazioni estetiche. I pittori cubisti), del 1913, anno in cui aderì al futurismo di Marinetti. Allo scoppio della guerra, A. si arruolò volontario, guadagnandosi al fronte il grado di sous-lieutenant, ma riportò una ferita al capo, in seguito alla quale subì due trapanazioni al cranio. In guerra scrisse le poesie di Case d'Armons (La capanna di Armons) e, di nuovo a Parigi, le novelle rabelaisiane del Poète assassiné (1916), il dramma grottesco Les mamelles de Tirésias (1917; Le mammelle di Tiresia*), che egli chiamò, per primo, “surrealista”. Morì di spagnola poco dopo la pubblicazione di Calligrammes e del Flâneur des deux rives (Il vagabondo delle due rive). Postumi, furono pubblicati La femme assise (1920; La donna seduta), la raccolta poetica Ombre de mon amour (1947; Ombra del mio amore), Lettres à sa marraine (1955; Lettere alla madrina), le lettere di Tendre comme le souvenir (1956; Tenero come il ricordo) e Les diables amoureux (1965; I diavoli innamorati), prefazioni e note per la Bibliothèque des curieux (Biblioteca dei curiosi) e per il Catalogue de l'Enfer (Catalogo dell'Inferno) della Bibliothèque Nationale di Parigi. Figura ormai mitica della poesia del Novecento francese, A. riunisce in sé il fascino dell'innovatore e del grande poeta romantico e popolare, dall'ispirazione sincera e suggestiva, nella tradizione che va da Villon a Verlaine. A. svolse anche attività di critico d'arte, affiancando, con conferenze e articoli, poi raccolti in volume (il già citato Les peintres cubistes, 1913; Chroniques d'art, 1902-1918, 1960), l'opera d'avanguardia dei suoi amici pittori, dai fauves a Picasso e Braque, da Delaunay ai “futuristi”, a Picabia e De Chirico.

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WILLIAM BLAKE

William Blake è un poeta, un incisore e un pittore inglese nato a Londra 1757 e morto nel 1827. Spirito ribelle, inquieto, visionario, è il più immediato precursore del romanticismo inglese. Subì l'influsso dello svedese E. Swedenborg e del tedesco J. Boehme, dai quali mutuò la concezione di una mistica corrispondenza tra il cosmo e l'uomo. Anche la Bibbia, nella traduzione di Lowth (1778), in prosa ritmica, ebbe un profondo influsso su B., in particolare sul suo stile. Nella sua prima opera, i Poetical Sketches (1783; Schizzi poetici), già si rivela una musa personale nel tono, fresco e gioioso, e nelle innovazioni metriche e tematiche. La libertà della prosodia si accompagna nei Songs of Innocence (1789; Canti dell'innocenza) a un'ineguagliata felicità poetica. A queste liriche si affiancano, contrastando per l'atmosfera cupa, greve di mistero e di senso del male, i Songs of Experience (1794; Canti dell'esperienza) che sono anche espressione di ribellione contro le leggi morali. Fra gli uni e gli altri Songs, a rivelare il mutamento che maturava nella visione del poeta, si registra Marriage of Heaven and Hell (1790; Matrimonio del Cielo e dell'Inferno), operetta in prosa, nella quale B. si sforza di trovare una sintesi armonica tra le antinomie della vita. Il poeta manifestò la propria simpatia per le rivoluzioni americana e francese, scrivendo le due “profezie” America (1793) e Europe (1794), sotto l'influsso di Dipinto di BlakePaine, Godwin e la Wollstonecraft; rivoluzioni che celebrò perché gli apparivano come episodi di cosmici sconvolgimenti che avrebbero condotto al trionfo finale della libertà e delle aspirazioni individuali. A queste opere seguirono i “libri profetici” The Book of Urizen (1794), The Book of Ahania (1795), The Book of Los (1795), Milton (1804), Jerusalem (1804): in essi si sprigionano le intuizioni morali e le visioni di Blake. Con The Four Zoas (1795-1804; I quattro Zoa) B., che aveva attribuito alle forze solitarie dell'uomo la capacità di liberarsi dalla tirannia della ragione e della legge morale, ritornò a vedere l'opera di Dio e di Satana interferire con le azioni degli uomini. La poesia di B. trovò i suoi primi ammiratori nei preraffaelliti e ha esercitato un influsso reale sulla letteratura letteratura del Novecento: su W. B. Yeats, D. Thomas, J. Joyce, A. Gide, G. Ungaretti e A. Ginsberg. Come artista, compì l'apprendistato di incisore presso J. Basire, poi continuò a studiare all'Accademia Reale, dove conobbe J. H. Mortimer e H. Füssli, le cui opere costituiscono il precedente del lato fantastico e visionario della sua arte. Ammiratore dell'arte gotica, B. ebbe vivo il culto di Michelangelo. Nel 1784 aprì una calcografia dove non solo stampava, ma illustrava opere proprie e altrui. Famose sono le illustrazioni all'acquerello per la Divina Commedia (Londra, Tate Gallery). Sono inoltre da ricordare, oltre al quadro I pellegrini di Canterbury (1809); le illustrazioni al Libro di Giobbe e ai Pensieri notturni di Young.

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GIOVANNI PAPINI

Giovanni Papini è un poeta, un narratore e un saggista italiano nato a Firenze nel 1881 e morto nel 1956. Giovanissimo, diede vita ad alcuni periodici con E. Allodoli (La Rivista, Sapientia, Il Giglio in cui appare evidente la sua abilità critica. Risale a quei primi anni l'amicizia di P. con G. Prezzolini, col quale nel 1903 fondò il Leonardo, con lo scopo di combattere l'accademismo e l'immobilismo della cultura ufficiale. La prima prova di narratore P. la diede coi due volumi di “racconti metafisici” Tragico quotidiano (1906) e Il pilota cieco (1907). Del 1912 è Un uomo finito, forse il suo capolavoro, in cui è racchiusa tutta una tematica di ribellioni e di dissidi «fra la grandezza dei propositi e la misura sempre più ridotta dei risultati» (C. Bo). In quel periodo, la produzione di P. divenne ricchissima: oltre a saggi sul pragmatismo, scrisse i racconti di Parole e sangue (1912) e di L'altra metà (1912); fondò con G. Amendola L'Anima, lasciò La Voce e fondò con Soffici Lacerba (1913), che divenne l'organo del futurismo italiano; pubblicò Cento pagine di poesia (1915) e le Stroncature (1916). Dopo la guerra, dalla quale fu esonerato a causa della forte miopia, si accostò al cattolicesimo e manifestò clamorosamente la sua conversione con la Storia di Cristo (1921), un libro di violenta polemica contro il materialismo contemporaneo, che ebbe grande successo in tutto il mondo. Seguirono il Dizionario dell'omo salvatico (1923) in collaborazione collaborazione con D. Giuliotti, i versi di Pane e vino (1926), Sant'Agostino (1929), le prose di Gog (1931), Dante vivo (1933). Dal 1935 P. mostrò chiaramente di accettare gli ideali del fascismo, un ritorno all'ordine che gli procurò la cattedra di letteratura italiana all'Università di Bologna, la nomina ad accademico d'Italia e la possibilità di creare l'Istituto di studi sul Rinascimento. Per queste e altre più compromettenti manifestazioni, alla fine del conflitto la fortuna di P. sembrò definitivamente tramontata, se non che nel 1946 con le Lettere di Celestino VI, nel 1949 con la Vita di Michelangiolo nella vita del suo tempo e poi con Il diavolo (1953) P. tornò improvvisamente alla ribalta, destando scalpore e interesse. Colpito da paralisi progressiva, continuò a lavorare, dettando alla nipote Anna forse le pagine migliori di tutta la sua vastissima produzione: le “schegge” apparse sul Corriere della Sera, poi riunite in La spia del mondo (1955) e La felicità dell'infelice (1956), e nel volume Le schegge (1971); pubblicati sempre postumi, Ilgiudizio universale (1957), La seconda nascita (1958), Diario (1962), Rapporto sugli uomini (1977).

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ENRICO PEA

Enrico Pea è uno scrittore italiano nato a Seravezza, Lucca, nel 1881 e morto a Forte dei Marmi nel 1958. Orfano di padre, visse un'infanzia di stenti. Imbarcatosi come mozzo, si stabilì ad Alessandria d'Egitto, dove fondò la “Baracca rossa” e dove conobbe Ungaretti, che esercitò un influsso decisivo sulla sua formazione letteraria. Ritornato in Italia, si stabilì a Viareggio, dove si dedicò a un'intensa attività di impresario teatrale. Le prime opere di P. (Fole, 1909; Montignoso, 1912; Lo spaventacchio, 1914), trasposizione lirica di vicende autobiografiche, conservano la grazia acerba delle pitture popolaresche, raggiungendo il miglior risultato con Moscardino (1922), rievocazione, in uno stile estroso, della sua infanzia e dell'iniziazione alla vita a opera del nonno, figura di patriarcale saggezza mista a sanguigna violenza, tra le più vive della narrativa contemporanea. Anche il romanzo successivo, Il volto santo (1924) ha come sfondo una Versilia primitiva, mentre nel Servitore del diavolo (1931) è rievocata l'esperienza movimentata dello scrittore in Egitto. La lirica esplosività di queste opere si attenua nello stile più pacato dei romanzi successivi (La figlioccia, 1931; Il forestiero, 1937; La maremmana, 1938), mentre diseguale è la restante produzione di P., che pur ha avuto esiti felici con i racconti de Il trenino dei sassi (1940), con le poesie di Arie bifolchine (1943) e con le memorie di Vita in Egitto (1949). Tra le sue ultime opere: Lisetta (1946), Malaria di guerra (1947), Zitina (1949), Peccati in piazza (1956).

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GIUSEPPE PREZZOLINI

Giuseppe Prezzolini è un critico, un saggista e un giornalista italiano nato a Perugia nel 1882 e morto a Lugano nel 1982. Autodidatta, attento ai più diversi richiami culturali e ideologici, si avvicinò a Parigi alla filosofia di Bergson e al pragmatismo. Nel 1903 fondò con G. Papini il Leonardo*, sul quale con lo pseudonimo di “Giuliano il Sofista” firmò fino al 1907 articoli di impronta bergsoniana. Nel 1906 pubblicò assieme a Papini il volume violentemente polemico La cultura italiana; al 1908 risale la sua adesione alla filosofia crociana e la fondazione de La Voce*, che P. diresse fino al 1914. Interventista allo scoppio della I guerra mondiale, ufficiale al fronte, aderì poi al fascismo. Nel 1931 si trasferì a New York dove diresse la Casa italiana della Columbia University. Della sua vasta opera improntata a evidente conservatorismo, si ricordano i volumi: Repertorio bibliografico della storia e della critica della letteratura italiana dal 1902 al 1948 (1936-48), America in pantofole (1950), L'italiano inutile (1953), America con gli stivali (1954), L'Italia finisce, ecco quel che resta (1958), Dal mio terrazzo (1960), Quattro scoperte: Croce, Papini, Mussolini, Amendola (1963), Dio è un rischio (1969), Manifesto dei conservatori (1972), Diario 1900-1941 (1978), Diario 1942-1968 (1980).

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ARDENGO SOFFICI

Ardengo Sòffici è un pittore, un incisore e uno scrittore italiano nato a Rignano sull'Arno nel 1879 e morto a Vittoria Apuana, Forte dei Marmi, nel 1964. Dopo aver frequentato i corsi della Scuola libera di nudo all'Accademia di Firenze, si trasferì a Parigi (1899-1907), dove fu a contatto con gli ambienti letterari e artistici traendone interessanti e feconde esperienze per il suo futuro di pittore e di scrittore. Tornato a Firenze, prese parte al movimento vociano e poi a quello futurista, di cui figurò tra i più vivaci sostenitori sia come saggista sia come pittore, e fondò (1913) con Papini Lacerba. L'esperienza futurista, tuttavia, si concluse per S. già nel 1914, quando ripiegò su una pittura sensibile sia alla tradizione macchiaiola sia all'influenza dell'impressionismo. Successivamente, dopo il 1920, ripiegatosi su una concezione autoritaria in politica, la sua pittura divenne vivace espressione della cultura figurativa italiana quale andò configurandosi prima con Valori Plastici e poi con il Novecento. Al recupero di caratteri della tradizione del Quattrocento toscano, rivissuti da S. con senso plastico e spaziale moderno in tanti superbi paesaggi della Versilia, succedette poi una pittura inaridita nello stile e svuotata della vitalità intima del colore. In campo letterario, il gusto del frammento, di derivazione impressionistica e di contenuto autobiografico, caratterizza la sua prosa lirica e memorialistica, giocata sul filo di notazioni fulminee e incisive e ricca di momenti di felicità ariosa, anche se lontana dalla profondità morale di altri vociani (Ignoto toscano, 1909; Arlecchino, 1914; Giornale di bordo, 1915; Kobilek, 1918; La ritirata del Friuli, 1919).
Letteratura: le opere
L'opera critica di S., nella sua fase avanguardistica (A. Rimbaud, 1911; Scoperte e massacri, 1919; Statue e fantocci, 1919; Primi principi di un'estetica futurista, 1920) è contrassegnata da un vivace impegno per sbarazzare il campo dei vecchi valori, ma anche dal tentativo di razionalizzare il fatto creativo. Rispecchiando questa ambivalenza di posizioni, l'opera in versi di S. oscilla dall'audace sperimentalismo dei Chimismi lirici (1915) all'accademismo dell'Elegia dell'Ambra (1927) e di Marsia e Apollo (1938); sul piano narrativo, il tentativo di trasposizione in romanzo degli spunti autobiografici, Lemmonio Boreo (1912), approda a una soluzione rozza e provinciale della crisi degli intellettuali, prefigurando il vitalismo becero del primo fascismo squadristico. Il movente autobiografico, che è alla radice di tutta l'opera di S., predomina nettamente nell'Autoritratto di un artista italiano nel quadro del suo tempo (4 vol., 1951-55). Della sua opera critica si ricordano ancora Il caso Rosso e l'impressionismo (1909), Cubismo e Futurismo (1914), Giovanni Fattori (1921), Armando Spadini (1926), Ugo (1934), Trenta artisti moderni italiani e stranieri (1950).

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