Paolo Farnetani 

Dottore Commercialista - Revisore dei conti

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Allo studio aumenti dei contributi di collaboratori e consulenti

Il Ministro del lavoro Cesare Salvi si prepara a colpire duramente i prestatori di collaborazioni coordinate e continuative, i quali attualmente versano all'INPS il 12% del loro reddito lordo (1/3 a carico loro e 2/3 a carico delle aziende commissionanti).

Attualmente è previsto un piano di crescita di tale contributo pari a mezzo punto percentuale ogni due anni a partire del 2000 sino a toccare l'aliquota del 19%; si vorrebbe ora accelerare la corsa all'aumento per raggiungere la suddetta aliquota in termini assai più brevi.

La scusa è sempre la solita: si vuole scoraggiare il rapporto lavorativo basato sulla collaborazione coordinata e continuativa in quanto lo stesso non sarebbe altro che un mascheramento di un vero e proprio lavoro dipendente.

A tal proposito ci permettiamo di avanzare alcune considerazioni, in attesa delle vostre (inserie in oggetto "Tema02")

Anzitutto vogliamo ricordare come tale forma di collaborazione è stata espressamente prevista e regolamentata dai nostri legislatori nel Capo I Titolo III (art. da 2222 a 2228) del Codice Civile, in esplicita alternativa al lavoro dipendente ed alle professioni intelletuali, le quali richiedono, per poter essere esercitate, l'iscrizione del soggetto prestatore in appositi albi od elenchi. Tale circostanza determina la perfetta regolarità dei rapporti basati sulla collaborazione coordinata e continuativa e la pone quale negozio giuridico assolutamente lecito. E' vero che negli ultimi anni tale fenomeno ha assunto proporzioni alquanto vaste, ma appare altrettanto evidente come un giovane, affacciandosi sul mercato del lavoro, valuti con attenzione le alternative previdenziali che gli si propongono, affidandosi spesso e volentieri alla previdenza integrativa che si presenta meno penalizzante dal punto di vista contributivo e più premiante dal punto di vista pensionistico in contrapposizione alla classica previdenza obbligatoria gestita dall'INPS. Ci sentiamo di difendere tale libertà di scelta da parte del lavoratore.

Altra considerazione doverosa riguarda l'utilità, per il contribuente, dell'attuale contributo del 12% dovuto all'INPS, destinato a crescere sino al 19%. Lo stesso Istituto per la Previdenza Sociale ha calcolato che dopo 30 - 35 anni di lavoro questi soggetti riceveranno una pensione annua di circa 10 milioni di lire a valori 1999: la serena vecchiaia per tali soggetti non è certo garantita.

In definitiva sarebbe auspicabile una riforma pensionistica che lasciasse ai soggetti interessati libertà di scelta su quale previdenza adottare al fine di garantirsi un futuro "a propria misura".