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Valona è una periferia senza centro: lo si vede chiaramente nei tracciati urbanistici di una non-città. Il centro è altrove, dall'altra parte dell'Adriatico. Qui i margini vivono da sé, in una economia di scarto, nell'impossibilità di elaborare strutture stabili. La forbice delle due città (quella dei ricchi e quella dei poveri) si allunga sul Canale d'Otranto.

indice:

Gli scafi ***

I viaggi***

Banditi e poliziotti ***

Un porto franco ***

Valona: l'industria degli scafi
di Alessandro Leogrande
Valona negli ultimi anni è molto cambiata. Il Grand Boulevard, così chiamano i valonesi la strada principale della loro città, è un brulicare frenetico. Negozi d'abbigliamento, di scarpe, parrucchieri, farmacie, giornalai, quasi tutti aperti da emigrati di ritorno. Bar - almeno uno per isolato - affollati da uomini che bevono, chiacchierano, contrattano. Cambiavalute clandestini che maneggiano mazzi da 4-5 milioni di leke (la moneta nazionale pari ad 1,3 lire) e che propongono di cambiare valuta straniera: su ogni cambio trattengono il 6-7% e nei calcoli spesso si aiutano con calcolatrici giocattolo. Ragazze truccate e in minigonna che aspettano gli autobus concessi dall'Italia per andare al mare. Bambini che giocano fra i rifiuti. Palazzi sbrecciati, cadenti, ancora forati dai colpi di kalashnikov della rivolta del '97, da cui spuntano due, tre antenne paraboliche per piano. Strade non asfaltate sulle quali scorazzano Mercedes o Bmw dell'ultimo tipo, destreggiandosi fra biciclette, venditori ambulanti, calessi trainati da asini.
Secondo la Banca mondiale alla base delle condizioni preoccupanti dell'Albania non c'è solo la povertà diffusa, ma anche una forbice economica che si allarga sempre di più. Il 7% della popolazione gode di redditi pro-capite superiori ai 30mila Us dollari annui, contro il 40% della popolazione, in gran parte contadini (in Albania i contadini sono ancora il 60% della popolazione, la percentuale più alta d'Europa), che vive con meno di un dollaro al giorno. E, in questo, mentre la ricchezza dei pochi è alimentata soprattutto dai traffici illegali e dalle compromissioni della politica, la miseria dei più è causata dal totale disfacimento delle istituzioni statali. A Valona queste cifre si incupiscono ulteriormente.
"La città è esplosa urbanisticamente in pochissimi anni: da 80mila a 120mila abitanti. Si è costruito abusivamente e soprattutto nella zona del porto. Dalle campagne molti sono venuti in città per sfuggire alla fame: a Valona, Durazzo, Tirana i soldi in qualche modo circolano." A parlare è Petrag Truja, docente di Fisica all'università e responsabile di Agimi (associazione di cultura - e non solo - italo-albanese) per l'Albania. "Ma questo non vuol dire che non ci siano gravi problemi. In tutta la città, solo il 60% delle case ha l'acqua corrente. I contadini appena arrivati sono stati relegati nelle baracche alle spalle di Çole (il quartiere di Zani, il bandito valonese diventato famoso durante la rivolta del '97) o ad Acqua Fredda. Non c'è acqua, elettricità, non ci sono infrastrutture. Vengono qui nella speranza di sopravvivere. Ma cosa devono fare 30mila contadini poverissimi che finiscono nella periferia di una città in cui la disoccupazione è già al 60%?"
Gli albanesi sono 3milioni e mezzo. Di questi, 650mila sono all'estero, soprattutto in Italia e in Grecia. Ma non bisogna sottovalutare l'immigrazione interna: la popolazione di Tirana in pochi anni è aumentata da 400mila a 800mila abitanti. La creazione di un sottoproletariato senza alcuna prospettiva se non quella di arrangiarsi sotto la protezione dei boss di quartiere "che un lavoro te lo possono trovare sempre", è il dato evidente delle città albanesi più grandi.
"Valona prima era una città industriale, ora non c'è più niente. Ti faccio un esempio. C'era un cementificio che, dopo la caduta del comunismo, è stato distrutto come tante altre fabbriche. Poco tempo fa viene riaperto come industria di stato, ma, nel frattempo, il mercato del cemento era stato riorganizzato sotto il controllo di un imprenditore greco. Ovviamente il prezzo era salito di molto, visto che il cemento veniva prodotto in Grecia e trasportato fin qua sulle strade dissestate, ma l'imprenditore greco aveva saputo 'vincere' la concorrenza. Una nuova industria a Valona gli avrebbe spezzato le gambe: così l'ha fatta distruggere dalla mafia. Quella stessa mafia che fa aprire tanti bar e negozietti, per riciclare denaro e per poi chiedere il pizzo."

Gli scafi
A Valona quasi tutto ruota intorno al mercato dei clandestini: "Con uno scafo mangiano cento persone, non solo chi guida", è quasi un motto che ripetono tutti. C'è chi fornisce il carburante, chi potenzia gli scafi, chi recupera nel quartiere o nel villaggio le persone che devono partire, chi prende mazzette per i permessi: tante figure che completano un mosaico sempre più complesso. L'altra metà dell'economia è data dai soldi che gli emigrati mandano ai familiari: ogni famiglia ne ha almeno uno (regolare o irregolare) che lavora in Italia. Un'economia di scarto a tutti gli effetti, in tutti gli anfratti: l'unica cosa che si produce è il raggiungimento del sogno italiano. Sulle cui briciole, poi, si tira a campare.
Gli scafi non partono più dalla baia del porto di Valona. È troppo rischioso da quando la Guardia di Finanza italiana ha assunto la direzione delle pattuglie di controllo. Così partono qualche chilometro più a nord. Dai villaggi vicini alla foce del Voiussa, dove c'è anche un bosco molto fitto: ideale per nascondere gli scafi e quello che deve essere trasportato.
In un biliardo di uno di questi villaggi ho incontrato uno scafista. Giocava a carambola con un emigrato che fa il muratore a Vicenza da sei anni. "Lui ha un gommone… è mafioso" dice ridendo l'emigrato con un marcato accento veneto. Lo scafista assomiglia vagamente a Mastroianni da giovane: quando glielo faccio notare, lascia la stecca e mi parla del "lavoro". "Faccio un viaggio a settimana. Quando il mare è calmo ci metto due ore, anche di meno a volte." Dove vai? "Parto da qui e arrivo a Otranto, Ostuni, Carovigno… su ogni persona che parte prendo un milione." Il pagamento si è ormai stabilizzato sul milione e quattrocentomila lire. Un milione va allo scafista, le 400mila al boss. Il pagamento non avviene mai subito. Se il clandestino entro tre giorni dal viaggio non viene rispedito in patria, lo stesso scafista, o chi per lui, fa il giro delle case dei familiari: saranno loro a pagare. "Lui ha fatto più di cento viaggi, è uno dei più bravi. È mio cognato", mi confida fiero l'emigrato in Veneto.
Le spiagge della costa, di notte, finiscono per essere dei moli improvvisati. I parenti accompagnano i partenti. Saluti, abbracci, nonne vestite di nero che piangono per i nipotini che non rivedranno almeno per un anno. Le stesse scene che si vedono ogni giorno al porto di Valona per i regolari, le si possono vedere di notte sulla spiaggia per i clandestini: stesse scissioni, stesse lacrime, stessi motivi del viaggio. Tutti gli albanesi residenti in Italia hanno viaggiato sugli scafi una, due, anche tre volte, prima di essere regolarizzati. "Ma tu credi che se c'era lavoro qui io venivo in Italia? Ma sai che me ne frega a me dell'Italia?", mi ha detto un ragazzo in partenza.
Ma l'intera operazione richiede anche altri ruoli. Come quello di Orges, che assicura il servizio-taxi. "Lavoro ad Ostuni", mi dice, "là ci sono quaranta albanesi amici miei. Prendo quelli che vengono lasciati sulla spiaggia e li porto nelle stazioni più vicine, Francavilla, Carovigno, anche Brindisi. Li lascio lì con il biglietto già fatto e me ne vado. Mio cugino è un boss. Ha quattro scafi e uno scafo può contenere anche quaranta persone", aggiunge alludendo a quello che, facendo due calcoli, è il guadagno complessivo. Lui invece guadagna due milioni e mezzo in una notte. Il lavoro è "pericoloso", ma quando hai gli "amici carabinieri" tutto diventa più facile. "Mio cugino ne conosce otto. Sono loro che gli dicono quando è il momento giusto di partire. E per questo si prendono un milione a testa. Quando una volta mio cugino è stato preso dalla polizia italiana non c'è stato alcun problema: è bastato pagare 30milioni." Quanti anni hai? "Diciassette". E tuo cugino? "Ventiquattro".

I villaggi
Delisuf è uno dei villaggi vicini al Voiussa. Di 800 abitanti, 300 sono in Italia, 30 in Grecia. Tutti, anche i bambini, parlano l'italiano. Ma gli emigrati, oltre che per le macchine con l'autoradio (è il primo acquisto che fanno) o per i vestiti da discotecari indossati dai più giovani, si riconoscono soprattutto per un marcatissimo accento Veneto. E per il fatto che si fanno chiamare con nomi italiani: Vangeli diventa Angelo, Turi Arturo, Gerdi Giorgio, Berti Roberto...
Nico è a Verona dal '91, lavora dodici ore al giorno per sei giorni a settimana, il sabato in nero. Non si è ancora ricongiunto con la famiglia, li vede solo un mese all'anno. "Voglio che i miei figli vivano in Veneto. Quanto a me, posso anche tornare qui. Ma fra molti anni."
Ilda, sedici anni, fa la segretaria a Mestre. La pagano bene (credo in nero) e riesce a mantenere la sua famiglia. Ora è al villaggio per le vancanze ma non vede l'ora di tornare in Italia. "Qui non c'è proprio niente, e poi l'acqua della fontana non riesco proprio a berla. Hai sentito quanto è acida?" Un presidio sanitario dalle Caritas diocesana di Taranto ha accertato che a Delisuf un abitante su tre ha calcoli e che la colpa è proprio dell'acqua della fontana: per giunta, l'unica dell'intero villaggio.
Adriano, ventun'anni, è in Italia da quando ne aveva quindici. Erano tre anni che non tornava al villaggio: "Sai com'è: quando sei in fabbrica, le ferie sono sempre poche". Lavora a Bassano. Prende un milione e ottocentomila lire al mese. Vive con un milione (affitto compreso) e il resto lo invia alla famiglia. Appena ha avuto due settimane di ferie, è tornato subito qui per costruire una casa nuova ai genitori. Non un giorno di riposo, poi tornerà subito in Italia a lavorare nella fabbrica di scarpe. "Vorrei tornare a vivere qui e vorrei fare qualcosa per il villaggio. Solo che è così difficile mettersi d'accordo: qui tutti pensano a fare soldi per sé: non ce li hanno e quando ce li hanno se li tengono stretti. Almeno quando non li hanno già bruciati nelle finanziarie". Mi dice che vorrebbe proporre al villaggio un sistema di smaltimento rifiuti. I consumi aumentano e, non essendoci discariche o cassonetti, la roba viene buttata nei canaloni dell'acqua con il rischio che si otturino. Ma solo alcuni vogliono mettere i soldi. E poi, mi lascia intendere, come vincere le resistenze del signorotto locale (uno dei tanti in Albania), che per giunta è il sindaco del distretto, un tale di nome Canaj? Eletto con l'appoggio della mafia, ha costruito un vero e proprio villaggio residenziale per sé e per i suoi scagnozzi ai bordi delle baracche di un villaggio vicino: mura alte, vigilantes, parabolica a circuito interno. Per farsi rieleggere, Canaj ha fatto asfaltare la strada che corre dalla statale fino al mare e che attraversa tutti i villaggi da lui controllati. Ha fatto il pieno dei voti dei contadini. Poi, una volta eletto, ha cominciato ad acquistare tutti i terreni sulla costa: ci farà un grosso villaggio turistico,facilmente raggiungibile, ovviamente, tramite la nuova strada.
Si parte per fame, perché in campagna non c'è lavoro, perché non si vuole o non si riesce a diventare mafiosi. Ma credo anche che la noia e la ripetitività della vita del villaggio, come la pesantezza tetra della città, di cui mi parlano irritati e pudicamente vergognati gran parte dei ragazzi, sia una delle molle dell'immigrazione. Non è solo un fatto economico. Per quelli che restano, la noia mista alla nostalgia dei familiari che non ci sono, e le speranze già miste a disincanto, costituiscono il filo conduttore delle loro giornate. Una costante che finisce per maturare e intristire, a volte, i loro volti. Si può coltivare ancora la terra con l'aratro a buoi quando hai l'antenna parabolica che ti trasmette i filmetti di ItaliaUno? Il canale più visto dai ragazzi è VivaTex (la Mtv tedesca). Una ragazzina di quattordici anni ha saputo dirmi per filo e per segno che cosa facessero nella vita tutti i figli di Tina Turner.
Al mercato nero delle ambasciate un visto per gli USA costa 8mila dollari. Uno per l'Italia 2mila dollari. Per la Grecia basta pagare 250mila dracme. Ma c'è un'altra via, meno tortuosa: la Lotteria, organizzata dal governo americano e gestita da un tale che tutti chiamano l'Avvocato. Ci si iscrive con 25 dollari mandando una scheda con i dati personali e la fedina penale pulita (ma non è un problema, basta pagare per averla). Il premio in palio è il permesso di soggiorno negli States. A Valona, ogni anno, ci sono diecimila richieste: ma sono solo in cento ad essere sorteggiati. La chiamano American Bingo e ricorda una delle attività preferite dai valonesi: il Bingo, una sorta di tombola collettiva organizzata in grandi sale giochi in cui tutti, quasi ogni giorno, vi mettono piede.
Valona, in fondo, è una grande lotteria dove i soldi, quando ci sono, finiscono per avere valore solo se fatti scorrere il più velocemente possibile. Voler diventare ricchi, e subito, è una caratteristica che finisce per accomunare tutti. Tolta la cappa del regime, messi di fronte al divario insostenibile con il resto dell'Europa, la voglia di ricchezza è diventata l'unica istanza emotiva elevata a religione, con le sue forme, i suoi riti. "Il guaio è che molti ci sono riusciti. E in assenza di altri modelli, finiscono per essere degli esempi estremamente persuasivi", mi aveva detto Petrag Truja.
Come se non bastasse, la Banca mondiale e il Fmi hanno imposto una drastica riduzione della spesa sociale congelando gli stipendi dei dipendenti statali. Ad esempio, un insegnante guadagna dalle 80mila alle 110mila leke al mese. Un chilo di pane costa mille leke, una stecca di sigarette 7mila leke, la luce nelle campagne costa 15mila leke al mese. Così molti abbandonano l'insegnamento, e soprattutto nei villaggi: chi può sobbarcarsi le spese di spostamento su strade non asfaltate? Le scuole chiudono oppure il provveditorato chiama ad insegnare non-laureati e, in alcuni casi, anche non-diplomati. Il materiale didattico manca e spesso le scuole non hanno tetti che coprano le aule o vetri alle finestre.

Banditi e poliziotti
Un doganiere al porto mi dice: "A Valona i soldi ci sono. Guarda i mercati, i negozi, guarda quanta gente c'è nei bar. I soldi degli scafi sono tanti e circolano, devono circolare. Uno scafista fa quaranta milioni in una notte. Tutti conoscono i loro nomi e i punti da cui partono. Ma chi può parlare? A chi conviene parlare?" E aggiunge: "Io guadagno 200mila lire al mese, quanto i miei colleghi. Con uno stipendio che non ti permette di arrivare alla fine del mese, che devi fare? La tangente, il favore diventa la strada più veloce."
Il controllo delle dogane, o i posti di blocco lungo la strada sono uno dei business più fruttuosi. Gruppi di quattro o cinque poliziotti, col kalashnikov puntato e con il passamontagna sul volto, fermano chiunque guidi sulle strade dopo il tramonto. Ufficialmente controllano che non ci siano banditi. In realtà, garantiti dal viso coperto, non lasciano passare nessuno senza che sia stata concessa una lauta offerta.
Lo stesso avviene al porto: nessuno può superare il cancello senza onorare "l'ospitalità albanese". Lo stesso accade per le coperture che si garantiscono a qualsiasi traffico. "Io non prendo soldi, ma che posso fare, posso denunciarli? Se io denuncio uno, quello va sotto processo. Ma poi paga venti milioni, esce e, in più, riesce a sapere da qualche spia che sono stato io a parlare. E a quel punto io che faccio? E mia moglie? E mia figlia?" A Valona si può comprare qualsiasi impunità: persino chi uccide tre persone se la può cavare con cento milioni di lire. L'annullamento di qualsiasi pena è quantificato economicamente.
A Çole, "il quartiere più pericoloso della città", come tutti dicono, ci vivono 30mila persone. Il vecchio regime ci confinò i poveri e i disoccupati, ma la mossa gli si ritorse subito contro: il quartiere, per la vicinanza del porto, divenne incontrollabile già per la polizia comunista. Negli anni Novanta Çole è rimasto quartiere di emarginazione, ma i traffici sono aumentati a dismisura. Date le condizioni di estrema povertà e l'assoluta mancanza di lavoro non è stato difficile per Zani arruolare in poco tempo un vero e proprio esercito di duecento uomini armati e fedelissimi. A questo va aggiunta la struttura reticolare che il quartiere, fra clan e famiglie, ha saputo creare. Uno zoccolo duro e compatto: una città all'interno della città. Chi è di qui non dice mai di essere di Valona. "Sono di Çole" dicono fieri, anche agli stranieri, quando capita. Da qui è partito il controllo di Zani sulla città. "Quando a Valona, durante la rivoluzione, non c'era niente - conferma più di un valonese - è lui che ha dato da mangiare a tutti con il mercato nero. Dava da mangiare persino alla polizia e all'ospedale. E non c'era scafo che partisse senza il suo permesso". Ma poi il suo regno è andato in crisi. Quando ha cercato di mettere le mani sull'edilizia, dicono, è stato lentamente messo da parte. Ha perso la protezione di cui godeva in ambienti politici e col cambio ai vertici dello Shik, la polizia segreta, il cerchio intorno a lui ha cominciato a stringersi. Zani, in un preciso momento, ha contribuito a rovesciare Sali Berisha, a imporre una sterzata all'Albania. Ma una volta assestata la sterzata, e esplosi i traffici a un livello ormai internazionale, il vecchio boss non era più utile. E adesso ad uno ad uno stanno facendo fuori i suoi uomini. È una pratica consolidata: la polizia li fa spesso uscire dal carcere per poi finirli nelle strade.
Al Bar Holiday, ho incontrato Stravri Marko, giornalista free-lance. Il bar è diventato famoso nel '97, perché proprio da qui, il primo giorno in cui spararono sulla folla che manifestava, gli studenti presero a buttare i tavolini sui poliziotti.
Marko va subito al dunque: "Anche quando era in auge, la forza di Zani era più parapolitica che mafiosa in senso stretto. È stato un personaggio creato in buona parte dai media italiani per semplificare la situazione, per trovare un collo della bottiglia. Voi italiani volete la semplicità: bianco o nero. L'ambiguità che qui permea tutto vi dà fastidio. E allora non volete capire. O fate finta di non capire." Poi aggiunge: "Il mercato attuale si basa soprattutto sui non-albanesi. Il flusso dei clandestini albanesi si sta riducendo o comunque stabilizzando." Gli albanesi vanno e tornano, allo Stato italiano non fanno paura. Ma quello dei curdi, dei kosovari, dei rom, dei cinesi è un rubinetto che non può essere chiuso facilmente. Ed è un rubinetto che rovescia anche potenziali rifugiati politici. E allora è qui che si scatena la guerra per non farli partire, che si alzano i prezzi del viaggio, che si allargano i compromessi per garantire l'assenza di controlli.
Gli stessi scafisti assumono con i nuovi "clienti", gente che non sa la lingua e che non conosce la costa, un atteggiamento completamente diverso: spesso, dopo un'ora in mare, curdi o cinesi vengono riportati sulle coste albanesi dicendo che quella è l'Italia. In poco tempo si è passati da un'organizzazione clanica e parentale dello scafo a un mercato internazionale di carne umana. A questo si deve aggiungere che le vie dell'hashish, della cocaina e in parte anche dell'eroina passano proprio da Valona. Il contrabbando di sigarette non c'entra niente: quello è stato lasciato (almeno fino ad ora) ai montenegrini e alla Sacra Corona Unita. Ma sulle droghe gli scafisti di Valona giocano un ruolo determinante.
"I finanzieri non sparano sugli scafi dei clandestini: quando sono già partiti non possono più fare niente. Ma quando avvistano uno scafo con meno di quattro persone aprono subito il fuoco senza preavviso, perché sicuramente porterà droga o armi. E questo avviene ogni notte." È sull'esplosione di questi traffici che Zani ha perso il controllo e che si è scatenata la lotta sanguinosissima degli ultimi mesi: un mattatoio da quattro, cinque morti alla settimana. "Questa mafia - mi ha detto ancora Marko - anche se organizzata militarmente da ex-ufficiali dell'esercito o dei servizi segreti, anche se bestiale nei modi di fare, non è intelligente. Nessuno riesce ad imporsi: si arriverà al massimo ad uno stabilizzarsi dei singolo monopoli, ma ad una piramide mai. Quando un clan di quartiere ha quattro scafi e fa da sé, come fai a scalzarlo? Devi uccidere tutti, ma per farlo non solo devi scatenare una guerra, devi avere anche una strategia per sottomettere il magma di interi quartieri: è qui che prende il sopravvento l'anarchia dei gruppi".

Un porto franco
Quando si parla di richiedenti asilo politico o di cocaina stiamo parlando di strade che passano dalla Turchia e che partono da un Oriente ancora più lontano. Il gioco internazionale ha preso il sopravvento: e possibile che tutto scorra invisibile? Probabilmente c'è chi ad alti livelli (anche al livello delle istituzioni internazionali?) chiude un occhio. E che davanti a Valona li chiude tutti e due: perché non si può permettere che tutto salti prima dell'ultima fermata. Il caos di questa città fa comodo: garantisce extraterritorialità, pone le condizioni di un porto franco. Che tutto rimanga in una sorta di anarchia implosiva, che la mafia recluti così facilmente la sua manovalanza, che un ragazzo a sedici anni non abbia altra scelta che diventare mafioso o clandestino, che i controlli saltino in ogni momento, che non ci sia legge cosicché tutto può essere acquistato a suon di dollari - che tutto rimanga nell'attuale situazione perché l'attuale situazione è determinante per questi traffici, fa comodo a molti.
Un'Albania indipendente, autonoma, con una polizia davvero efficiente, con una legge che funziona da sé non la vuole nessuno: la mafia come la Nato, che in assenza di istituzioni politiche solide può meglio imporre il suo "controllo". Dalla guerra del Kosovo in poi si è assistito ad una divaricazione dei destini delle città albanesi: Tirana e Durazzo da una parte, Valona dall'altra. Le prime due sono state investite dai soldi della comunità internazionale, occupate dalle truppe Nato. In buona parte vivono sulla cooperazione internazionale, sulle organizzazioni non governative, su una nascente imprenditoria. Tutte cose che a Valona sono lontane anni luce. Come se ci sia stata una spartizione del territorio: nel giro di pochi mesi gli americani si sono presi Tirana e l'Albania del centro-nord, lasciando Valona a se stessa, o meglio ai signori che ballano sulla fine della società civile. Una spartizione di fronte alla quale il gioco dell'Italia rimane poco chiaro. Chiudendo da una parte le frontiere e dall'altra gli occhi sui traffici dei clandestini e soprattutto sul mercato nero dei visti all'ambasciata, intendendo l'assistenza come unica forma di intervento, il nostro paese contribuisce a dilatare l'attuale situazione.