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Indice di Neopsiche Anno 3 / N° 6 / Dicembre 1985

Trascrizione a cura della dott.ssa Daniela Danovaro

Corpo e copione: la componente somatica del copione
di Susanna Ligabue

RIASSUNTO
Consideriamo la persona come un insieme inscindibile di corpo e mente intrecciati strettamente nella fisicità delle sensazioni, negli affetti, nelle emozioni, nei processi cognitivi.
Esploreremo qui come il "corpo" sia parte del processo di crescita e dello strutturarsi del copione di vita.
In questo articolo integrerò nel quadro teorico dell'Analisi Transazionale, prospettive e ricerche specifiche riferite al corpo, in particolare quelle del filone neo-reichiano.
Tener conto della componente somatica del copione è rilevante anche ai fini del trattamento terapeutico, circa il quale saranno forniti spunti di intervento.
ABSTRACT
We consider the person as an inseparable body/mind whole closely linked in feelings, affections, emotions and cognitive processes.
We will explore here, how the body is part of the growing process and the structuring of the script.
In this article I will integrate within the theoretical framework of Transactional Analysis, prospectives and research related to the body; specifically those of the Neo-Reichian school.
Keeping in mind the "somatic" component of the script, is also relevant in the therapeutic treatment, of which we will give an outline.

Il copione è una strada per lo più ripetitiva e limitata, che la persona percorre come risultato della propria storia evolutiva e di "scelte" di adattamento precoci, spesso inconsapevoli, all'ambiente e alla vita.
Consideriamo la persona come un insieme inscindibile di corpo e mente intrecciati strettamente nella fisicità delle sensazioni, negli affetti, nelle emozioni, nei processi cognitivi. Non possiamo quindi parlare del copione e del suo formarsi senza tener conto del ruolo che ha in esso la "corporeità". Esploreremo dunque come in specifico il "corpo" intervenga nel processo di crescita e nello strutturarsi del copione di vita. Traccerò questo percorso tenendo conto sia dell'Analisi Transazionale, entro cui si situa il concetto di "copione", sia di ricerche ed ottiche diverse riferite al somatico, in particolare del filone neo-reichiano e bioenergetico. Indicherò i contributi degli autori che in precedenza si sono occupati di questa integrazione.
La considerazione della componente somatica del copione è rilevante anche ai fini del trattamento terapeutico. Prenderò in esame questo aspetto, seppur in sintesi, fornendo alcuni spunti di intervento.

UNA TRACCIA EVOLUTIVA

Nel percorso evolutivo che seguirò per grandi linee mi soffermerò soprattutto su alcuni aspetti della organizzazione psicomotoria e relazionale dei primi mesi ed anni di vita. Si inscrivono qui infatti le tracce più significative per il seguito dell'esistenza e per il delinearsi del copione.
Possiamo immaginare il neonato alla nascita come un aggregato di componenti somato-vegetative e somato-motrici, reattivo sia ad istinti e pulsioni interne che a stimoli esterni.
Alla nascita, ed ancor prima nella vita pre-natale, il corpo è là informe ed in formazione che manifesta ed impone la sua presenza tramite il movimento e l'attività. Winnicot (1971) ci ricorda che "al principio era il corpo".
In Analisi Transazionale vengono usati nomi diversi per indicare la condizione del neonato.
I Gouldings (1979) parlano di Bambino Originario, Woollams e Brown (1978) seguendo le ricerche degli Schiff, parlano di Bambino Somatico (1). Muriel James (1971) parla invece di Bambino Naturale, considerandolo il Bambino Libero nel Bambino, quella parte cioè che rappresenta ciò che un bambino sarebbe allo "stato di natura", se non fosse sottoposto ad alcuna influenza esterna. Chiama
invece Bambino Adattato il bambino influenzato da esperienze ed insegnamenti esterni.
La maturazione dell'infante, dalla nascita, avverrà via via utilizzando
insieme lo specifico potenziale di base e la relazione col mondo.
All'inizio la motricità sembra essere la sola forma di contatto psico-sociale. Nella motricità vegetativa l'infante integra la propria vita istintiva e le pulsioni e tramite essa lancia i segnali affinché l'ambiente si occupi dei suoi bisogni.
È con l'ipertonia, il tendersi, che reagisce tanto ad uno stimolo interno (es. vuoto-fame o troppo pieno-feci)
che ad uno stimolo esterno (es. pericolo indifferenziato-stato di allarme tonico).
È l'ipotonia, il distendersi che segnala l'acquietamento del bisogno, la soddisfazione (es. il latte-il pieno-il cessato allarme).
L'
alternarsi della ritmicità: mancanza-bisogno-tensione/pienezza-soddisfazione-distensione, sottolinea le prime esperienze felici.
Il corpo con le sue reazioni è mediatore della relazione col mondo (Ajuriaguerra, 1962). Mondo che si identifica e si confonde con la madre nella fase della simbiosi fisiologica ed affettiva primaria.
Wallon (1950) ci ricorda che quella tra madre e figlio è una relazione tonico-emotiva-complessa. Fanita English (1977) parla di un precocissimo imprinting di "Benvenuto!" o "Vattene!", che la madre passerebbe al figlio alla nascita a livello di comunicazione cenestesica.
Dal sostegno e dalla manipolazione amorevole (handling e holding empatico di cui Winnicot ci parla)
il bambino apprende ad affidarsi e distendersi nella sicurezza.
I permessi di base: puoi esistere, puoi essere te stesso, puoi... (Gouldings
, 1979) sono veicolati primariamente dalle relazioni toniche con la madre: dal contatto pelle a pelle, dal calore, dallo sguardo, dalla voce ecc. Nella fase della dipendenza assoluta è il rapporto con la madre che permette e prepara lo sviluppo della fiducia di base del bambino verso l'ambiente. La fiducia di base renderà più semplice l'affrontare i "compiti" successivi legati alla crescita e le inevitabili frustrazioni ai suoi bisogni e desideri.
Nella ritmicità bisogno-soddisfazione del bisogno, si introduce infatti ben presto un cambiamento importante: l'attesa o peggio, la frustrazione. La risposta al bisogno viene dilazionata o non c'è del tutto.
Naturalmente nella realtà, questa sequenza è molto sfumata e la frustrazione può essere legata a
fattori non sempre identificabili dall'esterno (es. lettura sbagliata della richiesta, o timing inadeguato, o condizioni soggettive dell'infante, ecc.). Come si può facilmente intuire è proprio dalla complessità di queste reazioni-relazioni con l'altro, con il Tu, che l'Io potrà costituirsi gradualmente.
Sarà ormai chiaro che il "corpo" a cui ci siamo finora riferiti non è un corpo oggettivato (Korper) ma un corpo investito ed investibile di affetti (Leib), un corpo vissuto, che trova la sua fondazione nella storia personale (Cargnello, 1969).
La frustrazione dunque favorirà un passaggio evolutivo importante: stimolando il processo di fantasmatizzazione, porrà le basi per lo sviluppo delle prime rudimentali funzioni mnestiche.
Sotto la sollecitazione del tempo d'attesa, nell'ipertono prolungato il bambino potrà "allucinare" fino alla soddisfazione reale del bisogno. Con la ripetizione di queste esperienze imparerà gradualmente a differenziare la realtà psichica dalla realtà esterna. Le "allucinazioni" diventeranno ricordi, gestalten fissate temporalmente.
A questo fine sarà utile che il bambino sia sottoposto ad un livello di "frustrazione ottimale", in cui cioè l'appagamento reale avvenga abbastanza presto, così da stimolare l'adattamento al reale prevendendo un disperato e deluso allontanamento dalla realtà. (Kohut, 1978).
Frustrazioni gravi, prolungate, ripetitive o incostanza nelle risposte sembrano creare una realtà meno gratificante dell'immagine di fantasia e il bambino sarebbe meno incentivato a differenziarle.
Allo stesso modo una gratificazione eccessiva sembra essere di minor incentivo ad apprendere la distinzione tra realtà e fantasia, non consentendo la sperimentazione sufficiente del segnale di bisogno e fondendosi con l'immagine di fantasia.
Secondo gli Schiff (1975) è fondamentale l'associazione tra la sensazione della fame (stimolo interno) e l'attività di piangere, agitare le braccia, succhiare (ponte comportamentale tra l'interno e l'esterno) e l'acquisizione del cibo (risposta esterna). È il primo passo dell'apprendimento al pensare del bambino, il passo iniziale nel copione per ciò che concerne l'uso e l'importanza del movimento: dell'attività e/o della passività dell'ipertono e dell'ipotono. È la base per "l'incorporazione" successiva di messaggi circa le reazioni allo stress, l'utilizzazione dell'energia, e la "decisione" se fidarsi o no del mondo.
E' probabile che questo venga tradotto in una fase successiva nella posizione di base riguardo l'accettazione positiva - ok ness - di sé e dei bisogni dello Stato dell'Io Bambino.
Dunque le frustrazioni di bisogni infantili risultano traumatiche quando il periodo di attesa supera la tolleranza che la psiche infantile ha in quel momento, oppure quando le gratificazioni offerte dall'ambiente siano imprevedibili, eccessive, incostanti, tali cioè da venire percepite come traumatiche (es. cibo fornito in modo incoerente, handling e holding bizzarri e inadeguati, ecc.).
Vi può essere fin d'allora un "ritiro" dalla corporeità, un'assenza di investimento emozionale, un pervertimento nella lettura dei segnali somatici e il costituirsi di un, feed-back emotivo-motorio distorto. Si pensi ad esempio alla motricità autoriferita dei dondolii autistici, lo strofinamento, l'autolesione, i movimenti stereotipati che ritroviamo poi come emergenti nelle patologie gravi di marca psicotica (Grand, 1982).
Sono ormai numerosi a questo riguardo gli studi che trattano della relazione tra la schizofrenia e il deficit nel dialogo corporeo e nella segnalazione comuniccativa tra madre e figlio.
Nel caso di frustrazioni gravi e prolungate dunque la psiche infantile si può riservare gratificazioni consolatorie con l'uso della fantasia.
Con Erskine (1980) possiamo anche dire che il bambino dà una propria chiusura "cognitiva" a gestalten aperte di tipo traumatico, iniziando a costruire la sua costellazione copionale - entro cui collocare se stesso, il mondo e la qualità della vita, rendendo così il proprio cammino futuro ipotizzabile e prevedibile.
Le esperienze traumatiche, così come quelle di "frustrazione ottimale", stabiliscono quindi tracce mnestiche e lasciano un segno nell'organismo anche sul versante tonico.
L'evoluzione
del bambino non può essere separata da quella della senso motricità.
Le modificazioni toniche accompagnano normalmente ogni affetto ed ogni fatto di coscienza.
Con Reich (1942) possiamo dire che ad ogni NO l'organismo si contrae e si tende, ad ogni SI si distende nella polarità che caratterizza il processo vitale.
A livello psichico l'espansione biologica è percepita come sensazione di piacere e la contrazione come sensazione spiacevole. Possiamo così correlare le sensazioni psichiche più elevate con le più profonde reazioni biologiche.
L'alternanza e la ritmicità del SI e del NO, consentono all'organismo l'apprendimento di modalità biologiche complesse, correlate emozionalmente al reale.
In una crescita sana si stabilisce e si stabilizza un circuito di feed-back congruente tra percepire, sentire, immaginare, pensare, agire.
Ad ogni NO, ripetuto e prolungato o avvenuto in un particolare stadio della crescita, si stabilizza un modello di contrazione muscolare ed energetica: un "ritiro" che darà origine alle prime tracce di una "corazzatura psico-tonica". Con Reich (1949) possiamo chiamarla armatura muscolo-caratteriale.
E' il Bambino Naturale che si "corazza" nel suo processo di adattamento all'ambiente. Secondo Cornell(1975) si stabilisce un dialogo interno silenzioso tra il Bambino Naturale e il Bambino Adattato. Questo dialogo del "corazzamento" ha lo scopo di inibire l'espressione spontanea del Bambino Naturale favorendo gli adattamenti copionali del Bambino Adattato. Si protrae dai primissimi mesi di vita, per tutta l'infanzia: si stabilizza nell'adolescenza e nella giovinezza. È una risposta di sopravvivenza alle condizioni ambientali percepite come limitanti e restrittive.
I messaggi e le ingiunzioni (non; non essere...; non fare...; devi..., fai..., sii......) dati verbalmente e non dall'ambiente esterno provocano una reazione di adattamento che investe anche la corporeità del bambino.
Come già detto ogni stato d'animo produce una certa variazione tonica nell'insieme della muscolatura. Passando questa variazione da un muscolo all'altro, ne risulta per ogni stato affettivo una qualità di tono che lo caratterizzi, il tono di Gestalt (Ajuriaguerra, 1974).
Possiamo immaginare allora che il tono muscolare esprima e mantenga, attraverso la contrazione, la Gestalt psico-tonica entro cui sono state prese le decisioni di copione.
Il "non" detto dall'ambiente esterno e caricato emotivamente dal soggetto, viene introiettato, registrato e riattivato inconsapevolmente nel dialogo interno. La tensione, azionata temporaneamente come risposta difensiva alle ingiunzioni parentali ad una situazione specifica - là e allora -, si cronicizza, mantenendo e riproducendo la programmazione parentale stessa - qui ed ora - il Bambino, sotto l'influenza delle ingiunzioni e dei messaggi limita il flusso naturale di emozioni e movimento.
In questo modo il processo di incopionamento prende posto anche entro la struttura ed i tessuti del corpo a partire da una reazione di sopravvivenza.
Dunque la tensione temporanea, il ritiro, la fuga autoprotettiva, possono diventare modelli cornici di costrizione muscolare. La difesa, l'accomodamento eccessivo e prolungato rispetto allo scopo e al tempo in cui erano stati eretti divengono essi stessi portatori di disagio, una volta che si stabilizzino.
P. una ragazza di 38 anni, anorgasmica, non "sente" il suo corpo. Si è "ritirata" dalle emozioni e dal sentire molti anni prima in risposta ad una situazione grave di abbandono della famiglia. Questo "ispessimento" emotivo le è servito per tollerare la sofferenza del distacco di allora. Oggi, nonostante P. sia cresciuta e la situazione esterna sia cambiata e P. sia in grado di accudirsi e provvedere ai propri bisogni, si mantiene in una scarsa reattività e risonanza emotiva. Riattivare le emozioni e gli affetti significa per lei infatti riaprire innanzitutto la vecchia ferita, a cui ha deciso allora di rispondere con una decisione "Non sentirò nulla e non avrò bisogno degli altri". In conseguenza delle antiche decisioni si tiene tuttavia lontana oggi anche dalle sensazioni ed emozioni di piacere che il presente le riserva.
L'individuo per la necessità di adattamento a situazioni difficili può scotomizzare il proprio bisogno, la sensazione, l'emozione, il pensiero, l'azione. La patologia successiva che si evidenzierà sarà tanto più seria a seconda della gravità della disconferma attuata.
Possiamo a questo punto definire il copione nei termini di un adattamento autolimitante che ci porta a selezionare e ripetere sensazioni, pensieri, azioni e comportamenti specifici, evitandone altri. Ci limita nel problem solving e nelle relazioni con l'esterno.
La corporeità partecipa e mantiene questa limitazione tramite una specifica gestalt psico-tonica, o "corazzatura psicotonica", che riveste il tono muscolare, il livello energetico e tutte le funzioni dell'organismo.
Ogni copione, come disse Steiner (1974), ha una sua peculiare combinazione di espressioni somatiche e forze e debolezze fisiologiche.
Cassius (1975) ha coniato il termine di Body script (corpo copione / copione incarnato) e Lenhardt (1984), quello di Bio-scenario (bio-copione) che ben rendono questo stretto legame.
L'organismo dunque si adatta inibendo i propri impulsi ed azioni, si limita nelle possibilità di percepire, muoversi, esprimersi, alla ricerca di una "omeostasi" il più possibile funzionale ed "economica", incorporando letteralmente la difesa (Lowen, 1958).
Sono alterati e distorti sia il ritmo della pulsazione biologica, che la capacità dell'organismo di auto-regolarsi, utilizzando l'alternanza di contrazione/decontrazione, carica/scarica energetica.
L'organismo non è più in grado di integrare adeguatamente la motilità involontaria e volontaria e di auto-regolare i due sistemi simpatico e parasimpatico. È imprigionato in una situazione di "tensione" o di "collassamento" cronico (Laborit, 1979, Liss, 1982).
La respirazione è superficiale e limitata. Vi è ipertonia o apatia ipotonica in alcune regioni del corpo. Se osserviamo l'intero organismo vedremo che la postura, l'equilibrio e il coordinamento generale e motorio portano le tracce della storia e della "sofferenza" del soggetto.
La "corazzatura" eretta un tempo per difendersi da minacce esterne o interne, in situazioni specifiche può diventare una prigione ingabbiante.
L'organismo sano apprende infatti a proteggersi, corazzandosi nel momento del bisogno e a lasciare l'armatura quando non gli serve più (Baker, 1969).
Quando la "corazza" si stabilizza, l'individuo diviene meno sensibile al dispiacere delle vecchie emozioni bloccate e alle ferite antiche. Dalla corazzatura si ottiene tuttavia come effetto secondario "un disagio" per la restrizione e l'ottundimento, la limitazione verso l'espansione e la percezione del piacere. Possiamo infatti correlare le emozioni con i movimenti dei potenziali energetici dell'organismo e identificarle con la mobilizzazione. La limitazione inconscia della motilità impedisce agli impulsi e pulsioni interne di raggiungere la superficie, di emergere, di scorrere, di divenire atto comunicativo, richiesta e dono verso l'altro.
La corazzatura psico-tonica imprigiona le emozioni genuine e favorisce l'allentamento della tensione per le porte di servizio dei sentimenti sostitutivi, via nota per antico apprendimento (English, 1971, 1972).
Nella relazione duale, che via via si differenzia, il bambino acquisisce il primo rudimentale modellamento emotivo e relazionale che si perfezionerà nella scelta delle emozioni sostitutive (o parassite, con Moiso, 1982) e dei sentimenti di ricatto.
Woollams e Brown (1978) definiscono i ricatti e i giochi psicologici come "vie sostitutive per ottenere carezze e riconoscimento", che richiedono però lo scotoma di sé e/o dell'altro coinvolto nel gioco.
Possiamo considerare i ricatti, le relazioni di ricattamento e i giochi vie di accumulo e di scarico di potenziale energetico e biologico che per vari motivi non ha potuto essere canalizzato tramite il riconoscimento e l'espressione di una emozione adeguata alla situazione. Berne (1964) elenca tra i vantaggi dei giochi le funzioni stabilizzatrice che essi hanno in termini di omeostasi biologica.
Possiamo dire che forniscono carezze di seconda mano e una carica e/o scarica temporanea, a livello dell'organismo, tramite una "via traversa". Il senso di eccitazione e/o di "svuotamento" che vengono soggettivamente avvertiti alla fine di un gioco psicologico, non sono certo comparabili al senso di pienezza e di rilassamento che accompagnano la soddisfazione genuina di un bisogno!
Alcune persone ad esempio, per potersi eccitare sessualmente hanno "bisogno" di intraprendere un gioco preliminare di "Burrasca", per "darsi la carica" o per "scaricare" dei sentimenti accumulati, riuscendo così contemporaneamente ad evitare l'intimità desiderata e temuta.
L'apprendimento ai sentimenti e comportamenti consentiti avviene nella ricchezza della "spirale di transazioni" che il bambino prima e il ragazzo poi instaurano con l'ambiente.
In un ambiente sano ed amorevole, ricco di stimoli, di riconoscimenti e di carezze, egli può apprendere tramite "permessi" via via più differenziati a dare nomi e significato alle proprie sensazioni, sentimenti e pensieri e a definirsi come persona.
Egli "sceglie" le sue modalità emotivo comportamentali dapprima attraverso l'imitazione di una vera e propria impregnazione posturale e tonica (manca) l'assorbimento, il "mettersi nella pelle dell'altro", l'opporsi, il trasgredire creativamente i partner emozionali e comportamentali che gli vengono proposti.
Seleziona e "decide" cosa percepire o non, sentire o non, pensare o non, manifestare o non, in una contaminazione personale legata all'unicità delle sue esperienze e del suo essere soggetto (Holtby, 1976). Sceglie la sua "mappa" del mondo in cui scrivere le proprie attribuzioni, quelle degli altri e della realtà che la circonda.
Allargherà via via il suo raggio esplorativo verso l'ambiente alla conquista lenta e progressiva della "verticalità", verso l'individuarsi, il camminare sulle proprie gambe. Passerà dunque, nell'intero percorso, dalla fusione, all'incontro, alla separazione, nella dialettica sicurezza-insicurezza.
Nell'ambiente famigliare e nei successivi gruppi di appartenenza, nel proprio terreno culturale più esteso, metterà a punto il suo apprendimento alla soluzione dei problemi (Holloway, 1981). Crescendo modificherà o stabilizzerà via via gli elementi copionali che tracceranno le linee del suo percorso di vita.

IL CORPO E IL TRATTAMENTO

Se la "corporeità" è attrice-testimone nella evoluzione del soggetto, dovrà essere presa in attenta considerazione anche nel cammino terapeutico.
Sottolineerò alcuni aspetti riferibili ad essa che già in sé l'Analisi Transazionale contiene nel suo quadro teorico e prevede nella sua metodologia applicativa.
Indicherò possibili integrazioni con altri modelli e tecniche a mediazione corporea.
Nel delineare le fasi del trattamento mi limiterò a dare qualche spunto, sottolineando gli aspetti che riguardano questa possibile integrazione. Do per scontato una conoscenza più ampia e approfondita del trattamento complessivo tramite l'Analisi Transazionale.
Già Berne (1972, 1976) ricordava al terapeuta di utilizzare nel trattamento tutti e 5 i sensi per udire, vedere, annusare, gustare e toccare (magari anche solo attraverso la stretta di mano) ogni piccola variazione del cliente di fronte a sé. I mutamenti di colore, temperatura, ritmo respiratorio, tono di voce, ecc. possono essere infatti considerati segnali di copione. Ci dicono cioè qualcosa del complesso intreccio psico-emotivo e fisico di chi ci sta davanti e della sua storia.
Il corpo "trattiene" infatti sia l'ingiunzione, il divieto, sia i messaggi della "programmazione" parentale, sia le decisioni di adattamento. Essi si possono manifestare tramite la postura, il modo di muoversi e di occupare lo spazio; la voce, i suoni, i sospiri, il respiro; lo sguardo e il modo di usarlo nella relazione con l'altro; la qualità e il tono del movimento; ecc. C'è infatti chi si tiene a "testa bassa" quasi portasse un peso sulle spalle; chi invece cammina a testa alta e col petto in fuori, quasi a sfidare il mondo. C'è chi sta nell'angolo, parla adagio, quasi cercasse di mimetizzarsi, di non occupare spazio, di non farsi sentire o vedere. C'è chi invece occupa spazio e tempo, rendendosi ben visibili, con sguardi, toni e abiti seduttivi quasi a recitare il personaggio che desidera e/o teme di essere.
Il "corpo" dunque è custode sia dei sentimenti più profondamente celati o negati, sia di quelli consentiti a sé ed espressi nella relazione con gli altri.
Lascia emergere le caratteristiche del Bambino Naturale e gli "aggiustamenti" successivi del Bambino Adattato.
Evidenzia le "debolezze" e le "ferite" del soggetto ma anche le sue energie e capacità originarie, alleati preziosi nel cammino del cambiamento.
Osservandolo con cura si possono evidenziare gli stati dell'Io energizzati e quelli esclusi, gli elementi di "recita" del copione, il personaggio esposto sul "davanti della maglietta", cioè la propria facciata sociale, esibita più o meno consapevolmente.
Emergono anche con chiarezza i ruoli preferiti nei giochi psicologici e indicati nel "triangolo drammatico" di Karpman (1968). Il "Salvatore", la "Vittima" e il "Persecutore" si riconoscono infatti a colpo d'occhio.
Detto questo è evidente l'importanza dell'attenzione al non verbale, al corporeo, nella fase diagnostica.
Fin dal primo colloquio il cliente, nel suo solo porsi fisicamente di fronte a noi ha raccontato gran parte della sua storia. Il racconto che la persona fa via via di sé e dei suoi problemi viene riempito di senso dal linguaggio del corpo che lo accompagna.
Durante il primo incontro sono attenta alla qualità e congruenza nell'enunciato e nella gestualità. Una stessa frase può essere infatti pronunciata ad esempio con una iper-caricatura di tipo isterico, potremmo parlare qui di un non verbale "grandioso", eccedente, ridondante, oppure di venire appiattita, smorzata da una modalità depressa, o portare il segno di una disaffettivazione di tipo psicotico e così via.
Pongo attenzione alle incongruenze tra contenuto verbale e manifestazione non verbale, ad esempio parlare di eventi dolorosi ridendoci sopra, o viceversa, rivelatori di aree di conflitto e/o di disconferma.
Osservo se vi siano doppi messaggi o richieste implicite che la persona sta facendo: come risponde agli stimoli che propongo; come e dove si colloca nella stanza; quale sia la sua "distanza di sicurezza" e l'ampiezza del suo territorio personale. Uso il "rispecchiamento" e l'empatia per entrare in contatto con l'universo "sensoriale" ed emotivo del paziente ed allargare la mia area di informazioni.
Anche la nostra risposta individuale al cliente e alla sua corporeità, diviene rilevante, decodificando opportunamente i nostri segnali corporei.
La relazione terapeutica "passa" fin dall'inizio anche tramite il somatico!
Riporterò come esempio alcune notazioni relative al primo contatto con una paziente, limitandomi agli aspetti del "non verbale".
D. arriva accompagnata dalla madre, mi saluta tendendo appena la mano, che lascia molle nella mia, come senza direzione.
Gli occhi sono grandi e profondi, ma lo sguardo è lontano, e lo solleva di poco nel contatto.
Nella stanza di colloquio si siede in un angolo del divano, un po' in bilico, nonostante ci sia molto spazio.
Mi metto un po' distante e seduta di tre quarti rispetto a lei e la osservo mentre parla. Sembra avere sedici anni, so che ne ha venticinque; credo proprio non abbia ancora deciso di "crescere". Il corpo è esile, le spalle e le braccia abbandonate quasi senza potenza e intenzionalità; forse è incerta sul suo stesso esistere.
Mi racconta di sé con poche frasi, la voce è lenta e lontana, sembra far fatica a trovare le parole. Posso immaginare una disperazione profonda, impotenza, bisogni e paure non ben differenziati. L'aspetto è ordinato ma non curato; ha un corpo che potrebbe essere quello di un ragazzo. È carina, ma certamente non è consapevole della sua grazia e femminilità; forse è ancora alle prese con compiti precedenti.
Accenna alle "crisi" che ha avuto ogni volta che doveva portare a termine un compito che le imponevano o si imponeva.
Traspare, mentre parla, una piega amara e una tensione alle labbra e alle mascelle. Lo sforzo di darsi un senso attraverso il fare e la disperazione per i "fallimenti" ripetuti, sono evidenti. Il conflitto è certo sull'essere, ed ha radici profonde.
Man mano che parla si volge verso di me, accenna un gesto con le mani e sembra protendersi nella mia direzione con le braccia.
Mi guarda ora negli occhi con intensità e mi chiede se penso che potrà riprendersi, lavorare, "diventare normale", forse sposarsi. Lei non ci crede. Respira appena. Sembra nel protendersi, piccola, bisognosa e insieme ribelle.
La "rispecchio" per un po' e impotenza e sfida è ciò che sento affacciarsi dentro di me. Probabilmente sono temi con cui ha dovuto confrontarsi nella sua crescita e tuttora aperti.
Non ho ancora deciso se prenderò D. in trattamento, ma fin da ora la richiesta simbiotica è evidente e so che dovrò tenerne conto e che sarà il perno e il rischio del trattamento.
Un altro utile strumento diagnostico può essere l'usare una griglia di lettura della struttura corporea, seguendo ad esempio la tipologia Loweniana o Reichiana. Naturalmente ciò richiede le conoscenze e l'addestramento per farlo e consente indicazioni precoci circa la diagnosi e il progetto del trattamento. A questo proposito ho trovato interessante l'integrazione che Lenhardt (1984) fa tra l'Analisi Transazionale e le tipologie bioenergetiche.

Nella fase iniziale del trattamento, come dice la James (1977) gli obiettivi sono lo stabilire la relazione terapeutica, motivare, informare, capire e stabilire le mete della terapia.
Qui per ampliare l'area della consapevolezza nel paziente il corpo e i suoi segnali possono essere "letti" dal paziente stesso, o dal terapeuta o da altri membri di un gruppo terapeutico e riempiti di significato costruendo così un ponte tra il somatico, l'affettivo e il cognitivo.
Si possono, inoltre, in questa fase proporre "esercizi a freddo" cioè esercizi-stimolo a partire dalla corporeità.
Possono ad esempio essere riferiti alle modalità di contatto della persona, alla postura, alla respirazione, ecc. Tramite essi oltre a nuove informazioni sul proprio Body-script, la persona può ricevere input circa un funzionamento psico-fisico maggiormente integrato e sano.
Gli aspetti, prima in ombra, che vengono evidenziati possono essere stimolo e supporto al cambiamento che ciascuno prefigura di fare.

Durante la face centrale del trattamento il linguaggio del corpo del paziente nel qui e ora, con le sue variazioni e incongruenze segnala le impasses e gli "elastici al passato" registrati nel Bambino Somatico. Il loro riconoscimento ed elaborazione consente al paziente di rintracciare le vecchie esperienze e distinguere il presente da esse.
In particolare quando si tratti di empasse relative a "decisioni" prese assai precocemente in situazioni traumatiche il somatico è la porta obbligata di transito per l'individuazione e la risoluzione delle stesse. Ken Mellor (1980) parla in questo caso di empasse di terzo grado.
Nella fase della "ridecisione", del "working through" dunque l'attenzione da parte del terapeuta alla corporeità e ai ritmi di tensione/distensione del flusso energetico-emotivo, sono di fondamentale importanza.
Avendone l'opportuno addestramento, si possono integrare tecniche di allentamento tonico (ad esempio di tipo gestaltico o bioenergetico) che favoriscono l'apertura e la regressione emotiva.
Si potrà poi accompagnare il soggetto entro una esperienza di integrazione correttiva o di elaborazione della vecchia esperienza traumatica (Kohlrieser, 1981).
A mio avviso ciò che conta, non è l'esperienza sensazionale o catartica che di solito viene associata al lavoro corporeo, bensì la ricerca tramite esso, della congruenza tra i livelli di esperito, sentito, fantasticato, agito e la adeguata ricollocazione temporale delle esperienze.
Ritrovare i ritmi organismici e rieducarsi ad essi significa recuperare la possibilità di tendersi e di distendersi, attivarsi e rilassarsi in modo consapevole e legato ai desideri genuini: ritrovare la sorgente interna.
Una decontaminazione su questo piano, passa attraverso nuove informazioni per l'Adulto su un funzionamento psico-fisico sano, a contrastare pregiudizi Genitoriali; e sulla risperimentazione dei ritmi biologici naturali fatte dal Bambino in ambito protetto.
Una volta che questo procedimento sia stato appreso ed interiorizzato, pone le basi per un dialogo interno costruttivo, dove si apprende a decodificare il bisogno e a dargli risposte adeguate.
Per Lowen (1975) la persona sana è capace di sentirsi ed esprimersi, sa riconoscere le proprie emozioni e le lascia scorrere, siano esse piacevoli o spiacevoli, paurose o difficili.
E' capace di provare piacere del proprio esistere e di cominicarlo incontrandosi con l'altro.
L'organismo sano respira in modo ampio e profondo, ha movimenti volontari agevoli e flessibili, ha una motilità involontaria ben integrata con quella volontaria. E' vivo e vitale. Sa stare sulle sue gambe e far fronte ai cambiamenti che la vita ci propone.
Nel trattamento è utile conoscere i ritmi e i modelli del funzionamento biologico per favorirne l'integrazione con gli aspetti emotivi che via via si evidenziano e per supportare e far crescere le "parti sane" che ciascuno ha in sè.
Esperienze che non sono state ben integrate nell'infanzia - gestalten aperte - vengono infatti mobilitate durante il trattamento. In questa riattivazione terapeutica il paziente ha il tempo sufficiente per loro graduale assimilazione e chiusura. Il processo a gradini durante il quale i ricordi traumatici, nuovamente a confronto con i desideri infantili, sono di nuovo sperimentati e lentamente abbandonati, si chiama elaborazione.
L'elaborazione è un processo che è stato paragonato con il lavoro che la psiche esegue nel lutto, con la differenza che chi ha subito una perdita deve abbandonare un oggetto d'amore nel presente, mentre il paziente impara che deve rinunciare alla speranza di appagare desideri infantili immodificati e che deve abbandonare oggetti del passato (Kohut, 1982), aprendo le porte al presente. Far questo consente di andare al di là del copione dato che esso per Berne (1972) si basa generalmente su illusioni infantili protratte, che potrebbero durare un'intera vita.
In questo cammino, la "corporeità", non potendo essere scissa dall'essere stesso del soggetto, risuona, resiste, si oppone o facilita. E' bene quindi considerarla come interlocutore a cui dare senso e voce.
Quando l'elaborazione interessa la globalità dell'esperienza: (sensazione - affetto - cognizione) favorisce il riapprendimento e il ripercorso simbolico di vecchie tappe evolutive, o il saldarsi o l'accettazione di fratture antiche.
Quando abbiamo a che fare con ferite primitive e profonde e con patologie gravi, il "corporeo" aiuta a rintracciare la percezione dei confini di sé e della propria "struttura". Ad esso possiamo ancorarci come ponte per restituire senso ad un significante che spesso ha perso il suo significato, come ad esempio nelle depressioni gravi e nelle schizofrenie (Spiazzi, Ligabue et al., 1984 / Balzala, Ligabue et al., 1985).
Gli "esercizi a freddo" proponibili in questa fase del trattamento possono riferirsi all'integrità e interezza della persona e dell'organismo passando tramite la struttura corporea.
Saranno sottolineate le nozioni del "confine" corporeo, dell'unità e solidità della struttura scheletrica e muscolare che ci sostiene e ci permette di fronteggiare, senza frammentarci, le tempeste emotive.

Nella fase finale del trattamento quando i "nodi" più grossi sono stati sciolti, il "corpo" diviene il nostro interlocutore privilegiato per portare avanti e mantenere il benessere raggiunto. E' la fase del riapprendimento e della stabilizzazione in cui la persona integra nella propria vita le nuove decisioni prese (Boyd, 1976).
Può mettere in prova comportamenti ed esperienze nuove. Ha rinforzato o acquisito capacità di sentirsi, apprezzarsi, volere, chiedere, rifiutare, avvicinarsi, allontanarsi: ha una sua consistenza ed equilibrio.
Sente e riconosce i propri bisogni (B) e vi risponde in modo adeguato alla realtà (A), tenuto conto del proprio sistema di valori (G) e della propria storia.
C'è capacità di problem solving e buona tolleranza allo stress e al cambiamento che il vivere comporta.
L'organismo è responsivo e la lettura dei messaggi che ci invia favorisce la conoscenza e l'intimità
con se stessi e ci permette di elaborare strategie per vivere in salute.

NOTA

  1. Dal punto di vista dell'analisi strutturale coincide con il B1, che a sua volta contiene un G0, A0, B0, come già indicato da Berne (1972).

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    Indice di Neopsiche Anno 3 / N° 6 / Dicembre 1985
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