3.
Trote e temoli
3.02
A trote in S.Africa
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ago.88
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Cosi',
carichi di coraggio ed entusiasmo, abbiamo impacchettato e caricato
waders, float tubes, motori elettrici ed un enorme e spaventoso
fascio di carbonio e grafite, tutti ottimi conduttori di elettricità,
con il quale avremmo ondeggiato, immersi con l'acqua alle ascelle,
stimolando ogni perturbazione atmosferica dell'alto Natal.Il
giorno del nostro arrivo si squarciavano i cieli. Dai tropici
giungeva aria calda che si mescolava con quella fredda ed umida
che proveniva dal mar dell'Antartide. L'intera perturbazione
sbatteva e sferzava il Drakensberg proprio attorno all'ameno
laghetto dove noi stavamo lanciando; l'acqua era piuttosto calda,
sufficiente per cuocere un uovo, sporca e completamente senza
nessun genere di attività in superfice, inoltre un vento
proveniente a raffiche dal Sud mi urlava nell'orecchio sinistro.Nessun
indigeno, sano di mente, era nei paraggi; con un tempo come
questo era molto meglio rimanere in città e solo dei
disperati come noi potevano tentar di pescare tutto il giorno,
incuranti del barometro e del buon senso. Il mattino fu totalmente
negativo e solo all'ora di pranzo ci riparammo per riposare
un po' e rifocillarci. Il pomeriggio fu peggio e non vidi nessun
pesce in caccia in mezzo alle erbacce del lago. Pescavo con
una vecchia ninfa arrugginita che lavorava al contrario (con
l'amo all'insù) cosa che mi evitava di agganciare continuamente
nelle erbe presenti in quasi tutti i laghi africani al di sotto
dei 1800 metri; era montata su un amo del 6, in genere uso ami
più piccoli ma fino a quel momento tutta la serie dal
14 al 20 non aveva ottenuto alcun risultato. Sulla riva lontana
osservavo e cercavo di decifrare le oscure figure dei miei amici,
eccelsi pescatori. Jan era nell'acqua alle ascelle e falciava
con la sua canna nel vento posando una minuscola ninfa con precisione
e stile ad ogni lancio, indietro, saldamente, nel prato alle
sue spalle. Osservai che almeno una ventina di volte usci' dall'acqua
per rifare il finale e rilegare con stoicismo e rassegnazione
uno dei suoi artificiali costruiti squisitamente. Paulus, invece,
stava andando alla deriva, in un'ansa sporca e squallida, trascinato
dal vento, con il float tube, trattenuto solo in parte dal suo
Wolly Worm superpiombato. Sembrava ormai una partita persa.Posai
il finale (usavo una coda del quattro galleggiante ed un finale
di 3 metri con punta dello 0,18) proprio sopra uno spesso strato
di erbacce e quel mio orribile amo resto' a penzolare nell'acqua.
Vidi qualcosa di scuro salire dal fondo e dare un'occhiata a
quell'obbrobrio fermo a mezz'acqua. Pensai che senz'altro era
scappata spaventata e mentre sognavo le famose trote giganti
del lago Taupo sentii tirare distintamente la coda.
Pam!
Un'abboccata decisa ed ero già uscito dal mio sogno in
Nuova Zelanda. Pam! ancora e ferrai. La lenza uscì lentamente
con potenza dal mulinello con il tiro classico del grosso pesce
che non sa ancora cosa ha in bocca, senza panico né frenesia.
Cominciai a preoccuparmi quando vidi che ero arrivato al backing:
era ora di frenare e recuperare. La vecchia trota però
aveva altre idee ed esplose fuori dall'acqua, verso riva, formando
un angolo retto con la lenza. Avevo comunque la canna alta e,
fortunatamente, mancavano pochi giri di backing sul mulinello
quando il pesce si fermò e cominciò a combattere
in superfice. Venne poi su abbastanza facilmente ed al peso
segnò un chilo e settecento grammi. Pulito il pesce,
stipati wader ed attrezzature, partimmo per Pietermaritzburg
dove avevamo base e dove alla sera i miei amici, facendo l'autopsia
della giornata, ponderarono parecchio e profondamente sugli
effetti notevoli della fortuna. L'indomani mattina partimmo
alle quattro del mattino con cielo plumbeo e barometro in caduta
libera.Avevamo programmato di pescare sull'alto Mooi, ma uno
sguardo dalla strada a Nottingham Road sul fiume turbinoso e
vorticoso ci convinse a rimandare ad un'altra volta l'incontro
con le leggendarie Browns del Mooi. Comunque eravamo stati preveggenti
giacché Paulus aveva avuto la precauzione di prendere
il permesso su un laghetto lì vicino.
Decidemmo
di pescarlo in tutta la sua estensione e, poiché la nostra
amicizia tendeva a sciogliersi in prossimità dell'acqua,
c'imbarcammo su tre diverse barche. Appena arrivati il vento calò
di colpo, la superfice divenne come un vetro e si alzò
una nebbia che c'impediva di vedere la riva mentre cominciavamo
a scivolare sull'acqua. Pescai inutilmente per qualche ora. Arrivò
il mezzogiorno ed altrettanto silenziosamente se n'andò.
Poi la bruma si alzò e tornò il vento trasportando
grosse nuvole di pioggia. I miei partners stavano pescando fuori
dalla mia vista, giusto dietro uno sperone che quasi divideva
il lago. Nella mia mente immaginavo Jan navigare silenziosamente
e, manovrando in modo letale la sua canna, rilasciare tutti i
pesci sotto i 45 centimetri. Sognavo perfino un'enorme coda che
usciva dal suo cestino e fluttuava nell'aria. Paulus, senza dubbio,
era alle prese con un pesce-mostro e lo stava inseguendo tra le
canne per finirlo. Io stavo pescando in un tratto d'acqua in mezzo
al lago dove c'erano alcune folaghe che mangiavano qualcosa sopra
ad un letto di alghe. Ero stato più di tre ore a gingillarmi
per capire cosa stavano mangiando gli uccelli, confidando nel
fatto che, compreso quello, avrei potuto finalmente riempire il
cestino. L'acqua era piena di spents di una precedente schiusa
ed in mezzo a queste galleggiavano alcune piccolissime lumachine.
Mi sporsi dalla barca e ne presi una dall'acqua, era piccola e
rossa, ma subito mi minacciò con le antenne e soprattutto
con lo sguardo; la gettai davanti a me e cominciò ad affondare
come un sasso. Dall'ammasso verde scuro di fronte si staccò
un'ombra più scura e poi vidi un luccichio dove avrebbe
dovuto trovarsi la lumachina. Ora ero a conoscenza del menù
del banchetto e dovevo solo trovare un'imitazione adatta. Guardai
attentamente nella scatola delle mie ninfe ed un batuffolo anonimo
si scelse, in pratica, da solo. Lanciai tre metri avanti (sempre
con coda del quattro galleggiante), rilanciai e poi ancora. Risprofondavo
nella noia. Il finale s'impigliò sulle alghe, diedi uno
strappetto per liberarlo, ed iniziai poi la progressiva trazione
per il lancio all'indietro. Istantaneamente il filo si tese ed
un grosso pesce si era, in quel modo, attaccato da solo. La coda
sibilo' allegramente tra le mie dita appena la trota si lanciò
in una serie di zig zag, trascinando tutta la coda e buona parte
del backing, poi puntò diritto verso di me e pensai di
perderla. Il finale tagliò l'acqua e scomparve sotto, tra
la barca ed il motore.
Cercai di voltarmi e abbassare la canna. Barcollai e, impacciato,
caddi all'indietro, bloccando la canna sotto il mio corpo ed il
cimino spuntava fuori a poppa e continuava da solo la lotta con
il pesce. Era la prima volta che catturavo un pesce all'indietro.
Quando
perfezionerò la tecnica, il tutto sarà oggetto di
un articolo. Finalmente, menomato nella mia dignità, la
guadinai: 46 centimetri e qualche grammo in meno di un chilo e
mezzo. Ero contento di avere almeno un pesce rispettabile da contrapporre
alla borsata che senz'altro avrebbero avuto Jan e Paulus, e soprattutto
che nessun testimone c'era stato allo spiacevole ed umiliante
episodio della cattura. Tornai, cercando i miei amici, ed impiegai
qualche minuto perché il forte vento tratteneva il piccolo
motore elettrico. Finalmente la barca arrivò a riva e s'arenò
sotto un salice dove avevamo parcheggiato le macchine e dove avevamo
intenzione di pranzare sul prato. L'ispezione allo stomaco del
pesce rivelò una massa di vermetti e ninfe, un mucchio
di lumachine ed un'enorme ninfa lunga oltre cinque centimetri.
Il campionario giusto per quella stagione ed il pesce non era
certo a corto negli approvvigionamenti. Presi dal cassone del
mio pick-up, preso a nolo, l'affumicatore, alcuni pezzettini di
legno e della segatura di quercia.
Mi
riparai dietro il camioncino e poco dopo l'aria attorno era
profumata dall'aroma della trota. I miei amici si avvicinavano
stancamente, piccole esili figure in lontananza, e si riunirono
per il pranzo. La pioggia era cessata e Paulus guardò
accigliato il cielo. "Com'è andata?" Chiesi allegramente
mentre si avvicinava al pesce affumicato, risplendente in un
vassoio accompagnato da due limoni freschi e da una terrina
di insalata. La sua risposta arrivò confusa mentre sotterrava
i denti in un pezzo di tacchino e stappava il vino. "Ho avuto
solo una tirata". Disse tetro. "E con che esito?" Chiesi soavemente.
Dopo pranzo, riposando sugli allori, mi misi a dormire mentre
gli altri commentavano tristemente la battaglia contro il vento
e la pioggia del mattino. Era tardo pomeriggio quando mi risvegliai,
non pioveva ma il cielo e l'orizzonte erano molto scuri. I miei
amici erano scomparsi. Mentre decidevo il da farsi vidi una
bella bollata nello specchio d'acqua davanti a dove avevamo
parcheggiato le macchine, non più lontano di cinque metri
da riva, appena a destra di un salice. Ancora una bollata. Ad
intervalli vedevo rompere da gorgoglii la superfice liscia del
lago, giusto sotto il salice. Il pesce si stava cibando di insetti
che presumibilmente cadevano dai rami. Presi febbrilmente la
canna e montai una Bivisible su amo del 12 ed un finale del
18. Non era un problema lanciare in mezzo ai rami che toccavano
l'acqua tanto che ad un primo momento pensai di aver agganciato
una foglia da tanto che c'ero arrivato vicino. Da un paio di
metri più lontano una sottile "V" tagliò la superfice,
in accelerazione verso la mia mosca. La Bivisible scomparve
in uno spruzzo. Dopo aver strappato fuori dalla bocca molte
mosche per ferrate impazienti avevo imparato a resistere al
primo impulso, cosi' aspettai che il pesce si girasse prima
di piantare l'amo. I miei amici arrivarono non so da dove giusto
in tempo per vedere la trota iniziare una serie di salti spettacolari
ma l'amo era ben piantato ed il pesce gradualmente si stancò
ed alla fine arrivò docile al guadino. Un bel maschio
di Rainbow di un chilo e trecentocinquanta grammi: ormai però
avevamo pranzato così lo rilasciai per poterlo combattere,
forse, un'altra volta. Ora Jan e Paulus sembravano dei malati
di fegato e l'atmosfera cominciava a farsi un po' tesa. Il giorno
seguente avevamo prenotato per un paio di giorni un cottage
(dolce eufemismo ) a Praire Dam per un ulteriore tentativo sul
Mooi ed una giornata appunto sul Praire Dam. Questo laghetto
era proprio un'acqua olotrofica ( !?! ) e ben popolata, comunque
i miei amici non riuscirono a persuadere nessuna trota ed io
ottenni il risultato di rendermi sempre più odiato ed
impopolare. Prima del tramonto avevo preso una grossa Brown
Trout di un chilo e seicento e rilasciato altre quattro sopra
i trentacinque centimetri, sempre piu guardato con invidia dai
ragazzi. Cominciavo realmente a divertirmi in questo viaggio
mentre i miei amici avevano ormai cominciato a vivere nel passato.
Le loro conversazioni riandavano continuamente "ai vecchi tempi",
prima di incontrarmi, ed alle grandiose pescate che avevano
fatto. Cercando di apparire socievole dissi che, poiché
erano entrambi vecchi ed esperti pescatori, probabilmente avevano
esaurito la loro parte di "fortuna dei principianti". Mi gettarono
nel lago. Non voglio dilungarmi in una spiacevole storia, dirò
solo che la sera del giorno dopo erano stati presi solo due
pesci. Vergognosamente da me. Ci mettemmo sulla strada per Himeville
con i miei due compagni che lottavano valorosamente per mantenere
un contegno civile. Ormai eravamo sulla strada del ritorno ma
c'era un altro posto ancora da provare. I miei due amici facevano
parte di quella schiera di pescatori che scrivono sempre ovunque
per avere informazioni. Avevano un archivio immenso di mappe
topografiche da sopravvivenza, elenchi interminabili dei farmer
nelle cui terre c'era un ruscello od una pozza d'acqua. Da quest'enorme
lista ottenevano oscure referenze su acque dimenticate da tempo,
accenni individuati leggendo tra le righe in riviste specializzate
e, poi, compilavano degli itinerari o guide in codice, quasi
dei manuali per iniziati. Ho sospettato a lungo che questo fatto
avesse qualche strano profondo rapporto con i segreti e reconditi
recessi della loro personalità. Mi avevano lasciato un
po' indietro sulla strada, ero del resto un po' impacciato nel
mezzo noleggiato carico abbastanza da rifornire un negozio di
attrezzature di pesca, e cosi', quando li raggiunsi, li trovai
al bordo della strada immersi in una profonda e concitata conversazione
con un farmer. Al mio allegro arrivo il suo aspetto preoccupato
virò verso lo spavento.
Eravamo
stati a pesca da una settimana e la nostra faccia era segnata
dalla stanchezza e dalle intemperie. Comunque Paulus non cedette:
dalle sue carte risultava che proprio li' avrebbe dovuto esserci
un'acqua "oligotrofica". Eravamo alla giusta altezza e latitudine
e la mappa non poteva mentire. I miei compagni cercarono di
far leva sui sentimenti dell'uomo raccontando le lunghe ore
senza pesci che avevano trascorso e condivano i loro discorsi
con occhiate maniacali sui volti cotti dal sole e dalle labbra
screpolate. Dapprima il farmer fu piuttosto vago, puntando evasivamente
il dito sulle colline, verso est. Ma i miei amici avevano fiutato
la preda. Jan si trattenne a stento dall'inginocchiarsi finche'
il farmer ammise che sì da quella parte c'era un oscuro
lago con una reputazione di pesci-mostro; non sapeva se l'acqua
fosse o meno oligotrofica ma ci permetteva di pescare con la
promessa che avremmo rilasciato i pesci sotto i 40 centimetri.
Tolse il catenaccio dal cancello e ci fece segno di seguirlo.
Ci
condusse fino ad un lago di circa trenta ettari di una limpidezza
estrema, poi andò a badare a delle mucche che pascolavano
nei dintorni. Varammo la barca; normalmente avevamo pescato
divisi ma ora Jan insisté per pescare con me. Aveva paura
di avermi lontano dagli occhi. Si stava lentamente convincendo
che i pesci avrebbero seguito ovunque la mia mosca eppoi mi
sospettava segretamente di gravi illegalità ed aveva
proprio insistito per pescare in mia compagnia sperando, senza
dubbio, di cogliermi in flagrante con sostanze tossiche od esplosivi.
Ci accostammo a delle canne e buttai l'ancora. "E fai piano!"
latrò Jan. C'era aria di ammutinamento. Ci ignorammo
deliberatamente e cominciammo a pescare. Pescavamo con code
intermedie, prima a galla e poi via via più in profondità
fino a che non avessimo trovato dove stazionava il pesce. Paulus,
intanto, stava guadando con l'acqua alle cosce in una zona che
probabilmente le recenti piogge avevano sommerso: di colpo,
come inghiottito, scomparve e poi subito riapparve in una nube
di spruzzi. Era riuscito, da solo, a localizzare un fondale.
Supposi che era il modo giusto per scegliere il proprio posto,
tanto il sole di mezzogiorno l'avrebbe asciugato in poco tempo.
Noi continuavamo a pescare poco convinti dei risultati in quell'ora
caldissima. Jan tentava di ingolosire i pesci con un Wolly Worm
piombato e lanciava parallelamente alla riva. Il suo cimino
si curvò ed il suo viso s'illuminò. Tirò
ed una trotella di dieci centimetri volò sopra le nostre
teste. "Peschi col vivo?" Domandai gentilmente. La sua risposta
fu realmente istruttiva, insegnandomi molti fatti interessanti,
che non avrei mai sospettato, su mia madre e sui miei antenati.
Mentre divagava su questi fatti, la mia esca capitò su
di un pesce. Stavo pescando con una ninfa nera su amo del 16,
e finale intrecciato dello 0,16. Il finale con la treccina fa
assorbire meglio gli strappi e rimane sempre teso. La trota
era ben agganciata ed impiegai venti eccitanti minuti per tirarla
fuori. Jan avvolse la coda e si sedette, guardandomi con aria
triste e maledicendo il destino. Era una bella femmina di quasi
cinquanta centimetri. Avevamo deciso tra noi di restituire all'acqua
ogni pesce che non avesse sorpassato il proprio record precedente.
L'espressione sul viso di Jan mentre restituivo al lago la trota
meritava di essere filmata. "Non hai mai preso pesci di questa
taglia!" sibilò. Volevo raccontargli delle trote prese
in Alaska o nel Gacka e poi che stavamo pescando in acque oligot....Tacqui
per non essere soppresso. Riprendemmo a pescare: non appena
iniziò il recupero, Jan attaccò un pesce. Il mulinello
si mise a cantare, lui si mise a cantare, poi si raccolse e
si concentrò sulla trota. Iniziai a recuperare la mia
coda, per dare spazio al mio amico poiché se il pesce,
attraversando lo specchio d'acqua, si fosse ingarbugliato con
la mia lenza, egli non me lo avrebbe mai più perdonato.
Queste erano le mie buone intenzioni ma eravamo in acque oligotrofiche
ed i pesci erano nelle migliori disposizioni; come mossi la
ninfa sentii che era agganciata ad un pesce. Questo era decisamente
più piccolo e, dopo una brevissima lotta, sganciai un
esemplare di 34 centimetri. Jan aveva un problema ben più
grosso. Quasi tutta la sua lenza era fuori e la trota tentava
di rifugiarsi nelle canne mentre lui, con un'espressione di
estrema concentrazione sul viso, tentava di forzarlo. Ormai
c'era solo un metro tra il pesce e la fila di canne e se Jan
non fosse riuscito a farlo girare l'avrebbe perduto.Bloccò
il backing e la punta della sua canna, sotto la tensione, sfiorò
quasi l'acqua. Pregò e maledisse ma perseverò.
Passo' un lungo momento e poi il pesce girò. L'elasticità
del filo e della sua Orvis erano riusciti nel miracolo. Erano
passati trenta minuti dall'abboccata e non avevamo ancora visto,
nemmeno di sfuggita, il pesce. Ora il pericolo immediato era
passato perché il pesce correva e tirava in acque profonde.
La lenza di Jan ebbe un tremito e poi divenne calma mentre,
lontano, qualcosa rosa/argento lungo un braccio esplose fuori
dall'acqua. Il povero Jan era stordito.
I suoi occhi erano vacui mentre fissava il punto dove delle
increspature si inseguivano in cerchi via via piu' larghi.
La
sua bocca si aprì e si richiuse senza emettere alcun
suono. Le piccole onde sparirono e non ci fu piu' nulla se non
il ricordo della visione del mostro argenteo. Jan ritirò
la lenza e prese in mano il finale senza amo. Il caratteristico
ricciolo a coda di maiale in fondo al finale stava a significare
che il nylon non si era rotto ma il nodo, fatto male, si era
sciolto. Poche esperienze sono piu' umilianti che perdere un
bel pesce per un nodo malfatto. E' uno degli errori più
banali e probabilmente il più comune. Dopo aver perso
parecchi pesci durante gli anni ora ho adottato la pratica di
collaudare più volte il nodo e di sostituire spesso il
finale, comunque ogni volta dopo aver attaccato un pesce grosso.Strano
che Jan, pescatore molto attento, fosse incorso in un errore
del genere.
Ora stava ricostruendo il suo finale ed io diedi uno strattone
alla mia ninfa del 14 che era sul fondo. Un pesce, evidentemente,
sbadigliò e la mia ninfa fu risucchiata nella sua bocca.
I riflessi risposero automaticamente, strappando verso l'alto
il cimino e tirando contemporaneamente sulla lenza con la mano
sinistra. Tra l'altro avevo appena affilato l'amo (un affila-ami
occorre averlo sempre con sé) e questa precauzione si
era rivelata utile. La trota combatté a lungo e quando
finalmente arrivò alla portata del guadino era completamente
esausta, a pancia all'aria. Quando un pesce combatte cosi' duramente
difficilmente poi riesce a riprendersi e così, anche
se arrivava a malapena ai famosi quaranta centimetri, la trattenni
per invitarla ad unirsi a noi per il pranzo. Poiché le
trote hanno il sapore migliore quando sono ancora fresche e
quasi guizzanti, l'ora del pranzo era ovviamente arrivata cosicché
puntai direttamente verso la base e l'affumicatore. Mentre il
pesce sfrigolava arrivò Paulus che ci raccontò
di un pesce gigantesco agganciato e poi perso nelle canne. Finito
il pranzo era ora di ripartire quindi impacchettammo tutto e
ci mettemmo in viaggio. Certo le cose cominciavano a farsi preoccupanti,
eravamo quasi alla fine ed i miei esperti amici non avevano
ancora preso, in due, nemmeno un pesce. Nonostante tutto eravamo
una squadra che dava risultati: loro conoscevano e trovavano
le acque ed io prendevo i pesci. Come fosse un lavoro alla catena
di montaggio. Himeville, dove passammo la notte, e' al centro
di un'ottima zona di pesca e noi avevamo prenotato per la zona
alta del Umzimkulu. L'aurora ci trovò sulla riva del
fiume, determinati a pescare dalle prime luci. Questo doveva
essere l'ultimo giorno e noi volevamo sfruttare al massimo il
tempo a disposizione. I miei amici cominciarono subito appena
arrivati al fiume, io guadai e mi misi a risalire. Per più
di un'ora pescai con calma e metodo; il fiume era pieno di piccole
trote ed ad ogni buca ne catturavo qualcuna. IL sole era sorto
da un pezzo quando riuscii finalmente a catturare un pesce decente.
Pescavo con una ninfa di colore oliva piombata su amo del 16
su una leggera coda galleggiante, lanciando "upstream". Guardavo
continuamente nel riverbero dell'acqua per scoprire quell'impercettibile
movimento che segnala un'abboccata. Avanzavo con difficoltà
nella corrente veloce e provavo in tutti i giri d'acqua e nelle
correntine dove avrebbe potuto starci una trota. Catturai solo
dei pesci-baby e fino alle 10 non avevo preso niente oltre i
20 centimetri. Il mattino era quasi passato e mi ero stancato
di allamare e rilasciare l'intera "covata" dell'Umzimkulu cosi
decisi di tornare indietro verso le macchine, fermandomi prima
sulla riva per una tranquilla fumata. Ero disteso sull'erba,
perso nei miei pensieri e cullato dal bisbiglio del fiume, quando
le mie fantasticherie furono distrutte dal rumore di qualcosa
di grosso che si muoveva goffamente nel fiume. Mi alzai per
controllare l'intrusione e mi trovai davanti la faccia familiare
ed agitata di Jan. Era cosi' concentrato sul punto dove la sua
coda finiva in acqua che non aveva occhi per nient'altro. Pur
pescando dietro di me, aveva agganciato un grosso pesce ed ora
stava manovrando per poterlo tenere mentre questo risaliva il
fiume. Mi avvicinai e gli gridai di aspettarmi, ma lui andò
avanti velocemente e fragorosamente senza fermarsi un istante
nella sua corsa precipitosa. La sua determinazione a catturare
il pesce era palpabile ed avrebbe dato la testa piuttosto di
distrarsi e rischiare di perderlo. Vicino alla curva il fiume
si faceva più profondo e largo mentre le sponde irte
e friabili rendevano difficile il risalire. Jan s'inoltrò
nella buca. Il mulinello si stava vuotando del backing mentre
il pesce, nel centro della pozza, continuava a tirare. Il suo
finale non avrebbe potuto reggere lo sforzo. Jan fece un altro
passo avanti e l'acqua fu alla vita, un altro e fu alle ascelle.
I suoi movimenti, prima calmi e sicuri, ora con gli waders allagati,
divennero goffi e comici. Era sommerso fino al collo e, nella
mia mente, lo immaginavo avanzare coraggiosamente, come un sommergibile,
solo con la punta della canna, che sporgeva come un'antenna,
dall'acqua calma. La scena era notevole ma non avrebbe avuto
ulteriori sviluppi: la trota infatti, stanca della battaglia,
se ne veniva ora con la mansuetudine di un vitello portato al
macello, verso il guadino. Pesato il pesce che era un chilo
e settecento, e rilasciato, Jan si rimise a pescare a scendere.
Ora non era più grondante ma solo umido ed evaporante
e, finalmente, di buon umore. Scendendo, lanciavamo a turno
nei posti interessanti; arrivammo in una forte e veloce corrente
dove prima avevo tirato fuori il pesce più bello della
giornata (senza contare quello di Jan). Misurai la distanza
con lo sguardo e tirai fuori abbastanza coda per posare la mia
mosca dove la corrente si frangeva su di un tronco, caduto dalla
riva. Il lancio fu una poesia, giusto morbido quel tanto da
annullare per un po' la corrente e permettere alla ninfa di
perlustrare sotto il ceppo; la lenza si tese ed io strappai
fuori un'altra guizzante trota di circa quindici centimetri.
La piccola iridea cercava di combattere valorosamente ma io
ero disgustato. La rilasciai e, mentre controllavo l'amo, Jan
lanciò. Ma la sua coda, troppo tesa, fu subito preda
della corrente e fece come un pendolo di traverso al fiume portando
la sua mosca con un arco innaturale verso il tronco. Appena
la sua mosca urtò il ceppo lo agganciò per un
attimo e la forza dell'acqua contro la coda tesa la fece suonare
come una corda di un violino. Mi voltai disgustato, sicuramente
ogni trota in quel posto si era rintanata allarmata dal fracasso
e dalla pessima posa. Con la coda dell'occhio vidi una familiare
ombra scura tagliare attraverso la corrente, sopra il fondale
di ciottoli, puntando decisamente verso il punto dove la mosca
di Jan ora turbinava a ridosso del tronco. Jan doveva essere
sicuro come me del suo lancio schifoso e quindi non guardava,
per cui non vide l'attacco della trota proprio mentre stava
tirando per iniziare un roller. Il suo colpo fu, fortunatamente,
abbastanza forte e la sorpresa quando agganciò il pesce,
stampò sul suo viso un'espressione indimenticabile. Dopotutto
non aveva preso molti pesci di tre chili in quel modo. Nel tempo
che impiegammo per raggiungere le macchine, Jan aveva aggiunto
alla sua serie altri due incredibili pesci mentre io non avevo
preso niente. Ciò che e' peggio è che, una volta
arrivati, trovammo Paulus che si riposava all'ombra con una
sigaretta tra le dita ed un sogghigno soddisfatto, mentre cercava
disperatamente di mantenere un'aria di nonchalance. Appena arrivammo,
saltò in piedi, porgendomi un piatto ed un bicchiere
di ottimo vino di Stellenbosch. Sul piatto riposavano dei prelibati
filetti rosa di un pesce appena affumicato. Durante tutto il
pranzo i cari ragazzi si raccontarono i dettagli, con tutti
gli abbellimenti del caso, dei loro successi. Era terribilmente
seccante e dovevo rimediare in qualche modo al bilancio. Il
tempo trascorreva veloce, tra qualche ora dovevamo tornare e
non volevo finire in bianco per non sopportare, al rientro,
le loro battutacce. Mi misi pertanto a pescare su di una spianata
che si stava riempiendo di piccoli spinners grigio chiaro. Lavorai
con precisione e metodo, lancio su lancio, con pose pulite e
delicate, cercando di non proiettare la mia ombra sull'acqua
e di non stagliarmi troppo nettamente. Le mie mosche perfettamente
uguali a quelle presenti nell'aria, ed ero pronto a ferrare
ad ogni più piccolo movimento. Il pomeriggio passò
e scese il sole ed io, con filosofia, portai fuori dall'acqua
il mio corpo stanco ed incominciai a smontare la canna. Nella
buca appena più in giù delle macchine vidi Paulus
e Jan prendere e rilasciare un paio di pesci a testa mentre
l'oscurità africana scendeva velocemente. "E' stato cosi'
tutto il pomeriggio!" sfavillò Paulus mentre sbatteva
in un'altra abboccata. Mi indaffarai controllando le legature
del mio carico mentre i ragazzi facevano il resoconto del pomeriggio
"Ne abbiamo avute un paio a testa abbondantemente sopra il chilo
e mezzo". Poi saltarono in auto scherzando allegramente e scomparvero
in una nube di polvere. Il viaggio di ritorno verso il Capo
fu eterno e mi diede molto tempo per ponderare a lungo e profondamente
sulla volubilità del destino e sugli effetti illogici
e a casaccio della legge delle probabilità.
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