GLI STUDENTI CONTRO IL BUONO SCUOLA DI FORMIGONI. E IL SINDACATO?


15 ottobre 1999

 

3000 studenti a Milano al corteo della Rasc mercoledì 13 ottobre per protestare contro il "buono scuola" di Formigoni; 1500 il giorno dopo al presidio davanti al Pirellone promosso dal coordinamento dei collettivi al quale hanno partecipato diverse sigle del mondo della scuola e della politica: Uds, Rasc, Comitato di Difesa della Scuola Pubblica, CGIL, Rifondazione comunista. Il via alle iniziative era stato dato da un'assemblea pubblica dei sindacati confederali e dell'Uds, giovedì 7 ottobre all'Istituto "Caterina da Siena", che ha visto la partecipazione di circa 300 delegati. Il prossimo appuntamento è per martedì 19 ottobre al Liceo "Parini", organizzato dal Comitato di Difesa della Scuola Pubblica.
Oggetto della protesta è l'iniziativa della Regione Lombardia, presieduta dal vecchio ciellino Formigoni, ora Forza Italia, di stanziare fondi del bilancio pubblico regionale per sostenere le famiglie che mandano i propri figli alla scuola privata: il "buono scuola", appunto.
Quello del "buono scuola" è un vecchio cavallo di battaglia della destra moderata laica e cattolica che si riconosce nel Polo (ma non solo), del Movimento popolare (CL) e di Forza Italia soprattutto. Costituisce un tassello importante del più ampio modello di ristrutturazione e riforma del servizio pubblico (scolastico e non solo) da queste forze sostenuto, e che riscontra numerose simpatie tra gli esponenti di un sindacato di categoria come la Gilda.
Il novembre scorso 118 tra professori, deputati e senatori di un ampio ventaglio di forze parlamentari (FI, An, Ccd, Cdu, Udr, Ppi e Lega) hanno sottoscritto un appello per una "Libera scuola in libero stato", nel quale si chiedeva il "buono scuola" per mettere sullo stesso piano di parità scuola pubblica e scuola "libera". Per Berlusconi e per i Giovani di Forza Italia il "buono scuola" è la soluzione per risolvere la questione della parità scolastica (si veda il "Progetto scuola di Forza Italia Giovani" nella rubrica "I nostri avversari"); l'Associazione Genitori Studenti Cattolici (Agesc) sosteneva nell'aprile scorso, in occasione di analoghe iniziative della Regione Emilia-Romagna a sostegno delle scuole private, che solo il "buono scuola" garantisce la libertà di scelta dei genitori. Concludiamo questa breve rassegna con la geniale battuta, detta però molto seriamente, di Dario Antiseri e Lorenzo Infantino, esponenti di spicco di questa linea di pensiero: "L'introduzione del 'buono scuola' farebbe scomparire quel 'rito' annuale che è l'occupazione delle scuole. Difatti, qualora, per le più svariate ragioni, una scuola non riuscisse gradita a singoli o a gruppi più o meno numerosi di studenti, sarebbe sufficiente cambiare scuola". (Il Sole 24 ore, 11 maggio 1996). - Beata innocenza, verrebbe da dire!
La proposta di introduzione del "buono scuola" fatta dalla destra e sostenuta da ampi settori del mondo cattolico ha come unico scopo quello di potenziare la scuola privata, che si vuol far passare, surrettiziamente, per "pubblica", ovvero quello di venire incontro alle esigenze di un ceto relativamente benestante che, volendo mandare i propri figli presso scuole non statali, desidera spendere il meno possibile. Si usa come ariete di sfondamento la crisi - sicuramente evidente - del sistema scolastico italiano, non per avviare una riforma complessiva del sistema scolastico nazionale, salvaguardandone il suo carattere "pubblico", ma per promuovere un sistema aziendalistico dell'istruzione che premi - a detta loro - il merito, l'efficienza, la libertà di scelta; che istituisca - diciamo noi - scuole di prima e di seconda (o anche di terza, quarta, ecc.) categoria. E le risorse per questa riforma "antistatalista e antiburocratica"? Si reperiscono stornandole dal bilancio pubblico e finanziando le famiglie con il "buono scuola" (o con il credito d'imposta, detraendo cioè le spese scolastiche dalla dichiarazione dei redditi). Che la scuola privata sia una scuola di pochi e non di tutti è confermato dal fatto, dato per scontato dalla destra stessa, che il "buono scuola" è insufficiente a pagare le rette dei singoli istituti, che dovranno essere integrate di tasca propria dalle famiglie. Poiché una retta media annua privata va dai 7 ai 10 milioni circa, mentre le tasse scolastiche statali sono nell'ordine delle 200-300mila £. va da sé chi ci guadagnerà dall'intera operazione!
Oggi la questione si ripresenta con ancora più forza e concretezza in Lombardia, a Milano, dove Formigoni è andato addirittura oltre le indicazioni dello schieramento a cui appartiene. Il "buono scuola", che per i Giovani di Forza Italia deve costituire un "finanziamento pubblico" che "andrebbe non alla scuola ma agli studenti aventi diritto [chi sono? N. d. R], i quali avrebbero così libertà di scegliere presso quale istituto (statale o non statale) spendere il loro buono", egli lo prevede solo per chi frequenta scuole private. E questo in un momento molto caldo in tema di istruzione, finanziamenti, riforme e parità. La legge di parità (che, se ci sarà, sarà comunque sciagurata) non c'è ancora, ed egli la anticipa, violando impunemente il dettato costituzionale. In attesa che i competenti organi superiori intervengano a stigmatizzare e a sanzionare l'operato della Giunta lombarda, solo i giovani, gli studenti, benché in modo confuso e purtroppo frammentario, si sono mossi. E il sindacato?
La CGIL, per bocca di un suo dirigente confederale, Agostinelli, ha annunciato la formazione di un ampio movimento che costringerà Formigoni a recedere dalla sua iniziativa. Per il momento però non ha messo in campo nessuna seria mobilitazione, non ha indetto neppure un'ora di sciopero nella scuola. Non è stata neppure in grado di raccogliere tutti i suoi delegati all'assemblea del 7 ottobre, poiché non sono giunte per tempo o non sono giunte affatto le convocazioni nelle singole scuole. Come spera di formarlo il movimento?
Per formare un movimento, oltre che sostenere e allearsi con le forze che già sono in campo, bisogna fare appello ai lavoratori, mobilitarli, puntare sul loro protagonismo e la loro partecipazione. Ma come può fare ciò un sindacato che da anni, specie nel comparto scuola, agisce nella direzione opposta? Che non ha fatto altro che bloccare ogni iniziativa autonoma dei lavoratori? Che ha assecondato e favorito i progetti di riforma scolastica governativi, non del tutto alieni dalle linee guida di coloro che si indicano come avversari politici (sistema pubblico integrato, sussidiarietà, parità, autonomia, ecc.)? È ormai evidente, da questo come da numerosi altri segni, che la linea politica morbida e concertativa che ha animato e anima tuttora la dirigenza CGIL è giunta al capolinea. L'occasione è propizia per un deciso mutamento di rotta, che le forze di sinistra, alternative, presenti nella CGIL non di devono lasciare sfuggire.
Quella contro il "buono scuola" è una battaglia che non si esaurisce a livello locale o solo nell'ambito della parità scolastica. Sono in ballo questioni ancor più generali: quella dello Stato sociale, dei meccanismi e dei valori su cui si fonda la convivenza civile, in una parola del ruolo dello Stato nella società neocapitalista.
Nell'odierna società, infatti, in cui la competizione mondiale è sempre più accesa e le possibilità di profitto sempre più aleatorie, la borghesia nostrana è costretta a ricercare nuovi settori e nuovi ambiti per non rinunciare ai suoi tradizionali margini di profitto. Ecco che si rivolge allora alla privatizzazione dei servizi pubblici, tra cui la scuola, e di conseguenza allo smantellamento dello Stato sociale. Ecco perché si fanno così massicci e imperiosi gli attacchi alla scuola pubblica nel corso di questi anni Novanta, in presenza di un governo di centrosinistra, quando per cinquant'anni, addirittura con governi monocolore e ministri della P.I. di ispirazione cattolica, di quel mondo cioè da sempre sensibile a questo problema, non si è mai operato in tal senso con tale decisione.
Nell'opera di concentrazione finanziaria per la salvaguardia dei profitti, lo smantellamento dello stato sociale, fattore di redistribuzione della ricchezza in termini di servizi fondamentali e qualificati, è d'obbligo, ma per il timore che sempre la borghesia nutre del conflitto sociale esasperato, ancora oscilla nella definizione dei mezzi e delle rappresentanze politiche con cui conseguire i suoi obiettivi. La borghesia cioè deve solo decidersi se affidarsi al bulldozer della destra, con forti rischi di conflitti sociali, o alle "pillole indorate" della sinistra "riformista", che può garantire la pace sociale ma deve necessariamente seguire percorsi più lenti e tortuosi dovendo tenere a bada la sua base di riferimento che coincide con coloro che si intende depauperare.
Ecco perché è tanto insidiosa per le classi popolari l'opera cosiddetta riformatrice del governo quanto le iniziative della destra. Ambedue vanno combattute, e ambedue richiedono un deciso riorientamento della sinistra antagonista, politica e sociale. Al di là degli sprechi e degli abusi che non vanno certo dimenticati, lo Stato sociale, anche e soprattutto nella fase attuale, conserva pienamente il suo ruolo di regolatore degli squilibri e di promotore della vita civile e democratica del paese.
Difendere la scuola pubblica è difendere lo stato sociale, una parte cioè della ricchezza prodotta dai lavoratori e a loro restituita non in termini monetari, ma di beni e servizi essenziali.

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