LA QUESTIONE NAZIONALE CECENA. PROFILO STORICO

seconda parte


Ottobre 1999

 

Il periodo staliniano

Uscito di scena Lenin nel 1923, per la grave malattia che l'aveva colpito, nel 1924, Stalin, il nuovo uomo forte del partito, dissolse senza consultazione alcuna la Repubblica della Montagna, incorporando direttamente al territorio russo le entità autonome che erano state create al suo interno (compresa la Cecenia, dunque) con l'evidente intento di controllarle meglio.

A questa operazione seguì la decretazione della fine della NEP, la collettivizzazione forzata ed una forte repressione antiislamica. Ricordiamo che l'islam, dai popoli caucasici, nella debolezza della coscienza etnica, veniva percepito come principale elemento identitario, e dunque un attacco alla religione veniva vissuto come un attacco diretto alla propria nazionalità. Stalin abolì i tribunali islamici, e nel '25 tutta la popolazione cecena venne disarmata (come in tutte le società a forte influsso clanico era tradizionale il porto delle armi). Nel '26 inoltre cominciò una purga tra i comunisti locali, sospettati di essere musulmani travestiti. I membri locali del partito ormai erano solo russi o ceceni russificati.

Nel '29 così, i ceceni si ribellarono e la rivolta si estese anche al Daghestan settentrionale per concludersi nel '30 con un armistizio e un'amnistia. Nel '31 però Stalin fece giustiziare i capi della rivolta provocando una nuova rivolta domata solo nel '36. Mentre nel '34 Cecenia e Inguscezia venivano unite e promosse al rango di Repubblica autonoma, procedeva il processo di russificazione: nel '38 il ceceno e l'inguscio vennero costretti ad adottare l'alfabeto cirillico. Altre purghe colpirono il Daghestan dove i comunisti locali vennero accusati di nazionalismo e panislamismo. In Cecenia-Inguscezia nel luglio del '37 una vasta purga portò all'arresto, deportazione e fucilazione di 14.000 persone (una persona su trenta della Repubblica). Nel '40 una nuova rivolta guidata dal comunista Hassan Israilov fu in breve domata.

Nel giugno del 1941 la Germania invadeva l'URSS e nell'ottobre dell'anno successivo i tedeschi, col fine di appropriarsi del petrolio del Caucaso, conquistarono la Cabarda-Balcaria. Come in molte altre occasioni nella storia una nazionalità oppressa dallo straniero, è ben disposta verso un altro straniero che promette di liberarla dall'oppressore. I tedeschi trovarono nel Caucaso, insieme anche, comunque, ad una certa resistenza, molti collaboratori tra i musulmani. Almeno 10.000 nord caucasici si arruolano in una legione che fiancheggiava i tedeschi. I tedeschi capirono al volo l'occasione che si offriva loro e permisero la riapertura di moschee, tribunali islamici, scuole coraniche.

Nella rotta per Baku nell'agosto del '42 i tedeschi occuparono Mozdok e a settembre attraversarono il Terek e penetrano dunque nella parte pianeggiante della Cecenia, ma una controffensiva li respinse indietro dopo pochi giorni, e la via per Grozny e Baku, cioè per il petrolio, gli fu definitivamente chiusa. Le armate tedesche occuparono l'Inguscezia-Cecenia solo in parte e solo per quattro mesi con duri combattimenti. Il collaborazionismo della popolazione dunque, se mai vi fu, non poté che essere episodico.

Nel febbraio 1943 i ceceni si ribellarono di nuovo ai russi, guidati dal nazional comunista Mairbek Sheripov. Nel corso dello stesso mese i russi cominciavano la riconquista del Caucaso.

Cacciati i tedeschi, ma ancora in piena guerra, Stalin commise uno dei più atroci delitti di cui si sia macchiato. Deportò interi popoli dell'URSS, accusati collettivamente di "collaborazionismo", in regioni lontane. Tra costoro c'erano anche i ceceni e gli ingusci. Tra i popoli deportati non si conoscevano eccezioni, vennero deportati tutti, comunisti e non, bambini e anziani: il 41% aveva meno di 16 anni e le donne con più di 16 anni costituivano il 34%. I ceceni e gli ingusci deportati furono 400.478 su più di 2.500.000 di deportati. Furono deportati anche i caraciai tra i quali si contarono 9000 partigiani che si erano battuti contro i tedeschi. Ammesso per assurdo che si possa incolpare un intero popolo di "collaborazionismo" l'accusa è difficilmente applicabile ai ceceni che non furono mai occupati. Era evidente l'intento di Stalin di liberarsi di un popolo che non si era mai arreso al dominio russo.

La deportazione fu immediata, rapida, efficiente. Fu pianifica in otto giorni e si svolse nel febbraio 1944: tre giorni per caricare nei treni merci i 300.000 che vivevano nelle valli e 5 per i 150.000 che abitavano nella montagna. La deportazione fu personalmente supervisionata da Berjia, capo del NKVD, il servizio segreto che era formato in realtà da più di centomila soldati ottimamente armati, e distratti dalla partecipazione alla guerra contro i tedeschi. Berjia, che informava continuamente Stalin delle "operazioni", incaricò i quadri locali del partito di "convincere" la popolazione locale. In realtà chi tentava di opporsi veniva abbattuto. Il primo marzo erano già stati tutti ammassati in 180 convogli di cui la gran parte era già partita. All'ultimo deportarono anche i quadri di partito locali che avevano aiutato allo svolgimento dell'operazione. La neve e le condizioni dei trasporti lasciarono 6.000 ceceni morti lungo la ferrovia. La sicurezza era garantita dall'NKVD: un vagone pieno di soldati ogni due pieno di deportati. Nei vagoni sigillati i deportati erano stipati in 40-45 per vagone. Un vecchio quadro comunista inguscio, Akhrapiev, ricorderà quaranta anni dopo: "abbiamo passato un mese nei vagoni verso una destinazione sconosciuta, compressi al massimo. Il tifo si diffondeva. Non ricevevamo nessuna cura. Seppellivamo i nostri morti nella neve, durante le brevi fermate in luoghi deserti e sperduti: allontanarsi dal vagone più di cinque metri avrebbe significato la morte." Su uno di quei convogli nacque Dudaev, che conosceremo in seguito.

La maggioranza fu deportata in Kazakhstan ed una minoranza in Kirghizistan. La gran parte, l'80% fu portata nei kolkhoz già poverissimi e venne dato loro il nome di "coloni speciali". I deportati si trovarono senza alloggi, costretti a vivere in quattro o cinque famiglie (con un numero elevato di figli) in baracche senza finestre, spesso mal tollerati dai locali che già avevano poco da mangiare. Inoltre non avevano alcuno strumento per coltivare la terra, né semi, né altro. A decine di migliaia morirono di malattie, di stenti, di fame, mentre orde di bambini affamati vagavano nei villaggi della steppa. L'NKVD sorvegliava perché non fuggissero nei territori d'origine e i disordini venivano soffocati nel sangue.

Nel 1944 i territori della Cecenia-Inguscezia, privati della popolazione, sparivano anche amministrativamente e passavano a far parte della provincia russa di Stavropol ad eccezione del distretto di Prigorodyj che venne dato all'Ossezia settentrionale.

Nel '48 un decreto del soviet supremo decretò che i deportati lo sarebbero stati a vita e che non avrebbero mai più potuto tornare alla loro residenza, pena venti anni di lavori forzati. Ma un dato ci dice di come nonostante tutto questi popoli non si rassegnassero: nel solo 1949 furono 8.500 i deportati condannati per questo reato.

Contemporaneamente la burocrazia stalinista cercava di combattere anche sul piano storiografico i desideri profondi dei ceceni. Nel '50 partì una campagna contro Shamil, l'eroe della resistenza cecena del secolo precedente (sino ad allora considerato dagli storici sovietici un valoroso esempio di resistenza antizarista), con una gigantesca operazione di denigrazione (si sosteneva che fosse al servizio dei britannici) (4)

Morto Stalin nel 1953 si avviò un lento disgelo. Alla fine del 1955 furono tolte le restrizioni ai "coloni speciali" tedeschi (discendenti dei coloni inviati dagli zar nel XVIII e XIX e deportati in massa da Stalin), poi via via anche agli altri. Gli ultimi a godere di queste misure, ovviamente, furono i ceceni e gli ingusci: luglio del 1956.

Ai deportati si impose di firmare un documento in cui dichiaravano di rinunciare alla riparazione e alla restituzione dei beni e di non tornare nello stesso posto dove abitavano prima. A decine di migliaia (dal 30% al 40%) rifiutarono di firmare. Quindi molti tornarono senza autorizzazione. Nel gennaio 1957 fu ricostituita la repubblica autonoma Cecenia­Inguscezia e nel luglio dello stesso anno fu loro concesso di tornare nelle proprie terre (5). I deportati tornarono in massa, con tutti i mezzi. Trovarono le loro case e i propri averi in mani altrui. Furono sistemati in capannoni, scuole, alloggiamenti di fortuna. La precarietà durò più di un anno fino a che i ceceni persero la pazienza e protestarono. Seguì nel luglio del 1958 una gigantesca caccia al ceceno a Grozny che provocò un imprecisato numero di morti.

Nei trent'anni successivi in Cecenia e in Daghestan le confraternite prendevano nuovo vigore e si registrarono vari episodi di resistenza (6) al dominio russo (diffusione di materiale clandestino di contenuto religioso, ecc.) ma il popolo ceceno, decimato e reduce da innumerevoli sconfitte, non aveva più la forza di ribellarsi.

mappa delle attuali regioni dell'Inguscezia e della Cecenia

 

Crollo dell'URSS

Nella seconda metà degli anni ottanta si acuisce la crisi dell'URSS. Gorbaciov, eletto segretario del PCUS nel 1985, cerca di farvi fronte con una nuova politica, più liberale, che viene chiamata "glasnost". Intanto già nel 1988 nelle repubbliche baltiche si formano i fronti popolari, movimenti di massa favorevoli all'autodeterminazione. In tutta l'URSS i movimenti delle nazionalità oppresse crescono e danno vita a manifestazioni e lotte: oltre ai baltici gli ucraini, i moldavi, gli armeni, i georgiani, gli abkhazi, gli osseti, ecc. fino a che nel 1990 a catena le repubbliche federate dell'URSS dichiarano la propria sovranità, riconosciuta dalla Russia solo nel 1991.

Anche in Daghestan e Cecenia-Inguscezia sorgono piccoli movimenti nazionalisti ed anche movimenti islamisti, ma per queste repubbliche il quadro è diverso: sono incorporate alla Russia, non all'URSS, ed anche la Russia di Eltsin non ha alcuna intenzione di concedere a queste l'indipendenza.

La Cecenia del resto è l'unica che la chiede apertamente. Jokhar Dudaev un generale dell'aereonautica nato in Asia centrale durante la deportazione, convertito alle ragioni delle nazionalità a contatto con i popoli baltici (era comandante di una base aerea sovietica in quella regione) abbandona l'esercito e fonda in patria nel '90 un movimento indipendentista: il Congresso Nazionale del Popolo Ceceno che si oppone al soviet locale (guidato da Dokou Zavgaev, brezneviano di vecchia data) quando quest'ultimo decide di sostenere nell'agosto del '91 il tentativo di colpo di stato contro Gorbaciov. A settembre, al comando di un gruppo di nazionalisti armati, prende il potere a Groznyj. Dudaev indice poi un referendum per l'indipendenza, il 27 ottobre, che vince in maniera schiacciante. Il 28 viene dichiarata l'indipendenza della Cecenia-Inguscezia.

Eltsin non lo accetta e dichiara lo stato d'emergenza inviando subito 2.000 paracadutisti a novembre. Questi però vengono assediati negli aereoporti da una mobilitazione di massa spettacolare. Le truppe russe di stanza nel Paese non si muovono dalle caserme. Dudaev manda appelli panislamisti e pancaucasici ai popoli vicini perché si ribellino. Grazie alla mobilitazione dell'opinione pubblica russa, viene annullato lo stato d'emergenza in Cecenia. Dudaev vince, dunque, senza nemmeno un morto.

Nel marzo 1992 l'Inguscezia proclama una propria repubblica e aderisce al nuovo trattato federativo russo. La Cecenia invece rifiuta l'adesione.

Dudaev intanto anima un organismo semilegale, la Confederazione dei popoli del Caucaso del Nord, che raccoglie un corpo di volontari, di cui i ceceni sono il nerbo, in appoggio agli indipendentisti abcasi contro la Georgia. Nel settembre del 1993 riescono a liberare il territorio. Tra i volontari ceceni si distingue il comandante trentenne Shamil Basaev.

Eltsin organizza un blocco economico della Cecenia che mette in ginocchio l'economia. La crisi fa sì che 400.000 russi emigrino fuori dalla Cecenia (ne restano in 60.000). Cresce il malcontento e un'opposizione interna appoggiata dalla Russia che provoca degli scontri e spinge Dudaev nell'aprile del '93 a proclamare il coprifuoco e a sciogliere il parlamento. Nel maggio 1994 a Groznyj Dudaev sfugge ad un attentato. Un suo oppositore, Umar Avturkhanov, occupa un distretto e poi tenta di conquistare la capitale aiutato dall'aereonatutica russa che bombarda la città. Ma Dudaev respinge l'attacco. Eltsin allora, esaurite tutte le possibilità, decide l'invasione della Cecenia.

Nel dicembre 1994 20.000 soldati russi, appoggiati da carri armati e aereonautica entrano in Cecenia. I numerosissimi volontari che giungono da ogni parte del Caucaso vengono bloccati dai russi e dai georgiani. Ma per i russi, di nuovo, non è una passeggiata. La popolazione locale resiste eroicamente, e i soldati russi disertano in massa. Mentre gli USA dichiarano che si tratta di un affare interno russo, in tre mesi si registrano 20.000 morti e 30.000 rifugiati ceceni in Daghestan. A febbraio i russi riescono alla fine a completare la conquista di Groznyj prededentemente rasa al suolo dai bombardamenti. La commissione per i diritti umani dell'ONU adotta una dichiarazione con il consenso del rappresentante russo che critica "l'uso sproporzionato della forza". A marzo il FMI approva un prestito di 6 miliardi e 400 milioni di dollari alla Russia bloccati un mese prima per l'invasione della Cecenia. Il 9 maggio Clinton insieme a Eltsin assiste sulla Piazza Rossa alla sfilata miliatre per il 50° della vittoria sul nazifascismo; Khol, Major e Mitterand sono assenti, per impegni, ma probabilmente imbarazzati dall'affare ceceno. Il 10 Clinton ottiene l'adesione del Cremlino alla "Partnership per la pace" tra NATO e Russia.

 
Il palazzo presidenziale di Grozny prima e dopo l'attacco russo

 

Dudaev e la resistenza intanto spostano mese dopo mese sempre più all'interno il proprio quartier generale. A giugno cade la città di Vedeno, considerata inespugnabile dai ceceni.

La resistenza cecena sembra soccombere quando il 14 giugno un centinaio di guerriglieri capitanati da Shamil Basaev, che ha avuto moglie e figli uccisi da un bombardamento russo, giunge a Budënnovsk, città russa a 120 Km a nord della Cecenia e occupa un ospedale della città. I ceceni prendono in ostaggio un migliaio di medici e pazienti, chiedono la fine dei combattimenti, il ritiro russo e l'amnistia. I soldati russi assaltano l'ospedale provocando una carneficina, senza riuscire ad occuparlo. Il primo ministro Cernomyrdin decide di trattare, i guerriglieri tornano in patria e cominciano le trattative di pace. La guerra ha prodotto sino a quel momento 400.000 rifugiati.

Presto però ricominciano i combattimenti. A dicembre la rivolta della città di Gudermes: dopo 13 giorni di combattimenti é riconquistata dai russi.

Nel gennaio 1996 a Kizljar in Daghestan un commando comandato da Salman Radujev si impadronisce dell'ospedale di Kizljar prendendo 250 ostaggi. Chiedono che le truppe russe lascino la Cecenia. I guerriglieri si ritirano con gli ostaggi nel villaggio di Pervomajskoe ai confini con la Cecenia. Le truppe russe bombardano il villaggio e a migliaia attaccano i 200 guerriglieri rimasti, ma questi resistono casa per casa per due giorni e due notti. Poi i russi, verificata l'impossibilità di battere i ceceni nel villaggio, decidono di raderlo al suolo. Cominciano a lanciare razzi Grad ogni minuto. Cala la censura sul numero dei morti. Eltsin dichiara "chiusa" la vicenda di Pervomajskoe. Ma, come si saprà in seguito molti guerriglieri riescono a scampare (7).

La guerra continua mentre i rifugiati tornati alle macerie di Grozny manifestano per il ritiro dell'esercito russo. A marzo questo offre ai 350 villaggi ceceni l'impegno a non bombardare, se assicurano che non daranno ospitalità ai guerriglieri. Accettano in 120. L'aviazione bombarda da subito i venti che avevano rifiutato persino la trattativa. I morti sino a questo momento sono 30.000. In aprile con un tranello, viene ucciso Dudaiev.

A maggio, Eltsin, che ha bisogno della pace per vincere le imminenti elezioni presidenziali, concorda coi ceceni un cessate il fuoco e un accordo che prevede ad agosto il ritiro delle truppe russe. Ma a giugno Eltsin viene rieletto e si rimangia subito l'impegno: a luglio parte la repressione a Grozny con un massacro di civili e l'imposizione del coprifuoco. Ma i ceceni riguadagnano terreno e ad agosto controllano in pratica la capitale.

Eltsin incarica allora Lebed, capo del Consiglio di Sicurezza, di arrivare ad un accordo con i ceceni. Cosa che accade ad agosto firmando con Aslan Maskhadov l'armistizio che mette fine a 20 mesi di guerra che sono costati 40.000 morti. A novembre viene firmato tra il primo ministro Victor Chernomirdin e Aslan Maskhadov, un accordo di pace, che prevede il ritiro delle truppe russe (che lasceranno la Cecenia definitivamente nel gennaio 1997) e dopo due anni un accordo per lo status definitivo della Cecenia.

Nel gennaio 1997 si svolgono con osservatori internazionali le elezioni presidenziali in Cecenia che vedono la vittoria di Aslan Maskhadov, mentre Basaev ottiene il secondo posto.

Nell'agosto 1999 una colonna di ceceni sotto la guida di Basaev occupa alcuni villaggi del sudovest della repubblica del Daghestan dove proclama uno stato islamico indipendente. L'offensiva russa costringe Basaev al ritiro. Ma ci riprova in un'altra zona a settembre. Maskhadov si dice estraneo alle azioni degli "estremisti". All'inizio di ottobre i russi isolano il confine con il Daghestan e la Cecenia ed occupano il nord della Cecenia fino al fiume Terek dopo intensi bombardamenti. 120.000 ceceni si rifugiano in Inguscezia. Mosca disconosce la legittimità di Maskhadov, ma riconosce invece il parlamento fantoccio che aveva fatto eleggere nel 1996.

 

(1) I circassi occidentali, altra popolazione caucasica, che erano stati sempre liberi, sconfitti dai russi, decisero un'autodeportazione nell'impero ottomano che comportò il trasferimento di 400.000 persone, due terzi dell'intera etnia e lo stesso fecero i ceceni in minori proporzioni (il 10% circa) nella seconda metà del secolo scorso.

(2) Più a ovest invece essi erano soprattutto contadini affamati di terra, giunti con la liberazione dalla servitù della gleba.

(3) la Transcaucasia, cioè quelle che oggi sono l'Azerbaigian, la Georgia e l'Armenia, si era già dichiarata autonoma nel novembre 1917

(4) Successivamente la valutazione su Shamil doveva divenire il terreno di scontro "virtuale" tra russi e ceceni e daghestani, con duelli storici, che da parte dei non russi avevano per fine la riabilitazione del personaggio.

(5) Il distretto di Prigorodyj rimase però all'Ossezia. Cosa che li porterà nel '93 l'Inguscezia ad invadere la regione chiedendo il ritorno del distretto. L'intervento russo riporta le cose al punto di partenza.

(6) Ad esempio nel 1968 furono arrestati vari personaggi legati all'islamismo radicale. Tra maggio e luglio 1969 scoppiarono bombe sotto il monumento del generale russo Ermolov, "eroe" della conquista zarista del Caucaso.

(7) Tra i quali Radujev, che però morirà in circostanze misteriose a marzo.

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