LA QUESTIONE NAZIONALE CECENA. PROFILO STORICO

prima parte


Ottobre 1999

 

I ceceni

La Cecenia é situata nel Caucaso del Nord. Per Caucaso si intende quella regione geografica stretta tra il Mar Caspio e il Mar Nero attraversata dall'omonima catena montuosa, che la divide in due zone. Il Caucaso del Sud è etnicamente più omogeneo e comprende le odierne Georgia, Armenia e Azerbaigian. Il Nord invece copre una varietà etnica unica al mondo se si rapporta all'estensione del territorio: queste regioni montuose e le loro valli profonde sono spesso servite da rifugio a varie popolazioni. I popoli caucasici restarono, anche per le caratteristiche geografiche del territorio, separati tra loro, per questo ad esempio non possiamo parlare di movimento nazionale caucasico.

La Cecenia comprende una pianura a nord dove scorrono i fiumi Terek e Sunja e una zona montuosa a sud. E' abitata da tremila anni da un popolo antichissimo che chiama se stesso nakhche (e Nokhchy il proprio Paese): il nome "ceceni" é russo e deriva dal nome di un villaggio che oggi non esiste più. La loro lingua, il nakh (nelle due varianti assai simili cecena e inguscia) appartiene alla famiglia caucasica, una famiglia linguistica isolata e "circondata" da quella indoeuropea.

Sino alla fine del XIX secolo i ceceni avevano un'organizzazione sociale che era rimasta sostanzialmente immutata nel tempo, a causa dell'isolamento in cui erano sempre vissuti. La loro era una formazione di tipo clanico ("teip") con tutte le caratteristiche tipiche di quel tipo di società: governo di un consiglio di anziani, diritto consuetudinario ("adat") rigido che prevedeva matrimoni con donne non appartenenti al clan, la vendetta di sangue, la responsabilità collettiva del clan di fronte alle mancanze di un suo membro, stato di inferiorità delle donne, scarsa differenziazione di reddito. La penetrazione del cristianesimo prima e dell'islamismo poi, fu faticosa e lenta e sostituì la religione tradizionale basata sul culto degli antenati e di dei legati alla natura.

confini attuali della Cecenia


Lo scontro con l'impero zarista

Grazie all'isolamento i ceceni avevano sempre mantenuto una propria sostanziale indipendenza anche se in vari periodi furono sottomessi in maniera del tutto formale da altre entità (come quella dell'Orda d'Oro nel XIII sec.).

Nel XVIII sec. l'impero russo cercò di mettere in pratica la propria strategia di allargamento territoriale verso sud (con il fine di raggiungere i "mari caldi"). Il primo serio tentativo si ebbe nel 1722 quando l'esercito di Pietro il Grande invase una parte del Daghestan (regione confinante con i ceceni, abitata da una quindicina di etnie), ma i persiani contrattaccarono costringendo alla ritirata i russi.

Questi ci riprovarono nel 1770 con il pretesto di una richiesta di aiuto da parte dei ceceni occidentali (quelli che poi formeranno l'Inguscezia) che si erano fatti cristiani ed erano per questo perseguitati dai circassi della Cabarda, altra etnia caucasica. I russi invasero l'intera Cecenia, compresa la parte orientale che non aveva chiesto alcun aiuto. Qui la popolazione stava passando gradualmente dalla religione tradizionale all'islamismo, nella variante predicata da confraternite sunnite fortemente mistiche, sufiste, tra le quali quella della naqshbandiya. Si trattava di ordini di iniziati che accettavano la guida di uno shaikh (sceicco). I ceceni orientali, sino ad allora sostanzialmente liberi, si ribellarono e trovarono nell'islam, in una situazione di scarsa coscienza della propria formazione etnica, l'elemento identitario che serviva a dar coesione alla propria nazionalità permettendole di resistere all'invasore. Un domenicano italiano, Giovan Battista Boetti che prese il nome di Mansur Ushurma dopo che si era fatto predicatore musulmano, fu alla testa della rivolta che cominciò nel 1773 e si protrasse fino al 1791. Mansur cercò di riunire sotto le bandiere dell'islam altri popoli caucasici, tra i quali daghestani, circassi, ecc. prima di essere catturato. Seguì una repressione furibonda da parte dei russi, che non riuscì però a sopprimere la confraternita naqshbandiya che continuava nella clandestinità la propria opera di proselitismo, unico canale di difesa dell'identità etnica. Intanto le terre migliori della pianura venivano espropriate dallo zar e date ai cosacchi.

Gli iniziati naqshbandi guidarono poi una rivolta nel Daghestan (che era stato strappato dalla Russia alla Persia nel 1813) che durò dal 1824 al 1859 sotto la guida dello shaikh Imam Shamil (daghestano di lingua avari) che riuscì a costruire un vero e proprio stato islamico che comprendeva una parte del Caucaso (Cecenia compresa). In questo periodo, prima di venir definitivamente battuto nel 1859, Shamil cercò di sostituire alle modalità spesso sanguinarie della "adat", la legge islamica.

Una nuova rivolta scoppiò in Cecenia occidentale, guidata da una confraternita sufi, la khdiriya, che si era radicata sotto la guida di Kunta Hagi, un daghestano che riuscì a convertire la regione a questa particolare versione dell'islam. I russi riuscirono presto ad avere ragione anche di questa rivolta ed instaurarono un regime di forte repressione.

Nella seconda metà del secolo scorso la Russia conquistava tutto il resto del Caucaso, mentre le confraterinte religiose, sotto l'oppressione straniera, divenivano veicolo della frustrazione della nazionalità oppressa, e per questo si radicavano sempre più profondamente nel territorio, proprio quando il resto dell'islam conosceva un processo di forte modernizzazione.

I ceceni furono dunque un osso duro per i russi. Nessun'altra acquisizione territoriale costò alla Russia tanto sforzo né tanta sofferenza ai locali: requisizioni di terre, deportazioni, migrazioni dovute alla conquista (1), spedizioni punitive, contribuirono ad irrobustire l'odio contro lo straniero.

attuali confini degli stati e delle regioni autonome del Caucaso

 

La rivoluzione russa

La regione amministrativa del Terek con capoluogo la città di Vladikavkaz, comprendeva più o meno gli attuali territori della Cecenia, dell'Ossezia, della Cabarda e dell'Inguscezia, e contava circa 1.200.000 individui nel 1912. I russi, che abitavano le pianure, erano circa 500.000 mentre le popolazioni indigene (chiamate dai russi "gortsy"), che abitavano in maggioranza le montagne erano più di 600.000, dei quali 250.000 ceceni. La popolazione russa era divisa in due gruppi: i cosacchi del Terek e quelli che venivano chiamati inogorodnye ("gente di altri paesi"). I cosacchi, circa 250.000, erano stati utilizzati dagli zar come abbiamo visto per proteggere l'impero dai popoli montanari. Costituivano una casta privilegiata rispetto al resto della popolazione (compresa quella russa non cosacca) per via dell'abbondanza delle loro terre (in media il doppio degli autoctoni). Erano insediati lungo il Terek e nelle vallate degli affluenti che scendevano dalle montagne. Gli inogorodnye erano invece immigrati recenti, in larga parte russi, anche se vi si trovavano georgiani ed armeni. Nella regione cecena essi giunsero alla fine dell'ottocento con lo sviluppo dell'industria petrolifera (sorgeva intorno ai pozzi la città di Grozyj, destinata a divenire la capitale della Cecenia). Tra loro si trovavano operai, commercianti, funzionari (2). Tra i due gruppi russi non correva buon sangue dato che i cosacchi vedevano nei nuovi arrivati gente che poteva attentare ai propri privilegi, privilegi che erano del resto odiati dai non cosacchi. Tra i "gortsy" i cabardi e gli osseti (di religione cristiana) avevano delle terre. I più poveri in assoluto invece erano i ceceni e gli ingusci: avevano dovuto subire da parte dei cosacchi l'esproprio delle terre delle vallate e delle terre basse, cosa che li aveva costretti ad una povertà terribile. Vivevano nella speranza della riconquista di quelle terre.

La rivoluzione democratica del febbraio 1917, che depose lo zar, provocò forti scosse anche nel Caucaso: i ceti intellettuali urbani con l'appoggio del clero moderato islamico (ma con l'opposizione delle confraternite, forti in Daghestan e Cecenia, cioè nei territori più poveri) dettero vita a vari incontri dei "gortsy" e a settembre formarono a Vladikavkaz (nell'attuale Ossezia settentrionale) l'Unione dei Popoli Montanari, come parte dell'Impero Russo, con l'intento di allargarlo a tutti i popoli musulmani del Caucaso.

Nel Daghestan nello stesso periodo, su iniziativa della corrente islamica radicale, lo sceicco Najmuddin Hötso (chiamato Gotsinskij dai russi) veniva proclamato emiro del Daghestan e della Cecenia; ai suoi ordini un altro sceicco, Huzun Haji, cominciava ad arruolare un esercito di volontari.

Anche i cosacchi si organizzarono formando nel marzo del 1917 un proprio governo militare cercando di unirsi coi cosacchi del Don e del Kuban in un'Unione del Sud-Est, per difendersi dall'ostilità della popolazione urbana rappresentata dal soviet e dai contadini russi non cosacchi che dalla rivoluzione di febbraio in poi rifiutavano di pagare gli affitti delle terre dei cosacchi e chiedevano la nazionalizzazione delle stesse.

La Rivoluzione d'Ottobre vide, con la presa del potere da parte dei bolscevichi, l'affermarsi, almeno teorico, del diritto all'autodeterminazione sino alla separazione territoriale ("Dichiarazione sui diritti dei popoli della Russia"). Nel dicembre del 1917 il governo sovietico con la firma di Lenin e Stalin dichiarava in un appello ai musulmani: "Musulmani di Russia, Tatari del Volga e della Crimea, Kirghsi e Sarti della Siberia e del Turkestan, turchi e Tatari della Transcaucasia, Ceceni e popoli delle montagne del Caucaso, e tutti voi ai quali sono state distrutte moschee e luoghi di preghiera, le cui credenze e costumi sono state calpestate dagli zar e dagli oppressori della Russia: le vostre credenze e i vostri usi, le vostre istituzioni nazionali e culturali sono per sempre libere e inviolabili. E' un vostro diritto. Sappiate che i vostri diritti, come quelli dei popoli di tutta la Russia sono sotto la poderosa protezione della Rivoluzione e dei suoi organi, i soviet degli operai, dei contadini e dei soldati."

Così incoraggiata l'Unione proclamò il 15 dicembre del 1917 l'autonomia politica del Caucaso del Nord costituendo una repubblica formalmente laica e democratica con capitale Vladikavkaz (3).

Le popolazioni montanare, che si sentivano estranee ai ceti intellettuali che si esprimevano nell'Unione, avevano sperato con la rivoluzione di potersi riprendere le terre, ma dovettero ricredersi. Così nel dicembre del '17 ceceni e ingusci persero la pazienza e scesero dalle montagne attaccando gli insediamenti cosacchi.

Divampò così la guerra tra gli abitanti delle pianure e delle montagne. Cosacchi e russi non cosacchi si allearono infatti contro i "gortsy". I bolscevichi aiutarono i russi nella lotta contro i montanari. Nella guerra civile venne travolto il governo di Vladikavkaz e la regione cadde in una situazione caotica.

I bolscevichi, grazie all'aiuto dei soldati di ritorno dal fronte, riuscirono nel corso del 1918 a riprendere in mano il controllo della regione. Organizzarono nel gennaio del 1918 un incontro di tutti i partiti politici russi del Terek, dai menscevichi ai socialisti rivoluzionari, per formare un 'blocco socialista' che si unì ai cosacchi con l'intento di fronteggiare i popoli della montagna: frutto di questa alleanza fu l'instaurazione a Vladikavkaz della "Repubblica sovietica socialista del popolo del Terek" che includeva anche partiti moderati di "gortsy", ma non ceceni ed ingusci, e che era guidato da un bolscevico georgiano, Noi Buachidze.

Ma l'autorità di questo governo durò poco. In estate i bolscevichi locali, contro le direttive di Lenin, pressati dai russi senza terra, cominciarono a requisire le terre dei cosacchi. Questi ultimi lasciarono il governo. Intanto si era riaccesa la guerra con i popoli della montagna, e la regione precipitò di nuovo nel caos. In una manifestazione antisovietica anche Buachidze venne ucciso.

In agosto i cosacchi attaccarono e presero Vladikavkaz. I leaders bolscevichi, compreso Ordzhonikidze, mandato là dal governo sovietico per seguire le vicende del territorio, per salvarsi raggiunsero le montagne, in mezzo ad ingusci e ceceni. A nome dei bolscevichi del Terek, Ordzhonikidze stipulò un'alleanza coi montanari, promettendo ciò che loro stava più a cuore: la restituzione delle terre dalle quali erano stati espulsi. Gli ingusci, insieme agli esiliati bolscevichi, attaccarono, e presto ripresero Vladikavkaz. Il potere dei bolscevichi, che istituirono subito un governo, si basava interamente sul seguito che ora avevano tra i montanari, ma il consenso tra i russi crollò. Per questo Ordzhonikidze, dette il via ad un'attiva repressione contro le espressioni politiche locali dei menscevichi, degli SR, ecc. Ceceni ed ingusci furono invece ricompensati a spese dei cosacchi per aver salvato il potere sovietico nella regione: gli insediamenti cosacchi furono interamente smantellati e tutti i loro averi passarono ai popoli montanari.

Presto però la guerra civile tra l'Armata Rossa e le truppe filozariste aiutate dalle grandi potenze, investì anche il Caucaso. Nei primi mesi del 1919 un'epidemia di tifo e diserzioni di massa misero fuori gioco i reparti dell'armata rossa di stanza nel settore caspio-caucasico. Tra maggio e giugno i reparti del generale Denikin a capo dell'armata bianca occuparono, con l'aiuto dei cosacchi del Terek, il Caucaso del Nord. Di nuovo Ordzhonikidze e gli altri leader bolscevichi dovettero rifugiarsi tra i ceceni e gli ingusci sulle montagne.

Denikin era ferocemente contrario a concedere l'autonomia alle nazionalità. Credeva fermamente in una "Russia sola e indivisibile", quindi proclamò che non avrebbe mai riconosciuto le repubbliche della Georgia e dell'Azebaigian e le sottopose a blocco economico. In agosto cercò di obbligare i "gortsy" ad entrare nell'esercito, ma costoro rifiutarono e molti raggiunsero le montagne. Denikin rispose con rappresaglie alle quali i popoli delle montagne reagirono organizzando bande partigiane che attaccavano le truppe bianche. Tra ottobre e novembre la guerra tra i montanari e le truppe di Denijkin infuriava e contribuì in maniera determinate alla sconfitta dei bianchi. La direzione della resistenza si trovava nelle inaccessibili montagne cecene, diretta da un Consiglio di Difesa nel quale erano rappresentati tutti: leader religiosi (Huzun Haji), nazionalisti, socialisti, e in un secondo tempo anche dai bolscevichi.

Nel settembre del 1919 Huzun Haji aveva liberato dall'armata bianca gran parte delle montagne del Caucaso del Nord, comprese Daghestan e Cecenia e aveva proclamato l'Emirato del Caucaso del Nord con a capo lo sceicco Hötso.

Il 30 ottobre l'impero ottomano fu costretto a chiedere l'armistizio e si ritirò dal Daghestan, lasciando così spazio a Denikin. Da nord l'armata rossa attaccò e mise a disposizione di Huzun Haji una formazione militare. Bolscevichi e islamici insieme sconfissero l'armata bianca e nel febbraio del 1920 le truppe di Denikin lasciarono il Caucaso del Nord. I bolscevichi presero il potere nella regione e diffusero un manifesto in cui affermavano di avere "un solo scopo: di liberare le nazioni oppresse dalla schiavitù, qualunque sia l'oppressore. Il governo sovietico non intende toccare la religione, i costumi, le tradizoni, e i modi di vita dei 'gortsy'". Misero poi a capo delle regioni del Caucaso del nord capi partigiani comunisti, nazionalisti e islamici. Ma Huzun, principale interlocutore dei bolscevichi, moriva dopo tre mesi.

Ma una parte dei popoli della montagna non era soddisfatta di un assetto che li vedeva comunque fuori dal governo effettivo della regione. Nel maggio 1920 Hötso si ribellava ai bolscevichi ed attaccava l'armata rossa dalle montagne del Daghestan, aiutato dai ceceni. I dirigenti bolscevichi capirono che la questione doveva essere risolta per via politica. All'inizio del 1921 venne convocato a Vladikavkaz un congresso dei popoli montanari del Caucaso del Nord al quale partecipò Stalin a nome del governo bolscevico (il mese precedente aveva partecipato ad un analogo congresso in Daghestan), offrendo l'amnistia per i combattenti islamici e l'istituzione di una repubblica con ampie autonomie all'interno della RSFSR. I montanari si resero disponibili a tre condizioni, che furono prontamente accettate dai bolscevichi: mantenimento della legge islamica, non ingerenza russa, restituzione delle terre tolte dagli zar. Nacque così la Repubblica Sovietica Autonoma della Montagna (che comprendeva le attuali Cecenia, Inguscezia, Ossezia settentrionale, Cabarda-Balcaria, Caraciaia-Circassia). Il Daghestan formava una repubblica sovietica autonoma all'interno della RSFSR.

Vennero istituite all'interno della Repubblica della Montagna varie regioni autonome tra le quali, nel 1922, la Cecenia e l'Inguscezia.

L'indipendenza culturale e gli sforzi di alfabetizzazione dettero la spinta ad un certo sviluppo culturale: si cominciarono a codificare le lingue locali (molte, tra le quali quella cecena, erano esclusivamente orali). Nel 1923 nasceva il ceceno scritto (con caratteri arabi, poi nel 1928 passerà ai caratteri latini), e l'anno dopo l'inguscio (in alfabeto latino). La NEP (Nuova Politica Economica, che permetteva una certa iniziativa privata, liberalizzava il commercio, ecc.) era apprezzata in una regione dove non vi era mai stato un vero e proprio sviluppo capitalistico. Questi elementi contribuirono a dare l'avvio ad un breve periodo di prosperità.

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