6.
Un po' di tutto
6.04
CINQUE
STRANE AVVENTURE
Nota:
cliccare sulle foto per ingrandirle.
Vai
all'Album foto
|
ago.90 |
Penso che, tra le varie esperienze dell'uomo,
la pesca sia tra le meno codificabili e prevedibili. Forse, proprio
nella sua imprevedibilità' sta gran parte del suo fascino.
Non per niente una tra le pesche piu' appassionanti e' senz'altro
quella al salmone proprio perchè, per quanto concerne la
cattura di quel pesce, si può raccontare come, quando,
dove e' avvenuta ma nessuno potrà mai dire' con sicurezza
perche' il pesce ha morso l'esca. Penso che ogni pescatore, con
un po' di esperienze lungo i corsi d'acqua, possa avere degli
aneddoti da narrare e credo che a chiunque sia solito stare all'aria
aperta con una canna in mano saranno capitate delle avventure
strane. Eccone alcune delle mie.
Gacka, Yugoslavia.
Quella bestiaccia era sempre la', quasi incollata al pilone e
continuava a ninfare con brevi spostamenti della testa da una
parte e dall'altra. Da oltre tre ore rifiutava sdegnosamente ogni
mia mosca, ogni mia ninfa rendendo vano ogni mio tentativo. Avrei
potuto spostarmi, andar a cercare un'altra preda, poiche' il fiume,
allora come oggi, conteneva piu' trote che acqua ma quel pesce,
che inizialmente mi aveva solo attratto, ora era diventato un'ossessione.
Innanzi tutto per le dimensioni: Stevanac, il guardiapesca/gestore
della riserva al quale l'avevo mostrata, l'aveva giudicata circa
sei chili e per me era la piu' grossa trota che avessi mai visto
fino ad allora. Questa sua sicurezza e tranquillità, che
gli permetteva di cibarsi tranquillamente a dieci metri dall'albergo
(che in quel momento conteneva trenta/quaranta pescatori senz'altro
da annoverare tra i migliori d'Europa mentre io ero l'outsider)
mi impediva di allontanarmi da quel posto. Ero arrivato la sera
prima a Licko Lesce e l'albergo sul Gacka era stato inaugurato
l'anno precedente. La mattina avevo montato la mia canna ed ero
uscito con l'idea di pescare lungo un discreto tratto di fiume.
Giunto sul ponticello avevo guardato giu' e dopo tre ore ero ancora
fermo li', nello stesso punto. Avevo provato con tutto. Pescato
da monte, da valle, da destra e da sinistra. Usato Mosche di maggio,
Sedge, ninfe piombate e non: l'unico risultato conseguito era
stato di aprire un varco profondo nella mia riserva di artificiali.
In compenso gli alberi attorno sembravano alberi di natale tanto
erano addobbati a mie spese.Alla fine, dopo tre ore appunto, me
ne ero andato, smoccolando come un portuale. Avevo pescato poi
un'oretta alla prima curva e tre trote di buona taglia avevano
contribuito a farmi tornare il buonumore. Sulla via del ritorno
raggiunsi il ponte sul quale due pescatori danesi erano intenti
a fissare con odio, dopo la loro dose di tentativi, quella specie
di Moby Dick. Naturalmente mi fermai anch'io e ci mettemmo a chiaccherare.
Di pesci naturalmente.Conversavamo seduti sul ponte, gambe penzoloni
sull'acqua, spalle alla corrente, ormai quasi dimentichi della
trota sotto di noi; avevo disteso la canna sul ponte con il manico
accanto alla mia coscia.
Dall'altra
il cimino faceva ballonzolare ad un buon metro dall'acqua l'ultima
mosca che avevo usato. Un anonimo palmer grigio e marrone. Mentre
eravamo intenti nella conversazione, cercando di comprendere i
rispettivi idiomi, sentimmo un risucchio seguito da uno splash
fragoroso. Istintivamente misi la mano sul calciolo che avevo
visto muoversi e mi ritrovai con la
canna stesa, la punta piegata verso il basso mentre la trota sfilava
coda su coda scendendo il fiume come un razzo. Cercai, con l'aiuto
dei compagni, di passare la canna al di sotto del ponte per poter
tentare di combattere il pesce. Questo sfilo' quasi tutto il backing.
Ero riuscito finalmente a passare l'attrezzo ed ora mi trovavo
in piedi con in mano la canna piegata, quando un missile lungo
un metro usci' dall'acqua a circa settanta metri da noi e diede
una testata. Brang!!! Cominciai a riavvolgere la lenza ormai molle.
Silenzio di tomba. Avessi almeno potuto trovare un motivo per
arrabbiarmi (un nodo fatto male, un lancio malfatto, una imitazione
non perfetta) ora mi sarei sentito meglio. Non mi aveva dato nemmeno
questa possibilità. La consapevolezza che un bambino di
tre anni avrebbe avuto le stesse chances mortificava il mio orgoglio
di pescatore.
Gacka, Yugoslavia.
Mi trovavo sempre sul Gacka, diversi anni più tardi, in
compagnia di un gruppo di amici torinesi. Quel pomeriggio ero
solo perche' avevo dovuto rientrare in albergo per cambiarmi gli
abiti fradici ed infangati: ero infatti caduto nella famigerata
buca seminascosta tra le alghe. Tutti ne parlavano sempre avvertendo
di fare attenzione ma erano stati un po' vaghi circa la sua esatta
localizzazione. Io, invece, ero riuscito a determinare perfettamente
le coordinate e per qualche istante la mia testa resto' a galla
a guisa di boa di segnalazione. Appena tornato sul fiume guardavo
vicino alle rive in caccia di qualche trota. E' la pesca che preferisco:
individuare un pesce semi-mimetizzato a galla e pescarlo con un
unico preciso lancio a tre centimetri dalla testa, magari facendo
sbattere leggermente la mosca sull'acqua. Spesso, sorpreso, il
pesce morde subito l'esca istintivamente.
Camminavo lungo il bordo del fiume guardando a circa un metro
dalla riva e perlustravo tra le alghe. Quasi quasi non la vedevo
e la calpestavo. C'era una fario bellissima in venti centimetri
d'acqua.
Era seminascosta da alcune foglie che facevano intravedere solo
parte della testa ed era talmente a riva che probabilmente vi
era appoggiata. Stava ferma ed immobile tanto che a prima vista
poteva sembrare un pezzo di legno. Mi preparai per il lancio,
diedi una stiratina al finale e controllai l'amo. Non vuole essere
presunzione ma "sapevo" di prenderla. La situazione era troppo
perfetta per sbagliare. Pregustavo già l'attimo dell'abboccata
e la successiva lotta. Il lancio fu una pennellata. La mosca non
aveva ancora toccato l'acqua che la trota con uno scatto che non
vidi nemmeno salto' fuori, afferro'la mosca e.......ricadde sulla
riva.Restai come un cretino per qualche istante a guardarla mentre
si dibatteva tra l'erba.
Un
esemplare bellissimo, sul chilo e mezzo, puntinata come un bambino
con il morbillo. Quando mi avvicinai per sganciare l'amo questo
si stacco' da solo poiche' non avevo avuto nemmeno il tempo di
ferrarla. La misurai, quarantasei centimetri e grassa come un
porcellino: la rimisi in acqua. Mentre facevo questo continuavo
a chiedermi come era stato possibile che una trota di quella taglia
e quindi di quell'età avesse potuto saltar fuori in quel
modo, mancando poi clamorosamente l'acqua al rientro. Soprattutto
mi aveva privato del piacere di vederla bollare sulla mia mosca
e della successiva lotta. Forse che la sovrappopolazione del Gacka
aveva portato alcuni individui della specie a sacrificarsi per
la sopavvivenza degli altri come i lemmings della Lapponia. Ma
perche' doveva succedere proprio davanti alla mia presentazione
cosi' perfetta?
Langa, Islanda.
Era il turno di Max. Frustava inutilmente l'aria mentre io cercavo
riparo dal vento gelido del Nord tentando di appiattirmi più
possibile contro il terreno. Le raffiche umide rendevano vano
ogni mio tentativo di ripararmi in questa inospitale parte dell'Islanda.
Eravamo sul Langa ed avevamo deciso di affittare una canna (si
intende il permesso di pescare in un dato periodo) in due. Tale
possibilità ha il vantaggio di dividere il costo della
pesca e di potersi concedere dei periodi di pausa sempre ben accetti
quando il tempo e' particolarmente impietoso. Lo svantaggio unico
ma fondamentale e' che i salmoni non abboccano a turni e bisogna
essere proprio amici per accettare e digerire alcune situazioni
antipatiche, soprattutto tra pescatori assatanati. Si dice che
quando si va in Islanda con una canna in due si parte amici e
si torna spesso con voli diversi. Max è un compagno di
pesca ideale, non esageratamente "preso" dalla pesca, simpatico,
e con una propensione ad accettere filosoficamente gli avvenimenti.
Questa è una cosa che devi cercare nei tuoi fishing-partners:
la qualità di accettare le situazioni, o almeno quello
di passare il tempo decentemente anche quando le cose non vanno
troppo bene. Per dirla in un altro modo: se mi trovo naufrago
in un'isola sperduta, meglio non essere in compagnia di un pessimista
piagnucolone.
Avevamo stabilito turni di tre ore e da quasi due Max continuava
a sondare la pool sotto la cascata, dove si vedevano saltare continuamente
dei salmoni. Risultati: sotto zero.Morale in fondo ai piedi. Mi
disse di fare due lanci mentre si accendeva un sigaro. Presi la
sua canna tra le mani e posai la solita mosca nello stesso posto
dove lui l'aveva posata almeno duecento volte nelle due ore precedenti.
Neanche a dirlo mi ritrovai subito alle prese con un salmone che
tirava come un bue. Avevo offerto a Max di combatterlo essendo
un "suo" pesce ma quella specie di codice non scritto tra i pescatori
di salmoni lo proibisce e cosi' continuai da solo la battaglia.
Furono dieci minuti tondi di salti, fughe e capriole. Infine,
contento e dispiaciuto al tempo stesso portai a riva il salmone
e resi la canna al mio amico.
Lui,
nero come un capello ma caricatissimo, riprese a racchettare come
un ossesso, e fu ancora un'ora di lanci, di doppie trazioni, di
roller, di shooting nello stesso posto, nella solita pool. Anzi,
non fu proprio un'ora ma circa cinquantacinque, cinquantasei minuti
ed era nuovamente stremato e sfiduciato. Mancava qualche minuto
alla fine dell'orario di pesca (alle 22.00 bisogna smettere).
Mi ridiede la canna mentre si accendeva un altro sigaro. Feci
un lancio, stesso posto, stessa mosca......stessa "fortuna" (capirete,
non voglio essere volgare) ed aggiunsi al mio bottino un altro
pesce da sei libbre, una in meno del primo. Mi vergognai come
un ladro ed il ritorno al lodge fu silenzioso come un funerale.
Con la coda dell'occhio vidi il mio compagno che, furtivamente,
gettava tra i cespugli la scatola dei suoi preziosissimi sigari.
Toce, Val d'Ossola.
Era sera e tornavo da Verampio, sopra Domodossola. Prima della
catastrofica alluvione era un ottimo posto da temoli. Ottimo perche'
erano abbastanza numerosi anche se tutt'altro che facili. Per
intenderci quelli da moschine su amo del 20 e filo dello 0.08.
La giornata era ormai finita ed avevo il mio bottino standard
per quel posto. Zero. Mi fermai sulla strada del ritorno in una
trattoria a Domo dove ero solito fare un pellegrinaggio gastronomico.
Purtroppo era stracolma e mi dissero di ripassare dopo mezz'ora
che si sarebbe liberato qualche tavolo. Avevo ancora gli stivali
ai piedi e dovevo fare un'altra cosa per la quale era meglio essere
soli ed appartati. Li' vicino scorre quel che rimane del Toce
dopo lo scempio fatto durante i lavori per la superstrada del
Sempione: mi fermai lungo una stradina che lo costeggiava per
togliere gli stivali e fare poi quello che dovevo. Era buio pesto
e non vedevo nemmeno la poca acqua (dieci centimetri circa) che
scorreva sotto una massicciata, formata da rifiuti, due metri
sotto di me. Non so cosa mi salto' in testa, forse che il momento
ideale per andarsene a pescare è ogniqualvolta puoi farlo,
o forse che la canna era ancora con la "montatura" da temoli pronta...
comunque provai a fare un lancio o, meglio ancora, calai la moschina,
un microscopico emerger, dove presumevo ci dovesse essere acqua.
Mi sentii strappare la canna di mano. Realizzai subito che doveva
essere una trota, anche piuttosto grossa e contemporaneamente
mi ricordai anche che razza di finale e che amo avevo in fondo
alla coda. Mi buttai giù letteralmente per la scarpata
tra rottami di ogni genere. Ora avevo gli zoccoli ai piedi ed
i calzoni a mezz'asta ma tanto nessuno avrebbe potuto testimoniare
in merito al mio show. Alla fine riuscii a farla scivolare sulla
riva, due pozze piu' in giu' di dove l'avevo attaccata. Una bellissima
fario di sette etti e trenta grammi. Mi sentivo come quel pescatore
africano che qualche anno fa si ritrovo' un Celacanto in fondo
alla lenza: fissavo quella trota, alla luce dei fari, come fosse
un esemplare appartenente ad una specie ritenuta ormai estinta
da tempo.
Kuskokwim, Alaska.
Quel giorno il nostro programma aveva previsto di pescare Sheefish
nel Kuskokwim, il fiume più grande d'Alaska dopo lo Yukon.
L'indigeno responsabile dell'aeroporto ci aveva detto che eravamo
sovraccarichi e non avrebbe dovuto lasciarci partire. Il pilota,
poi, infilò tutta l'attrezzatura in ogni spazio disponibile.
Per aggiungere qualcosa alla suspense disse che il tutto era almeno
200 chili in più. Come lemmings salimmo a bordo comunque.
Nessuna parola fu detta quando il piccolo aeroplano lentamente
si alzò, passando di un pelo la cresta di montagne. Avevamo
avuto già la nostra buona dose di emozioni pescandone cinque
o sei a testa. Taglia standard quattro/cinque chili. Pescavamo
sia con degli ondulanti sottili ma molto pesanti di otto centimetri
che con streamer con corpo argentato e pelo di cervo azzurro (Alaskan
Smolt).
Per individuare dove si trovano questi pesci si perlustra, in
barca, il fiume alla ricerca di "mangianze".Si vedono, ad un tratto,
decine di rondini di mare ed altri uccelli simili fare delle picchiate
sull'acqua e la superficie si vede letteralmente ribollire. In
quel punto ci sono Sheefish che stanno banchettando tra branchi
di pesciolini. Scherzando dissi ai miei compagni che in mezzo
a tutto quel movimento poteva succedere di colpire ed agganciare
con il cucchiaino un uccello. Lanciai molto lungo, a parabola,
e beccai in pieno una rondine di mare che si stava rialzando dall'acqua.
Era successo che il filo le era passato sopra l'ala e si era avvolto
su quest'ultima.Il cucchiaino non l'aveva ferita ma penzolava
circa un metro al di sotto.
Cominciai
a recuperare la rondine (hanno circa la taglia di un piccolo gabbiano)
che all'inizio tento' di volare e poi si poso' sull'acqua schiamazzando
(immaginate quanto!). Mentre la trascinavo sull'acqua cominciavo
a pensare come avrei potuto fare per liberarla cercando contemporaneamente
di difendermi dalle beccate. Era a circa venti metri dalla barca
quando la vidi sparire sott'acqua. Riapparve, poi scomparve di
nuovo. Il gioco andò avanti per un po' mentre io continuavo
imperterrito a recuperare. Ammiravo quella rondine che si difendeva
combattendo come un Marlin. Fu solo quando fu vicino alla barca
che compresi il tutto. Con un'unica esca avevo ottenuto due prede:
un Sheefish infatti aveva abboccato al cucchiaio e nella sua difesa
trascinava ripetutamente sott'acqua il volatile. La slamatura
fu un'azione eroica. Dovetti sganciare il pesce (oltre cinque
chili di muscoli guizzanti) con le pinze per poter poi liberare
l'uccello. Questi non sapeva che mi davo da fare per il suo bene
e quindi si difese il più possibile con il becco. Nemmeno
il pesce collaboro' molto all'impresa comunque alla fine riuscii
a portare a termine felicemente l'operazione, felicemente per
le due prede, che liberai. Io, invece, conservai per diversi giorni
un souvenir dell'impresa: le mani mi restarono arabescate con
artistici disegni ed istoriazioni del genere Pop-Art.
|
|