ALBANESI
VS MACEDONI.
Il mito della "Macedonia oasi di pace", definizione
cara agli uomini di stato macedoni, è stato messo in crisi dagli
eventi degli ultimi mesi.
Le autorità di Skopje hanno tentato di circoscrivere i danni sul
fronte politico interno addossando le responsabilità dei fatti
a gruppi estremistici (terroristi) provenienti da oltre confine. Il tentativo
è quello di scongiurare il coinvolgimento di massa della minoranza
albanese autoctona che significherebbe guerra civile, ma anche totale
delegittimazione di una classe politica e affaristica albanese che partecipa
da anni al governo del paese. Secondo il giornalista albanese-macedone,
Kim Mehmeti, "negli ultimi dieci anni la Macedonia non è riuscita
a risolvere alcuni problemi cruciali nella sfera delle relazioni interetniche,
fatte sempre tornare indietro alla posizione di partenza a ogni elezione
parlamentare o locale [
] Per dieci anni le élite politiche
di questo paese hanno utilizzato le relazioni interetniche come il migliore
articolo di mercanteggiamento al fine di guadagnare o perdere punti politici,
dimenticando che il tempo a disposizione della Macedonia era sempre meno
e che stava arrivando il momento in cui lo spazio per le manipolazioni
si sarebbe fatto molto stretto". Le ragioni del conflitto, aggiunge
Mehmeti, sono ben più vecchie del giovane stato macedone che ha
la colpa di aver lasciato che le relazioni tra i due principali gruppi
etnici del paese si strutturassero come un continuo tiro alla fune, in
cui ciascun gruppo era in attesa della caduta dell'altro. Gli unici che
ne hanno beneficiato sono state le ristrette élite politiche che
unite nel governo del paese hanno utilizzato la conflittualità
latente per acquisire nuovi spazi e spartirsi affari.
E GLI ALTRI? Lo scontro tra le due principali comunità nazionali
schiaccia, e quasi fa sparire, così come era accaduto già
due anni fa in Kosovo, gli altri gruppi etnici presenti sul territorio.
Tra questi i Rom. La loro presenza nella regione è antica e, preciso
onde evitare equivoci e romanticismi nomadici, stanziale. Salvo ovviamente
gli spostamenti legati a conflitti, persecuzioni e ricerca di lavoro.
Le statistiche ufficiali non offrono dati attendibili sulla consistenza
numerica di questo gruppo etnico. Era uso comune ai tempi della Jugoslavia
titina, riferisce il giornalista zigano Orhan Galjus, che funzionari amministrativi
locali cambiassero i cognomi dei Rom, spesso aggiungendo suffissi come
-vich, -soy, o -eva; che si trattasse di funzionari serbi, albanesi o
turchi non cambiava la sostanza della cosa. Si cercava da una parte di
incrementare il proprio gruppo etnico, dall'altra di frammentare i Rom
e la loro identità culturale nella regione. La Jugoslavia multietnica
si poggiava sull'equilibrio tra i gruppi etnici maggiori. Perché
questo avvenisse, e soprattutto si conservasse, era necessario non solo
un forte potere centrale ma anche una divisione degli incarichi, soprattutto
a livello locale, in chiave etnica. Il sistema, creato per dividere le
risorse ed indebolire le vecchie tensioni tra gruppi, allo stesso tempo
poneva le basi per l'assimilazione dei gruppi minoritari più deboli,
tra questi i Rom, che "per avere qualcosa da mangiare", dice
Orhan Galjus, "erano disposti a negare la propria appartenenza".
Nella Jugoslavia meridionale questo ha significato l'albanesizzazione
di molti Rom.
In Macedonia i Rom dispongono di mezzi di comunicazione propri ed hanno
anche un rappresentante in Parlamento, cosa se non unica quanto meno rara.
Sono distribuiti su tutto il territorio macedone ma è nella fascia
intorno a Skopje che si concentra la comunità più attiva
e organizzata. Nella municipalità di Suto Orizari, sobborgo di
Skopje che recentemente ha ottenuto l'autonomia amministrativa, vivono
circa 40.000 persone, di queste la stragrande maggioranza (90%) sono Rom,
compreso il sindaco Nezdet Mustafa.
Secondo Lorenzo Tripodi, coautore di "Shutka: la città dei
Rom" "Suto Orizari non è un paradiso. E' una delle città
più povere della Macedonia; la maggior parte della popolazione
è socialmente svantaggiata, la disoccupazione altissima, le prospettive
di sviluppo lontane. Ma ancora più della povertà, indubbiamente
presente, sorprende per la negazione dei luoghi comuni sugli zingari;
per la serena normalità della vita cittadina, così distante
dal degrado dei "campi nomadi" e degli accampamenti di fortuna
ai margini delle nostre città".
Il sobborgo, formatosi dopo il terremoto del 1963 che rase al suolo parte
di Skopje, è costituito da un tessuto di case monofamiliari, che
rispettano l'organizzazione sociale in famiglie allargate. Le case - bungalow
in legno, villette rivestite in finta pietra, prefabbricati in metallo
riadattati - sono cinte da fantasiosi e decorati cancelli e adornate di
statue di gesso, leoni, motivi egiziani, nani, ruote di carro. Un campionario
trasversale che unisce motivi orientali, country style nordico, e kitch
televisivo di varia provenienza.
Durante il conflitto in Kosovo la Macedonia ha accolto migliaia di persone,
molte delle quali sono poi rimpatriate. I Rom kosovari si sono concentrati
a Suto Orizari, dove potevano contare sull'appoggio di reti parentali
ed amicali oltre che su relazioni commerciali. Il confine con la Jugoslavia,
tracciato ufficialmente appena qualche mese fa, dista circa settanta chilometri,
tanto vicino da consentire relazioni e scambi continui ed intensi tra
le due comunità.
La presenza dei profughi ha certamente pesato sull'organizzazione e la
vivibilità della municipalità. Le infrastrutture carenti,
la disoccupazione diffusa, la mancanza di risorse autonome hanno reso
Shutka ancor più dipendente dal sostegno dello Stato e delle organizzazioni
internazionali; hanno finanziato e sostenuto progetti di cooperazione
qui anche il Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics). Concrete
aspettative di miglioramento in loco non ce ne sono, tutti guardano all'emigrazione
come unica possibilità di lavoro e benessere.
Intanto iniziano ad arrivare i nuovi sfollati dalle zone di confine, già
più di 200 secondo Romnews. La comunità è in agitazione.
Il progetto di una grossa manifestazione a Skopje per la pace e l'unità
del paese per l'8 aprile (giornata internazionale dei Rom) è stato
accantonato per paura di ripercussioni da parte della minoranza albanese
che, così come accadde in Kosovo, diffida della comunità
rom giudicata filo-macedone.
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