3. Trote e temoli
3.11 Sull'Unec
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apr.94

Quando Carlo viene a trovarmi lo rivedo con piacere. Adesso fa il nababbo e i commissionari di borsa lo vanno a trovare a casa ma vive, purtroppo, dove le trote esistono solo nei menu, e da troppo tempo non tocca una canna da pesca. Ha un paio di giorni liberi: si ferma da me per la notte e domani si parte per l'Unec. I pescatori sono individualisti per eccellenza ma apprezzo sempre la sua compagnia. Abbiamo pescato insieme, e camminato per molti sentieri, e volato in luoghi assurdi e dormito in altri ancor più assurdi, e fatto altre cose che non menziono nell'interesse della brevità e del buon gusto. Si chiacchiera sul balcone fino a tardi. Quando diventa troppo buio torniamo dentro e dopo aver vagato su un sacco di viaggi di pesca passati e fantasticato su quelli futuri, vado a letto e dormo come un sasso. Quando mi sveglio alle quattro del mattino, Carlo sta ancora guardando la tivù. Il film s'intitola "Le due infermiere" e in quel momento le protagoniste ed un improbabile medico stanno.... Beh! Non importa. Il mattino diventa caldo e quieto. Guidando vedo il sole arrampicarsi all'orizzonte. Le montagne attorno mi ricordano che siamo in Italia, ma con leggere modifiche della vegetazione e dello sfondo potremmo essere in qualsiasi altro Paese. Ci sono posti dove ci fermiamo a guardare il panorama ma, con Carlo in auto, non dai mai solo un'occhiata, ricevi ogni volta una lezione sulla storia geologica del luogo, su quali piante vivono, commestibili e non, e sulle specie d'uccelli permanentemente presenti e su quelli di passaggio.
A volte ci vuole più di un'ora; ad ogni pieno, inoltre, fa pulire il vetro, controllare le gomme, l'olio e l'acqua nel radiatore che, naturalmente, risultano perfetti. Al confine un soldato sloveno con la pistola ciondola avanti e indietro lungo la strada e sbircia le ragazze al di sotto della visiera di tela verde. Sulla sinistra c'è il brutto edificio della dogana e, a destra, una gabbia dove un funzionario siede dietro un bancone e ti timbra il passaporto. L'Unec (si pronuncia Unez) è un grosso chalk-stream ad una cinquantina di chilometri da Trieste, di là del confine. A detta di molti rimane uno dei migliori posti da temoli al mondo; altri pensano che sia perfetto per generare cronici mal di testa.
Beh, innanzi tutto è il fiume ideale dove si pesca volentieri per ore anche senza agganciare un pesce. Ha una sua fisionomia: presenta diversi tipi d'acque che cambiano da profondi fondali sabbiosi a raschi e correntine con fondo di ghiaia o ciottoli, poche buche scure nella parte alta e sulle rive la quantità di vegetazione giusto per riparare dal sole i pesci e rifornirli d'insetti. Gli alberi forniscono ombra anche al pescatore ma rendono i lanci un pochino più difficoltosi (anche chi ci vende le mosche deve pur vivere!). In certe zone ci sono quelle profonde rive franate dove "senti" che si nascondono gigantesche fario, che nessuno mai è stato tanto abile da agganciare. Ma, a parte le fario, migliaia di temoli... grigi, leggermente iridescenti con riflessi di bronzo, d'argento o viola, dipende da come li giri alla luce.
Hanno alcune macchie o puntini neri irregolari. In latino è conosciuto come Thimallus thimallus poiché si suppone che profumi di timo; veramente io non l'ho mai notato, nemmeno quelle volte che mi sono messo ad annusarli quando nessuno guardava. La scienza ufficiale afferma che il cervellino di un temolo, della taglia di un pisello, non è capace di ragionamento. Probabilmente è vero, ma mi sorge subito una domanda: se sono così scemi, perché sono così ostici? L'Unec merita un profondo rispetto e molta concentrazione. Ho visto qui diversi pescatori, normalmente incauti e faciloni, studiare attentamente le correnti e gli insetti con la lentezza e l'attenzione di un giocatore di biliardo o di golf prima del tiro. Fa parte forse del rituale: selezionare la "mosca" con cui conquistare "la preda". Le prime grosse schiuse cominciano attorno alla fine di maggio, in coincidenza, così per dire, con la dichiarazione dei redditi. Così vi è più facile da ricordare. Quindici o venti anni fa era possibile agganciare, ogni giorno, diversi pesci veramente belli lungo quasi tutto il fiume; recentemente, per la prima volta, mi è capitato di lasciare il fiume senza aver preso un pesce discreto. Tutti sono d'accordo che non è mai stato un fiume facile, ma oggi è diventato dannatamente duro: una vera, continua sfida di abilità e di nervi. Non sono tutti d'accordo sui perché del cambiamento. "Troppi pescatori" è il lamento più comune, meno temoli forse, troppi bracconieri che vendono le trote.... Tutte ragioni che significano comunque un prelievo troppo elevato (nessuno naturalmente pensa di essere diventato un pescatore meno bravo). Ho guidato per ore e camminato per qualche minuto: si arriva finalmente al fiume. L'amico comincia a cercare nella propria borsa, c'impiega mezz'ora e, durante l'operazione, gli capitano per le mani almeno una decina di attrezzi ormai fuori produzione da quindici anni. Si attarda poi a montare la coda sul mulinello; infine sembra fare qualche strana danza propiziatoria: sta cercando probabilmente di infilare gli waders antidiluviani (tela cerata? plastica?) continuando a camminare. Io intanto sono già in acqua e sto pescando a ninfa.

Qui attorno i temoli non hanno taglie da copertina. Ogni tanto però sale qualche trota, diciamo, tra i venticinque e i trentacinque centimetri. Si sa che ce n'è in giro anche qualcuna sopra i cinquanta che ogni anno fa notizia (forse vecchi riproduttori prestati da allevamenti vicini). Finiscono talvolta nelle mani di gente che non sa che questi sono pesci impossibili da catturare, ma di norma cadono in quelle di "manovali" della coda, esperti pescatori che se le sono più che guadagnate. Carlo entra in acqua e, mentre ispeziona nelle sue scatole, vedo una bella bollata, forse una trota, davanti a lui ignaro: sono pochi metri, potrei lanciare.....Fare la carogna, quando di natura si è bravi ragazzi, è terribilmente difficile. Sono magnanimo, non lancio, ma nemmeno gli dico dove ha gobbato.
Uso una coda del 4, rigorosamente doppio-fuso: non devo lanciare lontano, spesso bollano a due metri. La canna è abbastanza morbida, deve perdonare le mie ferrate nervose: sto pescando con lo 0.12, non con un finale da Marlin. Mentre taglio il filo di una Red Tag del 16 (con dispiacere) e la rimpiazzo con una Cul de Canard del 18, dò un'occhiata a valle. Carlo ha abbandonato tutti i principi del buon gusto e sta usando un grosso Wolly-Worm, forse piombato. Fuma nervosamente e frusta come uno spiritato verso un bersaglio sotto delle frasche. La nuvoletta di fumo e il back-cast sono sincronizzati. Io pesco appena più in giù della curva senza aver più una tirata. Frattanto il mio compagno guadina due bei temoli e, giudicando dalle bestemmie, ne deve aver sbagliati diversi altri. Risalgo verso la grotta da dove nasce il fiume. Raramente rimango a lungo in un punto: preferisco perlustrare un tratto maggiore, coprire più acqua, cercare il pesce che morderà piuttosto che diventare matto con quelli che non lo fanno. Pescando lentamente lungo il margine della corrente, evitando i faggi e i pini che si susseguono e costeggiando il ciglio superiore di quella che era una volta una mulattiera, lancio in tutti i punti che sembrano promettenti. Mi servo dei cespugli come barriera tra me e i pesci del sottoriva che non ho ancora localizzato. Lungo la riva aggancio diversi temolotti di venticinque centimetri, e un paio sopra i trenta. Ad ogni passo devi far scorrere gli occhi ovunque, nelle diverse "strade" della corrente, cercando il particolare che fa scoprire una preda. Cerchi il vecchio temolone, la trotaccia che si fa vedere solo periodicamente, come la cometa di Halley. Lanciare su pesci che vedi è uno dei modi più emozionanti ed eccitanti di pescare. Altrimenti, anche quando peschi sulla bollata, quando la posa è perfetta, il finale non draga, la mosca è quella giusta ma non vedi il pesce avvicinarsi, salire e intuisci solo all'ultimo se accetterà l'offerta o l'ignorerà, è, in un certo senso, "pescare l'acqua". Inquadro finalmente una scura, grassa, larga fario che sta incrociando in un angolo tra rami spezzati. Ci sono diverse correntine contrastanti ed accavallate; dovrei quasi quasi andare dall'altra parte del fiume per poterci arrivare con lanci più corti, meno coda sulla superfice e quindi con migliori probabilità. Diverse mosche di maggio galleggiano intanto sul filo principale della corrente; nello specchio d'acqua sopra di lei ce ne sono meno e la grossa trota sta lentamente facendo piazza pulita. Appena ne succhia una ne cerca attorno subito un'altra, quando la individua vi si dirige decisa.
Tengo la coda per aria, aspetto che salga per vedere poi che direzione prende, cerco di metterle la mosca davanti al muso. Il lancio non è preciso. So che si spaventerebbe se la corrente afferrasse il finale trascinando la mosca, perciò tiro indietro prima che la trota arrivi. Lei intanto continua a girare e non sempre si trova dove potrei raggiungerla. Ci riprovo. La mosca rimane immobile per parecchio in un punto. Non saprei nemmeno dire quanto tempo passa quando il pesce ingoia la mosca e l'aggancio. Fa una lunga fuga e vorrei raccontare che il mulinello gracchia o urla solo che il mio vecchio ABU ha il gran difetto di essere silenzioso. Alla fine è nel guadino, la sgancio e la rilascio: non misuro accuratamente il pesce ma e' a metà tra due e tre spanne.
Ormai è quasi buio, torno al sentiero e aspetto l'amico. Sfilo gli waders e tolgo il gilet che pesa sempre troppo anche ora che è ridotto "all'essenziale". Ci fu un periodo, molto tempo fa, in cui soffrivo della paura di aver le tasche del gilet vuote. Non so esattamente come o perché fosse successo ma credevo indispensabili forbici, pinzette da chirurgo, tronchesino con termometro incorporato, metro a nastro, dinamometro, pompetta per stomaco, retina per insetti, botticini vari, scatole per le secche, per le sommerse, per le ninfe, per gli streamers, per i poppers (anche quando andavo a pescare a 2000 metri), tiranodi e stirafinali, annoccatore, contenitore impermeabile per fiammiferi antivento, kit riparazione waders, pila, silicone e pasta affondante, due bobine di ricambio con code diverse, K-way, sigarette, accendino, permesso di pesca, licenza patente e portafoglio. Avevo appena passato la fase "primi passi" e cominciavo a prendere qualche trota. Credo che fosse una coincidenza, ma allora mi spiegavo il fatto con l'attrezzatura quasi completa (la propria attrezzatura non è MAI completa) che possedevo. Poi accadde qualcosa. Cominciai a considerare che impiegavo a riempire il gilet più tempo di quello che passavo pescando e avevo un mal di schiena cronico. Sprecavo inoltre minuti preziosi per cercare le varie cose che servivano e durante la ricerca mi capitava sempre per le mani qualcosa che non riconoscevo. Questo mi diede da pensare. Anche ora, pur non ritenendomi un collezionista, ho un mucchio di aggeggi. In casa mia ci sono molte più canne di quante un uomo sano di mente abbia bisogno, ma sappiamo che il termine "aver bisogno" come "pratico", "indispensabile" nella pesca a mosca rimane un concetto piuttosto vago e del tutto individuale. Arriva Carlo che ora ha l'aria soddisfatta di Silvestro quando si è pappato il canarino. Dopo una sliwovitz (il brandy slavo fatto di prugne nere) mi racconterà tutto. Il rientro da Giuseppina (Penzion Zigon Gracarevec 8- 61370 Logatec - Slovenija), quando sei stanco, è un'altra delle delizie di un giorno di pesca. Pescai nell'Unec la prima volta perché era diventato ormai inevitabile. Tutti ne parlavano, le riviste riportavano continuamente articoli su questo chalk-stream, mostravano foto di panorami e catture, perfino mappe con asterischi differenziati, blu per le trote e rossi per i temoli.
I più esperti lo usavano come paragone per giudicare gli altri fiumi. Un grande fiume da temoli era "come l'Unec", una grande schiusa di sedge era "come al ponte romano di Planina"! Avrebbero dovuto conservare un tratto di una cinquantina di metri come campione di fiume da temoli nell'archivio della Commissione internazionale pesi e misure a Sèvres, accanto al metro in platino-iridio, al chilo eccetera. Io, a quei tempi, ero nel mio periodo "fly old style": fumavo la pipa, indossavo maglioni irlandesi e collezionavo vecchie canne spendendo più danaro di quanto potessi permettermi; leggevo anche (non necessariamente comprendendo) grossi tomi di entomologia. Il fatto che P. (mio vicino di casa, semianalfabeta) catturasse più trote e più grosse delle mie instillo' i primi dubbi: dovevo aver tralasciato qualcosa di basilare.
C'è comunque qualcosa di magico nell'"aspettare la schiusa" su questo fiume anche se questa non sempre significa il momento migliore per pescare. A volte stai seduto a fianco di un altro pescatore e ascolti di quello enorme che "ha rotto" due correntine più sotto. Più spesso sei da solo e fumi mentre osservi gli uccelli, il passaggio occasionale di una farfalla, di una libellula o i riflessi che fa il sole sull'acqua attraverso gli alberi dell'altra sponda. Oppure ancora guardi nelle tue scatole e magari fai un po' d'ordine. Detto tra noi, portiamo sempre un sacco di imitazioni che riproducono ogni possibile organismo acquatico, più alcune cose che non assomigliano a niente in particolare ma che potrebbero essere scambiate per forme di vita, e altre ancora che non sembrano assolutamente qualcosa che la natura ha prodotto su questo pianeta. Poi vedi una bollata.... un cerchio leggero che pian piano scivola a valle, poi un altro, che indica una grossa trota, questa volta vicino all'altra riva. Ti alzi, butti la sigaretta, ritiri la scatola delle mosche, cammini verso l'acqua il più lentamente e silenziosamente possibile. Tiri fuori coda dal mulinello, fai un paio di falsi lanci per trovare la distanza giusta.... e poi fai la posa e guardi la tua mosca baciare leggermente l'acqua e scivolare a valle. Tu sei immobile, trattieni il respiro: la distanza è giusta, la mosca anche e non draga, il finale non "segna" l'acqua....fino a quando scompare in un impercettibile gorgo. Il nylon si tende quando il cimino scatta leggermente, piantando l'amo. La canna si flette. Un bel pesce. Quando le catture sono troppo facili o troppo abbondanti per esserne orgoglioso oppure quando sono il trionfo della pianificazione ti dici: "Sono un bastardo troppo abile per questi pesci, ma sono anche generoso" e ti risiedi in narcisistico rispetto. A questo punto mi immagino come un virtuoso che ha raggiunto il massimo livello di abilità e può lasciare ormai le canne a casa e andar sui fiumi solo per dare un'occhiata. Poi, dopo un po', ci ripenso e mi rimetto a pescare. Sono un pescatore, non un santo, potete chiedere a chiunque.


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