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PUNTA PEROTTI

di Nicola Colaianni (da Repubblica - Bari )

L’eccezione e la regola.

O, piuttosto, l’eccezione è la regola. Sembra questo il nuovo livello guadagnato dal Comune nella sua tattica dilatoria su punta Perotti.

Due mesi fa, conosciuto il dispositivo della Cassazione, si dichiarò ufficialmente in attesa di “maggiori e più sicuri elementi”. In realtà, nella sostanza risultava tutto chiaro dalla semplice lettura del dispositivo, come subito scrisse questo giornale (6 aprile).

La motivazione della sentenza non poteva riservare sorprese: demolizione ad opera del Comune.

Salva, s’intende, la possibilità di conservazione dei fabbricati, che è eccezionale.

Che vi dicevo io? -esulta il Temporeggiatore di Palazzo di città- meno male che non abbiamo già demolito.

Demolire è la regola, ma c’è sempre l’eccezione. E in questo Palazzo l’eccezione è quello che conta, è quella la regola da osservare: se si può fare l’eccezione.

E, dunque, si torni in Consiglio comunale.Per ridiscutere tutto il destino di quella zona. Globalmente, perdinci: dall’ex albergo delle Nazioni a S. Giorgio!

Ha senso decidere su punta Perotti –appena una punta del lungomare che poi finisce per intitolarsi a Di Cagno Abbrescia- isolandola dal contesto? E la sede della Regione, il Sacrario, la linea ferroviaria con tanto di sovrappassi e sottopassi dove li mettiamo?  

C’è ben altro che quegli scheletri nella zona.

Certo che sì e va bene, naturalmente, la riqualificazione. Che però, prospettata così a tutto spiano –guarda caso- proprio ora, ha le sembianze di un porto delle nebbie, in cui far incagliare punta Perotti. Mentre è il caso di ricordare, sommessamente, che c’è l’urgenza di eseguire una sentenza penale. E’ da oltre due anni che il Comune, pur se “carente d’interesse” (lo dice la tanto attesa motivazione della sentenza, pag. 15), impugna provvedimenti giudiziari.

E mena così il can per l’aia invece che adottare i “provvedimenti di competenza in ordine agli immobili transitati nel suo patrimonio”. 

Non sembra il caso di rimettere ora la palla al centro per inquadrare nell’universo della costa sud la pretesa “eccezionalità” di punta Perotti. In realtà, la tanto decantata “eccezione”, che la Cassazione ha ricordato, si limita al caso che l’immobile abusivo “non contrasti con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali”. Solo in tal caso il Consiglio comunale può passare, eventualmente, a dichiarare “l’esistenza di prevalenti interessi pubblici” e così evitare la demolizione. Ma nella specie il contrasto con interessi ambientali è stato già accertato con sentenza penale divenuta irrevocabile. Gli immobili sono stati edificati in una zona di inedificabilità assoluta (ed è tutto da vedere che ora sarebbero edificabili). La Cassazione lo ha detto due anni fa; e lo ha soavemente ricordato due giorni fa: “ritenuta la sussistenza dei vincoli in questione” (pag. 2).  

La discussione che deve affrontare il Consiglio comunale è, quindi, molto semplice.

Si tratta sostanzialmente di una presa d’atto del giudicato penale.

Naturalmente, il Consiglio può ampliare la discussione: tanto più a fronte del legittimo ostruzionismo giudiziario ventilato dagli ex proprietari. L’importante, per la dignità dell’istituzione, è che il Consiglio non ne discuta con loro, che non ne hanno più titolo perché “ormai privati di ogni diritto reale sui beni assoggettati alla confisca” (pag. 12).

Non c’è spazio per la mediazione: non solo per quella levantina, dimostrata da alcune forze politiche locali, ma neppure per quella istituzionale, che anche nel nostro paese viene nobilmente studiata come alternativa al processo come conflitto. E per cui, proprio con riferimento a punta Perotti, si è ufficialmente proposto qualche tempo fa un istituto universitario statunitense.

Fatt’è che qui non ci sono solo interessi civili da comporre senza che nessuno perda del tutto.

Ci sono prevalenti –appunto- interessi pubblici, fuori della disponibilità delle parti come definitivamente accertato dal giudice penale. Ogni “addolcimento” dell’esercizio della giurisdizione, per favorire una risoluzione del “dilemma tra lealtà e libertà” (come ha scritto della mediazione il sociologo Bauman), risulterebbe fuor d’opera rispetto ad un giudicato penale già formatosi.

Per la precisione:

un cedimento agli interessi privati.