Il fantasma del laboratorio  

                                                          di Silvia Torrelli

 

  Il laboratorio era un’autentica amenità: non aveva mai visto nulla del genere, ne aveva solo sentito parlare.

C’era sempre un frangente infatti durante il quale i professori, a lezione, smettevano di parlare per due secondi e proseguivano con “Questo, poi, lo potrete constatare quando entrerete in un laboratorio”, oppure “Ve ne renderete conto quando lavorerete per la tesi”, ed anche  “ E’ un esperimento particolare: i dettagli, in laboratorio.”

I ragazzi più grandi ai quali chiedeva consigli sbuffavano, oppure sgranavano gli occhi, un po’ insofferenti: “Sei lo schiavo del professore, esci il pomeriggio, torni a casa stanco morto, e poi ti devi mettere a studiare per il prossimo esame.”

Ma c’era anche chi aveva gli occhi che rilucevano dalla soddisfazione: “Gli esperimenti sono riusciti. Avrò la pubblicazione subito dopo aver discusso la tesi.”

 

Il  lungo pellegrinaggio di laboratorio in laboratorio, di professore in professore, si era concluso alla fine in un dipartimento distaccato dell’università, in un edificio fatiscente che aspettava di venir ristrutturato, dove tesisti e dottorandi si vantavano di poter disporre di molto tempo libero rispetto ad altri.

Ma le condizioni erano spaventose: nonostante le continue promesse di rimessa a nuovo, era un periodo maledetto per la ricerca, mancavano i soldi, si lavorava con strumenti vecchi, i muri erano scrostati, le tracce dell’impianto elettrico in bella vista, le mattonelle dei pavimenti divelte, per cui bisognava fare attenzione a non inciampare.

La vetreria e i materiali in plastica, che di solito venivano gettati nei rifiuti, venivano pedissequamente riciclati, lavandole con sapone per piatti e candeggina.

Quell’estate fu caldissima: le finestre erano sempre chiuse anche perché i cardini, molto vecchi e mai più lubrificati, potevano far schiantare le ante a terra.

Almeno c’erano i condizionatori: vecchissimi, enormi, delle grosse macchie scure in alto, sulle pareti delle stanze del piano interrato; di solito non venivano azionati ed i tesisti soffrivano in silenzio.

Fu a seguito di quell’incredibile estate che il ragazzo contrasse la febbre, forse a causa dello sbalzo di temperatura causato dai condizionatori.

Una storiaccia insomma, raccontata con gusto da Flavio e smentita da tutti i professori.

Però, in seguito a quel triste episodio, l’edificio venne immediatamente ristrutturato. 

 

 Questa è una leggenda che circola nei vari laboratori universitari, ogni riferimento a persone, luoghi e cose, è puramente casuale.

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