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LE OMBRE DELLA SARDEGNA

Alcune opere che appartengono a collezioni private

 

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    Come tanti, tantissimi pittori agli inizi della loro attività, come tutti i pittori durante i primi anni di lavoro, dei primi entusiasmi e dei primi non facili risultati da ottenere, anche Francesco Masia, sassarese, geometra, autodidatta, allora avrà dipinto viottoli e portali della campagna sassarese, cesti di frutta e fiori, lembi di mare e spiagge deserte e assolate, colline e bianche case di campagna, alberi e cespugli, cieli tinti di azzurro e nuvole di cotone. Sogni. Avrà dipinto con colori ad olio, più pastoso e grumoso di altri materiali, più plastico e lucente di altri pigmenti, più tardivo ed indisponente nell'essiccarsi ma generoso nel regalare più tempo a ritoccare una foglia, un petalo di un fiore, a rendere più vivo il brillio di luce di una pupilla, ad addolcire il profilo nel ritratto di un amico d'infanzia, a rendere più tenera e morbida l'ombra azzurrina sulla guancia e sul collo di una fanciulla.


    Spontaneità creativa, gratificata in quel tempo dall'affettuoso giudizio degli amici, dei parenti, dal benevolo incoraggiamento di qualche estimatore.Una creatività indifesa, facile a smarrirsi, non sorretta dall'ala protettiva del maestro, dal conforto culturale e tecnico della scuola, della bottega. Una creatività messa in opera di tempo in tempo, quando la professione concede piccoli segmenti di giornata. Più faticoso a districarsi dal groviglio di difficoltà tecniche, di dubbi sul taglio compositivo del quadro, di ripensamenti sulla scelta del tema e della tavolozza. Dello stile.

    Lo stile di Francesco Masia, ora, dopo numerosi anni di lavoro, di riconoscimenti, anche di premi, rimanda sovente a una visione dove lo spazio dipinto è scandito in ritmi misurati di superfici e di equilibri quasi simmetrici. La ricerca stessa della composizione è pensata, calcolata, offerta mediante ricorrenti variazioni che sembrano appagare l'artista nella costante riproposta, modulare, quasi stereotipa e ripetitiva collocazione delle figure nell'ambiente prospettico. Qua, nell'aria, laceranti segmenti di luce graffiano e separano superfici che nel colore perdono ogni concetto di contiguità. Là, improvvise, abbaglianti accensioni di lampo e fasci di luce piovono svelando la scena, gli attori, gli eroi. Ombre. Misteriose presenze che nel loro divenire di immagine (uomo o cavallo o figura di donna) fanno a meno della connotazione che, nel contesto di un fare pittorico più realistico, le avrebbe distinte l'una dall'altra, le avrebbe differenziate, separate, catalogate, schedate. Immagini dipinte che vivono sulle tele di Francesco Masia una specie di identica esistenza fisionomica, dove il volto, gli occhi, le mani sono annullati, incorporati, assorbiti dentro la presenza e l'ombra di cui essi stessi fanno parte. Macchie di materia scura che verticalmente si estendono divenendo massa schiacciata senza volume, sembianza piallata, profilo compatto e chiuso campito e sospeso nella griglia dello spazio rappresentato. Immagini senza volto. Identiche, l'una all'altra, segrete vicende. Dove la indiscriminata, martellante eguaglianza iconografica nelle opere di questo pittore apre la strada nella nostra mente a concetti inquietanti. Nello spirito a emozioni sofferenti.

    Non più gli azzurri dei cieli nè i blu lontani del mare. Non più i bianchi dorati delle spiagge e delle dune di sabbia, nè i gialli delle colline e i verdi dei prati, o il rosso spento delle tegole dei casolari. Nè il bruno degli orti o l'ombra nei viottoli dipinti un tempo. Ora il colore di Francesco Masia è come asserragliato nello spazio dipinto, in riquadri distinti che si identificano in altri riquadri loro accanto o lontani. Porzioni di spazio e di colore identiche ad altre porzioni di spazio e di colore. Spazio dentro altro spazio. Scomposizione dello spazio attraverso sfaccettature geometriche irregolari. Schermature e maglie che incastonano le immagini. Ombrosità inquietante delle figure dentro durezze cromatiche di cristallo e risonanze metalliche del colore. Piccoli gruppi separati, ombre di persone, di gente, piccole elementari molecole di folla umana assemblata, rappresa dentro l'inesorabile rapidità essiccativa del colore acrilico, sorpresa dal pittore sulla piazza del Sagrato o della chiesetta di campagna nell'ora dell'aurora che sorge, alla fine della "prima messa", o dopo quella bagnata di crepuscolo dell'Angelus. Se non, alla fine dell'orazione funebre per una vittima delle infinite faide. Reminiscenze letterarie o di cronaca? O, semmai, denuncia? Presenze dipinte che ribaltano dentro se stesse la loro stessa inquietudine, che non svelano alla platea la tensione, che nascondono a chi guarda il quadro il senso del dolore del dramma. Neppure là dove la scena è meno statica. Neppure là dove lo spazio sembra animarsi, farsi più vivo, agitarsi nella corsa sfrenata di un'ardia durante una sagra, dove il volto dei cavalieri è chiuso all'espressione dell'ardore e del coraggio, dell'ansia della vittoria.

    Durezza e rigore geometrico, dunque, nelle opere di Francesco Masia, proprio là dove le risonanze metalliche si fanno più fredde e metalliche, e la luce è scomposta in bagliori misurati di azzurro di cielo o di grigi di nebbia. E le ombre delle figure, che sono ombre esse stesse, prospetticamente si allungano in avanti levando di tono il mistero che sembra coprire e difendere il loro segreto. Atmosfere e immagini che nelle opere più recenti sembrano infiammarsi di bagliori rossi di fuoco, la tavolozza farsi più calda, più accesa, le scansioni di spazio più elastiche e morbide, meno rigide. La composizione più dinamica la pennellata rapida, più distesa. E l'atto interpretativo, pur nella continuità del tema medesimo, sembra divenire più estroverso, meno misurato, meno pensato. E più forte, più elevato e intenso, nel colore e negli intenti narrativi, il sentimento dell'artista.

                                                                                                    Prof. Antonio Debidda

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