Bacheca (Racconti)

 

Antonio Benincasa

 

scheda biografica

La leggenda del coniglio rosa 

 

 

- Partenza dal castello -

 

Corre l’anno di grazia 1094 e nel castello del conte Goffredo il Normanno di Nardò, fervono i preparativi per la partenza di madonna Sichelgaita, consorte del conte, e delle sue ancelle alla volta dell’Abbazìa di S. Maria di Cesaria, in virtù di un voto fatto dalla contessa nell’inverno precedente mentre il suo primogenito, il dodicenne Gualtiero, in preda a forti febbri malariche, delirava e smaniava, in bilico tra la vita e la morte.

È la contessa Sichelgaita donna di straordinario sembiante, nel pieno della maturità muliebre, la chioma corvina sapientemente acconciata dalla sua fedele damigella Clotilda, raccolta in alto e tenuta ferma da preziosi diademi frutto di bottini di guerra, e con morbidi, lunghissimi riccioli che a mo’ di cascatelle malandrine, le ricadono ai lati delle tempie, dondolando nell’incavo dei bianchi seni generosamente messi in mostra.

I grandi occhi neri, il naso fiero e diritto, il mento pronunciato e volitivo, l’alta statura inconsueta per una donna, incutono nei cavalieri di corte e nella plebe un senso di ammirazione e di rispetto che non vengono meno neanche quando ella, delegata alla somministrazione della giustizia, è chiamata a comporre liti e ad emettere sentenze.

La corte personale di Sichelgaita è composta da ventuno ancelle, scelte personalmente dalla contessa tra le più avvenenti fanciulle del feudo, in possesso, oltre che della bellezza, di inconfutabili capacità nei lavori muliebri, comandate e dirette da Clotilda, anziana e fedele damigella già nutrice di Sichelgaita

Della spedizione fanno parte anche un gruppo di cavalieri armati, tredici in tutto, comandati da un cugino del conte, il capitano Bellisario dei baroni di Leverano, aventi il compito di vegliare sull’incolumità della contessa e del suo seguito.

È una mattina dolce e tiepida di un autunno appena iniziato; il sole, appena sorto, tenta, con raggi morbidi e carezzevoli, di disperdere la nebbiolina tipica di stagione che stagna nel cortile del castello, all’interno del quale servi, paggi, lacchè e palafrenieri sono indaffarati a completare il carico di masserizie sui quattro carri della spedizione, trainati ognuno da dodici vigorosi buoi e a mettere in assetto di viaggio le cinque carrozze destinate alla contessa e alle sue ancelle, per le quali carrozze scalpitano nelle stalle adiacenti il cortile, cinque quadriglie di superbi cavalli bianchi.

Ed ecco che, a lavori ultimati, risuona nell’aria il suono del corno del guardiacaccia anziano: la contessa abbraccia e bacia il suo sposo e monta sulla carrozza a lei destinata che è un tripudio di colori, fregi ed intarsi; il capitano Bellisario, in testa alla colonna con sei dei suoi, sguaina la spada e dà il segnale di partenza.

Dietro il gruppo armato in avanguardia, vi è immediatamente la carrozza della contessa con i quattro cavalli bianchi splendidamente paludati con gualdrappe di raso nero e porpora, le criniere infiocchettate di verde e di azzurro; dietro, in colonna, le quattro carrozze con la corte personale della contessa, i carri con rifornimenti e masserizie varie, infine la retroguardia composta da sei cavalieri armati.

Si snoda la carovana, marciando lentamente con cadenze scandite dal passo dei buoi, attraverso campagne colorate meravigliosamente dall’autunno, osservata con occhio curioso e deferente dai contadini impegnati nei lavori dei campi e con occhio sfrontato e impertinente da fanciulli sbrindellati che restano insensibili ai richiami dei genitori.

 

- ... All’ombra di maestose querce –

 

A metà strada la marcia viene interrotta e, all’ombra di maestose querce, i viaggiatori si rifocillano e ripartono subito dopo, avendo come mèta la selva dell’Astrea.

Niente turba la marcia sonnolenta della carovana ed anzi, sensibile al fascino della natura circostante, la contessa Sichelgaita dà ordine che le venga condotto un liuto ed accompagnandosi con lo strumento, affida al vento canti e nenie, con voce dolce e passionale insieme, suscitando l’ammirazione delle ancelle e degli stessi cavalieri.

 

- Riposo notturno all’Astrèa -

 

È appena scesa la notte, quando la carovana giunge alla selva dell’Astrea; su ordine del capitano Bellisario, il campo viene posto tra gli alberi prospicienti l’insenatura, in vista dell’Isola Grande, sulla quale s’erge, severa e maestosa, l’Abbazia di S. Maria di Cesaria.

I carri vengono scaricati e montate le tende, i deschi vengono imbanditi con dovizia di cibi e di vini e i viaggiatori possono così rifocillarsi, mentre i cavalieri disposti in turni di guardia li proteggono da eventuali pericoli.

Trascorre così una notte tranquilla ed alle prime luci dell’alba, il campo è un ribollire di attività frenetiche: Sichelgaita deve onorare il suo voto prima che il sole sorga all’orizzonte.

Nelle dieci barche condotte da pescatori del luogo, prende posto l’intera carovana, l’insenatura viene presto attraversata ed avviene l’approdo sull’Isola quando il cielo comincia a diventare di un azzurro opalescente.

 

- Cerimonia votiva sull’Isola Grande –

 

La processione è aperta dalla contessa che reca tra le braccia l’offerta votiva: su di un cuscino di raso color porpora fa bella mostra di sé una stupenda corona d’oro massiccio finemente lavorata e decorata da decine di diamanti raffiguranti voli di rondine, che dai lati del diadema si portano verso il centro dove campeggia, ricavata da un unico smeraldo, una fiera aquila di mare dal becco ricurvo e dall'occhio spietato.

Il grande mantello rosa di Sichelgaita fruscia dolcemente sul terreno umido mentre ella varca la soglia dell’Abbazia col volto trasfigurato dall’emozione e mentre il resto della processione si schiera a ventaglio davanti all’ingresso del Santuario.

 

- L’incursione dei pirati -

 

All’improvviso, come vomitati direttamente dall’inferno, spuntano dalle rocce circostanti decine di figuri armati fino ai denti, urlanti e dalle espressioni demoniache che, in un attimo, piombano sull’attonito gruppo schierato dinanzi all’Abbazia.

Non c’è tempo di organizzare la benchè minima difesa, la sorpresa è totale: i pirati barbareschi, sbarcati nottetempo sul lato nord dell’Isola, annientano in breve tempo l’intero drappello dei normanni; uccidono, sgozzano, squartano, non risparmiano neanche le fanciulle, è una vera e propria carneficina!

Sichelgaita è impietrita dall’orrore, le sue braccia sono ancora tese a sostenere l’offerta votiva, quando la sua testa è completamente staccata dal busto da un colpo di spadone infertole da quello che sembra il capo della scellerata truppa: il suo sangue scorre sul pavimento della Chiesa, uno schizzo violento imbratta le vesti immacolate della Madonna sull’altare.

 

- La furia degli elementi -

 

Esultano i pirati e il loro capo brandisce nella destra, levandola in alto, la corona scintillante……..Ma d’improvviso, il cielo celeste pallido che annunciava il sorgere dell’alba, si tinge di un minaccioso colore grigio-scuro e nell’aria si intersecano, con scoppi fragorosi, lingue di fuoco. Il mare, fino a quel momento pacioccone ed oleoso, si solleva in ondate ribollenti di schiuma man mano sempre più grosse, e prende ad aggredire l’Isola come un serpente che sta per divorare la sua preda. L’aria stagnante ed immobile, senza apparente motivo, prende a contorcersi e a soffiare come una tigre impazzita e violente raffiche di vento prendono a squassare l’Isola in tutta la sua lunghezza.

I pirati zittiscono, sconcertati, non si spiegano il perché di quel repentino cambiamento.

Ed avviene l’incredibile: sotto la spinta furiosa dei venti, una enorme tromba d’aria piomba sulle acque dell’insenatura dell’Astrea, le solleva a diversi metri di altezza in un vorticare turbinoso e le porta a schiantarsi sull’Isola Grande!

 

- Il coniglio rosa -

 

Poco dopo, il clima è quello di sempre: sole tiepido, mare calmo, aria stagnante; ma dell’Abbazia restano in piedi solo dei ruderi, dei pirati e delle loro vittime non c’è traccia….ma, all’improvviso, da sotto le macerie, spunta un grande coniglio rosa che si ferma incerto ad annusare l’aria tiepida, quindi, a grandi balzi, salta sui frantumi di una colonna ed ergendosi sulle zampe posteriori, libera verso il cielo lamenti dolorosi, mentre dagli occhi neri sgorgano lagrime di sangue…….

Da allora, l’Isola Grande viene chiamata anche Isola dei Conigli ed ancora oggi, nei giorni di burrasca, quando il cielo è livido e il vento di maestrale soffia violento e implacabile sollevando ondate gigantesche che vanno ad infrangersi con cupo fragore contro l’Isola, ai pescatori di Porto Cesareo sembra di sentire, portato sulle ali del vento, un lamento doloroso e straziante, il lamento del grande Coniglio Rosa……

 

 

 

  

 

Invia le tue Opere

 

Collabora attivamente al Nostro progetto: compila, on-line, il modulo di iscrizione.

Scoprirai tutti i vantaggi di una scelta del genere.

Per inviare le Opere è condizione necessaria l'iscrizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Copyright© 2002 - Accademia Salentina delle Lettere -

Per ulteriori informazioni e contatti: accademiascrittori@email.it