"Ancora adesso mi viene da sorridere quando un amico appena arrivato a Pantelleria ... ebbe ad esclamare, «Capperi, ma quest’isola è proprio selvaggia!», contrapponendo l’accezione natura, cioè selvaggio, alla cultura come i dammusi, il giardino pantesco, i TERRAZZAMENTI AGRICOLI PANTESCHI."

Onde di lava dall'uomo coltivate. Esempio atavico e pantesco di sviluppo eco-sostenibile

 

Introduzione

Non cose nuove da sapere ma antiche cose da fare. Con queste parole potrei sintetizzare il significato del percorso culturale di Ambiente e/è Vita sull'isola di Pantelleria, intenta sin dal 1996 a ricercare nel passato pantesco la saggezza del fare. Così abbiamo iniziato quest’avventura, trattando le migliori lezioni sulla storia di Pantelleria, raccontataci direttamente da appassionati studiosi di cose pantesche.

Dopo la prima edizione del "Centro studi sul Mediterraneo", nell’agosto del 1997, dal titolo Pantelleria, la sua storia e il suo castello, il compito dell’associazione era quello di dare continuità a questa semplice idea: incontrarsi a Pantelleria per parlare di Mediterraneo e delle culture araba e cristiano-occidentale in esso presenti, avviando questo dialogo che l’isola ha sempre interpretato nella storia. È una fatale vocazione quella di quest’isola di dover mediare tra le due sponde del mare, dovuta alla centralità mediterranea e dove, volendo citare le parole di Henri Bresc "la situazione geografica e l’evoluzione politica e culturale…fanno di Pantelleria un ponte, o, meglio una marca, zona di penetrazione di scambio, di compromesso tra Sicilia e Maghreb". Una storia che non può che partire dalla cultura che i panteschi hanno rappresentato nel Mediterraneo attraverso i dammusi e le colture di zibibbo e capperi terrazzate lungo i pendii delle khuddie, nati dal sincretistico rapporto dicotomico tra le civiltà dominanti il Mediterraneo.

L’uomo che per la prima volta riuscì ad arrivare sull’isola di Pantelleria, trovò un vulcano forse non ancora spento, la cui natura si mostrò ostile sotto tutti i punti di vista. E allora perché quest’uomo ha iniziato l’immane lavoro di bonifica del vulcano, per avere il giardino verdeggiante che tutti noi oggi ammiriamo? Dopo tanto lavoro, chi e che cosa ha fatto dire a quest’uomo: "ne è valsa la pena"?

A queste domande bisognava rispondere a chi come Ambiente e/è Vita spera ancora nell’Uomo, artefice del proprio destino ma non per questo bandito come criminale dalle leggi di tutela ambientale italiane (art.2, comma 3, L.R.98/81), ormai culturalmente obsolete. L’uomo è e si deve sentire soggetto attivo e centrale del suo ambiente per una nuova coscienza di libertà ecologica, il cui pensare in positivo, senza allarmismi e catastrofismi, sarà la nuova filosofia nell’era della New Ecology.

È questo il piano culturale, completamente diverso dal conformismo diffuso delle più note associazione ambientaliste italiane, che ho sviluppato nel mio intervento in "Pantelleria e il Mediterraneo" il 16 luglio del 2000 al castello di Pantelleria. Partendo dalle tradizioni, dalla storia e dal passato di quest’isola, ho voluto spiegare perché questo uomo va salvato e il suo ambiente, squisitamente agricolo, valorizzato.

Le colture pantesche, i suoi terrazzamenti, il dammuso sono stati quell’atavico -ante litteram diremmo oggi-  sviluppo eco-sostenibile che ha trasformato fisicamente il paesaggio lavico, costituito quasi totalmente da conformazioni geologiche, da impervio e poco praticato, in un giardino i cui frutti erano conosciuti in molti Paesi mediterranei.

I velieri panteschi trasportavano questi prodotti che volendo citarne alcuni meno conosciuti: le lenticchie per esempio o l’asino, venivano distintamente aggettivati come panticci per i siciliani o pantellereschi nell’Italia continentale e a Malta.

Un’isola nel Mediterraneo che ha vissuto del suo mare e del suo entroterra, ricco e generoso di risorse primarie da cui si sosteneva economicamente con molti profitti ben distribuiti in tutte le classi sociali, che non hanno mai conosciuto, per esempio, il fenomeno del latifondismo.

A Pantelleria la terra la possedeva chi meglio la lavorava, chi meglio la valorizzava, cominciando dalla realizzazione del terreno stesso, spietrandolo, abbattendo rocce, assecondando i rilievi delle khuddie, dove le pietre di risulta serviranno alla costruzione di quei muri che oggi vediamo, al fine di contenere le terre. Prima opera essenziale per iniziare qualsiasi tipo di coltivazione.

I terrazzamenti di Pantelleria, quale meravigliosa opera architettonica meglio sintetizza questo concetto di sviluppo eco-sostenibile, dove il dammuso, la casa dei panteschi, erge magicamente dominando la scena con la palma ed il jardino, all’interno di un paesaggio agricolo tutto culturale e pantesco. Pantelleria è questo modello atavico di coscienza ambientale, che noi vorremmo perpetuare compatibilmente con le moderne esigenze umane necessarie in questo storico percorso virtuoso di vera integrazione ed appartenenza in armonia alla propria isola, per continuare a condurre una vita libera, dignitosa e più giusta.

Ancora adesso mi viene da sorridere quando un amico appena arrivato a Pantelleria, giustamente non conoscendola ebbe ad esclamare, "Capperi, ma quest’isola è proprio selvaggia"! Contrapponendo l’accezione natura, cioè selvaggio, alla cultura come il dammuso il giardino pantesco, i terrazzamenti. Un’isola che all’inizio dello scorso secolo si è fortemente antropizzata andando a disegnare un paesaggio che di selvatico ha ben poco.

Il mio amico, che di certo non è pantesco, non ha capito che Pantelleria è un’isola colta, un’isola dove, tralasciando le formazioni geologiche cosiddette a blocchi del Khaggiar e del Gelfiser ed il bosco ceduo della Montagna Grande pari complessivamente a circa il 15% del territorio isolano, il rimanente 85% del territorio è un’architettura vivente dovuta e voluta dalla laboriosità e dalla fatica di tante generazioni. Non esistono sull’isola luoghi, a parte quei posti vedi Gelfiser e Khaggiar, dove questo uomo non abbia manomesso, artefatto o comunque trasformato il suo ambiente naturale.

Il mio amico ha confuso il terrazzamento come un prodotto della natura anziché dell’uomo. È questa la straordinarietà pantesca che ne fa un’isola unica, quanta rara nel panorama mediterraneo.

La feracità della terra di origine vulcanica ha giustificato l’immane lavoro per appropriarsi del suolo lavico, bonificando le pianure così come le colline, metro dopo metro, centimetro dopo centimetro, per vedere realizzate le garche, le tankhe e i marghietti cunzati, i fondi agricoli terrazzati panteschi. Quanta fatica?

Riconoscere questa cultura, significa fare giustizia delle molteplici incomprensioni e confusioni culturali tipiche di quest’ultimo secolo che ha privato l’uomo della sua libertà in nome di una concezione filosofica superiore all’uomo stesso che ha sistematizzato la negazione, di fatto, dell’essere umano, mortificando di conseguenza l’ambiente che ci circonda. L’uomo è, e si deve sentire, soggetto attivo del suo ambiente, che è il luogo dove vive ed opera. Questa semplice verità mi fa comprendere l’unica lezione che ci viene dall’insegnamento della storia che saggiamente ci consiglia di fare antiche cose, emulando l’atavico e virtuoso percorso storico dell’uomo pantesco che ha lottato contro la natura per la valorizzazione delle proprie ed uniche risorse naturali. Uomini che hanno ravvisato nel Mediterraneo, la causa di tale colossale impresa. Il mare questo Mare Mediterraneo è stato, è e sarà la causa che ci farà dire oggi, come allora, dopo tutto, dopo tanto sudore, ne è valsa la pena.

Giuseppe Sechi   Segretario Provincia Trapani di Ambiente e/è Vita

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