1.Le Radici
1.11 Scheletri nell'armadio
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nov.97


A volte si verificano strane coincidenze. Incontri, quasi contemporaneamente, amici che pensavi persi per sempre e che non vedevi dai tempi in cui si era spensierati e scapestrati. E ti ritrovi a chiaccherare come se ti fossi lasciato da qualche ora. Qualche sera fa incontro Silvio in un ristorante. "Avevo abbandonato la pesca, e m'era venuta una nuova passione, il rafting!!" mi dice dopo il caloroso saluto dell'amico che non vedi da anni. Mi sembrava uno sport che non c'entrasse niente con il suo carattere. Disse che, quindici giorni prima, aveva venduto le sue uniche due canne ed era andato in un supermercato dove aveva comprato un gommone, per trecentomila lire, "rinforzato per rafting", oltre a tute da meccanico, salvagenti e caschi. La mattina seguente era disceso dieci chilometri lungo il Sesia in piena: il primo chilometro nel gommone, gli altri nove solo con il giubbotto salvagente. "Appena passata la curva" mi raccontava "cominciai a infilar dita nei buchi che si aprivano fino a che non le esaurii tutte e dieci. Abbiamo perso tutto. Gommone. Zaini. Perfino l'orologio. Tutto. Figurati quanto sia piacevole nuotar giù per la Valsesia in marzo!" Mi saluta con la promessa di vederci, farci magari un cicchetto... e torna poi al tavolo in compagnia di alcuni clienti e del suo commercialista. Con loro c'erano
alcune ragazze con uno strato di trucco tipo maschera d'argilla. Fu una notte famosa per il locale e per i vicini. Tutti erano completamente sbronzi e completamente soddisfatti. Il giorno seguente, mentre dal gommista stavo discutendo sul Governo e sul campionato di pallone, trovo Giorgio che, dopo il periodo fosco nel contrabbando, era diventato socio in una pizzeria. Il vertice dell'abominio, o il fondo del baratro, dipende da come la vedi, Giorgio l'aveva raggiunto quella volta che pensò di "spremere" il Toce. Qui da noi, oltre cinquant'anni fa, era una pratica comune buttare un candelotto nell'acqua (abbiamo centinaia di cave nella zona, compresa quella per il Duomo di Milano) e poi correre lungo la riva con un guadino.

Naturalmente questo produceva diverse lapidi e qualche monco (hai idea di quanto sia difficile calcolare una miccia?). Con l'avvento della civiltà e della alfabetizzazione si era cominciato ad usare il carburo (lo metti con un po' d'acqua in una bottiglia sigillata: il contatto e la reazione fa esplodere il tutto). Altrimenti si usavano dei detonatori. Si prendevano principalmente cavedani e pighi, se si era fortunati qualche trota. Beh! Lui voleva fare le cose in grande, e usò un affare cilindrico con venti centimetri di miccia, che aveva avuto da un amico. Probabilmente si sentì nei panni di Mosè quando il Toce si aprì come il Mar Rosso mostrando il fondo. Il botto arrivò a qualche chilometro e il fiume trasportò per giorni alla foce centinaia di pesci morti. Si era poi trasferito a Milano diventando, stando alle voci, discretamente rispettabile.
Io l'avevo visto in carne e ossa l'ultima volta circa venti anni prima, mentre era al bar, un po' "su di giri". Stava raccontando che aveva provato per tre giorni, prima della "chiusura", su un'enorme trota alla seconda buca dopo il ponte della provinciale. Io naturalmente ero corso la mattina seguente, alle quattro, con la mia canna da battaglia e l'avevo presa con un bel verme. Non sono nato con una canna da mosca in mano. Anche perchè, se così fosse stato, ne avrebbero parlato probabilmente i giornali e mia madre, se fosse sopravvissuta. Ora uso canne di questo genere, e sono contento di starmene sul fiume anche solo a perfezionare il mio lancio, quando i pesci decidono di non farsi vedere. Ora ritengo la "canna da boccone" solo meno sportiva: un residuato di tecniche primitive di pesca che avevano come scopo principale quello di catturare pesci piuttosto che di accumulare attrezzature strane e costose. Questo non significa che io sia un pescatore esperto o, in generale, che il pescatore a mosca debba stare più in alto nella ipotetica scala "etica" della pesca. Intendo dire, inoltre, che non penso di essere un pescatore raffinato e neppure uno snob tra i pescatori. Tutti noi, in realtà, diventiamo degli snob quando ci mettiamo a discutere con altri che praticano altre forme di pesca. Questo perchè uno degli elementi principali della pesca a mosca è l'estetica che ne fa un modo meraviglioso di catturare un pesce, anche se non il più efficace. Come un balletto è il modo più elegante di muovere il corpo tra due punti, anche se non il più diretto. Veramente non mi sono formato vere e proprie opinioni in merito ma pesco a mosca lo stesso. Ritengo, tra l'altro, che "pesca raffinata" è una di quelle espressioni assurde, senza senso, senza significato logico. Sai cosa intendo: due termini dove il primo è la negazione del secondo.
Tipo "gastronomia fast-food" o "intelligenza militare" o "capacità politica". Se la pesca fosse realmente qualcosa di raffinato, non sarebbe probabilmente qualcosa per cui varrebbe la pena darsi tanto da fare. Secondo i più autorevoli e disponibili rapporti scientifici, i pesci sono tra gli animali posti ai gradini più bassi nella scala dell'intelligenza, sorpassati in stupidità solo dalla cozza, dai pappagallini impagliati e dal cavallo a dondolo. I milioni di persone come me che spendono una buona parte del loro tempo libero nell'impresa di sconfiggere in abilità i pesci non credo facciano qualcosa di sofisticato o estremamente ingegnoso. La mia indifferenza rispetto alla quantità di catture oggi è accresciuta e, ciò nonostante, sto prendendo molti più pesci ora che, in genere, tendo a rilasciarli. A volte ho perfino la sensazione che i pesci si affollino attorno alle mie mosche. In realtà non sempre rilascio i pesci che catturo. Una volta tenevo i pesci perchè consideravo che questi rappresentassero la misura della mia abilità nei confronti dei genitori prima, poi degli amici o della moglie. Nei confronti di quest'ultima erano anche la prova che ero realmente andato a pescare e non a fare il "coup de soir" con qualche bionda. Penso che tutti noi abbiamo vissuto un periodo in cui si è andati a pesca per "prendere": Credo inoltre che l'animo del bracconiere sia insito un po' in ciascuno e faccia parte integrante della formazione del pescatore. Spesso ho pescato con pescatori famosi, sai quei nomi celebri che trovi sulle riviste italiane e straniere, e qualcuno l'ho beccato, come si dice, "con la carne in bocca" o "con le mani nel sacco".
Illustri guru della pesca a mosca che "infilzavano" i salmoni con grosse ninfe piombate. Oddio, occorre anche dire che buona parte della poesia della pesca a mosca esiste solo nella mente del pescatore, mentre non è assolutamente condivisa dal pesce. Il punto di vista di questo, agganciato in bocca o per la groppa, è sconosciuto. Io ho la strisciante sensazione che sia meglio aver un amo nella schiena che nelle labbra, anche se devo confessare, avendo provato entrambe le sensazioni, che nessuno dei due è confortevole. Il fatto è che ogni pescatore "stagionato" ha i suoi scheletri nell'armadio. Più o meno nascosti, più o meno dimenticati. Dalle mie parti era pratica comune mettere nei torrenti le spaderne, o "lignole" come le chiamavamo in queste zone. Direi anzi che faceva parte del rito quando si stava fuori anche la notte, bivaccando in qualche alpeggio. Le posavamo prima della cena in una decina delle pozze più vicine, e si ritiravano al mattino prima di iniziare a pescare. Trenta ami significavano perlomeno venticinque belle trote. Quelle più grosse, si sa, escono in caccia durante la notte. Ci distinguevamo, altra scuola di pensiero, dai rivieraschi che invece erano soliti "pescare" cavedani e tinche sul lungolago col "coccolo". Erano bacche (cucculus indicus) che si compravano in drogheria. Si pestavano fino a farle diventar polvere e poi questa si spargeva sulla superficie del lago. Poco dopo si potevano raccogliere, dalla barca e con un guadino, i pesci che, completamente rimbambiti, salivano alla superficie. Naturalmente la barca veniva quasi sempre "presa in prestito" tra le molte nel porto o tirate in secco. Il nostro "maitre a penser" di allora era un personaggio del genere che mia mamma mi ripeteva di non frequentare. Aveva già diciotto anni e si stava facendo un certa posizione come spallone professionista. Era inoltre padrone di un linguaggio così profondamente osceno che il più delle volte non riuscivi a credere a quello che le tue orecchie stavano ascoltando. La sua compagnia avrebbe rivoluzionato le idee di chiunque sull'oscenità. Aveva scoperto che qualcuno pescava di frodo i salmerini sul lago di M. mentre fregavano e, ci aveva detto, sarebbe stato da idioti lasciar perdere un'occasione del genere. I pesci si riunivano a fianco di una massicciata dove passavano i binari della ferrovia. Due, tre metri dalla riva. Il trucco era semplice: si gettava un capo di un filo di rame, avvolto su di un sasso, in acqua. L'altro capo, avvolto su di un'altra pietra, si lanciava sopra i fili della ferrovia. Il rame fondeva subito, ma la scarica era sufficiente a tramortire un buon numero di pesci che venivano recuperati con una specie di guadino dal manico lungo.
Cinque minuti e si riempiva mezzo sacco di pesci lunghi 25/30 centimetri. Si sa che l'appetito vien mangiando e il nostro aumentava a dismisura ancora prima del pranzo. Pensavamo che se tanto mi da tanto.... avremmo potuto rifornire le nostre varie dispense, forse addirittura venderli a qualche trattoria. Nemmeno Napoleone aveva mai pianificato una campagna con maggior attenzione: Giorgio si procurò un cavo da teleferica, Silvio ed io avevamo pensato ai sacchi, alle torce elettriche eccetera La notte fatidica...... Beh! Avete idea di che effetto fà un cavo d'acciaio spesso un centimetro quando riceve una scarica di non so quanti volts? Prova ad immaginare un serpente di fuoco che frusta l'acqua, tre secondi di un bagliore incandescente che accende la notte con fumo, crepitii, scariche pirotecniche e cascate di luce che non vedi nemmeno ai concerti degli U2. Tutto questo seguito da uno scoppio secco come quello di un fulmine molto vicino. Quasi contemporaneamente noi correvamo ansanti nei campi, diretti a casa, e pensando agli alibi. L'indomani si seppe che un corto circuito aveva bloccato la linea del Sempione, e che il "Milano-Parigi" aveva avuto un ritardo di tre ore. I discorsi, nei bar della zona, erano del genere che, se avessero trovato quei vandali, avrebbero dovuto esporli agli avvoltoi, previo penzolamento dalla forca. Questi son fatti di quasi quarant'anni fa. Non ho avuto la folgorazione come S.Paolo sulla strada di Damasco, ma piuttosto è stato un graduale cambiamento e ora sono un "puro". O quasi.
Sul fatto di uccidere i pesci anche ora non sono un assertore del "catch and release" totale e incondizionato. La regola generale rimane sempre: "nel dubbio, rilascia". D'accordo ma qualche volta devi anche mostrarli al bar dove "non ci credono mai" e inoltre, sai com'è, una trotella di torrente al burro, con un paio di foglie di salvia.... Per praticare il "catch and release" senza troppi rimorsi occorre innanzitutto provvedere a qualcosa d'altro per la cena. Per noi "fishing" e "angling" sono equivalenti: usiamo questi termini indifferentemente nei nomi dei clubs anche perchè, nella nostra storia e tradizione, si pescava sempre unicamente per la tavola.
Anche nei paesi anglosassoni ora tali termini sono usati indifferentemente, ma fino al 1900 esprimevano due concetti diversi: il primo era usato per definire la pesca commerciale mentre l'altro identificava la pesca praticata per sport dal gentleman. Ora i gentlemen sono una specie in via di estinzione come la foca monaca o il panda e anche noi dobbiamo finirla con la favola del pescatore a mosca sinonimo di galantuomo gentile ed educato.
Ne conosco diversi che potresti definire tranquillamente come "tipacci".Uno di questi, per esempio, ora si è messo a riposo per aver più tempo per pescare, ma ha una fedina penale lunga un braccio. Ha avuto, per così dire, "le mani in pasta" in case di tolleranza, bische eccetera, guadagnando naturalmente un sacco di quattrini che gli hanno permesso di affrontare costosi viaggi di pesca e sempre l'ultimo grido in fatto di canne che, dopo un intervallo decente, mi faccio svendere.Questo articolo, a dire il vero, non c'entra molto con la pesca a mosca, e anzi non dovrebbe trovar posto su questa rivista. Non vuol essere nemmeno apologia o istigazione a un reato (comunque dovrebbe esser tutto caduto in prescrizione), sono solo aneddoti di vita sui fiumi. Devo dire però che mi piace avere una cattiva reputazione; sai, e' un genere di libertà che nessun avvocato o medico può permettersi. Naturalmente i punti di vista espressi nell'articolo sono quelli dell'autore (io) e non necessariamente sono in "linea" con la rivista o la politica dell'editore. Anzi credo che l'unica politica dell'editore e' quella di vendere abbastanza... da ritirarsi dall'editoria e cambiare mestiere per non avere piu' a che fare con le scemenze degli autori. ??


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