Valona
negli ultimi anni è molto cambiata. Il Grand Boulevard, così
chiamano i valonesi la strada principale della loro città, è
un brulicare frenetico. Negozi d'abbigliamento, di scarpe, parrucchieri,
farmacie, giornalai, quasi tutti aperti da emigrati di ritorno. Bar -
almeno uno per isolato - affollati da uomini che bevono, chiacchierano,
contrattano. Cambiavalute clandestini che maneggiano mazzi da 4-5 milioni
di leke (la moneta nazionale pari ad 1,3 lire) e che propongono di cambiare
valuta straniera: su ogni cambio trattengono il 6-7% e nei calcoli spesso
si aiutano con calcolatrici giocattolo. Ragazze truccate e in minigonna
che aspettano gli autobus concessi dall'Italia per andare al mare. Bambini
che giocano fra i rifiuti. Palazzi sbrecciati, cadenti, ancora forati
dai colpi di kalashnikov della rivolta del '97, da cui spuntano due, tre
antenne paraboliche per piano. Strade non asfaltate sulle quali scorazzano
Mercedes o Bmw dell'ultimo tipo, destreggiandosi fra biciclette, venditori
ambulanti, calessi trainati da asini.
Secondo la Banca mondiale alla base delle condizioni preoccupanti dell'Albania
non c'è solo la povertà diffusa, ma anche una forbice economica
che si allarga sempre di più. Il 7% della popolazione gode di redditi
pro-capite superiori ai 30mila Us dollari annui, contro il 40% della popolazione,
in gran parte contadini (in Albania i contadini sono ancora il 60% della
popolazione, la percentuale più alta d'Europa), che vive con meno
di un dollaro al giorno. E, in questo, mentre la ricchezza dei pochi è
alimentata soprattutto dai traffici illegali e dalle compromissioni della
politica, la miseria dei più è causata dal totale disfacimento
delle istituzioni statali. A Valona queste cifre si incupiscono ulteriormente.
"La città è esplosa urbanisticamente in pochissimi
anni: da 80mila a 120mila abitanti. Si è costruito abusivamente
e soprattutto nella zona del porto. Dalle campagne molti sono venuti in
città per sfuggire alla fame: a Valona, Durazzo, Tirana i soldi
in qualche modo circolano." A parlare è Petrag Truja, docente
di Fisica all'università e responsabile di Agimi (associazione
di cultura - e non solo - italo-albanese) per l'Albania. "Ma questo
non vuol dire che non ci siano gravi problemi. In tutta la città,
solo il 60% delle case ha l'acqua corrente. I contadini appena arrivati
sono stati relegati nelle baracche alle spalle di Çole (il quartiere
di Zani, il bandito valonese diventato famoso durante la rivolta del '97)
o ad Acqua Fredda. Non c'è acqua, elettricità, non ci sono
infrastrutture. Vengono qui nella speranza di sopravvivere. Ma cosa devono
fare 30mila contadini poverissimi che finiscono nella periferia di una
città in cui la disoccupazione è già al 60%?"
Gli albanesi sono 3milioni e mezzo. Di questi, 650mila sono all'estero,
soprattutto in Italia e in Grecia. Ma non bisogna sottovalutare l'immigrazione
interna: la popolazione di Tirana in pochi anni è aumentata da
400mila a 800mila abitanti. La creazione di un sottoproletariato senza
alcuna prospettiva se non quella di arrangiarsi sotto la protezione dei
boss di quartiere "che un lavoro te lo possono trovare sempre",
è il dato evidente delle città albanesi più grandi.
"Valona prima era una città industriale, ora non c'è
più niente. Ti faccio un esempio. C'era un cementificio che, dopo
la caduta del comunismo, è stato distrutto come tante altre fabbriche.
Poco tempo fa viene riaperto come industria di stato, ma, nel frattempo,
il mercato del cemento era stato riorganizzato sotto il controllo di un
imprenditore greco. Ovviamente il prezzo era salito di molto, visto che
il cemento veniva prodotto in Grecia e trasportato fin qua sulle strade
dissestate, ma l'imprenditore greco aveva saputo 'vincere' la concorrenza.
Una nuova industria a Valona gli avrebbe spezzato le gambe: così
l'ha fatta distruggere dalla mafia. Quella stessa mafia che fa aprire
tanti bar e negozietti, per riciclare denaro e per poi chiedere il pizzo."
Gli scafi
A Valona quasi tutto ruota intorno al mercato dei clandestini: "Con
uno scafo mangiano cento persone, non solo chi guida", è quasi
un motto che ripetono tutti. C'è chi fornisce il carburante, chi
potenzia gli scafi, chi recupera nel quartiere o nel villaggio le persone
che devono partire, chi prende mazzette per i permessi: tante figure che
completano un mosaico sempre più complesso. L'altra metà
dell'economia è data dai soldi che gli emigrati mandano ai familiari:
ogni famiglia ne ha almeno uno (regolare o irregolare) che lavora in Italia.
Un'economia di scarto a tutti gli effetti, in tutti gli anfratti: l'unica
cosa che si produce è il raggiungimento del sogno italiano. Sulle
cui briciole, poi, si tira a campare.
Gli scafi non partono più dalla baia del porto di Valona. È
troppo rischioso da quando la Guardia di Finanza italiana ha assunto la
direzione delle pattuglie di controllo. Così partono qualche chilometro
più a nord. Dai villaggi vicini alla foce del Voiussa, dove c'è
anche un bosco molto fitto: ideale per nascondere gli scafi e quello che
deve essere trasportato.
In un biliardo di uno di questi villaggi ho incontrato uno scafista. Giocava
a carambola con un emigrato che fa il muratore a Vicenza da sei anni.
"Lui ha un gommone
è mafioso" dice ridendo l'emigrato
con un marcato accento veneto. Lo scafista assomiglia vagamente a Mastroianni
da giovane: quando glielo faccio notare, lascia la stecca e mi parla del
"lavoro". "Faccio un viaggio a settimana. Quando il mare
è calmo ci metto due ore, anche di meno a volte." Dove vai?
"Parto da qui e arrivo a Otranto, Ostuni, Carovigno
su ogni
persona che parte prendo un milione." Il pagamento si è ormai
stabilizzato sul milione e quattrocentomila lire. Un milione va allo scafista,
le 400mila al boss. Il pagamento non avviene mai subito. Se il clandestino
entro tre giorni dal viaggio non viene rispedito in patria, lo stesso
scafista, o chi per lui, fa il giro delle case dei familiari: saranno
loro a pagare. "Lui ha fatto più di cento viaggi, è
uno dei più bravi. È mio cognato", mi confida fiero
l'emigrato in Veneto.
Le spiagge della costa, di notte, finiscono per essere dei moli improvvisati.
I parenti accompagnano i partenti. Saluti, abbracci, nonne vestite di
nero che piangono per i nipotini che non rivedranno almeno per un anno.
Le stesse scene che si vedono ogni giorno al porto di Valona per i regolari,
le si possono vedere di notte sulla spiaggia per i clandestini: stesse
scissioni, stesse lacrime, stessi motivi del viaggio. Tutti gli albanesi
residenti in Italia hanno viaggiato sugli scafi una, due, anche tre volte,
prima di essere regolarizzati. "Ma tu credi che se c'era lavoro qui
io venivo in Italia? Ma sai che me ne frega a me dell'Italia?", mi
ha detto un ragazzo in partenza.
Ma l'intera operazione richiede anche altri ruoli. Come quello di Orges,
che assicura il servizio-taxi. "Lavoro ad Ostuni", mi dice,
"là ci sono quaranta albanesi amici miei. Prendo quelli che
vengono lasciati sulla spiaggia e li porto nelle stazioni più vicine,
Francavilla, Carovigno, anche Brindisi. Li lascio lì con il biglietto
già fatto e me ne vado. Mio cugino è un boss. Ha quattro
scafi e uno scafo può contenere anche quaranta persone", aggiunge
alludendo a quello che, facendo due calcoli, è il guadagno complessivo.
Lui invece guadagna due milioni e mezzo in una notte. Il lavoro è
"pericoloso", ma quando hai gli "amici carabinieri"
tutto diventa più facile. "Mio cugino ne conosce otto. Sono
loro che gli dicono quando è il momento giusto di partire. E per
questo si prendono un milione a testa. Quando una volta mio cugino è
stato preso dalla polizia italiana non c'è stato alcun problema:
è bastato pagare 30milioni." Quanti anni hai? "Diciassette".
E tuo cugino? "Ventiquattro".
I villaggi
Delisuf è uno dei villaggi vicini al Voiussa. Di 800 abitanti,
300 sono in Italia, 30 in Grecia. Tutti, anche i bambini, parlano l'italiano.
Ma gli emigrati, oltre che per le macchine con l'autoradio (è il
primo acquisto che fanno) o per i vestiti da discotecari indossati dai
più giovani, si riconoscono soprattutto per un marcatissimo accento
Veneto. E per il fatto che si fanno chiamare con nomi italiani: Vangeli
diventa Angelo, Turi Arturo, Gerdi Giorgio, Berti Roberto...
Nico è a Verona dal '91, lavora dodici ore al giorno per sei giorni
a settimana, il sabato in nero. Non si è ancora ricongiunto con
la famiglia, li vede solo un mese all'anno. "Voglio che i miei figli
vivano in Veneto. Quanto a me, posso anche tornare qui. Ma fra molti anni."
Ilda, sedici anni, fa la segretaria a Mestre. La pagano bene (credo in
nero) e riesce a mantenere la sua famiglia. Ora è al villaggio
per le vancanze ma non vede l'ora di tornare in Italia. "Qui non
c'è proprio niente, e poi l'acqua della fontana non riesco proprio
a berla. Hai sentito quanto è acida?" Un presidio sanitario
dalle Caritas diocesana di Taranto ha accertato che a Delisuf un abitante
su tre ha calcoli e che la colpa è proprio dell'acqua della fontana:
per giunta, l'unica dell'intero villaggio.
Adriano, ventun'anni, è in Italia da quando ne aveva quindici.
Erano tre anni che non tornava al villaggio: "Sai com'è: quando
sei in fabbrica, le ferie sono sempre poche". Lavora a Bassano. Prende
un milione e ottocentomila lire al mese. Vive con un milione (affitto
compreso) e il resto lo invia alla famiglia. Appena ha avuto due settimane
di ferie, è tornato subito qui per costruire una casa nuova ai
genitori. Non un giorno di riposo, poi tornerà subito in Italia
a lavorare nella fabbrica di scarpe. "Vorrei tornare a vivere qui
e vorrei fare qualcosa per il villaggio. Solo che è così
difficile mettersi d'accordo: qui tutti pensano a fare soldi per sé:
non ce li hanno e quando ce li hanno se li tengono stretti. Almeno quando
non li hanno già bruciati nelle finanziarie". Mi dice che
vorrebbe proporre al villaggio un sistema di smaltimento rifiuti. I consumi
aumentano e, non essendoci discariche o cassonetti, la roba viene buttata
nei canaloni dell'acqua con il rischio che si otturino. Ma solo alcuni
vogliono mettere i soldi. E poi, mi lascia intendere, come vincere le
resistenze del signorotto locale (uno dei tanti in Albania), che per giunta
è il sindaco del distretto, un tale di nome Canaj? Eletto con l'appoggio
della mafia, ha costruito un vero e proprio villaggio residenziale per
sé e per i suoi scagnozzi ai bordi delle baracche di un villaggio
vicino: mura alte, vigilantes, parabolica a circuito interno. Per farsi
rieleggere, Canaj ha fatto asfaltare la strada che corre dalla statale
fino al mare e che attraversa tutti i villaggi da lui controllati. Ha
fatto il pieno dei voti dei contadini. Poi, una volta eletto, ha cominciato
ad acquistare tutti i terreni sulla costa: ci farà un grosso villaggio
turistico,facilmente raggiungibile, ovviamente, tramite la nuova strada.
Si parte per fame, perché in campagna non c'è lavoro, perché
non si vuole o non si riesce a diventare mafiosi. Ma credo anche che la
noia e la ripetitività della vita del villaggio, come la pesantezza
tetra della città, di cui mi parlano irritati e pudicamente vergognati
gran parte dei ragazzi, sia una delle molle dell'immigrazione. Non è
solo un fatto economico. Per quelli che restano, la noia mista alla nostalgia
dei familiari che non ci sono, e le speranze già miste a disincanto,
costituiscono il filo conduttore delle loro giornate. Una costante che
finisce per maturare e intristire, a volte, i loro volti. Si può
coltivare ancora la terra con l'aratro a buoi quando hai l'antenna parabolica
che ti trasmette i filmetti di ItaliaUno? Il canale più visto dai
ragazzi è VivaTex (la Mtv tedesca). Una ragazzina di quattordici
anni ha saputo dirmi per filo e per segno che cosa facessero nella vita
tutti i figli di Tina Turner.
Al mercato nero delle ambasciate un visto per gli USA costa 8mila dollari.
Uno per l'Italia 2mila dollari. Per la Grecia basta pagare 250mila dracme.
Ma c'è un'altra via, meno tortuosa: la Lotteria, organizzata dal
governo americano e gestita da un tale che tutti chiamano l'Avvocato.
Ci si iscrive con 25 dollari mandando una scheda con i dati personali
e la fedina penale pulita (ma non è un problema, basta pagare per
averla). Il premio in palio è il permesso di soggiorno negli States.
A Valona, ogni anno, ci sono diecimila richieste: ma sono solo in cento
ad essere sorteggiati. La chiamano American Bingo e ricorda una delle
attività preferite dai valonesi: il Bingo, una sorta di tombola
collettiva organizzata in grandi sale giochi in cui tutti, quasi ogni
giorno, vi mettono piede.
Valona, in fondo, è una grande lotteria dove i soldi, quando ci
sono, finiscono per avere valore solo se fatti scorrere il più
velocemente possibile. Voler diventare ricchi, e subito, è una
caratteristica che finisce per accomunare tutti. Tolta la cappa del regime,
messi di fronte al divario insostenibile con il resto dell'Europa, la
voglia di ricchezza è diventata l'unica istanza emotiva elevata
a religione, con le sue forme, i suoi riti. "Il guaio è che
molti ci sono riusciti. E in assenza di altri modelli, finiscono per essere
degli esempi estremamente persuasivi", mi aveva detto Petrag Truja.
Come se non bastasse, la Banca mondiale e il Fmi hanno imposto una drastica
riduzione della spesa sociale congelando gli stipendi dei dipendenti statali.
Ad esempio, un insegnante guadagna dalle 80mila alle 110mila leke al mese.
Un chilo di pane costa mille leke, una stecca di sigarette 7mila leke,
la luce nelle campagne costa 15mila leke al mese. Così molti abbandonano
l'insegnamento, e soprattutto nei villaggi: chi può sobbarcarsi
le spese di spostamento su strade non asfaltate? Le scuole chiudono oppure
il provveditorato chiama ad insegnare non-laureati e, in alcuni casi,
anche non-diplomati. Il materiale didattico manca e spesso le scuole non
hanno tetti che coprano le aule o vetri alle finestre.
Banditi e poliziotti
Un doganiere al porto mi dice: "A Valona i soldi ci sono. Guarda
i mercati, i negozi, guarda quanta gente c'è nei bar. I soldi degli
scafi sono tanti e circolano, devono circolare. Uno scafista fa quaranta
milioni in una notte. Tutti conoscono i loro nomi e i punti da cui partono.
Ma chi può parlare? A chi conviene parlare?" E aggiunge: "Io
guadagno 200mila lire al mese, quanto i miei colleghi. Con uno stipendio
che non ti permette di arrivare alla fine del mese, che devi fare? La
tangente, il favore diventa la strada più veloce."
Il controllo delle dogane, o i posti di blocco lungo la strada sono uno
dei business più fruttuosi. Gruppi di quattro o cinque poliziotti,
col kalashnikov puntato e con il passamontagna sul volto, fermano chiunque
guidi sulle strade dopo il tramonto. Ufficialmente controllano che non
ci siano banditi. In realtà, garantiti dal viso coperto, non lasciano
passare nessuno senza che sia stata concessa una lauta offerta.
Lo stesso avviene al porto: nessuno può superare il cancello senza
onorare "l'ospitalità albanese". Lo stesso accade per
le coperture che si garantiscono a qualsiasi traffico. "Io non prendo
soldi, ma che posso fare, posso denunciarli? Se io denuncio uno, quello
va sotto processo. Ma poi paga venti milioni, esce e, in più, riesce
a sapere da qualche spia che sono stato io a parlare. E a quel punto io
che faccio? E mia moglie? E mia figlia?" A Valona si può comprare
qualsiasi impunità: persino chi uccide tre persone se la può
cavare con cento milioni di lire. L'annullamento di qualsiasi pena è
quantificato economicamente.
A Çole, "il quartiere più pericoloso della città",
come tutti dicono, ci vivono 30mila persone. Il vecchio regime ci confinò
i poveri e i disoccupati, ma la mossa gli si ritorse subito contro: il
quartiere, per la vicinanza del porto, divenne incontrollabile già
per la polizia comunista. Negli anni Novanta Çole è rimasto
quartiere di emarginazione, ma i traffici sono aumentati a dismisura.
Date le condizioni di estrema povertà e l'assoluta mancanza di
lavoro non è stato difficile per Zani arruolare in poco tempo un
vero e proprio esercito di duecento uomini armati e fedelissimi. A questo
va aggiunta la struttura reticolare che il quartiere, fra clan e famiglie,
ha saputo creare. Uno zoccolo duro e compatto: una città all'interno
della città. Chi è di qui non dice mai di essere di Valona.
"Sono di Çole" dicono fieri, anche agli stranieri, quando
capita. Da qui è partito il controllo di Zani sulla città.
"Quando a Valona, durante la rivoluzione, non c'era niente - conferma
più di un valonese - è lui che ha dato da mangiare a tutti
con il mercato nero. Dava da mangiare persino alla polizia e all'ospedale.
E non c'era scafo che partisse senza il suo permesso". Ma poi il
suo regno è andato in crisi. Quando ha cercato di mettere le mani
sull'edilizia, dicono, è stato lentamente messo da parte. Ha perso
la protezione di cui godeva in ambienti politici e col cambio ai vertici
dello Shik, la polizia segreta, il cerchio intorno a lui ha cominciato
a stringersi. Zani, in un preciso momento, ha contribuito a rovesciare
Sali Berisha, a imporre una sterzata all'Albania. Ma una volta assestata
la sterzata, e esplosi i traffici a un livello ormai internazionale, il
vecchio boss non era più utile. E adesso ad uno ad uno stanno facendo
fuori i suoi uomini. È una pratica consolidata: la polizia li fa
spesso uscire dal carcere per poi finirli nelle strade.
Al Bar Holiday, ho incontrato Stravri Marko, giornalista free-lance. Il
bar è diventato famoso nel '97, perché proprio da qui, il
primo giorno in cui spararono sulla folla che manifestava, gli studenti
presero a buttare i tavolini sui poliziotti.
Marko va subito al dunque: "Anche quando era in auge, la forza di
Zani era più parapolitica che mafiosa in senso stretto. È
stato un personaggio creato in buona parte dai media italiani per semplificare
la situazione, per trovare un collo della bottiglia. Voi italiani volete
la semplicità: bianco o nero. L'ambiguità che qui permea
tutto vi dà fastidio. E allora non volete capire. O fate finta
di non capire." Poi aggiunge: "Il mercato attuale si basa soprattutto
sui non-albanesi. Il flusso dei clandestini albanesi si sta riducendo
o comunque stabilizzando." Gli albanesi vanno e tornano, allo Stato
italiano non fanno paura. Ma quello dei curdi, dei kosovari, dei rom,
dei cinesi è un rubinetto che non può essere chiuso facilmente.
Ed è un rubinetto che rovescia anche potenziali rifugiati politici.
E allora è qui che si scatena la guerra per non farli partire,
che si alzano i prezzi del viaggio, che si allargano i compromessi per
garantire l'assenza di controlli.
Gli stessi scafisti assumono con i nuovi "clienti", gente che
non sa la lingua e che non conosce la costa, un atteggiamento completamente
diverso: spesso, dopo un'ora in mare, curdi o cinesi vengono riportati
sulle coste albanesi dicendo che quella è l'Italia. In poco tempo
si è passati da un'organizzazione clanica e parentale dello scafo
a un mercato internazionale di carne umana. A questo si deve aggiungere
che le vie dell'hashish, della cocaina e in parte anche dell'eroina passano
proprio da Valona. Il contrabbando di sigarette non c'entra niente: quello
è stato lasciato (almeno fino ad ora) ai montenegrini e alla Sacra
Corona Unita. Ma sulle droghe gli scafisti di Valona giocano un ruolo
determinante.
"I finanzieri non sparano sugli scafi dei clandestini: quando sono
già partiti non possono più fare niente. Ma quando avvistano
uno scafo con meno di quattro persone aprono subito il fuoco senza preavviso,
perché sicuramente porterà droga o armi. E questo avviene
ogni notte." È sull'esplosione di questi traffici che Zani
ha perso il controllo e che si è scatenata la lotta sanguinosissima
degli ultimi mesi: un mattatoio da quattro, cinque morti alla settimana.
"Questa mafia - mi ha detto ancora Marko - anche se organizzata militarmente
da ex-ufficiali dell'esercito o dei servizi segreti, anche se bestiale
nei modi di fare, non è intelligente. Nessuno riesce ad imporsi:
si arriverà al massimo ad uno stabilizzarsi dei singolo monopoli,
ma ad una piramide mai. Quando un clan di quartiere ha quattro scafi e
fa da sé, come fai a scalzarlo? Devi uccidere tutti, ma per farlo
non solo devi scatenare una guerra, devi avere anche una strategia per
sottomettere il magma di interi quartieri: è qui che prende il
sopravvento l'anarchia dei gruppi".
Un porto franco
Quando si parla di richiedenti asilo politico o di cocaina stiamo parlando
di strade che passano dalla Turchia e che partono da un Oriente ancora
più lontano. Il gioco internazionale ha preso il sopravvento: e
possibile che tutto scorra invisibile? Probabilmente c'è chi ad
alti livelli (anche al livello delle istituzioni internazionali?) chiude
un occhio. E che davanti a Valona li chiude tutti e due: perché
non si può permettere che tutto salti prima dell'ultima fermata.
Il caos di questa città fa comodo: garantisce extraterritorialità,
pone le condizioni di un porto franco. Che tutto rimanga in una sorta
di anarchia implosiva, che la mafia recluti così facilmente la
sua manovalanza, che un ragazzo a sedici anni non abbia altra scelta che
diventare mafioso o clandestino, che i controlli saltino in ogni momento,
che non ci sia legge cosicché tutto può essere acquistato
a suon di dollari - che tutto rimanga nell'attuale situazione perché
l'attuale situazione è determinante per questi traffici, fa comodo
a molti.
Un'Albania indipendente, autonoma, con una polizia davvero efficiente,
con una legge che funziona da sé non la vuole nessuno: la mafia
come la Nato, che in assenza di istituzioni politiche solide può
meglio imporre il suo "controllo". Dalla guerra del Kosovo in
poi si è assistito ad una divaricazione dei destini delle città
albanesi: Tirana e Durazzo da una parte, Valona dall'altra. Le prime due
sono state investite dai soldi della comunità internazionale, occupate
dalle truppe Nato. In buona parte vivono sulla cooperazione internazionale,
sulle organizzazioni non governative, su una nascente imprenditoria. Tutte
cose che a Valona sono lontane anni luce. Come se ci sia stata una spartizione
del territorio: nel giro di pochi mesi gli americani si sono presi Tirana
e l'Albania del centro-nord, lasciando Valona a se stessa, o meglio ai
signori che ballano sulla fine della società civile. Una spartizione
di fronte alla quale il gioco dell'Italia rimane poco chiaro. Chiudendo
da una parte le frontiere e dall'altra gli occhi sui traffici dei clandestini
e soprattutto sul mercato nero dei visti all'ambasciata, intendendo l'assistenza
come unica forma di intervento, il nostro paese contribuisce a dilatare
l'attuale situazione.
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