Con questa veduta Firenze conferma il suo ruolo
di primo piano nella storia dell'iconografia urbana europea. Si tratta
del secondo prototipo attraverso cui la sua immagine si diffonde, prima
in Italia poi all'estero; l'autore è il monaco olivetano Stefano
Bonsignori, al quale, cartografo e cosmografo di Francesco I e Ferdinando
I, si deve anche una serie di carte della Toscana, mentre l'incisore
è Bonaventura Billocardo, orefice fiorentino. Il titolo Nova
pulcherrimae civitatis Florentiae topographia accuratissime delineata
si trova in alto, al centro; sempre in alto, a sinistra, è la
rosa dei venti, con al di sotto una colonna di richiami riguardanti
la fortezza da Basso; a destra è collocato lo stemma mediceo,
con sotto una ricca cornice all'interno della quale si legge la seguente
dedica in 8 righe: "Al Ser.mo Gran Duca Francesco Medici Io ho
con molta diligenza descritta in disegno Fiorenza Città degna
per la bellezza e per la magnificenza sua d'esser ueduta da tutti gli
huomini e la mando a V. A. accioche in una uista rimirandola si compiaccia
d'esser Principe e Re di città tanto nobile e illustre che celebrarla
è superfluo; et s'allegri di riuedere in lei gli ornamenti fatti
V. A., dal padre uostro e da uostri maggiori, amandola come benefattore
e padre, che Dio sempre la feliciti Sono di V. A. Don Stefano monaco
montolivetano". Nell'angolo inferiore destro si trova un'altra
cornice con la legenda dei Luoghi notabili con 225 richiami in 5 colonne,
al di sotto della quale vi è un'annotazione in 4 righe riguardante
gli ospedali non compresi nel suddetto elenco; ancora al di sotto la
scritta D. Stefani formis e poco più a sinistra Bona.ra Billocardus
orifex fecit Flor. 1584. In basso, all'altezza di porta Romana, è
ritratto un monaco con in mano un compasso o una groma; poco più
a sinista, il simbolo dell'Ordine Olivetano, costituito da tre monti
a piramide con sopra la croce con due rami di ulivo, al sinistro dei
quali sono appese una S e una B intrecciate.
La veduta conserva il punto di vista a sud-ovest della tradizione iconografica
fiorentina, innalzandolo però lungo la verticale in modo da ottenere
una rappresentazione assonometrica della città, integrata da
una serie di correzioni prospettiche; in realtà, è più
giusto considerare l'immagine un rilievo topografico completato dagli
alzati assonometrici degli edifici, le cui proporzioni vengono forzate
in modo da non superare le delimitazioni degli isolati e rendere visibili
le caratteristiche morfologiche del sito e la struttura viaria, alla
quale viene attribuita la stessa importanza del costruito coerentemente
alla concezione della città cinquecentesca come dinamica di percorsi.
Ogni area della città viene presentata all'occhio dell'osservatore
in pari condizioni di visibilità e il passaggio da un sistema
di rappresentazione all'altra viene nascosto grazie alla gradualità
del cambiamento e alla maniera omogenea di definire l'edificato. Grazie
all'accurato lavoro di rilievo preliminare, nell'immagine è possibile
definire con la stessa grande accuratezza e in modo particolareggiato
architettura, ambiente e paesaggio.
Nonostante la scientificità della restituzione grafica, l'autore
comunque non rinuncia a sottolineare il valore simbolico di alcuni edifici
e luoghi urbani, evidenziati grazie a fuori scala o visioni frontali
non fruibili dal punto di vista prescelto, come nel caso del Duomo,
la cui visione assonometrica viene alterata, anche dimensionalmente,
per permetterne una visione globale. In particolare è evidente
l'intento celebrativo della realtà politica fiorentina, che aveva
attuato un preciso programma di riconfigurazione dell'immagine della
città volto ad esaltare la grandezza dello Stato e della casa
regnante; questo si era realizzato non attraverso profonde modifiche
della struttura urbana peraltro ormai consolidata, ma tramite la collocazione
di monumenti celebrativi nei nodi viari principali e la scelta di assi
preferenziali, già legati direttamente o indirettamente ai Medici,
per la costruzione dei nuovi palazzi di corte e dei funzionari di Stato.
Vengono dunque sottolineati nell'immagine gli edifici laici realizzati
nel periodo, e cioè le logge del mercato Nuovo e del Pesce, il
ponte S. Trinità, gli Uffizi, Palazzo Pitti e gli altri palazzi
granducali, i palazzi dei Grifoni, dei Montauto, degli Sforza Almeni,
dei Ramirez di Montalvo, tutti funzionari di corte, e le colonne dell'Ammannati,
compresa quella, sormontata dal busto di Cosimo I e in realtà
mai eretta, di Piazza S. Marco.
Nell'area di qua d'Arno è perfettamente riconoscibile la griglia
del castrum romano, dai lotti ormai saturi per il processo di aggregazione
e stratificazione del costruito iniziato nell'alto medioevo; altrettanto
evidenti sono il percorso del circuito successivo, orientato diversamente
rispetto al precedente, e i principali assi viari che da questo conducono
fino alle porte dell'ultima murazione, Borgo Ognissanti e via Palazzuolo
a ovest, via Valfonda, via S. Gallo e Borgo Pinti a nord, Borgo la Croce
a ovest. Lungo queste direttrici il tessuto si presenta compatto, con
una forte presenza di complessi conventuali, collocati spesso anche
nelle zone tra asse e asse, ancora ricche di spazi liberi; aree residenziali
a scacchiera di impianto medioevale sono rappresentate a nord di S.
Croce e a ovest di S. Marco, mentre presso il Prato e via dei Servi
si riconoscono delle abitazioni popolari seriali cinquecentesche. Evidente
risulta poi il ruolo fondamentale per la città, anche da un punto
di vista simbolico, dei grandi complessi religiosi, dal complesso Duomo-Battistero
campanile a S. Maria Novella, da quello S. Marco-SS. Annunziata a S.
Croce, e degli edifici civili, rivisitati attraverso l'ottica dall'autocelebrazione
granducale; la parte occidentale della città è dominata
dalla fortezza da Basso. Oltrarno risulta evidente il ruolo delle direttrici
di Borgo S. Frediano, via dei Serragli, via Romana e via Maggio, e dei
due poli religiosi del Carmine e di S. Spirito, posti internamente rispetto
agli assi viari principali; su tutto, Palazzo Pitti, con annesso il
giardino di Boboli nella configurazione precedente all'ampliamento lungo
l'asse est-ovest del "Viottolone".
Notevole per accuratezza e varietà è il disegno delle
aree verdi e dei campi coltivati, interni ed esterni alla città;
vengono rappresentati, racchiusi in aree differentemente recintate,
le diverse colture e alberature presenti nell'area, giardini di varie
dimensioni e forme e costruzioni rurali, descrivendo così la
zona come prospera e piena di vita, sebbene manchino personaggi ad animarla.
In generale tutta l'immagine è caratterizzata da quantità,
esattezza e qualità in tutti gli elementi raffigurati, tanto
da poter essere considerata un documento di eccezionale valore; in particolare,
per quanto riguarda l'edificato, si definisce la forma architettonica
fin nei dettagli, specialmente nel caso di edifici di prestigio, e la
si arricchisce grazie ad un accorto uso delle ombreggiature.
Nel 1594 appare una nuova stampa dell'immagine, fatta eseguire dal libraio
senese Girolamo Franceschi; rispetto all'originale vengono aggiunti
la fortezza del Belvedere, che si andava realizzando in quegli anni
su progetto del Buontalenti; il ghetto degli ebrei, costruito vicino
il mercato vecchio; il "cavallo", ossia la statua di Cosimo
I del Gianbologna posta nel 1592 in piazza del Granduca. Viene inoltre
soppressa la dedica a Francesco I; al suo posto, una formula elegante.
Il nuovo modo di raffigurare la città si diffonde ben presto
in Italia, tanto che l'immagine del Bonsignori viene presto reincisa
dal Florimi e presa a modello nelle rappresentazioni della città
comprese nel Theatrum urbium italicarum di P. Bertelli, Venezia 1599,
nell'Heroico splendore delle città del mondo. Libro primo di
G. Lauro, Roma 1639 e nei Ritratti delle più famose et principali
città d'Italia di I. Marcucci, Roma 1615. In Europa invece tarda
ad affermarsi, tant'è vero che il Merian nel 1638 ancora si rifà
alla versione ribassata della "Catena" delle Civitates; dalla
metà del XVII secolo comunque trova piena diffusione, cosa comprovata
dalle immagini contenute nelle Illustriorum Italiae Urbium Tabulae,
cum Appendice Celebriorum In Maris Mediterranei, di J. Jansson, Amsterdam
1657, nel Theatrum praecipuarum titius Europae urbium tam ichnographici
quam conspicui delineatarum, di F. de Wit, Amsterdam 1689, e nel Nouveau
theatre d'Italie, di P. Mortier, Amsterdam 1704, nel quale è
contenuto un'esemplare della metà del Seicento inciso da J. Blaeu.