La corte
Su Autori Luigi XIV

 

Ministri e cortigiani

La corte fu un altro espediente della politica del dispotismo. Abbiamo visto quella che ha diviso, umiliato e confuso i più grandi, che ha elevato i ministri al di sopra di tutti, in autorità e potenza più in alto dei principi del sangue e in grandezza anche al di sopra degli appartenenti all'alta nobiltà dopo avere completamente cambiato la loro condizione. Bisogna mostrare gli sviluppi in tutti i campi della stessa politica, basata sullo stesso punto di vista.

Furono molte le cose che contribuirono a portare la corte fuori Parigi e a mantenerla senza interruzioni in campagna. I disordini della sua minorità, dei quali la città fu il grande teatro, ne avevano ispirato al Re l'avversione; poi la convinzione che il soggiorno era pericoloso, mentre la residenza della corte in altro luogo avrebbe reso gli intrighi a Parigi meno facili a causa delle distanze, anche se brevi ed anche per le assenze che si sarebbero notate con facilità. Non poteva perdonare a Parigi la sua fuga clandestina dalla città, la vigilia dei Re nel 16(49), né il fatto di averla resa, suo malgrado, testimone delle sue lacrime, in occasione del primo ritiro della La Vallière. L'imbarazzo delle sue amanti e il pericolo di alimentare grandi scandali in una capitale così popolosa, rigurgitante di personaggi tanto differenti, contarono non poco nell'allontanarlo. Era importunato dalla presenza del popolo ogni volta che usciva, rientrava o appariva in strada, così come era infastidito da un altro genere di cittadini, che non avrebbero potuto cercarlo con la stessa assiduità più lontano. Anche a causa di certe inquietudini, per cui appena esse furono percepite, i più intimi fra i preposti alla sua persona, come il vecchio Noailles, Lauzun e alcuni subalterni, gli si strinsero intorno con la loro vigilanza, e furono accusati di moltiplicare a bella posta false dicerie messe in giro per farsi valere e per avere più spesso dei colloqui privati col Re; il piacere per le passeggiate e per la caccia, molto più facili in campagna che a Parigi, lontana dai boschi e scarsa di luoghi adatti a passeggiare; il piacere delle costruzioni, che venne dopo ma che aumentò sempre col passare degli anni, non gli consentiva quel divertimento in una città dove non avrebbe potuto evitare di essere continuamente sotto gli occhi di tutti; per finire l'idea di rendersi più venerabile sottraendosi agli sguardi della folla e all'abitudine di essere visto tutti i giorni: tutte queste considerazioni stabilirono il Re a Saint-Germain, subito dopo la morte della Regina madre. Là egli cominciò ad attirare la società con feste e galanterie e a far capire che voleva essere visitato sovente.

L'amore per la La Vallière, al principio segreto, offrì l'occasione di frequenti passeggiate a Versailles, allora una costruzione da niente, voluta da Luigi XIII disturbato, e il suo seguito ancora di più, per dovere spesso dormire in un'infima osteria di carrettieri e in un mulino a vento, estenuati dalle lunghe cacce nella foresta di Saint-Léger e ancora più lontano, in tempi ben diversi da quelli di suo figlio, in cui le strade, la velocità dei cani, il numero dei battitori e dei cacciatori a cavallo hanno reso le cacce così facili e brevi. Quel monarca non pernottava mai, o raramente e per una sola notte a Versailles, solo se costretto dalla necessità, mentre il Re suo figlio vi restava per essere più tranquillo con la sua amante; piaceri sconosciuti al Giusto, all'eroe degno discendente di San Luigi che costruì quel piccolo Versailles. Questi brevi soggiorni di Luigi XIV vi fecero sorgere a poco a poco gli immensi edifici da lui costruiti, così differenti dagli alloggi di Saint-Germain, con tutte le comodità per una corte numerosa, dove trasportò definitivamente la sua dimora poco tempo prima della morte della Regina. Vi costruì un numero infinito di appartamenti, la cui richiesta era un piacere per il Re, mentre a Saint-Germain quasi tutti avevano la scomodità di abitare in città, e i pochi che stavano nel castello erano mal sistemati e molto stretti.

Le feste frequenti, le passeggiate in privato a Versailles, i viaggi, furono i mezzi che il Re adoperò per distinguere e mortificare nominando le persone che ogni volta dovevano farne parte, in modo che ciascuno fosse assiduo e attento a piacergli. Egli capiva di non avere molte grazie da distribuire per ottenere un risultato duraturo. Sostituì dunque ai favori concreti altri ideali con la gelosia, le piccole preferenze che si presentavano ogni giorno e per così dire ogni momento, con la sua abilità. Nessuno fu più ingegnoso di lui nell'inventare continuamente questo tipo di cose, ossia le speranze che distinzioni e preferenze facevano nascere e la considerazione che ne derivava. Marly, in seguito, gli fu molto più utile, e Trianon, dove tutti potevano andare a fargli la corte, ma dove le dame avevano l'onore di mangiare con lui, e le elette venivano scelte in occasione di ogni pasto. Così il candeliere che tutte le sere, al momento di coricarsi, faceva tenere da un cortigiano che voleva distinguere, sempre fra i più qualificati tra i presenti e nominato ad alta voce alla fine della sua preghiera. Il giustacuore a brevetto fu un'altra di queste invenzioni, di colore blu foderato di rosso, con gli ornamenti e la giacca rossa, ricamati con un magnifico disegno d'oro e un poco d'argento, particolare a questi abiti. Ce n'era solo un certo numero fra cui quelli per il Re, la sua famiglia e i principi del sangue; ma questi ultimi, come il resto dei cortigiani, potevano averli solo quando ce n'era qualcuno vacante. Le persone più illustri della corte, sia per merito personale o per favore, li domandavano al Re, e ottenerli era una grazia. Il segretario di Stato che aveva la casa reale nel suo dipartimento emetteva un brevetto e nessuno che non fosse del loro rango aveva possibilità di ottenerlo. Furono immaginati per coloro, in verità pochissimi, che avevano la libertà di seguire il Re da Saint-Germain a Versailles senza essere espressamente invitati, e quando cessò quest'uso, quei vestiti hanno smesso di dare qualsiasi privilegio, se si eccettua quello di potere essere indossati anche durante un periodo di lutto di corte o di famiglia, purché non fosse importante o comunque sul finire, ed anche nel periodo in cui era proibito portare l'oro e l'argento. Non ho mai visto il Re portarlo, né Monseigneur, né Monsieur, ma spessissimo i tre figli di Monseigneur e tutti gli altri principi, e fino alla morte del Re, quando uno di questi giustacuori rimaneva vacante, era una gara, tra le più considerevoli persone di corte, per ottenerlo, e se un gentiluomo giovane riusciva ad averlo, era considerata una gran distinzione. Non si finirebbe mai di raccontare le attenzioni che escogitava per avere una corte sempre numerosa e i vari stratagemmi di tale natura, che si susseguivano uno all'altro, mano a mano che il Re avanzava in età e che le feste cambiavano o diminuivano.

Non solo era sensibile alla presenza costante delle persone importanti, ma lo era anche per quelli di condizione inferiore. Guardava a destra e a sinistra al suo risveglio, al momento di coricarsi, durante i pasti, passando negli appartamenti, nei giardini di Versailles, dove ai soli cortigiani era permesso seguirlo; vedeva e notava tutti; nessuno gli sfuggiva neppure quelli che speravano di non essere visti. Distingueva benissimo da solo, le assenze dei cortigiani che erano sempre presenti, e quelle di coloro che vi venivano più o meno frequentemente; considerava i motivi generali o privati, di tali assenze, e non perdeva la minima occasione per agire di conseguenza nei loro confronti. Per alcuni e per tutti i più illustri, era un demerito non fare della corte il loro soggiorno abituale, per altri, lo era il venirci raramente e una sicura disgrazia per chi non ci veniva mai, o quasi mai. Quando si trattava di qualcosa in loro favore «Non lo conosco,» rispondeva fieramente, e a proposito di quelli che raramente si facevano vedere: «È una persona che non vedo mai», e quelle sentenze erano irrevocabili. Altro delitto era non andare a Fontainebleau, che teneva nella stessa considerazione di Versailles, e per certuni non chiedere di andare a Marly, alcuni sempre, altri spesso, benché non avesse la minima intenzione di condurveli, ma, se si aveva l'abitudine di andarvi, era necessaria una valida scusa per esserne dispensati, tanto gli uomini che le donne. Soprattutto non poteva soffrire le persone che si trovavano bene a Parigi. Sopportava più facilmente quanti amavano le loro campagne, ma bisognava che le amassero con misura, o comunque che prendessero le loro precauzioni, prima di andarci per un periodo un po' lungo. Tale atteggiamento non si limitava a coloro che ricoprivano degli incarichi, o agli intimi o ai preferiti, né a quelli che per età o posizione erano più notati degli altri. La sola destinazione era sufficiente per i cortigiani. Si è in proposito visto a suo luogo l'attenzione del Re per un viaggio che feci a Rouen per un processo, per quanto giovane fossi, al punto da farmi scrivere, per suo conto, da Pontchartrain per saperne la ragione.