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Salmone: il grande amore
2.28 In cerca di Silver sul Togiak River
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set.96
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Può apparire strano o retorico ma
talvolta mi capita di rivivere piacevoli momenti di pesca pur
non tenendo la canna in mano. Mettevo un po' d'ordine tra vecchi
negativi e fotografie, quando mi capito' tra le mani una splendida
veduta di un lago ai piedi d'alti picchi innevati. A dire il vero
la rigirai un po' prima di cominciare a mettere a fuoco ed individuare
quel paesaggio: la memoria comincia a perdere colpi. Poi come
una folgorazione. Upper Togiak Lake! Certo, il lago Togiak e poi
il suo fiume. Mi accesi accuratamente la pipa, chiusi la porta
dello studio...... Quello fu, probabilmente, uno degli ultimi
viaggi con Bob Curtiss. L'anno dopo avrebbe venduto il proprio
lodge alla famosa guida Bud Hodson. Aveva ormai perso entusiasmo
e spirito pionieristico ed era troppo vecchio e troppo ricco per
andare avanti a condurre il Tikchik Narrow's Lodge. Era questo
il lodge più vecchio, più famoso e meglio organizzato
dell'intera zona della Bristol Bay: il vecchio Bob incassò
tre milioni di dollari dai finanziatori di Bud e si ritiro' con
la moglie Gale alle Hawaii. Il riposo del guerriero. Una sera
lo avevamo coinvolto nelle nostre conversazioni e piano piano
aveva iniziato a raccontarci i propri ricordi, infrangendo così
la regola che lo voleva a letto alle nove.
Raccontò
di quando viveva in Alaska di caccia e pesca, delle trappole per
i castori. Di quando aveva costruito (letteralmente con le proprie
mani) il Wood River, suo primo lodge. Di quando aveva fulminato
un Grizzly che, affamato, aveva sfondato la porta: ne aveva fatto
il tappeto su cui ora poggiavamo i piedi. Dei convogli di motoslitte
per costruire il Tikchik. Di quando, pilotando un bombardiere,
era stato abbattuto dalla contraerea italiana ad Anzio (unico
caso, probabilmente!), della successiva prigionia, della fuga
dal campo, dell'agognato ritorno, alla fine della guerra, nella
sua Alaska. Era fine agosto ed il programma della giornata prevedeva
di pescare Silver nel Togiak River.
Questo per me rimarrà sempre "il
fiume" per antonomasia di tutta la Bristol Bay. Altri corsi d'acqua
sono altrettanto pescosi ma mai così maestosi e belli poichè
solitamente si snodano in mille meandri fangosi verso il mare.
Il Togiak invece scorre limpido in una valle rocciosa. Le sue
pozze, già dall'alto dell'aereo, appaiono come pezzi di
giada intercalati da rapide spumeggianti e bianche cascate: l'opera
di un pittore dalla mano felice. Mentre, scalpitanti ed infreddoliti,
attendevamo che il piccolo Beaver giallo scaldasse il motore,
osservavamo la leggera nebbia che scendeva piano dal sistema di
laghi più a Nord verso il lago Tikchik. Ci stipammo quindi
nella piccola cabina ed iniziammo la lunga rincorsa sul lago prima
del decollo. Rapidamente l'aereo si alzò di circa trecento
metri ed iniziammo un'ampia curva, prima sopra il lago e poi sopra
distese di conifere per puntare infine verso la catena di montagne
che ci separavano dalla valle del Togiak. Trascorsero una ventina
di minuti e, non so come fu, ma ci trovammo di colpo in mezzo
alla nebbia: sembrava di essere avvolti nella bambagia. Brutta
situazione! Ci fosse stata almeno una piazzola di lato per accostare
ed attendere! Porca miseria! Eravamo su di un idrovolante. Probabilmente
nessuno di noi si era potuto accorgere di quanto stava accadendo
poichè solitamente, appena si saliva in aereo, quasi per
un tacito accordo, si iniziava a ronfare (approfittando del "sole
di mezzanotte" pescavamo temoli a secca fino alle tre passate).
Di colpo fummo tutti svegli, più terrorizzati di un cittadino
di fronte al fisco. Bob (vorrei ricordare che era il nostro pilota)
appariva invece tranquillo, anzi probabilmente dormiva. Occhi
socchiusi, mani appoggiate mollemente sulla cloche lasciavano
pensare che fosse tra le braccia di Morfeo. Su tali aerei, vorrei
precisare, si vola a vista e non esistono radar o altre attrezzature
complicate che possano aiutare in casi come questo. Finchè
si vola al di sopra delle montagne non esiste pericolo ma quando
ci si abbassa per tentare un atterraggio tutto comincia a diventare
una pericolosa "mosca cieca". Guardavo Bob (l'età esatta
non la sapevo ma i settanta li aveva passati) cercando di scorgere
un qualunque segno di vita.
Contemporaneamente
facevo scorrere nella mia mente le immagini dei vari film Airport
per trovare uno spunto ed improvvisare una soluzione per la salvezza.
Bob aprì un occhio.....dietro le spesse lenti. Chiesi,
simulando indifferenza, se poteva essere utile che io scendessi
per indicare la presenza d'ostacoli. Risata e gomitata scherzosa
(.....mi distrusse cosi' anche fisicamente). Si mise a posto gli
occhiali, assestò l'enorme deretano sul seggiolino, abbassò
la cloche di colpo e ci trovammo in una vertiginosa picchiata.
Bucammo lo spesso strato di nebbia, senza sapere se saremmo usciti
a cento metri o cinque centimetri dal suolo. Ci ritrovammo improvvisamente
in una valle che saliva verso alte montagne.
Mi
accorsi che avevo trattenuto il fiato dal primo momento in cui
avevo guardato Bob in letargo. Ora vedevo un torrente che serpeggiava
laggiù, tra i boschi. Sopra di noi e verso le montagne,
visibilità zero. Perlustrammo tutta la valle alla ricerca
di un passaggio senza trovarlo. Bob affermò che avremmo
puntato verso Nord, risalendo una valle laterale, fino ad un passo
che lui conosceva. Si volava a venti, trenta metri sopra il fiume,
seguendo il suo corso sinuoso, sfiorando le cime degli alberi.
Se per caso ci si alzava di un metro eccoci di nuovo in un'atmosfera
ovattata. Un albero sopra la media avrebbe significato il patatrac.
Risalimmo così per un po' di tempo. Mi aspettavo da un
momento all'altro di sentire il colpo dei rami sulle ali o sui
galleggianti. Arrivammo alle sorgenti del fiume ed alla sella
che, avvolta nella nebbia, era in pratica invisibile. Bob alzò
di colpo il muso del Beaver e, dopo qualche interminabile secondo
di volo cieco, si abbassò nuovamente. Ci ritrovammo sul
Kagati Lake, ove nasce il Kanectot River. Qui la visibilità
era notevolmente migliore ed in pochi minuti scendemmo verso la
vallata del Pungopak e, successivamente in quella del Togiak.
Visto dall'alto il fiume era splendido come lo ricordavo. Atterrammo
(o ammarammo?) in una enorme pool. Mentre i floats pattinavano
sull'acqua scorgevo decine d'ombre scure sul fondale che fuggivano
in tutte le direzioni. Lo spettacolo cambiò improvvisamente
il tono della giornata e le preoccupazioni precedenti furono completamente
dimenticate. Assicurato il velivolo con una fune ad un albero,
scaricammo canne ed attrezzature: dopo la paura e l'emozione eravamo
tutti ciarlieri come allegre comari. Occorreva far riposare la
pool e perciò ci attardammo più del solito a fissare
i mulinelli ed annodare accuratamente i finali. Tony tirò
fuori una fiaschetta di grappa che fece il giro, debitamente onorata
da tutti. Mi accesi una sigaretta e mi portai, facendomi strada
faticosamente nel bosco, in fondo alla pool. Questa era lunga
più di un chilometro e larga circa duecento metri, con
quasi tre metri d'acqua limpidissima nella parte centrale. Mi
ero piazzato su una riva semifranata, un metro sopra il pelo dell'acqua,
parzialmente nascosto da alcuni cespugli. Mentre annodavo uno
streamer (pelo di cervo rosso e corpo in tubetto d'argento) vidi
sotto di me centinaia di sagome scure. Era l'epoca in cui risalgono
i Pink (ciò avviene negli anni pari) ed il fiume era tappezzato
di questi gobbuti e sgraziati ospiti. Quando ci si trova in queste
situazioni non si riesce proprio a pescare altro: appena l'esca
tocca l'acqua ci si ritrova a lottare con uno di questi salmoni
di taglia attorno ai due chili che però non rappresenta
una preda ambita dai pescatori. In mezzo alle sagome piu piccole
ne scorgevo però qualcuna più argentea e notevolmente
più grande. C'erano anche i Silver, per fortuna! Erano
circa una quindicina, a mezza profondità, immobili nella
corrente. Cominciai a lanciare. Buttavo lo streamer sei, sette
metri davanti a me e lo lasciavo scendere con la corrente. Tre
lanci e strapazzai tre Pink. Lotta relativa con contorno di sciacquii
e spruzzi. Alla fine dello show mi resi conto che i Silver si
erano portati sul fondo. Calma e gesso, Franco. Così facendo
avrei continuato solo a spaventarli finchè se ne sarebbero
andati del tutto. Attesi, seduto su di un tronco, per un po' di
tempo finchè vidi che si erano portati di nuovo a mezz'acqua.
Cambiai la mosca mettendone una dello stesso tipo della precedente
ma di taglia più grande e più ricca di peli, in
modo da renderla più visibile dalla mia posizione. Cominciai
una nuova serie di lanci. Fissavo attentamente la corsa della
mosca e davo uno strattone quando vedevo un Pink sganciarsi dal
gruppo. Riuscivo in tal modo ad allontanarla quel tanto che bastava
per farlo desistere dal morderla. Feci compiere diverse passate
alla mosca ed in due o tre di queste lo streamer passò
ad una spanna davanti e sopra al muso di due Silver. Era una presentazione
ideale ma i pesci non fecero neanche una piega.
Mentre
recuperavo, con la mano sinistra, qualche centimetro di coda per
iniziare un nuovo lancio, la mosca si animò leggermente
e vidi un Silver, appena più indietro dei primi due, che
piegò la testa in direzione dell'artificiale ed ebbi la
netta impressione di un leggero fremito delle pinne. Ripetei il
lancio, questa volta cercando di far passare l'esca più
vicina al salmone che avevo visto interessato. Appena questa fu
davanti alla sua testa diedi un colpetto leggero alla coda. Ero
attento alle reazioni del pesce eppure non lo vidi nemmeno partire.
Improvvisamente sentii uno strattone alla canna, la coda mi sfilò
tra le dita e mi trovai in pieno combattimento.
Come
tutti i Silver fece una prima fuga che mi vuotò quasi tutto
il mulinello del backing, poi iniziò il repertorio completo
di salti e testate fuor d'acqua ma lo forzai quanto bastava per
tenerlo fuori della zona dove c'erano i suoi compagni affinchè
non disturbasse troppo. Nel far questo scesi verso la fine della
pool ma non troppo; avevo paura che si buttasse giù per
le rapide ed allora addio salmone, mosca e, forse, coda. Infine
lo tirai a forza sulla riva: il finale dello 0.40 e la canna potente
per fortuna me lo permettevano. Una volta sganciato l'amo non
fu nemmeno il caso di massaggiarlo per farlo ossigenare. La lotta,
relativamente breve, non lo aveva sfiancato e come lo rimisi in
acqua scivolò via come un siluro. Era una bella femmina,
probabilmente sei chili, panciuta, muscolosa e brillante. Non
sapevo ancora se avevo trovato il metodo giusto oppure se era
stato solo un colpo fortunato. Tornai alla posizione di partenza
e rividi l'allegra brigata dei Silver al completo: c'erano ancora
tutti, meno uno, naturalmente. Cercai quello più isolato
del gruppo e ripetei l'operazione precedente, sempre con molta
attenzione ai Pink che potevano rovinarmi la frittata. Anche con
questo ci fu la stessa prima reazione di nervosismo seguita, al
successivo lancio, da un'abboccata feroce. Allora avevo trovato
la quadratura del cerchio! Questo Silver me lo gustai un po' di
più, permettendogli uno spettacolo più vivace e,
per me, più emozionante. Ora, abbastanza appagato, potevo
concedermi pause e virtuosismi, mi dedicai perciò con calma
e devozione al mio piccolo gregge. Ci pescai diligentemente per
tutta la giornata fino alle quattro del pomeriggio, quando i compagni,
che mi avevano visto sparire all'arrivo, vennero a cercarmi piuttosto
preoccupati. Pensavano forse di trovare le mie ossa spolpate da
qualche orso, oppure di trovarmi alle prese con qualche squaw
aleutina in crisi d'affetto. Avevo agganciato undici salmoni Silver
(oltre ad una decina di indesiderati Pink) ed avevo un sorriso
da un orecchio all'altro. Li avevo rilasciati tutti tranne un
paio dei più belli che avevo già provveduto a sfilettare.
Catch and release va bene ma non posso litigare sempre con mia
moglie che il salmone lo concepisce solo affumicato o con la maionese.
Ricordo che quel giorno usavo una coda Sinking Tip del 9, centocinquanta
metri di backing in dacron da 20 libbre, un vecchio mulinello
Hardy Sunbeam ed una canna in grafite da dieci piedi. Indossavo
inoltre una giacca a vento beige, un maglione a collo alto in
tinta ed un berrettone di lana a disegni fantasia col paraorecchie.
Tutti questi particolari, ovviamente, furono fondamentali per
la buona riuscita della giornata. |