3. Trote e temoli
3.09 Tra le Ande: a trote in febbraio
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mag.92

Eravamo al ristorante, per due ore parlammo di Hairy Mary, Cicciolina, gradi d'affondamento, Fin-nor, Crazy Charlie, bugie elettorali, Sage, finali, corsa-scudetto, trote giganti, acque basse, alte, sporche o semplicemente disgraziate. Non ricordo se parlammo anche male del governo ma suppongo di si. Qualcuno accenno' al Cile, ai suoi fiumi e al fatto che dovevano aver pescato in pochi da quelle parti. Ci fu qualche altro "giro" dopo il caffè per cui cominciavo ad avere difficoltà a distinguere il pavimento dal soffitto; assentivo meccanicamente senza rendermi ben conto dell'evolversi della conversazione. Quaranta giorni dopo i nostri occhi stavano ispezionando, centimetro per centimetro, un'hostess della Lan-Chile. Disponeva di una buona dose di graziosi centimetri. Avevamo appena lasciato Santiago e stavamo sorvolando il vulcano Lanin, nelle Ande. La prima destinazione prevista era Llifen, il lago Ranco ed i fiumi Calcurrupe e Nilhaue. Due ore di volo verso Sud dalla capitale e quattro d'auto su di un traballante furgone. L'autista sfrecciava lungo la strada polverosa, larga quanto sarebbe bastato solo ad un monopattino, e probabilmente tracciata da un pazzo durante il delirio. Arrivati incolumi all'"Hosteria" osservammo le foto ingiallite appese alla parete: facce sorridenti di campesinos in calzoni corti e canottiera tenevano trote che strusciavano a terra.
Perlustrando il mondo alla continua ricerca di pesci - salmoni, bonefish, trote, tarpon - capitano spesso giornate "peggio di cosi' non si può", ma il tempo sbiadisce quelle immagini: se le ricordassimo in tutto il loro orrore avremmo regalato già da parecchio tempo tutte le attrezzature al nostro peggiore nemico e ci saremmo indirizzati felicemente verso il bridge, l'adulterio o il giardinaggio. Invece ricordiamo, come se fosse cosa d'ogni giorno, quegli sporadici eventi che possono essere compresi solo da chi è pescatore poiché nessun altro potrebbe capire di cosa stiamo parlando.Rare emozioni che fanno diventare milionari chi ci vende canne, mulinelli e tutte quelle altre cose di cui non abbiamo bisogno ma in ogni caso compriamo nella speranza che uno di quei gadgets ci aiuti a vivere un altro di "quei giorni".
Chissà quali pesci ci avrebbero riservato quei fiumi dai nomi così strani? Inutile dire che i nostri appetiti erano indiscriminati come quelli di uno squalo tigre! Dedicammo mezza settimana a quei luoghi incantevoli e a quei fiumi azzurri e trasparenti. Provammo, giusto per non lasciare nulla d'intentato, anche sul Rininahue ed il Rio Blanco. Si pescò dalle rive, "wading" o scendendo le correnti con barche; ogni buca e ogni piana fu perlustrata accuratamente a mezz'acqua, a fondo, a galla; provammo inutilmente parecchi spinner ed emerger, molte ninfe e tutti gli streamer: non c'erano trote. Veramente qualcuna c'era ed ogni giorno riuscivamo a catturarne 5/6 tra i quindici e i venticinque centimetri. Troppo misere però perché giustifichino 16.000 chilometri! La situazione iniziava a farsi decisamente pesante. Eppure le notizie che avevamo da "fonte certa" parlavano di fario mangia-bambini e rainbow spacca-canne! Scoprimmo da un pescatore locale che quelle trote esistevano veramente ma solo quando salivano dai laghi per la riproduzione: quei fiumi diventavano farciti di trote oltre tre chili solo in aprile e in novembre (la chiusura va dal 1 maggio al 30 ottobre). Nel periodo che avevamo scelto una di trentacinque centimetri significava strette di mano, pacche sulle spalle ed occhiate furtive per scoprire quale fosse la mosca "magica"; quella stagione, del resto, non era l'ideale ma poteva andar bene sia a Puerto Montt sia tra le Ande e in Terra del Fuoco. Avevamo voluto inoltre il periodo in cui le condizioni atmosferiche non fossero troppo inclementi. Dovevano coincidere troppe cose ed una di quelle importanti l'avevamo mancata in pieno! Saltammo le uscite sul Caunahue, sul Temaleufu e al lago Maihue e, anticipando di due giorni l'itinerario previsto, ci trasferimmo a Punta Arenas, oltre 1000 chilometri più a Sud. Noleggiammo un piccolo bimotore che doveva farci attraversare lo stretto di Magellano e condurci in Terra del Fuoco.
Eravamo in aria da due minuti e Gino cominciò ad agitarsi enumerando tutti gli errori che avevamo fatto a Llifen e urtando contemporaneamente i comandi del velivolo. Subito dopo s'impegnò in una discussione con il pilota spiegandogli, in bergamasco, la posizione che lui riteneva migliore per la strumentazione di bordo. Per tutta l'ora di volo non lo lasciò tranquillo nemmeno per un attimo: voleva insegnargli, urlando e sbracciandosi, come doveva volare. Atterrati incolumi e scaricati i bagagli, il pilota ci disse sottovoce prima di ripartire: "Se avete intenzione di annegarlo, non preoccupatevi, non confesserò mai che era con voi quando vi ho portati". Sulla pista in terra battuta un paio di jeep ci aspettavano.
Alejandro, la guida locale, ci avrebbe ospitati nella sua Hosteria, appena costruita e situata in posizione strategica, vicina ad alcuni laghi e al Rio Grande. La Terra del Fuoco è un'isola lunga oltre 400 chilometri che forma la punta dell'America del Sud. E' separata dal continente dallo Stretto di Magellano. All'altra estremità si trovano il Beagle Channel, a 55 gradi dall'Equatore, e le città (si fa per dire) di Puerto Williams in Cile e Ushuaia in Argentina. Sull'isola e' stata tracciata una linea verticale diritta tra Nord e Sud che divide questi due stati. Qui, alla fine delle Ande e in fondo alle carte geografiche, l'isola curva verso Est. Mentre la parte argentina di Nord/Est e' piatta ed include pampas e territori adatti all'allevamento del bestiame, la parte Sud/occidentale e' formata principalmente da colline e foreste e montagne perpetuamente innevate. Si e' più o meno alla stessa latitudine, ma nell'emisfero opposto, della Scozia o del Labrador ed il clima e' simile. I pendii più bassi delle montagne sono sorprendentemente ricchi di vegetazione, enormi boschi magellanici con alti alberi coperti da licheni e piccole macchie di cespugli di diverse specie. Con tutta la legna a disposizione, i pochi locali non hanno problemi per proteggersi dal freddo e tengono un fuoco costantemente acceso. Si dice che il nome a questa terra lo diede nel 1520 Magellano per l'usanza delle popolazioni indigene Ona di accendere grandi fuochi per fare segnali alle navi. Sulla costa vivono albatros, cormorani, procellarie e pinguini, mentre all'interno vi sono migliaia d'oche che migreranno verso Nord quando sopraggiungerà l'inverno. I condor ci sorvolano con le loro grandi ali, perlustrando il terreno in cerca di carcasse di guanachi. Questi sono dei camelidi, cugini dei lama, che pesano tra i 150 e i 200 chili; ve ne sono a centinaia allo stato brado e spesso, quando sei concentrato nella pesca, te ne trovi uno a pochi passi che ti osserva ruminando. Le acque interne, in origine, non ospitavano pesci e all'inizio del secolo furono introdotte (probabilmente da parte d'agenzie di viaggio lungimiranti) varie specie di salmonidi che si ambientarono perfettamente. Le prime fario furono portate nel 1905 da alcuni tedeschi (o inglesi, a seconda di chi ve la racconta), le iridee circa 10 anni più tardi, poi vennero salmoni e salmerini. Le brook trout (salvelinus fontinalis), presenti in diversi punti della Cordillera, raggiungono taglie enormi in alcuni corsi d'acqua nella zona del Canale Beagles. Le rainbows (iridee) come anche le brown (fario) si stabilirono bene in tutti i laghi e fiumi e nelle acque con facile accesso al mare (ricchissimo di gamberi e krill) svilupparono abitudini anadrome. Nei fiumi attorno Puerto Natales (a Nord dello stretto di Magellano) ora sono presenti salmoni del pacifico (coho) e, pare, del genere Salar. Il salmone Sebago o Landlocked (varietà non migratoria importata dal Maine) si e' acclimatato molto bene nel Lago Fagnano.
In febbraio/marzo (corrispondenti ad agosto/settembre del nostro emisfero) risalgono gigantesche sea-run brown trout e steelhead, in quasi tutti i fiumi; hanno taglie varianti tra i quattro e i 10 chili, la loro livrea e' argentea con qualche punto scuro sul dorso e hanno la forza di un toro. Trote stanziali fino a tre chili si catturano facilmente nei fiumi e laghi. I rari locali, pastori e militari, le pescano con ondulanti, avvolgendo la lenza su barattoli. Noi provammo principalmente a streamer, talvolta a ninfa, raramente a secca Marco era l'unico del gruppo che pescava a cucchiaio. In un pomeriggio di fine estate avevo cercato, sul lungolago, di insegnargli i rudimenti per lanciare una coda. Faceva però troppo caldo per impegnarsi seriamente ed era più piacevole starsene seduti al sole, parlare di pesca e guardar passare le ragazze. Si era poi allenato durante tutto il mese precedente la partenza facendo dei progressi ed afferrando discretamente il concetto di "timing" con relativi stop alle ore 10 e 13... ma ora, con il fuso diverso e l'ora legale cilena, non capiva più se, dietro, doveva fermarsi alle 6, alle 7, alle 17 o alle 18. Aveva avuto un esaurimento ed era tornato al Mepps. L'avevamo perciò relegato sul Rasmussen, un vicino torrentello che ci appariva insignificante. Risultato: in un giorno 110 trote di cui una passava i quattro chili. Gli era passato l'esaurimento ma ora sentiva le "voci" come Giovanna D'Arco. Noi eravamo alla Laguna del Carabineros (non c'entrano le barzellette), un laghetto ameno, a parte il vento che avrebbe buttato giù un cavallo. Era profondo, nel centro, al massimo un paio di metri, c'erano parecchie alghe e la WF9S che usavo affondava un po' troppo. Cominciai a perlustrarlo con un "leech" nero. Camminando lungo la riva avevo visto un paio di gorghi, di ribollii e degli "affari" che si allontanavano. Avevo pensato a castori o chissà quali altri animali. Erano troppo grossi per essere pesci in quella pozzanghera. Poi n'avevo agganciato e perso uno e mi ero ricreduto. Nel pomeriggio n'allamai e sganciai quattro e ne persi altrettanti. Tre erano fario gialle e rosse ed una era un'iridea che brillava come cento lire: tutte tra i due ed i tre chili. Lanciavo come potevo, a causa del vento, verso il centro del lago ed iniziavo subito un veloce recupero. L'abboccata, uno strappone e spesso alcuni salti fuor d'acqua, avveniva però sempre vicino alla riva.
Marcello si era portato in fondo alla laguna; una per una stava usando tutte le mosche convenzionali delle sue scatole oltre ad un certo numero che dovevano essere state inventate da poco da un daltonico artigiano, affetto dal morbo di Parkinson. Man mano che vedeva gli altri con la canna piegata si rabbuiava. Mormorava frasi che anche in questi tempi spregiudicati e' meglio non ripetere. Fortunatamente la maggior parte di queste si perdeva nel vento. Ad un tratto un urlo e anche lui si trovò con la canna piegata a ferro di cavallo: aveva agganciato la nonna di tutte le trote del lago. Emozionatissimo se la tiro' a riva. Non la finiva di rimirarla, di fotografarla.... gli ci volle una mezz'ora per riprendersi e gustare quegli istanti prima di rimettersi a pescare. Incappò quasi subito nella sorellina minore.
Del giorno passato al Lago Blanco si potrebbe scrivere per ore per lo splendore di quei luoghi integri, per la sensazione di maestosa solitudine e del senso di pace che se ne riceveva. Dall'"Hosteria" occorrevano due ore di "Camel Trophy" per arrivarci. Il lago, formato da un affluente del Rio Grande, e' circondato da foreste ed e' realmente immenso. Ci spostavamo con dei gommoni: trote a sazietà, ovunque si pescasse. Bastava trovare una cala riparata dal vento, cosa non semplicissima, per agganciare esemplari da uno/due chili con qualsiasi "ninfone" scuro. Usammo sempre canne da nove piedi, code dell'otto o nove affondanti, finali di un paio di metri con uno 0.28 di punta. In pratica, durante tutta la permanenza in Terra del Fuoco, non abbiamo mai cambiato attrezzatura. Io ho usato principalmente leech e wolly worm neri su amo del due ma anche grosse ninfe o bruchi pelosi viola, verdi o marroni dettero buoni risultati. Le trote del lago, al 90 per cento fario, avevano una livrea ancora diversa: molto scure e pochi punti rossi. Le iridee invece presentavano il dorso quasi nero e dei riflessi violacei sui lati. Alla sera, al campo, festeggiammo la giornata dando fondo alle riserve di "vino tinto" per mostrare la solidarietà italiana al popolo cileno. Per arrivare al Rio Grande dovevamo fare del "fuoristrada-sesto grado" ed affrontare una salita che avrebbe fatto apparire il trampolino olimpico di Innsbruck un piatto corridoio. Il fiume era, vertiginosamente, ad un centinaio di metri sotto di noi e quasi in cima la jeep slittava. Ogni volta mi chiedevo se avrei rivisto casa ed amici, e rimpiangevo di non essere stato più buono con la mia sorellina da ragazzo (voglio dire, quando io ero ragazzo). Il Rio Grande taglia orizzontalmente la Terra del Fuoco, nasce in Cile e si snoda, in lenti meandri, fino alla città omonima in Argentina.
Nella sua parte più stretta e' possibile, se sei un buon lanciatore, perdere un costoso streamer agganciandolo agli alberi sulla sponda opposta. Volendolo descrivere si potrebbe definire un bellissimo fiume da salmoni: acqua di torba, invitanti correntine, pools magnifiche. I salmoni però non ci sono per niente e le trote stanziali sono poche. Un bidone!? No, calma.Capita ogni giorno di agganciarne qualcuna che passa il chilo oltre a diverse più piccole.
Ma questo fiume significa essenzialmente trote di mare e quelle del Rio Grande vanno da cinque a dieci chili. Si pescano con la tecnica da salmone atlantico: lanci "downstream" di traverso e mosche tradizionali da salmone su ami del 2/4. Usiamo code WF9S deep water express e wolly worm o leech neri su ami del due, finali cortissimi: meno di un metro e mezzo con punta dello 0.30. Ne catturiamo qualcuna tra quattro e sei chili. Ermes ne prende diverse, n'attacca anche una che passa senz'altro gli otto chili. Lo fa diventare matto: corre, salta, gli vuota il mulinello e dopo mezz'ora di carnevale si sgancia. E' la regola: i pesci che si perdono sono sempre i più belli! L'ultimo pomeriggio invece il "momento magico" toccò a Walter. Fino ad allora, pur non avendo preso molto, aveva mantenuto un buon grado di impassibilità. Del resto e' nel medesimo ramo di Perry Mason anche se non ha guadagnato la stessa fama internazionale. Si era appena allontanato dal gruppo che ne infilò quattro in un paio d'ore, una più bella dell'altra. Finiamo così in crescendo la spedizione, siamo sazi di trote ma partiamo con tanta voglia di ritornare, di mettere in pratica le esperienze acquisite, di usare i "trucchi" capiti purtroppo solo alla fine...mah! Forse il prossimo anno..... Spendiamo fortune alla ricerca di pesci più grandi o meno furbi ma soprattutto di luoghi dove poter pescare soli ed indisturbati. E' stata tutta colpa nostra! Invece di lasciare i giovani a sani passatempi come scippi, rapine a benzinai e commercio al dettaglio di droghe, ne abbiamo convinti troppi a frequentare fiumi e torrenti, rendendo così questi pochi corsi d'acqua penosamente affollati. I nostri Clubs ora dovrebbero tentare di invertire la tendenza. Invece di presentare ai nuovi arrivati corsi di lanci occorrerebbe indirizzarli verso la coltura della canapa indiana e convincerli dei benefici dell'alcool e della velocità al sabato sera. Con queste ed altre lezioni simili dovremmo riuscire a distogliere la loro attenzione e ci sarebbero restituiti infine pesci e corsi d'acqua.


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