Home Indice Successiva

1996

UNO SGUARDO SULLA NOSTRA CITTA' 

  1. Il centro della città.

  2. Oltre la zona centrale della città.

  3. Il calo di popolazione.

  4. La tensione abitativa.

  5. La dimensione metropolitana.

  6. Le trasformazioni sociali.

  7. Il problema dei problemi: il lavoro giovanile.

  8. Lo spreco di risorse.

  9. Polo di attrazione?

  10. Meno male che ci sono gli universitari.

  11. La favola dell'ospitalità.

  12. Le occasioni "storiche".

  13. Per (non) concludere.

  14. Gli immigrati. La criminalità organizzata.

    Nella seconda metà degli anni Novanta BARI appare una città in declino, sempre più minacciata dal degrado di intere sue zone, assai sporca e caotica: ingovernata ma non ingovernabile, al solito, un luogo denso di elementi in contrasto.

    1. Il centro della città.
    Il centro cittadino si è svuotato ulteriormente di residenti e di tradizionali esercizi del commercio all'ingrosso e si è arricchito ulteriormente di uffici e studi professionali, di sedi e agenzie bancarie, di società immobiliari, finanziarie o assicurative. L'andamento del settore cittadino del commercio al dettaglio - non più riconducibile al fisiologico meccanismo del turn-over - ha subito negli ultimi anni (e sta subendo per svariate e prevedibili ragioni) una particolare e impietosa accelerazione verso la perdita di consistenza.  
    In questo quadro colpisce maggiormente la crescita in controtendenza, pervasiva ed esorbitante nel centro cittadino, di iniziative rientranti variamente nel settore della ristorazione.
    Ancor più balza agli occhi l'attuale
    rapido declassamento di Corso Cavour ad arteria puramente commerciale. La vita di quella che fino a poco tempo addietro era la zona cittadina più ricca di opportunità di vita sociale e culturale, di scambio e di svago, ormai si spegne con la chiusura dei negozi.
    Il cinema-teatro Margherita è in rovina abbandonato da anni; il cinema Oriente ha chiuso mestamente qualche anno fa, il Teatro Petruzzelli è rimasto completamente distrutto dall'incendio del '91 nella sua funzione originaria ed esclusiva di teatro, benché la proprietà, tanto lungamente disattenta alla dimensione culturale dell'attività del teatro quanto attenta alla rendita garantita dal complesso, insista dal suo punto di vista nel ritenerlo soltanto "danneggiato". L'involucro scoperchiato del "glorioso teatro" rimane lì ormai da cinque anni a paradossale testimonianza dell'impotenza di un'intera collettività colpita profondamente in un suo bene-simbolo a fronte dell'inesorabile preminenza dei diritti-interessi della proprietà privata. 

    Di fronte alla concretissima e vischiosa realtà dei tanti interessi (e dei tanti avvocati) scesi in campo a contrastarsi, sembra essersi dileguata la speranza che la città potrà riavere un giorno il "suo" teatro. Tuttavia, nonostante la scarsa informazione e l'assenza di un serio dibattito "pubblico", pare anche divenuta più folta la schiera di chi pensa che la questione più che un fatto meramente giudiziario (che forse bisognerebbe cominciare ad attivare) sia riconducibile al problema politico della sostanziale latitanza dell'Amministrazione comunale, dell'assenza cioè di una decisione chiara e precisa da parte di chi governa la città. 
    Oggi intanto, nessuno può dire come comunque andranno a finire le controverse vicende del Margherita e del Petruzzelli, così come di tanti altri "contenitori" abbandonati al degrado. 
    Rimane l'amara constatazione che poche città potrebbero contendere a Bari il primato di collezionare nel tratto di poche centinaia di metri i "ruderi moderni" di due delle sue strutture di vita sociale e culturale, già abbondantemente scarse.

(torna su)

2. Oltre la zona centrale della città.
Anche i tre grandi "antichi" quartieri residenziali situati rispettivamente ai confini ovest ed est del centro (
Libertà e Madonnella) e a sud della ferrovia (Carrassi e San Pasquale) hanno continuato a svuotarsi di abitanti durante l'ultimo quindicennio, accelerando la duplice tendenza allo spopolamento e al degrado ambientale [PR4]già segnalata negli anni precedenti.
La città sembra invece cresciuta a "vista d'occhio" sia in popolazione che in edifici residenziali lungo talune direttrici interne e anche in edifici e strutture non residenziali lungo la direttrice tracciata da Via Amendola e dal suo prolungamento. E così nuove periferie si sono aggiunte ai quartieri periferici più "vecchi", veri e propri quartieri-ghetto. Bari, è stato giustamente osservato, è ormai una città di periferie.

(torna su)

3. Il calo di popolazione.
Non debbono trarre in inganno però né l'effervescenza caotica del traffico e del movimento cittadino né il colpo d'occhio offerto dalle "nuove" periferie, invero poco edificante anche dal punto di vista estetico: il comune di Bari ha imboccato la strada di un inesorabile declino demografico e corre il rischio di trovarsi alla conta del 2001 con meno di trecentomila abitanti!

Nel 1951 Bari era ancora parecchio lontana da questa cifra; dieci anni dopo l'aveva superata abbondantemente e crebbe ancora nei 
due decenni successivi, tanto da contare più di 370 mila residenti al censimento 1981. Alla conta del 1991, però, erano ben trentamila gli abitanti mancanti all'appello. E a tutto il 1993, la popolazione del solo comune di Bari risultava discesa decisamente sotto i 340 mila abitanti, mentre continuavano a crescere quelli delle due cerchie formate dai 19 comuni contigui o più vicini. 
E così il capoluogo che nel 1971 sopravanzava di quasi 118 mila abitanti i restanti comuni di quella che potremmo chiamare "area metropolitana ristretta" e che ancora alla fine del 1991 segnava un vantaggio di più di 15 mila abitanti, nel giro di due anni ha visto il divario ridursi a meno di duemila e tendere rapidamente a scomparire per dar luogo ad un nuovo squilibrio, questa volta a tutto suo svantaggio.
Benché l'andamento della popolazione residente del capoluogo pugliese non costituisca un'eccezione tra i maggiori comuni italiani (a parte Palermo), circa la perdita di popolazione ci sono però differenze sostanziali tra Bari e le altre grandi città.
Innanzitutto, nel capoluogo pugliese sembra pesare in maggior misura che negli altri capoluoghi (ad eccezione forse di Firenze) l'esodo di popolazione (oltre che naturalmente il calo del flusso immigratorio e delle nascite).
Specialmente per quanto riguarda Bari, inoltre, né il tenue processo di rilocalizzazione economica né più in generale i fattori occupazionali bastano a dar conto di un fenomeno così ampio quale è quello della mobilità di popolazione residente all'interno della provincia. Entrano qui in gioco le mutate situazioni di offerta riguardanti le basilari condizioni di vita delle famiglie e dei singoli.
Prime tra tutte quelle connesse all'abitazione.

(torna su)

4. La tensione abitativa.
A Bari insomma, più che altrove, la mobilità verso i Comuni limitrofi è riconducibile alla "tensione abitativa" più che a un'improbabile ricerca di migliori "qualità ambientali".  
La presenza dell'elemento "fuga dalla città" sembra invece più sostenibile in relazione ai consistenti spostamenti di famiglie di ceto medio urbano che si sono avuti a partire dagli anni settanta in direzione delle "oasi" residenziali, proliferate, senza regola, tante nelle ex frazioni costiere che lungo alcune direttrici interne.
Insomma, mentre tanti elementi (l'incremento delle abitazioni in proprietà, i notevoli flussi di spostamenti di residenza infracomunali dal centro verso le ex frazioni costiere e, in qualche modo, perfino il fenomeno dell'abusivismo) mostrano come nel corso degli ultimi quindici-venti anni molti baresi abbiano potuto trovare soluzioni abitative più soddisfacenti all'interno della stessa città, tanti altri elementi, però, testimoniano adeguatamente del perdurare e dell'aggravarsi della forte tensione abitativa che si è venuta determinando lungo gli anni nel capoluogo pugliese, grazie al selettivo, contraddittorio e distorto andamento della costruzione di nuove abitazioni ed alle politiche urbanistiche, ambigue quanto partigiane, dei decenni passati.
Detto in altri termini, le stesse dinamiche e le trasformazioni del mercato edilizio residenziale che nel corso degli anni venivano fornendo a numerosi gruppi familiari o a singoli cittadini delle soluzioni in qualche misura adeguate ai loro bisogni abitativi, contribuivano nello stesso tempo in tantissimi altri casi rappresentati dalle fasce più deboli di baresi a trasformare il "problema della casa" in grave disagio abitativo.

Concorrevano nel determinare ciò, sia elementi oggettivi (livello degli affitti, andamento dei prezzi di mercato, richieste di "liberare" l'alloggio, sfratti, ecc.) sia anche l'evoluzione degli stessi bisogni delle famiglie, per le quali situazioni abitative che prima erano comunque accettate, diventavano via via inadeguate e insoddisfacenti sotto vari aspetti.
Se allora si considerano in aggiunta i differenziali di crescita della disponibilità di abitazioni negli altri comuni della provincia e, dunque, le più accessibili condizioni di offerta che vi si sono venute creando, tanto per l'affitto che per l'acquisto di un alloggio, non pare si possa mettere in dubbio che numerose famiglie e singoli cittadini baresi per risolvere in qualche modo i propri problemi abitativi, abbiano lasciato (e continueranno a lasciare) la città.

Altro che ricerca di una migliore qualità della vita!
Si tratta qui di vera e propria espulsione di popolazione specialmente verso i comuni di prima e seconda cerchia da collegarsi principalmente al problema della casa.


Del resto, non sembra proprio si possa dire che i comuni più vicini a Bari, fossero e siano dotati di grandi capacità attrattive sotto l'aspetto della qualità della vita, né si può agevolmente sostenere volgendo lo sguardo a come si sono venuti sviluppando e trasformando gli spazi fisici nell'interno e lungo la costa, che il sistema insediativo del complessivo territorio provinciale (fatte salve alcune pochissime eccezioni) sia stato e sia in grado di offrire condizioni di vita così allettanti da esercitare sui cittadini baresi un richiamo talmente forte da indurli alla "fuga" dalla città.
E' del tutto fuorviante allora tendere ad enfatizzare la libera scelta per luoghi "più vivibili", in una vicenda che sembra piuttosto caratterizzata in generale dalla forte presenza della dimensione coercitiva.

(torna su)


5. La dimensione metropolitana.
Anche in riferimento al capoluogo pugliese dobbiamo pensare veramente che la città non rappresenta più un'entità isolata e che si deve veramente estendere l'attenzione ad un più ampio territorio comprendente il comune centrale, ovviamente, e quegli altri comuni che nell'insieme sembrano dar vita ad una rete di relazioni particolarmente intensa.
Appare allora evidente che se i soli dati relativi alla popolazione residente del capoluogo autorizzano a decretarne il blocco della crescita o addirittura il declino, ciò non è affatto sostenibile per una più vasta area avente Bari al suo centro.

(torna su)


6. Le trasformazioni sociali.
I movimenti demografici inducono a pensare ad un duplice meccanismo di inclusione/esclusione i cui effetti vanno considerati anche sotto l'aspetto sociale. Limitandoci agli anni '80 e ai primi anni '90, nei flussi di scambio complessivi Bari, pur sempre all'interno di un secco saldo negativo, si arricchisce di amministrativi e di attivi nelle professioni liberali, tecniche, scientifiche, e si "alleggerisce" invece di addetti alle industrie estrattive e manifatturiere e, in misura inferiore, all'edilizia; nello scambio con i soli comuni della provincia, il capoluogo perde qualcosa anche relativamente agli addetti al commercio e perde coniugati in misura particolarmente elevata: sono le famiglie di giovani coppie e con figli fino ad 11 anni che sembrano propendere (o essere costrette) più degli altri a lasciare la città. Se si considera tutto ciò non si può fare a meno di pensare che il gran movimento di nuovi ingressi e di uscite che ha visto e vede al centro la città abbia agito ed agisca anche come meccanismo di "travaso selettivo" sotto l'aspetto sociale.
Ovviamente questo fenomeno importante di osmosi sociale non fa che riflettere i notevoli mutamenti intervenuti nell'area barese, nel mercato del lavoro e nella struttura delle posizioni nella professione.
Più in generale, l'attuale ancor mutevole scenario economico e occupazionale appare fortemente segnato da un processo di terziarizzazione ancora consistente che ha interessato tutto il territorio e specialmente il capoluogo. Processo consistente ma non più sufficiente a compensare i cali di occupazione degli altri settori e pur sempre ambivalente (ammodernamento VS. sussistenza).
Tale processo ha trovato un indubbio catalizzatore nella perdita di capacità di tenuta che l'apparato produttivo industriale barese è venuto manifestando con accelerazione progressiva, specialmente nell'ultimo decennio, per via dello smantellamento - privatizzazione delle aziende a partecipazione statale e della crisi inesorabile di altre medio-grandi unità produttive.
Un altro aspetto importante delle trasformazioni degli ultimi decenni, poi, è dato indubbiamente dalla crescente presenza della componente femminile nelle dinamiche del mercato del lavoro. Al 1991 il peso di questa componente sul totale dei giovani in cerca di prima occupazione rappresentava ormai più del 40%.

(torna su)



7. Il problema dei problemi: il lavoro giovanile.
Per avere un'idea delle grandezze reali si pensi che nel 1991 i giovani in cerca di prima occupazione della provincia di Bari erano ormai quasi centomila, poco meno della metà dei quali si concentrava nell'area metropolitana barese.
Nel solo capoluogo, i 12 mila del 1971 erano diventati 18mila dieci anni dopo e, quindi ben 26 mila nel 1991 (il 20 % dell'intera popolazione attiva).
E tutto questo incremento si verificava, è qui il paradosso, mentre la popolazione barese diminuiva!
Più in generale, soltanto ventidue giovani su cento risultavano comunque occupati a fronte di un tasso di disoccupazione giovanile ben più elevato (26,5%). In presenza di questi dati non possono esserci dubbi: Bari rimane una città del Mezzogiorno e c'è ben poco di che consolarsi nel constatare che in città come Napoli, Palermo e Catania tassi di occupazione giovanile risultano ancora più bassi, ed ancora più elevati i tassi di disoccupazione.
Ritroviamo ancora una volta il capoluogo pugliese a livelli "meridionali" grazie alla quota residuale di giovani dai 14 ai 29 anni che non ritroviamo né tra gli occupati, né tra i disoccupati né tra gli studenti medio-superiori e superiori: nel 1991 raggiungevano un " allarmante" sedici per cento (15-16 mila unità) i giovani che, per esclusione, andrebbero considerati rifluiti nella "scatola nera" delle "non-forze lavoro", principalmente perché in condizione momentanea e definitiva di "non-attivi" (militari, portatori di handicap, malati cronici, ecc.) o perché impegnati nei diversi tipi di attività "sommerse", comprese quelle propriamente
illegali.
E' dunque l'infelice rapporto tra giovani e lavoro che costituisce anche nell'area barese il più grande e decisivo problema.

(torna su)


8. Lo spreco di risorse.
La cosa fa ancora più rabbia, se possibile, se si pensa che sempre al 1991, tra le dodici grandi città italiane, Bari era seconda alla sola Napoli per presenza di giovani (poco meno del 29% dei cittadini baresi si collocava nella classe di età 14-29 anni) e se si considera che nell'investimento di istruzione il capoluogo pugliese si distaccava notevolmente dalle altre grandi città del Mezzogiorno e si collocava in una posizione medio-alta nella graduatoria delle grandi città: ben trentacinque giovani dai 14 ai 29 anni su cento risultavano impegnati nella scuola media superiore o nell'università.
Anche questa notevole risorsa è purtroppo poco valorizzata.
E così, se nel conto degli sprechi, accanto al Petruzzelli, al Margherita, al Piccinni, all'Auditorium e agli altri "contenitori", e così via, mettiamo pure le giovani generazioni e la città "vecchia", con le sue preziose potenzialità mai sfruttate, viene da pensare che risulterebbe veramente difficile trovare tra le città di pari rango quella che potrebbe competere con il capoluogo pugliese nell'assurda corsa alla distruzione anziché alla valorizzazione delle proprie risorse ed alla loro trasformazione in annosi e rognosi problemi.

(torna su)


9. Polo di attrazione?
Altro che grande polo di attrazione!
La città di Bari ha finora campato di rendita giovandosi della scarsa concorrenza degli altri centri regionali e provinciali.
Oggi questo storico privilegio appare abbastanza in crisi.
Certo, ancora oggi è ancora possibile cogliere visibilmente nel capoluogo pugliese altri tipi di presenze non coincidenti con i residenti né con i pendolari "tradizionali". Tuttavia sembra proprio che sotto l'aspetto della ricreazione serale o di fine-settimana e degli appuntamenti annuali di carattere religioso o "mercantile" vi siano al momento più segnali di stallo che di sviluppo, mentre sotto l'aspetto delle funzioni culturali (cinematografica, teatrale, artistica, museale...) si può dire che il ruolo di Bari quale centro di attrazione si sia abbondantemente rimpicciolito. Appare più sostenuto invece il traffico che ruota intorno all'Università e ad alcuni centri di ricerca in termini di "convegnistica" scientifico-culturale, benché anche qui le cose appaiono piuttosto scoordinate e sotto dimensionate, specialmente se si considera il ruolo di "cerniera" tra Mediterraneo ed Europa che il capoluogo pugliese e le sue Università tendono ad avvalorare.

(torna su)


10. Meno male che ci sono gli universitari.
La componente della popolazione "provvisoria" che però assume nel capoluogo pugliese un consistente e stabile carattere di massa è quella degli studenti universitari fuori sede che dimorano a Bari per periodo più o meno lunghi dell'anno. Bari è sempre stata una delle grandi sedi universitarie del nostro paese per numero di iscritti. Nei primi anni novanta il sistema barese d'istruzione superiore si presenta anche più articolato, poche la Facoltà di Architettura appena istituita e la Facoltà di Ingegneria hanno dato vita al Politecnico, distaccandosi dall'Università. Nel 1994-95 gli universitari baresi (esclusi quelli delle sedi "gemmate" di Foggia e di Taranto) hanno ormai superato il numero di ottantamila.
Circa l'entità dei fuori sede, sappiamo da un'indagine empirica condotta su un campione rappresentativo di iscritti nell' a.a. 1993-94 che gli studenti non baresi gravitanti in quell'anno sulla solo Università barese (esclusi il Politecnico con i suoi oltre settemila iscritti e le sedi di Foggia e di Taranto) superavano abbondantemente le 40 mila unità e che di essi i dimoranti a Bari oscillavano tra le ventotto e le trentamila unità (sempre escludendo la quota di fuori sede del Politecnico).
La rilevanza dei numeri precedenti si coglie chiaramente se si considerano gli effetti prodotti ad esempio non soltanto sul mercato degli affitti di alloggi ma anche, in qualche misura, su quello delle abitazioni.
La figura tradizionale dello studente "pensionante in famiglia" è venuta via via scomparendo, non soltanto a Bari, per cedere il posto, pur sempre in assenza di efficaci politiche del diritto allo studio volte a garantire anche adeguate soluzioni abitative, a quella dello "studente-inquilino" che occupa insieme ad altri un intero appartamento condominiale. Sono pochi ormai i fuori sede che scelgono la pensione in famiglia e sono assolutamente pochi coloro che riescono a trovare una soluzione nelle esigue possibilità offerte dalle "case dello studente".
E dunque: via libera al libero mercato!
Si può stimare attendibilmente che a Bari il numero di appartamenti dati in uso a studenti si aggirasse appena qualche anno fa intorno alle settemila unità e che ben sei-otto miliardi si trasferissero mensilmente dalle tasche degli studenti a quelle dei proprietari.
"Fittare agli studenti" è diventato, così, un commercio rilevante.
Questa soluzione in effetti, mentre garantisce ai proprietari una certa rendita li pone anche in grado di far fronte all'esigenza di un pronto ed agevole recupero dell'alloggio. Per di più, poichè quasi 72 su cento degli studenti che alloggiano in appartamento hanno denunciato l'inesistenza di un regolare contratto, si può calcolare che almeno quattro-cinque miliardi tra quelli che vanno mensilmente ai proprietari grazie a questa sorta di "prestito in uso" di un alloggio, sono (potrebbero essere) occultati ai fini fiscali.
Non ci sarebbe da stupirsi allora se una cospicua parte degli appartamenti che assicurano ai proprietari una tal comoda rendita, risultasse alla verifica tra quelle abitazioni "non occupate" che nel 1991, alla data del Censimento, avevano raggiunto a Bari la cifra di quasi 16 mila, dalle 14mila che erano dieci anni prima.
Stando così le cose, il contrasto esistente a Bari tra appartamenti dichiarati "non occupati" e numero di sfratti ("sono 4.500 ma solo 200 per necessità"), contrasto talmente "stridente" da fare delle città una "vera e propria polveriera" (La Gazzetta del Mezzogiorno del 3 agosto 1995), o se si preferisce, il fenomeno contrastante che vede la gente andar via da Bari mentre risultano "inoccupati" tanti alloggi, sono fatti che perderebbero molto del loro carattere di paradosso proprio se si guardasse alle "speciali" convenienze che la domanda esercitata dagli universitari (e da altre più ristrette categorie di "abitanti transeunti") crea per tanti proprietari all'interno delle dinamiche di mercato. Di un mercato che si pensa tanto più "libero" quanto più gli è consentito di nascondere se stesso ed i suoi movimenti di cassa ed al quale, per definizione, non tocca preoccuparsi dei problemi sociali prodotti dai meccanismi di espulsione-successione di popolazione cui esso stesso dà origine.

(torna su)


11. La favola dell'ospitalità.
Inserire anche la popolazione degli abitanti temporanei della città nello scenario urbano non solo aiuta a comprendere come Bari si sia venuta plasmando secondo dinamiche abbandonate senza governo al loro evolversi spontaneo ma induce anche a rivedere criticamente il gran parlare che si fa sulla funzione dell'ospitalità barese.
Una costante che è dato ritrovare nel corso del tempo è l'enfasi particolare posta dalla società barese nell'accreditare della città l'immagine di importante centro del Mezzogiorno, "aperto" all'esterno, capace di grande ospitalità e orgoglioso di essere il principale punto di riferimento della domanda articolata proveniente da un territorio ben più esteso di quello provinciale o regionale. 
Tuttavia,
il caos del centro cittadino, il carattere "drogato" del mercato dei fitti e delle abitazioni, l'abbandono della città vecchia al degrado ed al dominio della criminalità organizzata, i tanti altri fenomeni ed episodi negativi (i "pellegrini" e le loro lamentele legate a disagi logistici e di altra natura, il degrado dell'arredo urbano collettivo, i casi di aggressione e di violenza agli "ospiti" della città, il dissesto della costa sotto i colpi dell'abusivismo e così via) ingenerano perplessità, amarezza e rabbia. L'impressione complessiva che se ne ricava è che Bari, sotto la tendenza dominante allo sfruttamento affaristico della risorsa costituita all'ospite esterno ha continuato a funzionare di fatto come semplice contenitore dei tanti segmenti dello scambio commerciale e non anche come unitario e composito luogo di fruizione "allargata" delle risorse ambientali, artistiche e culturali, proprie e del suo territorio. E' stato così più facile che in particolar modo la logica dell'arricchimento "privato" finisse per prevalere su qualsiasi altra logica che fosse capace di alimentare anche legittime preoccupazioni per l'impoverimento "pubblico".

(torna su)


12. Le occasioni "storiche".
Questa logica ha guidato di fatto e sembra guidare ancora il modo con cui si è enfatizzato e si enfatizzano le "grandi" occasioni.
A partire dagli anni Ottanta, anche a Bari sono venuti emergendo nuovi punti di aggregazione degli interessi "forti", nel quadro di un clima ottimistico-affaristico alimentato dall'idea di un progetto di modernizzazione della città che veniva sostenendo il blocco di potere politico incentrato sul Partito Socialista. In questo clima non poteva non avere una massima amplificazione la valenza "salvifica" rispetto ai problemi irrisolti della città di quelle manifestazioni "straordinarie" (sportive, celebrative, ecc.), la cui realizzazione prevede la possibilità di disporre di forti finanziamenti pubblici.
Una vicenda esemplare da questo punto di vista è stata quella dei campionati mondiali di calcio ospitati dell'Italia nel 1990.
Anche la città di Bari riuscì ad entrare nel gruppo delle città ospitanti. E anche nel capoluogo pugliese, si motivava la volontà di entrare in lizza con la necessità di non perdere l'occasione "vitale" per la città di costruire non soltanto un nuovo stadio -"tra i più belli del mondo"- ma anche una serie di strutture e infrastrutture, anche viarie, la cui validità si sarebbe rivelata nella sua pienezza soprattutto dopo lo svolgimento del campionato. C'erano poi da considerare i flussi di visitatori che il calendario degli incontri avrebbe richiamato in città.
"Storica" fu definita a suo tempo l'occasione dei Mondiali '90.
In effetti, però, tutto sembra esser andato ancora una volta secondo gli interessi di particolari ed importanti settori della società politica ed economica cittadina. Sotto la spinta emergente di quella "grande" opportunità esterna, in assenza di una chiara e realistica idea circa le linee di sviluppo della città, è facile che l'intenzione di sfruttare al meglio quell'occasione importante abbia finito per trasformarsi di fatto nella realizzazione affannosa di alcune opere decisa sulla base di meccanismi di scelta appartenenti più alla logica del bargaining che a quella di una realistica e lungimirante amministrazione.
"Storica" viene definita ancora oggi da più parti pure l'occasione rappresentata dai Giochi del Mediterraneo del 1997. Ma ora è più difficile che i cittadini baresi credano al valore risolutore di questo tipo di interventi mentre è più facile che se ne preoccupino in presenza dell'attuale quadro politico caratterizzato dalla palese incapacità di governare la città con i mezzi, le procedure ed i tempi della "normale" amministrazione e dalla mancanza di chiarezza su quali linee di sviluppo si intende lavorare.

(torna su)


13. Per (non) concludere.
Si può certamente dire che il capoluogo pugliese continua a caratterizzarsi per l'indubbia presenza di elementi di sviluppo e di modernità, ma anche di elementi di arretratezza. Per la presenza in campo di operatori economici che hanno dovuto e debbono fare i conti con le logiche di mercato, ma anche di tanti altri soggetti svincolati da esigenze di mercato in un campo di azione che ha sempre visto la presenza diretta o indiretta dello Stato quale elargitore di risorse, assistenze o privilegi. Per la coesistenza di attività legate ed orientate al profitto, e di meccanismi economici e finanziari legati alla rendita; l'uno e l'altro tipo di formazione di reddito presentandosi fortemente intrecciati all'interno di singoli comparti di attività. A cominciare da quello delle costruzioni che proprio negli anni Cinquanta-Sessanta sappiamo essersi sviluppato su basi e in condizioni tendenti a favorire tale commistione e che non per caso tra tutti i settori produttivi è quello che, come si fa giustamente osservare da più parti, ha stabilito nel bene e nel male più strette connessioni con le istituzioni di governo locale. Non è per caso che una delle idee più dure a morire sia stata quella dello sviluppo di popolazione proprio perché questa idea della consistente e inarrestabile crescita demografica della città è stata sempre alimentata ad arte dai non pochi soggetti, singoli o gruppi, interessati a vario titolo a tenere sostenuta la costruzione di nuovi appartamenti l'ipotesi di un fabbisogno residenziale commisurato a 650mila abitanti per la Bari del 2011 posta alla base del "Piano regolatore" benché può ancora essere considerata non del tutto sballata proprio perché quel piano, benché approvato nel 1976 e di fatto entrato a regime ancora dopo, fu elaborato sul finire degli anni '60 e ne risentiva del clima euforico. Lascia invece perplessi che, ancora nella metà degli anni '80, in presenza ormai di elementi certi circa il tendenziale calo demografico, il PPA 1986/90 pronosticasse la realizzazione di quasi 100mila nuovi vani residenziali per consentire una capacità abitativa complessiva di 620mila abitanti.
Il re ora è finalmente nudo.
Non vi sono più ragioni né alibi di natura demografica che possano giustificare ulteriori piani di cementificazione del territorio urbano. Né alibi di natura sociale, poiché la storia della trasformazione fisica del territorio barese è costellata di numerosi e rilevanti paradossi ma ciò non vuol dire naturalmente che lo sviluppo edilizio sia avvenuto senza che prevalessero le regole orientate ai bisogni collettivi della città, sicché si è costruito molto senza che l'offerta incontrasse proprio la domanda di quelle fasce di popolazione che soffrivano maggiormente della tensione abitativa.

(torna su)


14. Gli immigrati. La criminalità organizzata.

Bisogna aggiungere che la consueta difficoltà di leggere il capoluogo pugliese si è particolarmente accresciuta a partire della storia più recente, per l'apparizione nello scenario metropolitano di due importanti fenomeni peraltro variamente collegati: l'immigrazione (prevalentemente clandestina) dai paesi "extracomunitari" e la criminalità organizzata di stampo mafioso.
Ci si limita qui ad osservare che anche in riferimento all'area barese, circa la presenza di immigrati si deve parlare ormai di un "quinto tipo" di popolazione che già per l'immediato futuro sarebbe un errore considerare "transeunte" e di scarsa rilevanza.
E che , più in generale, processi e vicende del territorio barese vanno ormai letti in un quadro sistemico che comprenda quanto più possibile anche la multiforme realtà fatta di lavoro nero, di abusivismo, di attività economiche e finanziarie di facciata, di "cordate" e collusioni per l'accaparramento di appalti pubblici, di traffici illegali (immigrati, droga, armi, tabacchi esteri, ecc.), collegabili più o meno direttamente alla presenza attiva del crimine organizzato. 
Sarebbe un errore ancor più grave continuare a considerare la criminalità organizzata come entità estranea e non "infiltrata" nel tessuto economico, sociale e politico del territorio.
Sta di fatto che Bari, resa ormai più "leggera" anche a causa del forte ridimensionamento del suo apparato produttivo industriale, ha visto accrescersi esageratamente le iniziative in alcuni di quei comparti di attività (intermediazione finanziaria, assicurazione, ristorazione, attrezzature sportive ecc.) che possono funzionare (che altrove hanno funzionato) da terreno di più facile penetrazione dell'economia "legale" da parte di operatori di dubbia provenienza. E sta di fatto che le diffuse dimostrazioni di consumi vistosi esistenti in questa città alludono ad una circolazione di denaro che appare sproporzionata rispetto alla sua effettiva produzione di ricchezza.
Il capoluogo pugliese, carente innanzitutto sotto l'aspetto del governo politico e dell'impegno civile e istituzionale, pare avere assistito, distratto e tollerante, al diffondersi di comportamenti a-legali e microcriminali, cosa più grave sembra non aver avuto il tempo di accorgersi come venisse insediandosi e radicandosi al suo interno il cancro della malavita organizzata, divoratore di economia "buona" e di vivibilità civile.
La città - il suo gruppo di governanti - non sembra abbiano capito sino in fondo che la diffusione di comportamenti a-legali e illegali da un lato, della criminalità comune (adolescenziale, giovanile e adulta) dall'altro, e del crimine < che si fa impresa > dall'altro lato ancora, costituiscono anche e soprattutto a Bari un continuum la cui potenza distruttiva per la vita dell'intero territorio andrebbe affrontata contestualmente su tanti fronti di lotta: dalle varie forme di occupazione abusiva di suolo pubblico, alla cosiddetta microcriminalità, soprattutto quella adolescenziale e giovanile, al contrabbando di tabacchi, fino alla grande ricettazione collegata alle rapine ai Tir, al racket delle estorsioni, al traffico e spaccio di droga e/o di armi, ecc.
E così ci si trova oggi ad affrontare senza nerbo né idee-guida un presente denso di minacciosi presagi di decadenza.

(torna su)
 GRUPPO DI LAVORO COORDINATO DAL PROF. ENZO PERSICHELLA ( Sociologo- Università degli Studi di Bari) 

Bari, giugno 1996