(Studi preliminari) (AMP in Italia)  


L'istituzione di Aree Marine Protette nella normativa italiana

 
La normativa italiana in tema di protezione di aree marine prevede diverse tipologie d’intervento, mediante l’istituzione di zone di tutela biologica, di zone in concessione demaniale, di riserve naturali marine e di parchi marini.

La legge n. 963 del 1965 ed il DPR n. 1639 del 1968, che ne costituisce il regolamento di attuazione, indicano la possibilità di proteggere alcune aree significative per la tutela delle risorse biologiche, nel contesto della gestione delle risorse di pesca, mediante l’istituzione di zone di tutela biologica da parte del Ministero della Marina Mercantile (attualmente, in seguito alla soppressione di questo Dicastero, le competenze in tema di pesca marittima sono state trasferite al Ministero per le Politiche Agricole e Forestali). Questo provvedimento vieta o limita nel tempo le attività di pesca nelle zone di mare le quali, in base a dati scientifici, siano riconosciute come aree di riproduzione o di accrescimento di specie marine di importanza economica o che risultino impoverite da uno sfruttamento troppo intenso. delphinus.jpg (32254 byte)Nelle zone di tutela biologica, quindi, lo scopo della protezione non è la conservazione degli ecosistemi naturali, bensì la salvaguardia delle risorse di pesca; in esse non si prevede una gestione attiva, comprendente azioni di sviluppo delle attività didattiche, ricreative e produttive compatibili, ma solamente il divieto di esercitarvi attività di pesca.

Sino al 1982 l’alternativa alle zone di tutela biologica era, in Italia, la concessione demaniale in aree costiere di limitata estensione, ai sensi dell’art. 36 del Codice della Navigazione, secondo il quale “l’Amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze di pubblico uso, può concedere l’occupazione e l’utilizzo, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo”. Un ulteriore passo avanti nella realizzazione pratica di questa possibilità, per la prima volta sfruttata nel 1973 dal WWF per l’istituzione del Parco Marino di Miramare, è stato compiuto grazie alla Circolare n. 237 del 1987, da parte del Ministro della Marina Mercantile, con la quale le Capitanerie di Porto vengono invitate a facilitare le procedure per la concessione demaniale di aree marine per l’istituzione di zone protette. La concessione può essere richiesta da Associazioni ambientaliste, Università ed Enti Parco terrestri prospicienti l’area marina da proteggere.

 

E’ però con la legge n. 979 del 1982 (“Disposizioni per la difesa del mare”) che l’Italia si dota, per la prima volta, di uno strumento giuridico che prevede l’istituzione di aree marine (definite nel testo non molto propriamente “Riserve Marine”) in cui proteggere e salvaguardare l’ambiente naturale in quanto tale, e non per finalità di gestione delle risorse ittiche di interesse economico.Prevale così, finalmente, l’interesse per le caratteristiche naturali di un’area, con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine. Le riserve marine da istituire sono comprese in un elenco di venti aree, distribuite lungo tutte le coste italiane (vedi cartina), e per ognuna di esse è prevista l’attivazione di un’istruttoria atta a verificarne la fattibilità.
Scendendo nel dettaglio, il testo di legge è articolato in sette titoli: il primo (“Norme programmatiche”) prevede la formulazione del “Piano generale di difesa del mare e delle coste marine dall’inquinamento e di tutela dell’ambiente marino” quale strumento di indirizzo, promozione e coordinamento degli interventi e delle attività nel settore; il secondo (“Vigilanza in mare”) delinea, tra l’altro, l’istituzione di un servizio di protezione dell’ambiente marino, di vigilanza costiera e di intervento per la prevenzione ed il controllo dell’inquinamento in mare.
Le Aree Marine Protette sono trattate in maniera specifica nel titolo quinto (“Riserve Marine”); queste, secondo la legge, sono costituite da”ambienti marini, dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti, che presentano un particolare interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche, con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine costiere e per l’importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed economica che rivestono”.
La legge 979/82 ha costituito un fatto altamente positivo, nonostante alcuni limiti (Diviacco, 1990); inoltre la sua applicazione ha subito ritardi dovuti alla complessità dell’iter burocratico e alla difficoltà di far accettare in tempi brevi situazioni nuove e, per alcuni aspetti, scomode a livello centrale e locale.
La legge affida alla Consulta per la Difesa del Mare dagli Inquinamenti (poi soppressa con legge 426/98) il compito di effettuare le istruttorie finalizzate all’istituzione delle venti riserve marine previste, oltre a quello di individuare eventuali altre aree meritevoli di tutela; per fare ciò la Consulta si può avvalere di istituti scientifici, laboratori ed enti di ricerca e, in ogni caso, deve chiedere parere all’Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica applicata al Mare (ICRAM). Ottenuti anche i pareri delle Regioni e dei Comuni territorialmente interessati, si può procedere all’istituzione delle riserva marina.
Mentre nel testo giuridico originario il Decreto Ministeriale istitutivo doveva essere emesso dal Ministero della Marina Mercantile, una successiva modifica ha introdotto il “concerto” di tale Dicastero con quello dell’Ambiente, istituito nel 1986 con legge 349. Nel 1993, infine, con la soppressione del Ministero della Marina Mercantile, la competenza è rimasta solamente al Ministero dell’Ambiente.

Per quanto riguarda lo svolgimento delle attività previste ed il raggiungimento delle finalità gestionali di ogni riserva, il Ministero opera attraverso l’Ispettorato Centrale per la Difesa del Mare; la legge prevede, inoltre, che la gestione possa essere concessa ad Enti Pubblici, istituzioni scientifiche ed associazioni riconosciute, attraverso la stipula di una convenzione pluriennale. Infine, presso le Capitanerie di Porto territorialmente competenti (sostituite dall’Ente gestore dell’Area protetta, con la legge 426/98), il Ministro costituisce una Commissione di Riserva che affianca l’Ente Gestore nelle attività istituzionali, definite e programmate nell’ambito del Regolamento di Gestione della Riserva Marina. La Commissione è costituita da rappresentanti sia dell’Amministrazione centrale, sia di quelle locali, da rappresentanti delle associazioni ambientali e delle categorie economiche.
Solamente a questo punto l’area protetta, benché esistente ufficialmente dal momento dell’istituzione, può iniziare la propria attività a tutti gli effetti, con il sostegno economico e finanziario dello Stato, previsto dalla legge; è proprio per questo motivo che l’approvazione del Regolamento dovrebbe seguire rapidamente l’atto istitutivo. Purtroppo ciò non avviene praticamente mai e, per rimanere in ambito italiano, il Regolamento di alcune delle aree già istituite è stato approvato solo dopo alcuni anni e, in alcuni casi, non esiste una vera gestione a distanza anche di parecchio tempo dall’istituzione, ma solamente una serie di vincoli e di divieti sulla carta. Le cause di queste difficoltà e di questi ritardi possono essere molteplici e di non facile schematizzazione. Tra di esse bisogna includere, da un lato, la novità del problema per il nostro Paese e, quindi, una ancora ridotta sensibilizzazione pubblica soprattutto a livello locale, nonché una scarsa tradizione ed esperienza a livello progettuale, dall’altro una purtroppo eccessiva burocratizzazione delle istituzioni preposte, che contribuisce ad allungare i tempi in maniera anomala, anche per atti semplici e teoricamente di rapida esecuzione.
La legge 979, infatti, essendo stata firmata dal Presidente della Repubblica il 31 dicembre 1982, è ovviamente diventata operativa nel 1983, anno in cui hanno avuto inizio le fasi di costituzione delle strutture del Ministero dell'Ambiente e di adeguamento del personale, previste dalla legge stessa, le quali hanno richiesto tempi lunghi, per la lentezza della burocrazia. Peraltro, queste procedure non si sono mai completamente concluse, in quanto ancora oggi strutture e personale dell’ICRAM risultano sottodimensionati rispetto alle esigenze. Nel corso dei primi anni è stato inoltre necessario approfondire gli aspetti conoscitivi e metodologici di questa materia, nuova per la normativa italiana, e definire le modalità di esecuzione degli studi di fattibilità, secondo standard predisposti dalla Consulta per la Difesa del Mare.
Negli anni 1985-87 sono stati pianificati ed effettuati i primi studi, tra cui quelli commissionati all’ENEA per le Cinque Terre e per il Golfo di Orosei, i quali hanno fornito un quadro conoscitivo delle due aree, senza però giungere, all’epoca, ad una proposta operativa di riserva marina.
Visti i tempi lunghi e gli elevati costi per l’attuazione di un programma dettagliato di ricerche per tutte le venti aree elencate nella legge, la Consulta decise, per alcune zone ritenute maggiormente rappresentative da un punto di vista ambientale e socioeconomico, e con situazioni locali favorevoli, di eseguire in proprio, senza ricorrere ad affidamenti esterni, indagini rapide, basate soprattutto su informazioni esistenti. Così, per il Golfo di Trieste, venne considerata la già esistente area di concessione demaniale attorno al Castello di Miramare, gestita dal WWF e, per l’Isola di Ustica, furono recepite le richieste documentate di tutela avanzate da ricercatori ed ambientalisti. In queste due aree sono state quindi istituite, nel 1986, le prime riserve marine italiane.
La stessa procedura è stata, in seguito, adottata anche per le Isole Ciclopi, le Isole Egadi e le Isole Tremiti, per le quali, però, è stato chiesto anche il sostegno tecnico-scientifico dell’ICRAM, che ha svolto, in tempi rapidi, sopralluoghi e indagini sulla situazione ambientale e socio-economica, anche tramite incontri con le comunità locali e collaborando alle proposte di zonazione.
Spesso i tempi stretti richiesti dalla Consulta, uniti all’indisponibilità di fondi da parte del Ministero, non ha consentito l’esecuzione di indagini approfondite, come le complesse realtà ambientali ed antropiche avrebbero richiesto. Per alcune di queste aree ciò ha avuto, in seguito, ripercussioni sull’accettazione locale di particolari decisioni riguardanti la zonazione ed i vincoli.

Per tutte le restanti zone elencate nella legge 979/82, proprio per i motivi appena visti, la Consulta ha nuovamente optato per l’affidamento delle indagini all’ENEA, Università ed altri Enti di ricerca, garantendo, a fronte di tempi e costi ben maggiori, l’elaborazione di proposte più complete e con maggiori possibilità di confronto a livello locale.

Verso la fine del 1991 accade un evento storico per la protezione della natura in Italia: l’approvazione della tanto attesaLegge-quadro sulle aree protette” (legge 394/91), dopo una gestazione di circa venti anni. Per quanto riguarda l’ambiente marino, le novità più evidenti rispetto alla precedente legge 979/82 riguardano la distinzione tra riserve marine e parchi marini e l’individuazione di altri 26 siti di reperimento, due dei quali in parte sovrapponibili con altrettante aree delle venti individuate in precedenza, facendo riferimento al Protocollo di Ginevra relativo alle aree del Mediterraneo particolarmente protette di cui alla legge 127 del 1985.
Anche questa normativa presenta però articoli poco chiari, per quanto riguarda le Aree Protette Marine, i quali lasciano spazio ad interpretazioni diverse. In particolare, di tali aree si parla nel Titolo II (“Aree naturali protette nazionali”), e, precisamente, negli articoli 18, 19 e 20; nell’art. 19 si legge, tra l’altro, che “Con apposita convenzione da stipularsi da parte del Ministro dell’Ambiente, la gestione dell’area protetta marina può essere concessa ad Enti Pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni riconosciute” ed ancora che “Qualora un’area marina protetta sia istituita in acque confinanti con un’area protetta terrestre, la gestione è attribuita al soggetto competente per quest’ultima”. Secondo gli esperti quest’ultima norma è generale e si applica in tutti i casi in cui esista un parco costiero confinante, nazionale o regionale, ma secondo alcune fonti ministeriali è valida solamente se il parco costiero è classificato come nazionale, adducendo la motivazione che un parco regionale non può gestire un’area protetta marina nazionale. A parte le considerazioni dettate dal buonsenso, secondo cui appare poco fruttuoso, antieconomico e foriero di ulteriori sovrapposizioni di competenze e conflittualità, permettere l’esistenza di due enti separati per la gestione delle due aree protette confinanti, la legge non afferma che quella terrestre debba essere obbligatoriamente nazionale; inoltre il testo giuridico prevede che la gestione possa essere affidata ad Enti Pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni riconosciute e, quindi, a maggior ragione, all’Ente Pubblico che gestisce il parco terrestre confinante.
Il Titolo IV (“Disposizioni finali e transitorie”) riguarda ancora le aree protette marine nell’art. 36, in cui si parla delle aree di reperimento. Non viene però specificato se l’elenco fornito, che si aggiunge a quelli ex lege 979/82, si riferisca a possibili futuri parchi marini statali o anche regionali. Il fatto che esso, sia inserito all’interno della legge nazionale, assieme ai parchi nazionali, farebbe pensare alla prima ipotesi.
In seguito alla soppressione del Ministero della Marina Mercantile, la competenza nel settore delle aree protette marine risulta totalmente affidata al Ministero dell’Ambiente, il quale, attualmente, è quindi preposto sia alle procedure concernenti i provvedimenti istitutivi, sia alle azioni riguardanti le aree protette già istituite. Questa unificazione delle competenze potrebbe far pensare ad una razionalizzazione e semplificazione delle procedure, con un conseguente risparmio in termini di tempo. La situazione è, invece, complicata dal fatto che all’interno dello stesso Dicastero esistono due strutture, il Servizio Conservazione della Natura (SCN) e l’Ispettorato Centrale per la Difesa del Mare (ICDM), tra le quali, per quanto concerne le aree protette marine, non sembrano esserci state nette suddivisioni di competenze; ciò ha necessariamente provocato sovrapposizioni e conflittualità fra i due Servizi che si ripercuotono negativamente sull’iter istitutivo.

 E’ opportuno citare altre due leggi, emanate successivamente alla 394/91, riguardanti le aree marine anche se in misura diversa. Esse sono le leggi 344/97 426/98.
puntros.gif (865 byte)La  legge n. 344 del 1997 (“Disposizioni per lo sviluppo e la qualificazione degli interventi e dell’occupazione in campo ambientale) integra l’elenco dei siti di reperimento, aggiungendo il Parco Marino Torre del Cerrano, situato lungo la costa abruzzese. La zona in questione è sabbiosa, con le sedi stradale e ferroviaria parallele alla spiaggia e sabbioso si presenta anche il fondale antistante. Sulla base delle informazioni disponibili non sono quindi chiare le motivazioni dell’istituzione di un’area protetta marina in questa zona, con relativo impegno di risorse pubbliche, in quanto non sembrano essere presenti specie o ecosistemi rari o minacciati. Si ricorda ancora una volta che le aree protette costituiscono una forma speciale di gestione dell’ambiente e del territorio, richiedendo impegni e risorse particolari, che si giustificano con la particolarità e sensibilità delle zone interessate. Proporre forme particolari di tutela in siti privi di tali peculiarità e sensibilità ambientali, i quali possono essere gestiti semplicemente applicando la normativa ordinaria, può avere l’effetto di sminuire e non far comprendere il vero importante ruolo delle aree protette.
puntros.gif (865 byte)La legge n. 426 del 1998 (“Nuovi interventi in campo ambientale) contiene, innanzitutto, una nuova integrazione all’elenco, costituita dal “Santuario dei Cetacei” nell’Alto Tirreno-Mar Ligure”, istituito in collaborazione con i Ministeri dell’Ambiente di Francia e del Principato di Monaco. Sempre questo provvedimento legislativo sopprime la Consulta per la Difesa del Mare dagli Inquinamenti, le cui funzioni vengono trasferite ai competenti uffici del Ministero dell’Ambiente.
Per l’istruttoria preliminare relativa all’istituzione di aree protette marine, la legge prevede la costituzione di una Segreteria Tecnica per le Aree Protette Marine, composta da dieci esperti, presso l’Ispettorato Centrale per la Difesa del Mare.
Altre modificazioni introdotte dalla legge 426/98 sono il trasferimento dalle Capitanerie di Porto all’Ente Gestore della Commissione di Riserva, la quale deve essere presieduta non più dal Comandante della Capitaneria, bensì da un rappresentante del Ministero dell’Ambiente; inoltre, la sorveglianza potrà essere effettuata non solo dalle Capitanerie, ma anche dalle Polizie degli Enti Locali delegati alla gestione.

Si può, infine, citare un’ultima recente norma che riguarda, anche se solo marginalmente, le aree protette marine, per l’importanza che riveste dal punto di vista del decentramento amministrativo e della semplificazione delle procedure. Si tratta del Decreto legislativo n. 112, del 31 marzo 1998  (“Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti Locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”), attuativo della cosiddetta “Legge Bassanini”. Tale Decreto afferma, all’articolo 77, che i compiti e le funzioni in materia di parchi e riserve statali anche marine, hanno rilievo nazionale e, quindi, rimangono allo Stato. Però, lo stesso articolo, al comma 2, afferma che l’individuazione, l’istituzione e la disciplina generale dei parchi e delle riserve nazionali, comprese quelle marine, nonché l’adozione delle relative misure di salvaguardia sulla base della Carta della Natura, sono operati sentita la Conferenza Unificata, istituita ai sensi del D.L. n. 281 del 1997, e cioè sentite le Regioni interessate.
 
Da quanto detto emerge chiaramente, da un lato, la complessità dell’iter burocratico e, dall’altro, la difficoltà ed i ritardi nell’applicazione delle normative. Ciò ha avuto come conseguenza il fatto che, dal dicembre 1982 al dicembre 1998, siano state istituite solamente 15 aree protette marine, di cui due funzionanti da diversi anni, grazie alla presenza di un effettivo Ente Gestore (il WWF a Miramare ed il Comune ad Ustica), una affidata di recente in gestione alla Provincia di Crotone (Capo Rizzuto) dopo anni di gestione teorica alla competente Capitaneria di Porto, una (Isole Tremiti) affidata al Parco Nazionale del Gargano e le altre esistenti, in pratica, solo sulla carta.
Infatti, per alcune la gestione è ancora affidata alle Capitanerie di Porto competenti territorialmente (Isole Ciclopi, Torre Guaceto ed Isole Egadi), per altre, istituite a partire dal 1997, erano ancora in corso, alla fine dell’anno successivo, la procedure per l’affidamento. A proposito delle Capitanerie di Porto, bisogna ricordare che esse, oltre ad essere gravate da compiti e carenze di mezzi ed organico, possiedono competenze istituzionali e professionali completamente differenti da quelle necessarie per garantire il raggiungimento degli obiettivi di un’area protetta (gestione concreta ed attiva, promozione e sviluppo delle attività di pianificazione, di ricerca, di didattica, ecc.).

La stasi nelle attività ministeriali finalizzate all’istituzione ed al funzionamento delle Aree Protette Marine è molto sentita dai ricercatori, dagli ambientalisti e da tutti coloro i quali hanno a cuore la gestione razionale ed il mantenimento delle risorse naturali del nostro Paese; a questo proposito si ricorda che è sempre più reale e concreta la richiesta, effettuata dalle associazioni ambientaliste, di non istituire più altre Aree Protette Marine, fino a quando non sarà garantita la gestione regolare ed effettiva di quelle già esistenti.


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