Cum Nimis Absurdum

In questa enciclica del 1555 Paolo IV sintetizza un lungo cammino di riflessioni antiebraiche della chiesa cristiana e cattolica. Alle motivazioni teologiche seguono queste dure disposizioni concrete:

- Gli ebrei dovevano portare il segno sull’abito;

- Dovevano abitare in una parte separata della città, il ghetto;

- Ritirarvisi prima di notte e non uscendone prima dell’alba.

- Al tramonto le porte del ghetto erano chiuse da un custode cristiano, che gli ebrei erano obbligati a pagare.

- Era preclusa ogni proprietà privata.

- Era preclusa la laurea, anche se era consentito seguire i corsi di medicina, senza però ottenere il titolo di dottore.

- L’unica professione tollerata era il piccolo prestito e sola arte strazzariae seu conciariae, ut vulgo dicitur, contenti, ovvero il commercio di stracci vecchi.

L’origine teologica della discriminazione ebraica risale ai Padri della Chiesa (Giovanni Crisostomo), ma è stato soprattutto S. Agostino (De civitate Dei, XVI, 35 in PL 41, 513-514) a dare la seguente spiegazione che ritorna nelle riflessioni medievali fino al testo di papa Paolo IV: "Gli ebrei sono stati dispersi fra tutte le nazioni, a testimonianza della loro malvagità e della verità della nostra fede [...]. Di loro è stato detto, ‘non ucciderli!’, cosicché la stirpe ebraica resti in vita, e dalla sua persistenza tragga incremento la moltitudine cristiana" [Enarrationes in psalomos 58 in PL 36, 463].

Prova a confrontare il seguente testo con quello della Nostra Aetate del concilio Vaticano II.

"E’ troppo assurdo e sconveniente che gli ebrei, che per la loro colpa sono stati condannati da Dio alla perpetua schiavitù, con la scusa di essere protetti dall’amore cristiano e tollerati dalla loro coabitazione in mezzo a noi, mostrino tale ingratitudine verso i cristiani da oltraggiarli per la loro misericordia e pretendano di dominarli invece di prestar loro la dovuta sottomissione [...]. Considerando che la chiesa romana tollera gli ebrei a testimonianza della veracità della fede cristiana [...] e che perciò è bene che, finché essi persistono nei loro errori, dagli effetti delle loro opere riconoscano che essi sono stati ridotti in servitù, mentre i cristiani sono stati liberati da Cristo, e che perciò sarebbe del tutto ingiusto che i figli della libera servano ai figli dell’ancella.

(La traduzione è tratta da

G. MARTINA, LA Chiesa nell’età dell’assolutismo, del liberismo, del totalitarismo. Vol. II, Brescia 19897, 96-97)

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