6. Un
po' di tutto
6.18
Strane
catture
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ott.99
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La comprensibile ossessione di catturare
pesci sempre più grossi sta purtroppo trasformando l'intero
nostro ambiente in qualcosa di competitivo al pari del mondo degli
affari: ciò stride con il divertimento che dovrebbe essere
insito nella pesca. Peggio ancora, i pescatori stanno sacrificando
uno dei principali piaceri del pescare che è, o almeno dovrebbe
essere, la tranquillità. Queste anime deluse saranno sempre
più frustrate e infelici per la semplice ragione che poichè
saranno perseguite e catturate prede via via più grandi,
di queste ce ne saranno fatalmente sempre meno da catturare. Nell'ultima
decina di anni, tutta la pesca, particolarmente quella a mosca,
è caduta in una riprovevole categoria che chiamo "spazzatura
mentale": Con questo non voglio dire che è sbagliato andar
a pescar salmoni o tarpon, io l'ho fatto in passato e, spero, di
continuare a farlo in futuro; cerco però di non stravolgere
le mie "radici" o di non perder di vista la giusta "prospettiva".
Per la cronaca, in altri tempi ho pescato alborelle, scardole e
cavedani; inoltre ho iniziato a bracconare trote che non andavo
ancora a scuola e ho poi continuato per diversi anni, prima dell'evoluzione
(mai completata) verso "moschista puro"; anzi l'idea di non aver
dimenticato come si fa, in certi ambienti mi mette a posto la coscienza.
Intendo dire mi tranquillizza la consapevolezza di essere rimasto
"sul bordo" tra etica, regolamenti, leggi e l'altro mondo. In certi
ambienti, è più importante poter dire di essere andato
a Bonefish alle Bahamas o a Steelheads in Kamchakta che andarci
realmente solo per divertirsi. E per le vittime di questa mentalità
è difficile ammettere che qualcuno possa essersi divertito
veramente catturando una specie esclusa dalla "Lista Approvata".
Ma la pesca, secondo me, se fosse sempre prevedibile, non sarebbe
così divertente.
Qualche
tempo fa, ero seduto su di un tronco sulla riva del fiume; l'acqua
di fronte a me scorreva tranquilla, lenta e senza nessun segno apparente
di vita. Visto il momento di "bonaccia", cominciai a far la lista
di tutte le creature che avevo catturato a mosca, nella mia carriera
di pescatore. Il mio elenco include rane, una biscia d'acqua, un
paio di pipistrelli, diversi uccelli tra cui una rondine, topi e
un toro di almeno ottocento chili. Veramente non so se il toro va
incluso o meno, poichè mi ruppe sulla prima fuga, ma questa,
come dicono, è un'altra storia. E questo compendio non include
oggetti inanimati, il più memorabile dei quali era ciò
che posso descrivere solo come un dispositivo sessuale che salì
(non so se è il verbo esatto) su una emerger oliva scuro,
in una sera che pescavo nel mio tratto favorito del basso Toce.
La
cosa provocò lunghe e profonde discussioni tra i miei due
compagni se la cattura poteva essere considerata fortuita o se era
stata piuttosto frutto di tecnica ed esperienza. Sempre sul Toce,
in un'altra occasione, catturai anche un coregone di quasi un chilo,
a secca. Questo pesce vive normalmente nelle grandi profondità
dei laghi e si ciba, così dicono i sacri testi, solo di larve.
Sempre secondo i libri, non dovrebbe esistere nei fiumi da trote.
Ha però una piccola pinna adiposa, che stabilisce una parentela
morfologica con queste, come con salmoni e temoli. Naturalmente
finì nel cestino: non era ancora di moda il "no kill", inoltre
questo pesce è troppo celebrato nelle ricette. Alcuni dicono
che il coregone seccato e affumicato ha un gusto migliore del salmone,
ma non crederci, qui tipi son simili a chi ti dice che il caimano
fritto è meglio della bistecca, e la jutia (una specie di
topo delle mangrovie) è meglio dell'aragosta. Non meravigliarti
per queste strane catture di cui racconto; fanno parte delle mie
memorie. A proposito di queste: anche a me piacerebbe, uno di questi
giorni, scrivere le proprie memorie Ma più che scriverle
mi piacerebbe dettarle come quelle vecchie personalità di
cui si legge......" Sta dettando le sue memorie". A volte mi rammarico
al pensiero se potrò mai dettare, magari trattenuto al letto
da qualche infermità. Sarebbe meraviglioso dettare, in circostanze
così favorevoli, le mie memorie. Pesco da quarant'anni, molti
di questi con almeno cento uscite all'anno. In casa mia ci sono
un'infinità di diapositive "datate" di centinaia di fiumi
e di pesci; immagini che puntualizzano purtroppo la mia età,
ma finora i numeri non sono così importanti da preoccuparsi
troppo. Ma le catture strane non furono solo mie: tra le foto, ritrovo
quella di Stuart McWilliams che ebbe ben 6 abboccate con il popper
da parte di un caimano di due metri e mezzo. Questo accadde ai Giardini
della Regina: fu il clou di una giornata comunque eccezionale. A
parte il caimano, nelle tre ore precedenti, Stuart aveva preso 10
bonefish, oltre ad altri otto combattuti e persi. Avevamo misurato
ogni pesce, dal naso alla coda, prima di rilasciarli. Uno era un
"piccolo" pesce di 55 cm, probabilmente sui 3 chili .Gli altri sette
pesci misuravano tra i 62 e i 75 centimetri. Perlustrando una flat,
un attento osservatore ha l'opportunità di vedere tutta una
serie di bersagli oltre ai bonefish.
Qualcuno, come barracuda e squali-limone o black tip, per esempio,
meritano anche un lancio, se hai una canna
"pesante" già montata con il wire. Molte delle altre più
comuni varietà, razze e pesci-scatola ai Caraibi non vengono
degnati di una seconda occhiata da parte del comune pescatore a
mosca. Questo è quello che pensavo anch'io del pesce scatola,
per esempio, fino al giorno che ne agganciai uno. La sua fuga supersonica
mi lasciò con il mulinello fumante, e con un rispetto tutto
nuovo per questo pesce, e con una strana curiosità sul potenziale
sportivo di tutti quei pesci dall'aspetto inconsueto, che abitano
le flats. Nemmeno bisogna ignorare l'aguglia, tenendo ben presente
cosa può succedere, nel caso si dovesse catturarne una. Una
volta che ero annoiato e non c'era comunque nessun bonefish nei
paraggi, ne scorsi una di circa un metro che incrociava ai bordi
del "basso", proprio dove questo si trasformava da bianco abbagliante
al turchese del canale.
Lanciai
la mia Crazy Charlie verso il pesce, che l'attaccò immediatamente.
Agganciato per le labbra, non poteva raggiungere con i suoi affilati
denti il terminale, e cominciò una serie di "tailwalking"
tutto attorno. Alla fine lo portai vicino e lo afferrai come se
fosse un grosso salame. Grave errore. Ripensandoci, fu una cosa
profondamente stupida, una azione impulsiva che chiarisce meglio
di ogni altra cosa la distanza tra i luoghi delle mie origini e
il mare con i suoi rischi. L'aguglia morse il mio pollice come un
Pit-Bull. Cercai di liberare il dito usando il lungo becco del pesce
come leva, così portai al macello anche l'altra intera mano.
Quando tutto fu finito, la piattaforma di lancio della barca sembrava
la scena di un film di Dario Argento, mentre l'aguglia si allontanava
nuotando arrogantemente verso l'acqua profonda, con la mia mosca
ancora fermamente assicurata alle sue fauci. Non dirmi che non ti
ho avvisato.
Parecchi
anni fa stavo pescando con il Rapala affondante sul Rio Agabama.
Me ne aveva parlato un ex-sindacalista romano che si era stabilito
a Cuba. Oltre che raccomandarci quel fiume, ci aveva raccontato
che si era sistemato con quattro donne, e neanche a cannonate l'avrebbero
fatto tornare in Italia. Hai già capito che quello è
il luogo dove devi andarci da solo. Il Rio Agabama è, anzi
era, un classico fiume da Tarpon ma soprattutto da Snook: non era
inusuale vederne un centinaio, o più, di quelli grossi che
incrociavano lungo le rive. Catturarli, anche nei tempi migliori,
era sempre stato tutt'altra cosa. Lanciavo a raffica dei "plugs"
(ogni tanto qualche termine straniero, dicono, dà un tono
all'articolo). Questo è un artificiale che lavora a galla
come il Rapala, solo che è un arnese colorato di bianco a
forma di sigaro, con alette scarlatte oppure cromate con la testa
snodata e una paletta che si può inclinare in modi diversi.
Nell'istante che il tuo plugo tocca l'acqua devi subito iniziare
a recuperare. Nessuno può dire esattamente perchè
lo Snook attacca questi oggetti, certamente non può "pensare"
che questo pezzo di legno che striscia a zig-zag sull'acqua possa
trattarsi di "cibo". Dopo circa un'ora che avevo scandagliato le
rive, centimetro per centimetro, decisi di andare abbastanza più
avanti per dare un'occhiata, pensando che tanto peggio non poteva
essere Eravamo ormai quasi alla foce, l'acqua era scura e leggermente
torbida....... "ancora un paio di lanci" mi dissi. Fiondai l'esca
in un buco pieno di rami, pronti ad agganciarsi al mio artificiale.
Era stato un lancio perfetto, la lenza si tese in un modo strano
e sentii qualcosa di vivo dall'altro lato. Sollevai la canna e ferrai.
"Ce l'hai?" chiese la guida. Poi notò la curva della canna.
"Sei attaccato al fondo?". Il pesce era grosso, non mollava di un
centimetri e sapevo che non c'era spazio tra le mangrovie. Sarebbe
piacevole, ma disonesto, scrivere che il mulinello strideva e che,
come si usa dire, a cinquanta metri un missile d'argento puntava
verso il cielo. Stava invece immobile, incollato al fondo, comunque
io ero attrezzato comunque per un possibile "trenta-chili". Cominciai
poi, mugugnando, il vero lavoro di pompaggio: tira, avvolgi, tira,
avvolgi. Siamo generalmente abituati a rilasciare le prede ma, per
quanto ne sa il pesce, egli sta lottando per la vita e gli sforzi
di questo erano quindi incredibili, anche per un pesce di una certa
taglia. Alla fine di una lunga battaglia, lo tirai vicino alla superficie:
era una razza di circa un metro quadrato: Pedro dovette tagliare
il nylon (per evitare i colpi della coda e il pungiglione velenoso)
per poterla lasciar andare, purtroppo con il mio costoso plug (18
dollari+spedizione la confezione da tre, fatta arrivare direttamente
dagli States) che pendeva a lato della bocca. Altre prede inconsuete,
che meritano di essere ricordate, furono catturate nelle mie peregrinazioni
nel Grande Nord. Una, per esempio, capitò in un bel mattino
di agosto, mentre stavo tentando Silver Salmon vicino alla bocca
di un piccolo ruscello sulla costa orientale del Cook Inlet.
In Alaska quando si diffonde la notizia che sono arrivati i salmoni
nei fiumi del Kenai, assisti a quello che potrebbe essere definito
il più colossale sforzo di trasferimento-truppe mai visto
al mondo, operazione Desert Storm inclusa.
Una
lunga coda di auto, camper, pick-up, van, autobus.... si muove da
Anchorage verso sud, impressionante per sincronia di movimenti,
rigorosa disciplina e divisione dei compiti. In ogni mezzo impolverato
un'eventuale ispezione riscontrerebbe l'encomiabile rispetto dell'equipaggiamento
d'ordinanza: sacchi a pelo, fasci di canne da rifornire un emporio,
ondulanti da mezzo chilo, mosche fluorescenti, uova di salmone sotto
sale, tegami e griglie, e soprattutto montagne di six-pack di Budweiser.
Noi tre ci trovavamo in un enorme camper: devi sapere che, quando
nella pubblicità leggi "sei confortevoli posti", si intende
grande abbastanza per tre amici (e intendo veramente amici) con
le loro attrezzature e un cambio di abiti ognuno. L'Anchor River,
che scorre in meandri attraverso le dense foreste di conifere e
betulle della penisola del Kenai, viene generalmente considerato
come il limite settentrionale della diffusione della Steelhead in
Nord America. Non lo è, ma questa è un'altra cosa.....
Arrivati
ci dissero che di Steelhead non se ne erano viste, però era
iniziata la risalita dei Silver. Inoltre scoprimmo che il fiume
conteneva anche Pink Salmon perchè sulle rive si sprofondava
fino alla caviglia nelle loro carcasse e l'aria era piena dell'odore
della loro putrefazione.Non eravamo particolarmente felici della
cosa: un Pink vecchio di fiume può forse risultare una prelibatezza
per un grizzly affamato, ma in fondo alla tua coda non è
proprio una gran cosa Scendemmo al fiume nel punto dove una dozzina
di pescatori stavano pescando in una lunga pool dove si vedevano
delfinare dei salmoni. Pescavano nel modo in cui gli anglosassoni
fanno molte cose: stando in coda. Un pescatore entrava nel fiume
all'inizio della pool, lanciava, faceva tre passi verso valle ,
lanciava, faceva tre passi. Un altro pescatore lo seguiva, sempre
facendo tre passi dopo ogni lancio, fino a che la fila si trovava
alla fine della pool, qui il primo pescatore si arrampicava sulla
riva e tornava indietro verso l'inizio, si metteva in fila, attendeva
il proprio turno e ripeteva il processo. Appoggiai la canna ad un
albero, mi sedetti su di un sasso e per quasi due ore osservai contando
almeno una quindicina di salmoni che saltavano, qualcuno solo a
un paio di metri da un pescatore. Nessuno catturò nulla,
ma mi dissero che, se qualcuno agganciava un pesce, gli altri avrebbero
recuperato subito le code per lasciar spazio alla lotta. Con Silvio
scesi a piedi per oltre un chilometro e iniziammo a pescare. Dopo
che avevamo catturato e rilasciato una dozzina di Silver gemelli,
qualcosa, che non aveva assolutamente l'aria di essere un salmone,
toccò il suo streamer vicino al fondo. Dopo qualche rabbiosa
corsa attorno alla pool, riuscì finalmente a trascinare il
pesce nella parte bassa, scoprendo che aveva catturato una sogliola,
anzi quella specie di sogliolone che qui viene chiamato Halibut
. Questo è un pesce che può raggiungere i cento chili,
Gli halibut sono cosi' potenti che molti pescatori normalmente sparano
ai pesci di oltre 50 chili, prima di tirarli in barca. Quello che
Silvio avevo preso era un neonato che credo a stento arrivava al
chilo. Eravamo veramente stupefatti, poichè ci trovavamo
parecchie pool a monte della foce, e uno non pensa generalmente
alle sogliole mentre sta pescando a mosca, perfino nel caso stesse
pescando in mare. Si fecero ancora diversi lanci e, oltre a quattro
Pink, catturammo ancora un mini-halibut a testa prima di andarcene
via a cercare un altro branco di Silver. Un altro giorno, di un
paio d'anni dopo, il nostro programma prevedeva di pescare Sheefish
nel Kuskokwim, il fiume piu' grande d'Alaska dopo lo Yukon. Dovevamo
arrivarci volando, e scavalcando un'alta catena di montagne, prima
di una lunga planata nella tundra uniforme. Il vecchio aeroplano
da carico che ci trasportava era pieno, anche perfino per gli standard
locali. Oltre a tutto il nostro equipaggiamento, caricava anche
assi, motoseghe, bidoni e tutto quanto era necessario per costruire
un "centro della cultura" per una comunità di Eschimesi.
Raggiungemmo il villaggio e salimmo rapidamente su di una lancia
a idrogetto. Presto ottenemmo gia' la nostra buona dose di emozioni
pescando cinque o sei Sheefish a testa. Taglia standard quattro/cinque
chili. Pescavamo sia con degli ondulanti sottili ma molto pesanti
di otto centimetri che con streamer con corpo argentato e pelo di
cervo azzurro (Alaskan Smolt). Per individuare dove si trovano questi
pesci si perlustra il fiume in barca, alla ricerca di "mangianze".
Si vedono, ad un tratto, decine di rondini di mare ed altri uccelli
simili che si gettano in picchiata sull'acqua e la superficie di
questa che letteralmente ribolle. In quel punto ci sono Sheefish
che stanno banchettando tra branchi di pesciolini. Scherzando dissi
che in mezzo a tutto quel movimento poteva capitare di agganciare
un uccello. Lanciai molto lungo, a parabola, e beccai in pieno una
rondine di mare che si stava rialzando dall'acqua. Era successo
che il filo, passando sopra l'ala, si era avvolto su quest'ultima.
Il cucchiaino non l'aveva ferita ma penzolava circa un metro al
di sotto. Cominciai a recuperare la rondine (hanno circa la taglia
di un piccolo gabbiano) che all'inizio tento' di volare e poi si
poso' sull'acqua con un casino d'inferno. Mentre la trascinavo sull'acqua
pensavo a come avrei potuto fare per liberarla cercando contemporaneamente
di difendermi dalle beccate. Era a circa venti metri dalla barca
quando la vidi sparire sott'acqua. Riapparve, poi scomparve di nuovo.
Il gioco andò avanti per un po' mentre io continuavo imperterrito
a recuperare. Mi sembrava che quella rondine si difendeva come una
enorme trota, lottando in superficie e con qualche puntata al fondo.
Fu solo quando arrivò vicino alla barca che compresi il tutto.
Con un'unica esca avevo ottenuto due prede: un Sheefish infatti
aveva abboccato al cucchiaio e nella sua difesa trascinava ripetutamente
sott'acqua il volatile. La slamatura fu una faccenda eroica: sganciare
il pesce, cinque chili di muscoli furiosi, per poter poi liberare
l'uccello. Questi, non sapendo che lavoravo per il suo bene, si
dava da fare il più possibile con il becco sulle mie mani:
portai a termine, felicemente per le due prede, l'operazione. L'altro
risultato dell'impresa fu una singolare esperienza su quella che
viene chiamata la "soglia del dolore" oltre ad una serie di lacerazioni
che avrebbero potuto fornire un interessante fonte di studio ed
approfondimento in qualche convegno di medicina plastica.
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