6. Un po' di tutto
6.13 Momenti magici
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nov.97

Dolce o salata l'acqua mi ha sempre affascinato, più ancora del cielo. La recente passione per la seconda non ha mai offuscato l'amore per l'altra; anzi sono soprattutto le memorie dei fiumi, alcune vecchie e altre di recenti avventure, che rimangono impresse e catalogate nell'archivio della mente. Nella pesca i ricordi sono un forte stimolo, la molla che ti carica per farti continuare a pescare mentre la pioggia ti scorre giù per il collo, mentre la pesca diventa "stanca" o mentre hai le ginocchia congelate negli waders. Inoltre i ricordi di alcuni momenti magici conservano, nel profondo del cuore di ogni pescatore, la certezza che in un certo giorno di pesca potrebbe accadere qualcosa di insolito e meraviglioso, e che se sei paziente e attento questo qualcosa potrebbe ricapitarti. Pescare spesso è un atto di fede. Volendolo spiegare semplicemente è la convinzione che, da qualche parte nell'acqua, ti sta aspettando un pesce più grosso di quello che hai mai catturato.
Mi ricordo, per esempio, un momento magico di trote "taglia Patagonia" prese a secca, nella bassa vercellese. Un giorno mi telefonò il Carlin dicendo che vedeva bollare regolarmente trote da uno/due chili..... (!?!). Lui pesca lucci, molto bene, e ha il pregio di farlo senza ricordarti continuamente che li considera uno o due gradini piu' in alto delle trote. Pesca anche a mosca, ma i salmonidi nostrani per lui sono pesci solo divertenti ma piccoli e, in un certo senso, troppo "domestici" in confronto ai lucci. Guardiamolo bene: il luccio ha un aspetto cattivo, cattivo cattivo, come un cobra o un kalashnikov o un giubbotto nero di pelle appare cattivo.

Sull'acqua Carlin è paragonabile a un supermarket della pesca e dotato di un cuore d'oro. Se resti senza uno ShadRap, Carlin ne ha a portata di mano una scatola intera, in tutte le taglie e colori. Se ti occorre una BlueWinged Olive maschio, devi solo aspettare che scavi un po' più a fondo nelle tasche del gilet. Aveva ereditato, tra l'altro, una quota in una cava da carpe che prendeva l'acqua da microscopici fontanili, e il canale che era stato scavato come emissario scorreva tra i campi in una zona di risaie, privata e completamente cintata. Assolutamente non un tipo di acqua per noi, diresti. Pareva però che le grosse trote viste bollare fossero risalite dal Po e, trovando acqua migliore e sufficiente pastura, fossero divenute pressoché stanziali. Il canale aveva diverse curve, costruite per rispettare i confini di antichi poderi, ed era tappezzato di lunghe alghe, che lo facevano sembrare un chalk-stream naturale.
Durante gli anni, nei lunghi trasferimenti o nelle lunghe serate nei lodge o negli hotel, vengono intavolate alcune interessanti questioni filosofiche sui torrenti: può un corso d'acqua del piano essere definito, ai giorni nostri, "naturale"? Probabilmente no. Se sei un purista di quel genere, forse il massimo cui puoi aspirare oggi è, perlomeno, che "appaia naturale".
La sua descrizione valeva in ogni caso la pena di un viaggio. Arrivai che pioveva e Carlin mi condusse ad una specie di fontanile con acqua chiara, largo quattro/cinque passi: tra le erbe vedevi bollare, ad intervalli regolari, trote enormi. Aveva fermato il suo mega-fuoristrada a una decina di metri e vedevamo i cerchi delle bollate attraverso il parabrezza. Uscii, montai la canna e legai un finale dello 0.18, tanto per .... "star dalla parte della ragione", come si usa dire. La pioggia, frattanto, si stava trasformando in acquazzone. Annodai una moschina chiara e, come questa toccò l'acqua, mi trovai una trota da un chilo in canna. Nell'ora seguente, più o meno, agganciai altre quattro grosse trote. Una abboccò così violentemente che strappò la mosca (beh, veramente, strappai io; comunque dovetti attaccarne un'altra). Un'altra tirò fuori quasi tutta la coda, saltò un paio di volte e sputò l'amo. Le altre due finirono nel cestino. Ormai stava diluviando, io avevo agganciato un numero decente di trote e la migliore era, diciamo, oltre un chilo e mezzo. Decidemmo che era meglio studiare le strategie davanti a cappuccini caldi e brioches, per tornare a temporale finito.

Accadde che diluviò per una settimana, la piena spazzò e stravolse completamente la roggia, insabbiandola, e le trote scomparvero per sempre.
In un'altra occasione capitammo sullo Steyr, in Austria, anni prima che i fiumi della zona fossero devastati dai cormorani. Ci si fermò a pescare vicino alla confluenza con il Teichl e, pur non tenendo un conto accurato, una stima della nostra giornata fu al di sopra di cento pesci ognuno. Tutte fario tra i due e gli otto etti che bollavano in un paio di lunghissime lame dove noi stavamo pescando "in batteria". Sai, non proprio spalla a spalla ma uno in vista dell'altro: il fragore del fiume copriva le voci ma almeno potevi vedere gli altri quando avevano la canna piegata. I pesci erano veri, seri, arrabbiati e affamati, forse perfino un po' disperati. Voglio dire, se riuscivi a fare una passata decente sopra una bollata, prendevi, o perlomeno avevi una secca tirata. La cosa era incredibile. Le trote lottavano l'un l'altra per contendersi le nostre mosche....Erano pochi i momenti in cui almeno uno di noi non stava "combattendo" e capitò perfino di essere in tre contemporaneamente alle prese con dei pesci, in uno spazio di cento metri.In genere preferisco quando la pesca è abbastanza facile da prendere un sacco di trote, ma difficile quanto basta per dire a te stesso: "....che razza di esperienza e conoscenza devo avere per fare quello che sto facendo".
Sergio ed io usavamo imitazioni diverse dello stesso insetto, ed entrambi prendevamo pesci, Luciano ne stava catturando altrettanti su una Panama del 14, anche se gli avevamo premurosamente spiegato che era del colore e della taglia sbagliata.

Ognuno di noi ruppe almeno dieci volte, principalmente con pesci che tagliavano il filo contro le rocce. Si andò avanti a catturare pesci su pesci finché, col buio, apparvero dei pipistrelli che cominciarono a banchettare sulle zanzare che avevano banchettato su di noi fino a quel momento.
Nella pesca accadono giornate di questo genere e sempre ci si chiede il motivo ... io penso che succeda perché gli Dei decidono finalmente di metterti a portata di mano, per un attimo, quello che tu stavi cercando, e vogliono essere sicuri che non sbagli il bersaglio. Dopo tutto, noi del genere umano, abbiamo una lunga storia di bersagli non riconosciuti o falliti.
Le memorie di certi momenti ti danno la pazienza per le attese in aeroporti sperduti o per macinare ore e ore in auto, o a piedi, fino al fatidico "Posto". Chissà perché cadiamo sempre nella trappola di percorrere lunghe distanze per trovare pesce. Per qualche misteriosa ragione, a un certo punto arriviamo a credere, o convincerci, che l'acqua attorno a noi è priva di ogni forma di vita.
Peregrinando ai quattro angoli del pianeta, in venti anni ho potuto pescare praticamente tutte quante le specie "da mosca". Ma l'amore è sempre per il salmone, le altre sono state avventure, o cottarelle. Un altro ricordo particolare è legato al Bryijundalsa, quando catturai quattordici salmoni in quattro ore.

E' questo un fiume lillipuziano dove facevo, più o meno, il ghillie. Scorre tra Rejkiavik e Borgarnes, sulla costa occidentale d'Islanda, un luogo dove l'anno si divide in undici mesi di pioggia e uno di maltempo. "Dichiaravo", come a biliardo, prima della passata, il salmone che avrei catturato (chiunque abbia pescato il Salmone Atlantico ha idea di cosa significhi). Naturalmente gli altri pescatori mi guardavano come fossi stato un marziano.
E' risaputo che il salmone in acqua dolce non mangia. E non è una perdita di appetito... non è lo stesso che ti capita di vedere in qualche trota lunatica; questi pesci non mangiano davvero, e quindi si suppone realmente che non mordano. E' un fatto su cui il pescatore deve rimuginare parecchio e tenerlo sempre fermamente nel cervello quando pesca salmoni. Io, invece, lanciavo sopra i pesci che individuavo, facevo due passate per farli innervosire con una mosca grossa e, al terzo colpo, li ferravo al volo "sulla bollata" su di una mosca differente. La lotta era rapida e il pesce finiva rapidamente a riva (in Islanda "devi" sempre tenere i pesci). Il salmone, in ogni caso, non va combattuto molto: se lo devi tenere, più tempo sta in acqua e maggiori sono le probabilità che si sganci. Se lo devi rilasciare, eviti che si stanchi troppo e venga intossicato dal proprio acido lattico. Le regole generali sono: tieni la canna alta, la lenza sempre tesa eccetto un po' di lasco quando il pesce salta, tieni quest'ultimo sempre sotto sforzo per farlo stancare e, solo alla fine, portalo nell'acqua bassa o in superficie per catturarlo.

Tenere la canna alta significa che il pesce trova sempre una certa resistenza: una lenza tesa esercita una costante pressione contro il pesce, stancandolo; mentre devi lasciar la lenza molle quando salta per impedire che la rompa cadendoci sopra. Una buona canna ha l'elasticità che serve ad assorbire i colpi e ti evita di rompere il finale. Un buon consiglio: come è sempre meglio evitare di lanciarsi con un paracadute che non si è ripiegato con le proprie mani, lo stesso vale con un finale che non si è costruito e annodato da sé.
I momenti magici però non sono sempre legati alle catture. Nella bellezza della pesca il prendere pesci è incidentale. Come il far bambini lo è per altri tipi di passatempi. Quelli che misurano la bontà di un'esperienza dal numero di pesci catturati sono portati a misurare la qualità della loro esistenza dalla quantità di quattrini, dal numero di conquiste, e il loro io si avvolge attorno ai numeri, incapaci di valutare le cose nel giusto senso. Tutti hanno ricordi di momenti magici, tranne i pessimisti che rinnegano perfino i ricordi piacevoli. Sai cosa intendo. I tipi che vedono sempre nero. Come Leopardi. Comunque probabilmente ha avuto ragione lui: a forza di lamentarsi si è fatto un gran nome.
Le memorie sono fatte di fiumi e torrenti e di pesci e di pesca. E c'è una differenza tra le ultime due. Puoi ricordare sia i giorni in cui catturasti dei pesci, sia i giorni in cui ci fu solo pesca: se tutti i giorni fossero buoni, la pesca a mosca perderebbe parte del suo fascino. Ci sono giorni in cui hai fatto chilometri di flats senza vedere una pinna.....l'attimo meraviglioso si realizza quando Pedro arriva con una bottiglia di birra (o Rhum) e ti grida dalla barca "Ola, Hombres, un minuto de descanso!" O uscire dall'acqua per sedersi vicino a un fuoco quando la pesca ti ha appagato per iniziare una conversazione che spazia un po' su tutto, dalla politica, alle mosche, al design dell'ultima Ferrari, ai torrenti del Trentino, al modo giusto per distillare la grappa. Meraviglioso cameratismo della pesca, fatto di complicità, di amicizia, di speranze comuni.
Torno indietro nel tempo e rivedo quando mi fermai a bere una Coca in un negozio di alimentari di paese, dove tre vecchi dalle tute scolorite erano seduti sotto il portico a scacciare le mosche e a patire il caldo. C'era qualcosa di pastorale e ovunque guardavi era come una cartolina di montagne lontane, leggermente incappucciate di neve. Il rumore della corrente del fiume era superato dal suono degli uccelli. Sotto il ponte pinneggiavano trote e temoli come in un acquario: rivedo come fosse ora quella grossa fario che incrociava a pochi passi ed io che ingloriosamente sbagliavo il lancio. Ero ai primi passi con la mitologia della mosca. E mitologia è, penso, la parola giusta quando parli di certi fiumi. Qui avevano pescato Hemingway e Ritz. Mi trovavo nel periodo in cui, aggirandomi bramoso tra i negozi di mezza Italia, compravo ogni possibile inutile gadget, compreso un costoso guadino fatto a mano. Ora penso sia un'idiozia spendere grosse cifre per un attrezzo che notoriamente porta sfiga.

Per esempio il "momento magico" di una schiusa serale sulla Sava è il suo inizio, prima della pesca vera e propria. L'attimo dell'attesa, dell'aspettativa. Quando cominci a veder librarsi una nube di carine mosche giallo-crema nell'aria. Certamente hanno un nome scientifico, e credo ragionevolmente che potrei ricordarmelo, ma da anni le abbiamo sempre chiamate "gialline", un nome pratico che serve perfettamente ai nostri fini. E sai che quando queste appaiono nell'aria è il preludio di una incredibile attività in superfice e che devi cercarle nella scatola dove ne hai sempre qualcuna sul # 16 o sul # 18.
Ora però che sono un "esperto" .... le cose vanno di male in peggio; oggi impiego approssimativamente quaranta minuti di ogni ora sul fiume cercando di decidere: a) quali tipi di insetti si trovino sulla superficie, o nell'acqua; b) su quale di questi le trote sembrano banchettare con più gusto; c) quale artificiale nelle mie scatole è meno dissimile da quello naturale. Il risultato di tutto questo è che oggi io difficilmente prendo un pesce, mentre "nei bei tempi andati" prendevo una trota dietro l'altra.

Potrebbe anche essere che, mentre io mi sono man mano rimbambito, le trote siano diventate più intelligenti, oppure che oggi con una Bivisible non si combini un accidente perché non è "a la page". Tra l'altro oggi mi sono persuaso che non assomigli a niente di vivo. Tutto quello che faceva del resto, era di catturare un sacco di pesci e quando ormai sei diventato un vero pescatore "scientifico" questo genere di bieco opportunismo non sta bene. Nei ricordi anche i pesci, inconsapevolmente, diventano più grandi. Siamo sempre portati ad ingigantirli, ma non è sempre disonestà. E' risaputo che pignoli ragionieri o stimati notai, nella loro carriera di pescatori, ignorano beatamente perfino la differenza tra trenta e quaranta centimetri, tra mezzo chilo e un chilo, tra quattro trote e dieci trote. Tutti i pescatori sono bugiardi, ma non è per volontà loro, piuttosto colpisce come una malattia professionale, come l'ulcera dei rappresentanti, il gomito del tennista, il ginocchio della lavandaia.