4. Saltwater
4.02 MAGICO BELIZE
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giu.92
Un viaggio di pesca e' cosa da uomini: sistemazioni scomode, luoghi sperduti, pericoli di ogni genere. Discutendo con un amico i dettagli di una spedizione in Centro-America finimmo sull'argomento "le femmine e la pesca". "Non ci devono essere sottane in giro quando vai a pesca! Dovrebbero fare una legge che vieta le donne nei viaggi di pesca - esclamo! - i cacciatori sono più fortunati di noi, almeno possono sparare ...." Annuivo convinto aggiungendo che non si concilia un impegno totale come la pesca con tali "frivole distrazioni". Una settimana dopo, per l'appunto, attendavamo a Miami la coincidenza per Belize City. Stavamo bevendo champagne in un localino consigliato da un tassista. Lo spettacolo era costituito da ragazze in ottima salute: tolte le scarpe avevano l'abbigliamento adatto per infilarsi sotto una doccia. Al mattino presto lasciammo il locale trascinandoci sull'aereo. Dopo il decollo questo viro' leggermente e punto' a Sud, verso il mare e verso gli splendidi panorami delle Keys e dello Yucatan. L'ottimo lavoro dei viticultori francesi nella produzione dello champagne mi rende confusi i dettagli del viaggio.
Probabilmente nessuno dei vostri amici non pescatori avrà mai sentito parlare di Belize. Solo pochi agenti di viaggio e i bibliofili sanno infatti cos'e' e dove si trova. Tra alcuni pescatori, invece, il nome ricorre come il Ticino o Castel di Sangro, ed e', per eccellenza, sinonimo di flats e grossi pesci. Arrivammo sull'isola di Ambergris Cay, un fazzoletto di terra a 15 minuti di volo da Belize City. L'isoletta era una striscia di sabbia coperta di palme da cocco. I depliants che avevamo ci spiegavano che era circondata da ogni lato da barracuda, bonefish e tarpon. In hotel chiesi della nostra guida e, posati i bagagli, ci recammo al pontile cercando di individuarla. Eccola! Dalle indicazioni ricevute non avrebbe potuto essere nessun altro! Vincent era grande, grosso e nero come l'inferno. Doveva essere il fratello tropicale dell'Abominevole Uomo Delle Nevi Himalayano.

Dopo le presentazioni fu informato che le nostre canne da mosca vagavano in qualche aeroporto e che quindi doveva attrezzarci in qualche modo per farci pescare. Per quanto i suoi "ferri" ci apparissero primitivi si fisso' l'appuntamento per l'indomani, come si suol dire: pronti e "colazionati" alle 7.45. Si dice che le persone con un elevato quoziente d'intelligenza generalmente soffrano d'insonnia: noi dormimmo come angeli fino al mattino. Dopo banane fritte, ananas e caffe' stavamo aspettando sul pontile in un umido e caldo mattino. La guida arrivo' puntuale .... alle 8.45. Puzzava peggio della "Premiata Pescheria Posillipo" il giorno che si guasto' la cella frigorifera. La giornata era talmente afosa che avremmo tentato di pescare sulle flats di quella parte di Mar dei Caraibi prima che evaporasse. Eravamo ancora in alto mare quando Vincent spense il motore e la spinta ci porto' dove l'acqua era profonda circa un metro, i fondali di sabbia bianchissima mentre l'acqua turchese diventava leggermente più cupa nei canali che intersecavano le flats. Si vedevano in lontananza degli isolotti di mangrovie gremiti di pellicani, cormorani e loro parenti. La guida inizio' a spingere silenziosamente la barca con la lunga pertica: il suono viaggia nell'acqua cinque volte più veloce che nell'aria e diversi studi hanno dimostrato che nelle flats calme e piatte i pesci sentono il rumore di un motore fino a 300 metri. Lanciare in acque per me nuove mi eccita sempre: mi aspetto ogni volta che qualche "trenta chili" di una specie strana afferri subito la mia esca e mi strappi la canna di mano.
Fu cercando i pesci che Vincent dimostro' tutta la sua abilita' e come valeva la paga fino all'ultimo dollaro. Ci porto' ad avvistare tarpon e parecchi barracuda in modo tale da permetterci di lanciare proprio di fronte a questi delle sardine vive innescate. Era una caccia molto eccitante: si vedeva il pesce che "caricava" l'esca, l'afferrava ed iniziava a sfilare lenza. Alla ferrata, o appena si accorgeva dell'amo, saltava fuori in verticale dall'acqua. Mentre qualche barracuda venne portato sotto bordo abbastanza facilmente, per un tarpon, stimato 15 chili, tutto si esaurì al primo salto. Per il pescatore inesperto e' realmente difficile prendere i tarpon pescando a spinning o a mosca poichè la maggior parte di quelli che si agganciano si slamano al primo salto. Spesso infatti, parlando di questi parenti giganti delle aringhe, si parla di "jumping tarpon" invece che di "catching tarpon" (saltare invece di prendere), poiche' il 70 per cento del divertimento e' dato dall'avvistamento del bestione, dal vederlo afferrare l'esca e saltare immediatamente.
Il restante 30 per cento non sempre si realizza ed e' l'impresa ardua di portare sotto sponda il pesce. Poi, per i due giorni seguenti, pescammo con tecniche differenti. Trainando sardine innescate per il muso catturavamo barracuda, snapper e triggerfish (un pesce piatto e coloratissimo). Tentammo a fondo le cernie, catturando anche gli onnipresenti snapper e trigger, ma l'emozione piu' grande fu data dalla caccia ai ladyfish. Si cercava a distanza una macchia di un blu piu' cupo rispetto all'azzurro intenso del mare. Il branco, dalle dimensioni di un campo sportivo circa, era in perpetuo movimento e composto da migliaia di ladyfish. Questi sono pesci di uno/due chili che tirano e strappano come forsennati. Ne avevamo catturati a decine pescando a spinning con dei jigs gialli, poi avevamo provato degli ondulanti e qualsiasi altro "fondo di magazzino" trovato nelle scatole. Vincent inseguiva, a motore, il branco nei suoi continui cambi di direzione fin da arrivare a tiro per lanciare. Era sufficiente lasciar affondare un paio di metri l'artificiale e, al primo violento richiamo, ci si trovava un pesce attaccato. Nel tardo pomeriggio ci impegnammo a tentare grouper, snapper giganti e grossi tarpon negli wrecks (la traduzione letterale sta per relitto ma qui stanno ad indicare profondi canali tra flats e banchi di corallo) utilizzando potenti canne da traina con i relativi mulinelli. Abituato come sono a quelli da mosca trovo che i mulinelli per il big game siano meravigliosamente complicati. Alcuni hanno più di trenta parti mobili. Voi direte che anche i pescatori di big game hanno più di trenta parti mobili, ma in questo non trovo niente di meraviglioso. Pescavamo ancorati, con lenza del 120, un metro di wire e, a circa due metri dall'esca, veniva applicato un palloncino per segnalare l'abboccata e per evitare che il pesce, libero di muoversi, andasse ad infilarsi tra i coralli. Innescavamo un bonefish con un amo sul muso ed un'ancoretta sulla coda. Con gli ami ci potevi sospendere un bue. Vincent tagliuzzava delle sardine ed ogni tanto ne lanciava una manciata in acqua. L'azione fu questa: si vide sparire il palloncino e si sentii il gracchiare del mulinello. Abituato alla velocità con la quale una trota nei nostri fiumi prende una ninfa (paragonabile a quella di deriva dei continenti) N. fu preso in contropiede e diede una ferrata che sarebbe stata esagerata per un black marlin da mezza tonnellata.
Dopo il primo attimo di smarrimento da parte di entrambi (N. ed il pesce) il nylon sfilava e la canna prese una forma che il costruttore non avrebbe mai approvato. Una strenua lotta era cominciata. Il pesce non saltava come un tarpon ne' picchiava verso il fondo come una cernia: tirava verso il largo con la forza di un rimorchiatore. Dopo diverso tempo dedicato al tiro alla fune osservo N.. Le sue mani sono malamente ferite, le sue dita gonfiate dal tenere la canna ed un pollice e' probabilmente slogato; lo stomaco e' tutto un livido e non sa più dove appoggiare il calcio della canna; la testa e' bruciata dal sole e la pelle del cranio completamente ustionata, le spalle hanno un principio di tendinite e si e' sbucciato un ginocchio contro il fuoribordo. E' pressoche' disidratato e nell'ultima mezz'ora deve avere un inizio di febbre. Mi offro generosamente e suggerisco che potrebbe mollarmi la canna. Mi guarda stupito: "sei scemo!? ... e perdere tutto il divertimento!!??!!"
Alla fine viene su un Black Tip da un metro e mezzo. Questo squalo, che ci sembra enorme, può arrivare anche a due metri. N. (non cito il nome per esteso per motivi che hanno a che fare con la moglie e il fisco) spara sul pesce un rullino completo. Si accorgerà in seguito che quest'ultimo non era stato agganciato. Il momento magico arriva pero' al tramonto, verso le 18.30, quando i pesci giungono dal mare aperto e si infilano nel canale per pascolare durante la notte tra le flats. Si pesco' fino alle 20 ed agganciammo diverse cernie (grouper) e saraghi (snapper) che riuscimmo a portare in barca mentre qualche tarpon enorme (oltre il metro e mezzo per 50 chili) si sgancio' al primo salto dopo l'abboccata. Uno in particolare, al quale avevo lasciato ingoiare completamente l'esca, riuscii a tenerlo in canna per oltre venti minuti. Quel pesce combatteva come se si fosse allenato in modo speciale proprio per quella occasione. Ad ogni fuga il filo fischiava negli anelli e, durante la lotta, fece otto incredibili salti. Si arrampicava per un paio di metri verso il cielo, sbattendo la testa ed inarcandosi, giusto perchè mi imprimessi bene nella mente la sua taglia. Dopo un quarto d'ora N. sentenzio' che era agganciato bene e senza dubbio avrei avuto la mia foto con un tarpon da cento libbre. Questo equivalse al famigerato "Buona pesca!". Quando lo credevamo stanco e cominciavo faticosamente a pomparlo si andò ad infilare tra i coralli, aggrovigliando tra questi il finale. Riuscimmo ad avere un'ultima visione di quel siluro mentre ci avvicinavamo al banco: un bagliore argenteo per un istante e poi una faticaccia incredibile per riuscire a "rompere" il filo del 120. Il penultimo giorno, dopo aver compiuto il giro del mondo, arrivarono le nostre canne che cosi' avrebbero potuto raccontare di aver fatto parte della spedizione. Andammo quindi a bonefish: questi sono presenti a migliaia e si vedono spesso vastissime aree di "mudding" dove branchi enormi pascolano sul fondo. Nei giorni precedenti ne avevamo catturati parecchi con dei jigs ma ora, con la mosca, nelle flats, diventava tutto più difficile. Nei bassi fondali (dieci centimetri d'acqua), dove potresti pescare camminando, affondi fino alla cintola nel fango e non puoi, del resto, percorrerli con la barca perche' s'impantana.
Ed allora te ne stai come un cretino, con il vento che ti fischia nelle orecchie, a guardare decine di schiene e code fuor d'acqua sempre fuori tiro. Riesci a lanciare come si deve su sette/otto pesci in una giornata. A parte bonefish, barracuda e tarpon, avvistavammo anche diversi squali nutrice ed un permit. Lanciare in mare e' fondamentalmente diverso che lanciare in acqua dolce. Sui fiumi si lancia essenzialmente su pesci che stanno fermi in attesa che il cibo passi loro davanti, portato dalla corrente. In mare invece si lancia su pesci nevrastenici, in continuo movimento e che cambiano continuamente direzione. Il requisito principale del lancio quindi diventa la rapidità: occorre sparare 12/20 metri di coda sul bersaglio con un solo falso lancio. Naturalmente e' importante anche la precisione mentre la delicatezza di posa e' indispensabile solo sui bonefish in "tailing". Nel settanta per cento dei miei lanci la coda cade prima della mosca. Questa aberrazione provoca dolori acuti ai puristi che mi osservano. Ai pesci non importa.
Occorre farci un po' la mano per lanciare, con il vento, una coda 12 ed una mosca taglia/pollo. Per due volte infilai l'amo nei calzoni a Vincent e lui, nel silenzioso tentativo di sfilarlo, mi distrusse completamente la mosca: due dollari e cinquanta cadauna, in offerta, da Harry's Supply, Miami. Comunque non fu una completa perdita, arricchii il mio vocabolario di alcune espressioni in "creolo" che non mi avrebbero fatto sfigurare tra sergenti maggiori della Legione Straniera. Parecchi credono che i pesci siano daltonici, che non e' niente in confronto a quello che pensano i pesci dei pescatori. Sui bonefish e ladyfish usammo Crazy Charlie e Bonefish Special, anche in versioni non ortodosse. I Tarpon, ci dissero, avevano la sindrome del toro: caricavano sul rosso. Usammo quindi su questi mosche rosse, bianche e rosse, rosse e nere, principalmente Cockroach, Stu Apte Tarpon e Deceiver. Il tarpon morde facilmente anche la mosca se gli arriva a tiro ma, in questo caso, occorre ferrare con forza per far penetrare un amo affilato del 3/0 o 5/0 in quella bocca rivestita di placche ossee. La ferrata deve essere fatta con tutta la forza del braccio e ripetuta piu' volte, tirando contemporaneamente la coda con l'altra mano. La canna va tenuta bassa e parallela all'acqua; questo perche' se il pesce sputa la mosca essa rimane comunque in acqua cosi' da poter essere riafferrata. Inoltre, in questo modo, la mosca sputata viene proiettata verso l'esterno e non contro il pescatore, con le gravi conseguenze che ne potrebbero derivare. La bocca d'acciaio del tarpon rovina qualsiasi finale cosicche' e' sempre indispensabile uno shock leader dello 0.80 o dell'1.00 tra finale e mosca. Un grosso tarpon puo' (e talvolta lo fa) nuotare per chilometri. Occorre quindi un grosso mulinello che contenga molto (almeno 400 mt. da 30 lbs.) backing ed una frizione in grado di rallentare un locomotore. La canna da nove piedi per coda 12 deve permettere di lanciare discretamente ma soprattutto deve essere robusta per poter "forzare" il pesce e per sollevarlo quando e' in prossimità della barca. Nonostante le attrezzature potenti e moderne di cui disponiamo i grandi tarpon vincono la sfida più spesso di quanto si creda.


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