Nelle
carceri circondariali di Torino, le Vallette, un carcerato su tre non
è di lingua madre italiana e non è cittadino italiano. In carceri di provincia
del Piemonte ci si avvicina anche a due stranieri su tre.
Si può argomentare variamente su questo dato. Si può dire che è in atto
la costruzione e la criminalizzazione dello straniero. Si può dire che
gli stranieri, o alcuni tipi di straniero, sono più violenti o irregolari
della media. Certo che il carcere sia il luogo di massima concentrazione
degli stranieri non è un fatto che si possa ignorare, se non altro perché
la differenza linguistica e il vuoto di prospettive distrugge interamente
le già scarse potenzialità costruttive del difficile rapporto tra sorveglianti
e sorvegliati e aggiunge un elemento in più alla negatività della istituzione
totale.
Ci sono però cose che non si possono dire. Non si può dedurre dalla percentuale
dei carcerati la percentuale dei reati commessi da stranieri, perché per
gli stranieri la probabilità di finire in galera e di restarci è molto
più alta che per i cittadini italiani. Non si può confrontare la percentuali
dei reati commessi da stranieri con quella della intera popolazione italiana.
Infatti, anche senza tener conto della possibilità di deformazioni nel
processo, bisogna ricordare che delinquono soprattutto i giovani maschi
e che quindi il confronto va fatto per sesso e classe di età. È possibile
però che, anche facendo il confronto correttamente, per la prima volta
dall'Ottocento in poi, la percentuale di reati degli stranieri sia più
alta di quella dei cittadini, non solo in Italia ma in Europa e negli
Stati Uniti. È possibile che la fine della industrializzazione porti a
un cambiamento della composizione dei flussi migratori e alla creazione
di vere e proprie catene migratorie criminali, distinte da quelle di lavoro.
In sostanza la stessa divisione della criminalità per passaporto nasconde
il fenomeno invece di metterlo in luce.
Ci sono filoni di immigrazione per servizi in cui nessuno delinque. Ci
sono filoni di malavita in cui il traffico illegale è il fine stesso della
immigrazione o in cui il vantaggio dell'essere in Italia consiste nella
maggiore ricchezza e nel minor rischio di farsi ammazzare dalla polizia.
Ma ci sono filoni, anche da paesi con pessima immagine, di lavoratori
alla vecchia maniera, di migranti senza terra e senza diritti, disposti
a fare tutto per quasi nulla, disposti a dormire dove capita, a stare
al freddo, a rischiare la salute e la vita, come i nostri emigranti una
volta. I migranti non rischiano la vita solo sul lavoro. I morti ammazzati
di una città relativamente poco violenta come Torino sono per metà migranti,
perché quelli frequentati dai migranti sono ambienti a rischio, perché
gli irregolari si muovono in un mondo senza leggi e senza contratti in
cui vale solo la forza, perché le prostitute ogni tanto vengono ammazzate
da clienti matti, dagli sfruttatori propri e da quelli della concorrenza.
Quando si parla di insicurezza nelle città bisognerebbe ricordare che
i soggetti più a rischio sono i migranti. Più delle vecchiette, cui pure
è giusto pensare. Inoltre bisogna ricordare che qualche volta onesti lavoratori
o giovanotti un po' sregolati finiscono confusi per somiglianza di aspetto,
di comportamento, di lingua e per contiguità di residenza, con le reti
di malavita. Per gli stranieri la zona grigia dei carcerati non criminali,
di quelli che hanno combinato poco o nulla, è particolarmente ampia. Ed
è particolarmente grande il rischio che sia proprio il carcere a immetterli
nella criminalità come professione. Il patteggiamento - istituto non molto
usato dai cittadini italiani, non in custodia cautelare, difesi bene -
è invece usatissimo dagli stranieri, che qualche volta non si rendono
neppure pienamente conto del significato di ciò che fanno e pensano ad
uscire. Il processo del resto non è tradotto. L'interprete traduce per
l'imputato o il testimone le domande del giudice e per il giudice le risposte
dell'imputato o del testimone, ma non traduce gli avvocati o il pubblico
ministero o il giudice quando non si rivolge specificamente all'imputato.
L'interprete, se ha la competenza giuridica per capirlo, è l'unico che
capisce tutto il processo. Lo straniero arrestato non ha accesso agli
arresti domiciliari perché non ha una residenza e un ambiente stabili.
Per lo straniero il rischio di fuga viene ritenuto ovvio. Non deve abbandonare
la casa, la famiglia, la patria. Lo straniero deve solo andarsene; e si
presume che lo faccia. Lo straniero in carcere non ha accesso alle pene
alternative e non usa della maggior parte dei servizi e dei diritti disponibili.
Non usa lo spaccio perché in genere non ha soldi; non riceve visite perché
non ha una famiglia completa, o parenti, o amici regolari (gli irregolari,
ovviamente, non possono entrare in carcere perché, in mancanza di permesso
di soggiorno, dovrebbero essere espulsi), non ha numeri di telefono controllabili.
Lo straniero in carcere non capisce bene le istruzioni e i comandi, non
ha servizi religiosi o feste comandate, con rare eccezioni. La formazione
per il lavoro è più difficile e senza sbocco. Infatti nella maggior parte
dei casi, alla fine della pena lo straniero, che in carcere ha un permesso
di soggiorno per motivi di giustizia, anche se è irregolare o totalmente
sprovvisto di documenti, si trova senza permesso e viene espulso. Non
nel senso che venga fisicamente accompagnato alla frontiera, ma semplicemente
rientra nel limbo della irregolarità. Perciò non avrà accesso a lavori
regolari qualificati.
Un corso di insegnamento dell'italiano come seconda lingua alle Vallette,
tenuto dai maestri della scuola Parini, che hanno elaborato un modulo
flessibile per adulti, adeguato all'età, alla maturità e ai vari livelli
possibili di competenza, ha cambiato radicalmente i comportamenti e la
situazione di alcuni stranieri particolarmente intrattabili. Semplicemente
ha dato un senso alle loro giornate. I rapporti con gli immigrati non
stanno andando bene.
I conflitti crescono, la comunicazione non è sufficientemente approfondita,
la multiculturalità resta una parola ambigua.
Un teologo a Bologna va nelle carceri a leggere Platone (a chi ha voglia,
naturalmente). Anche ristabilire la comunicazione con chi ha violato le
leggi è un modo di tenere in piedi il mondo.
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