LE TRE MONTAGNE
(Messaggio
di Natale 1972-73)
Samael
Aun Weor
Titolo originale: Las Tres Montañas
Anno di pubblicazione: 1972
Senza voler ferire
in alcun modo delicate suscettibilità, dobbiamo ribadire l’idea basilare
che nell’ambiente culturale e spirituale dell’umanità contemporanea
coesistono svariate venerabili istituzioni che credono, molto sinceramente, di
conoscere il cammino segreto e tuttavia lo ignorano.
Ci venga consentita
la libertà di dire, molto solennemente, che non vogliamo avanzare una critica
distruttiva; ribadiamo e questo, chiaramente, non è un delitto.
Naturalmente, e per
il semplice motivo di un profondissimo rispetto verso i nostri simili, non ci
pronunceremmo mai contro alcuna istituzione mistica.
Nessuno può essere
criticato per il fatto di ignorare qualcosa che non gli è mai stata insegnata.
Il cammino segreto non è mai stato pubblicamente svelato.
In termini
rigorosamente socratici, diremmo che molti eruditi, i quali pretendono di
conoscere a fondo il Sentiero del Filo del Rasoio, non solo non sanno, ma ignorano persino di ignorare.
Non volendo
indicare o segnalare organizzazioni spirituali di alcun tipo e senza intenzione
di vilipendere nessuno, diremo semplicemente che il dotto ignorante non solo non
sa ma per giunta non sa di non sapere.
In tutti i libri
sacri dell’antichità si fa allusione al cammino segreto: lo si cita, lo si
nomina in svariati versetti ma la gente non lo conosce.
Svelare, indicare,
insegnare il sentiero esoterico che conduce alla liberazione finale è
sicuramente lo scopo dell’opera che sta tra le sue mani, caro lettore. Questo
è un altro dei libri che formano il Quinto Vangelo.
Goethe, il grande
Iniziato tedesco, disse: “Ogni teoria è
grigia, è verde solo l’albero dai dorati frutti che è la vita.”
Esperienze
trascendentali sono, indiscutibilmente, ciò che presentiamo in questo nuovo
libro: esse sono tutto quanto ci consta, ciò che abbiamo sperimentato
direttamente.
Non c’è tempo da
perdere: bisogna tracciare la mappa del sentiero, indicare con precisione ogni passo, segnalare i pericoli, ecc.
Tempo
fa, i guardiani del Santo Sepolcro mi dissero: «Sappiamo
che te ne andrai, ma prima di allontanarti, devi lasciare all’umanità le
mappe del sentiero e le tue parole».
Io risposi dicendo:
«Questo sarà ciò che farò». Da
allora mi sono solennemente impegnato a scrivere questo libro.
Samael Aun Weor
Non
è di troppo affermare solennemente, che nacqui con enormi inquietudini
spirituali; sarebbe assurdo negarlo...
Quantunque
a molti possa sembrare insolito ed incredibile il fatto che al mondo esista
qualcuno in grado di ricordare integralmente tutta la sua esistenza, incluso
l’evento della propria nascita, voglio affermare che io sono uno di quelli.
Dopo
tutte le solite risapute circostanze che accompagnano ogni parto, ben pulito e
ben vestito, fui delicatamente posto accanto a mia madre nel letto materno...
Un
gigante pieno di premure, accostandosi a quel sacro talamo, sorridendo
dolcemente mi contemplava. Era mio padre.
È
superfluo dire che al principio di ogni esistenza si comincia ad andare a
quattro zampe, poi a due ed infine a tre, essendo la terza, ovviamente, il bastone
degli anziani.
Il
mio caso non poteva certo essere un’eccezione alla regola generale. Quando
ebbi undici mesi, volli camminare ed è evidente che ci riuscii, sostenendomi
saldamente sui miei due piedi.
Ricordo
ancora benissimo il momento fatidico in cui, allacciate le mani sopra la testa,
feci solennemente il segnale massonico di soccorso: «Elai
b’ ne al’ manah».
Poiché
non ho ancora perso la capacità di stupirmi, devo dire che quanto successe
allora mi parve meraviglioso. Camminare, per la prima volta, con il corpo che
madre natura ci ha dato è senza dubbio un prodigio straordinario.
Molto
serenamente mi diressi verso il vecchio finestrone dal quale si poteva
comodamente vedere il variegato campionario di persone che, qua e là,
apparivano e scomparivano nella pittoresca viuzza del mio paese.
La
mia prima avventura fu di afferrarmi alle sbarre di quella vetusta finestra;
per fortuna, mio padre, - uomo molto prudente, - per scongiurare in anticipo
qualunque pericolo, aveva disposto una rete metallica sulla balaustra perché
non andassi a finire giù in strada.
Antichissima
finestra di un piano alto... come la ricordo! Vecchio palazzo secolare dove
feci i miei primi passi!...
A
quella tenera età amavo anch’io, naturalmente, gli incantevoli giocattoli
con cui i bambini si divertono, ma questo non interferiva assolutamente con le
mie pratiche di meditazione.
In
quei primi anni di vita durante i quali si impara a camminare, ero solito
sedermi in stile orientale per meditare...
Studiavo
allora, retrospettivamente, le mie passate reincarnazioni e naturalmente
riprendevo i contatti con molte persone dei tempi andati.
Quando
concludevo l’estasi ineffabile e tornavo al normale stato quotidiano,
contemplavo con dolore i muri vetusti di quella secolare dimora paterna nella
quale mi pareva di essere, malgrado l’età, uno strano cenobita...
Come
mi sentivo piccolo davanti a quei grezzi muraglioni! Piangevo... sì, come
piangono i bambini...
Mi
lamentavo dicendo: «Ancora una volta in
un nuovo corpo fisico! Quant’è dolorosa la vita! Ahi, ahi, ahi!...»
In
quei momenti, con l’intenzione di aiutarmi, accorreva sempre la mia buona
madre esclamando: «Il bambino ha fame! Ha
sete!...»
Non
potrò mai dimenticare quegli istanti in cui correvo allegro per i corridoi
della mia casa avita...
Mi
accadevano allora, casi insoliti di metafisica trascendente: mio padre mi
chiamava dalla soglia della sua camera; io lo vedevo in vesti da notte e, quando
cercavo di avvicinarmi, lui sfumava, perdendosi in una dimensione
sconosciuta...
Però,
confesso sinceramente, che tale tipo di fenomeni psichici mi erano molto
familiari. Entravo semplicemente nella sua stanza e verificato che il suo corpo
fisico giaceva addormentato nel profumato letto di mogano, dicevo tra me: «Ah! si tratta del fatto che l’anima di mio padre si trova
all’esterno perché il suo corpo di carne ed ossa dorme, in questo momento».
A
quei tempi, il cinema muto era agli inizi e molta gente si riuniva, la sera,
sulla pubblica piazza per distrarsi guardando film all’aperto proiettati su di
uno schermo rudimentale: un lenzuolo inchiodato e ben teso tra due pali posti a
una certa distanza...
Io
avevo in casa un cinema molto diverso: mi rinchiudevo in una stanza buia e
fissavo lo sguardo alla parete. Dopo pochi istanti di pura e spontanea
concentrazione, il muro si illuminava splendidamente come uno schermo
multidimensionale: le pareti scomparivano definitivamente e poi, dallo spazio
infinito, sorgevano vivaci paesaggi della Grande Natura, gnomi giocherelloni,
silfi dell’aria, salamandre del fuoco, ondine dell’acqua, nereidi del mare
sconfinato: allegre creature, esseri immensamente felici che si trastullavano
con me.
Il
mio non era cinema muto, né, per farlo, serviva Rodolfo Valentino o la
famosa “Gattina Bianca” del tempo che fu.
Il
mio cinema era anche sonoro; tutte le creature che apparivano sul mio speciale
schermo cantavano o parlavano nell’orto purissimo della divina lingua
primigenia che, come un fiume d’oro, scorre sotto la fitta selva del sole.
Più
tardi, aumentati i membri della famiglia, invitavo i miei innocenti fratellini a
dividere con me questa gioia impareggiabile, guardando serenamente le figure
astrali sullo sfondo straordinario della mia camera buia.
Fui
sempre un adoratore del Sole, all’alba come al tramonto, salivo sul tetto
della casa (perché allora non si usavano le terrazze) e, seduto allo stile
orientale sopra le tegole di terracotta, come un piccolo yogi, contemplavo
l’Astro Re in stato di estasi, immerso, così, in profonda meditazione. Quanti
spaventi si è presa mia madre al vedermi ogni volta camminare sulla sommità
della casa!...
Tutte
le volte che il mio anziano padre apriva la vecchia porta del guardaroba,
avevo come la sensazione che stesse per darmi quella strana giacca o casacca di
colore purpureo su cui luccicavano bottoni dorati...
Vecchio
capo del vestiario cavalleresco che portavo con eleganza in quella mia antica
reincarnazione in cui mi chiamavo Simeòn Blerer. Mi capitava, a volte, di
pensare che dentro quel vecchio armadio fossero magari custoditi anche i
fioretti e le spade del tempo che fu.
Non
so se mio padre mi capisse: talvolta pensavo potesse ridarmi oggetti di quella
precedente esistenza. Lui mi guardava e, invece di quelle vetuste testimonianze
mi dava un carretto perché ci giocassi: semplici balocchi per le gioie
innocenti della mia infanzia...