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La corte fu un
altro espediente della politica del dispotismo. Abbiamo visto quella che ha
diviso, umiliato e confuso i più grandi, che ha elevato i ministri al di sopra
di tutti, in autorità e potenza più in alto dei principi del sangue e in
grandezza anche al di sopra degli appartenenti all'alta nobiltà dopo avere
completamente cambiato la loro condizione. Bisogna mostrare gli sviluppi in
tutti i campi della stessa politica, basata sullo stesso punto di vista.
Furono molte
le cose che contribuirono a portare la corte fuori Parigi e a mantenerla senza
interruzioni in campagna. I disordini della sua minorità, dei quali la città
fu il grande teatro, ne avevano ispirato al Re l'avversione; poi la convinzione
che il soggiorno era pericoloso, mentre la residenza della corte in altro luogo
avrebbe reso gli intrighi a Parigi meno facili a causa delle distanze, anche se
brevi ed anche per le assenze che si sarebbero notate con facilità. Non poteva
perdonare a Parigi la sua fuga clandestina dalla città, la vigilia dei Re nel
16(49), né il fatto di averla resa, suo malgrado, testimone delle sue lacrime,
in occasione del primo ritiro della La Vallière. L'imbarazzo delle sue amanti e
il pericolo di alimentare grandi scandali in una capitale così popolosa,
rigurgitante di personaggi tanto differenti, contarono non poco
nell'allontanarlo. Era importunato dalla presenza del popolo ogni volta che
usciva, rientrava o appariva in strada, così come era infastidito da un altro
genere di cittadini, che non avrebbero potuto cercarlo con la stessa assiduità
più lontano. Anche a causa di certe inquietudini, per cui appena esse furono
percepite, i più intimi fra i preposti alla sua persona, come il vecchio
Noailles, Lauzun e alcuni subalterni, gli si strinsero intorno con la loro
vigilanza, e furono accusati di moltiplicare a bella posta false dicerie messe
in giro per farsi valere e per avere più spesso dei colloqui privati col Re; il
piacere per le passeggiate e per la caccia, molto più facili in campagna che a
Parigi, lontana dai boschi e scarsa di luoghi adatti a passeggiare; il piacere
delle costruzioni, che venne dopo ma che aumentò sempre col passare degli anni,
non gli consentiva quel divertimento in una città dove non avrebbe potuto
evitare di essere continuamente sotto gli occhi di tutti; per finire l'idea di
rendersi più venerabile sottraendosi agli sguardi della folla e all'abitudine
di essere visto tutti i giorni: tutte queste considerazioni stabilirono il Re a
Saint-Germain, subito dopo la morte della Regina madre. Là egli cominciò ad
attirare la società con feste e galanterie e a far capire che voleva essere
visitato sovente.
L'amore per la
La Vallière, al principio segreto, offrì l'occasione di frequenti passeggiate
a Versailles, allora una costruzione da niente, voluta da Luigi XIII disturbato,
e il suo seguito ancora di più, per dovere spesso dormire in un'infima osteria
di carrettieri e in un mulino a vento, estenuati dalle lunghe cacce nella
foresta di Saint-Léger e ancora più lontano, in tempi ben diversi da quelli di
suo figlio, in cui le strade, la velocità dei cani, il numero dei battitori e
dei cacciatori a cavallo hanno reso le cacce così facili e brevi. Quel monarca
non pernottava mai, o raramente e per una sola notte a Versailles, solo se
costretto dalla necessità, mentre il Re suo figlio vi restava per essere più
tranquillo con la sua amante; piaceri sconosciuti al Giusto, all'eroe degno
discendente di San Luigi che costruì quel piccolo Versailles. Questi brevi
soggiorni di Luigi XIV vi fecero sorgere a poco a poco gli immensi edifici da
lui costruiti, così differenti dagli alloggi di Saint-Germain, con tutte le
comodità per una corte numerosa, dove trasportò definitivamente la sua dimora
poco tempo prima della morte della Regina. Vi costruì un numero infinito di
appartamenti, la cui richiesta era un piacere per il Re, mentre a Saint-Germain
quasi tutti avevano la scomodità di abitare in città, e i pochi che stavano
nel castello erano mal sistemati e molto stretti.
Le feste
frequenti, le passeggiate in privato a Versailles, i viaggi, furono i mezzi che
il Re adoperò per distinguere e mortificare nominando le persone che ogni volta
dovevano farne parte, in modo che ciascuno fosse assiduo e attento a piacergli.
Egli capiva di non avere molte grazie da distribuire per ottenere un risultato
duraturo. Sostituì dunque ai favori concreti altri ideali con la gelosia, le
piccole preferenze che si presentavano ogni giorno e per così dire ogni
momento, con la sua abilità. Nessuno fu più ingegnoso di lui nell'inventare
continuamente questo tipo di cose, ossia le speranze che distinzioni e
preferenze facevano nascere e la considerazione che ne derivava. Marly, in
seguito, gli fu molto più utile, e Trianon, dove tutti potevano andare a fargli
la corte, ma dove le dame avevano l'onore di mangiare con lui, e le elette
venivano scelte in occasione di ogni pasto. Così il candeliere che tutte le
sere, al momento di coricarsi, faceva tenere da un cortigiano che voleva
distinguere, sempre fra i più qualificati tra i presenti e nominato ad alta
voce alla fine della sua preghiera. Il giustacuore a brevetto fu un'altra di
queste invenzioni, di colore blu foderato di rosso, con gli ornamenti e la
giacca rossa, ricamati con un magnifico disegno d'oro e un poco d'argento,
particolare a questi abiti. Ce n'era solo un certo numero fra cui quelli per il
Re, la sua famiglia e i principi del sangue; ma questi ultimi, come il resto dei
cortigiani, potevano averli solo quando ce n'era qualcuno vacante. Le persone più
illustri della corte, sia per merito personale o per favore, li domandavano al
Re, e ottenerli era una grazia. Il segretario di Stato che aveva la casa reale
nel suo dipartimento emetteva un brevetto e nessuno che non fosse del loro rango
aveva possibilità di ottenerlo. Furono immaginati per coloro, in verità
pochissimi, che avevano la libertà di seguire il Re da Saint-Germain a
Versailles senza essere espressamente invitati, e quando cessò quest'uso, quei
vestiti hanno smesso di dare qualsiasi privilegio, se si eccettua quello di
potere essere indossati anche durante un periodo di lutto di corte o di
famiglia, purché non fosse importante o comunque sul finire, ed anche nel
periodo in cui era proibito portare l'oro e l'argento. Non ho mai visto il Re
portarlo, né Monseigneur, né Monsieur, ma spessissimo i tre figli di
Monseigneur e tutti gli altri principi, e fino alla morte del Re, quando uno di
questi giustacuori rimaneva vacante, era una gara, tra le più considerevoli
persone di corte, per ottenerlo, e se un gentiluomo giovane riusciva ad averlo,
era considerata una gran distinzione. Non si finirebbe mai di raccontare le
attenzioni che escogitava per avere una corte sempre numerosa e i vari
stratagemmi di tale natura, che si susseguivano uno all'altro, mano a mano che
il Re avanzava in età e che le feste cambiavano o diminuivano.
Non solo era
sensibile alla presenza costante delle persone importanti, ma lo era anche per
quelli di condizione inferiore. Guardava a destra e a sinistra al suo risveglio,
al momento di coricarsi, durante i pasti, passando negli appartamenti, nei
giardini di Versailles, dove ai soli cortigiani era permesso seguirlo; vedeva e
notava tutti; nessuno gli sfuggiva neppure quelli che speravano di non essere
visti. Distingueva benissimo da solo, le assenze dei cortigiani che erano sempre
presenti, e quelle di coloro che vi venivano più o meno frequentemente;
considerava i motivi generali o privati, di tali assenze, e non perdeva la
minima occasione per agire di conseguenza nei loro confronti. Per alcuni e per
tutti i più illustri, era un demerito non fare della corte il loro soggiorno
abituale, per altri, lo era il venirci raramente e una sicura disgrazia per chi
non ci veniva mai, o quasi mai. Quando si trattava di qualcosa in loro favore «Non
lo conosco,» rispondeva fieramente, e a proposito di quelli che raramente si
facevano vedere: «È una persona che non vedo mai», e quelle sentenze erano
irrevocabili. Altro delitto era non andare a Fontainebleau, che teneva nella
stessa considerazione di Versailles, e per certuni non chiedere di andare a
Marly, alcuni sempre, altri spesso, benché non avesse la minima intenzione di
condurveli, ma, se si aveva l'abitudine di andarvi, era necessaria una valida
scusa per esserne dispensati, tanto gli uomini che le donne. Soprattutto non
poteva soffrire le persone che si trovavano bene a Parigi. Sopportava più
facilmente quanti amavano le loro campagne, ma bisognava che le amassero con
misura, o comunque che prendessero le loro precauzioni, prima di andarci per un
periodo un po' lungo. Tale atteggiamento non si limitava a coloro che
ricoprivano degli incarichi, o agli intimi o ai preferiti, né a quelli che per
età o posizione erano più notati degli altri. La sola destinazione era
sufficiente per i cortigiani. Si è in proposito visto a suo luogo l'attenzione
del Re per un viaggio che feci a Rouen per un processo, per quanto giovane
fossi, al punto da farmi scrivere, per suo conto, da Pontchartrain per saperne
la ragione.
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