DI CHE SINDACATO ABBIAMO BISOGNO
PER UNA NUOVA DIREZIONE NEL SINDACATO SCUOLA


Ottobre 1999 di un gruppo di militanti di Alternativa Sindacale scuola di Milano

 

Da alcuni anni a questa parte il mondo della scuola è investito da una serie di innovazioni senza precedenti. Queste sono nate in ambiti, si sono sviluppate con tempi e sono state messe in pratica a prescindere dal consenso o semplicemente dal coinvolgimento di noi lavoratori della scuola.

Noi lavoratori abbiamo sempre sentito l'urgente necessità di profondi cambiamenti nel mondo della scuola e quindi molti di noi hanno dato largo credito alle ormai decennali promesse di miglioramento del Ministero. Queste attese sono andate però deluse. negli anni Novanta abbiamo visto aumentare drasticamente i ritmi e i tempi di lavoro nella scuola e diminuire in termini assoluti i salari, abbiamo assistito nelle scuole a un graduale processo di divisione e gerarchizzazione tra i lavoratori. Campagne di stampa martellanti e denigratorie hanno posto la nostra categoria su una difensiva attendista e paralizzante, e senza che promuovessimo alcuna lotta ci siamo lasciati imporre misure, come quella del blocco dei pensionamenti, ingiuste ed illegali. In generale la riduzione delle risorse alla scuola, la direzione aziendalistica presa dall'innovazione, il blocco dei pensionamenti, il mancato riconoscimento dei propri sforzi, il recente rinnovo contrattuale hanno creato insoddisfazione, amarezza, disorientamento, in una categoria non più abituata a lottare. Dal momento in cui la scuola è stata investita da quel che appare il più massiccio e coerente attacco allo stato sociale, in un'ottica se non di smantellamento certo di adeguamento alle esigenze del mercato, la maggior parte di noi lavoratori della scuola vive sotto il segno della rassegnazione, o della rincorsa individuale a qualche posticino al sole che le riforme offrono, o della rabbia impotente nei confronti dell'affermazione e della forzosa introduzione anche nella scuola di quei valori che vedono nel mercato la causa e il fine di ogni azione umana.

L'offensiva in atto - che ha visto in un primo tempo una fenomenale riduzione di risorse destinate alla scuola (più di 200.000 posti di lavoro perduti in meno di un decennio, accorpamenti, tagli al bilancio, ecc.) e poi l'avvio di una serie di iniziative legislative (autonomia, dirigenza ai presidi, ecc.) - ha trovato una struttura sindacale completamente prona ai disegni ministeriali. Di fronte ai tagli all'istruzione il sindacato ha opposto solo tiepidissimi distinguo, mentre su altri fronti ha manifestato piena consonanza o meglio complicità (ad es. sulla maniera di interpretare, nei fatti, l'autonomia), ed in altri addirittura ha anticipato e aggravato l(impostazione della controparte, come nel caso dei sei milioni in più ai "meritevoli" previsti dall'ultimo contratto. Il C.C.N.L. 1998-2001, corredato dall'Integrativo, è tra i peggiori contratti firmati dalla nostra categoria, non solo perché non prevede adeguamenti salariali che recuperino per lo meno l'inflazione (in un contesto di inasprimento dei carichi di lavoro), ma perché rappresenta la traduzione dei disegni aziendalisti del Ministero sul piano dei rapporti di lavoro. Le misure adottate (tre milioni alle funzioni-obiettivo, due alle analoghe funzioni aggiuntive per gli ATA, sei ai docenti che superano il concorso, aumenti considerevoli ai dirigenti) e gli automatismi correlati che prevedibilmente determineranno la cristallizzazione delle suddette figure disegnano il quadro di una volontà tesa a dividere i lavoratori, in un'ottica aziendale secondo cui solo lavoratori in concorrenza tra loro possono dare il meglio di sé, e solo una chiara diversificazione di ruoli e "responsabilità" è in grado di produrre efficienza.

Il nostro è un sindacato che non lotta, che non combatte, anche perché non pensa di avere controparti, e dunque ambisce a essere partner. Persino di fronte a una questione così sentita dalla categoria, come il finanziamento alle scuole private, non ha saputo organizzare una risposta militante all'altezza, rinunciando così a collegarsi con il movimento degli studenti.

Non solo il nostro sindacato segue una linea sindacale sbagliata, ma questa e accompagnata e sorretta da una mancanza di democrazia sostanziale soprattutto nel rapporto con i lavoratori. La nostra è una categoria che non decide. Il momento più importante della vita sindacale, quello del contratto, è passato senza che ci fossero né un reale coinvolgimento in fase di trattativa né un referendum conclusivo sull'ipotesi definitiva. Eppure in questi ultimi anni siamo stati chiamati diverse volte a esprimerci col voto anche su temi relativamente di secondaria importanza. Il fatto è che questa volta i nostri dirigenti temevano di perdere. Del resto in occasione di quella farsa che viene spacciata per consultazione dei lavoratori, tutti coloro che, dove si è votato, hanno espresso un "assenso critico" credendo a chi diceva loro che il contratto sarebbe stato migliorato, si sono accorti poi di essere stati presi in giro: nulla è stato modificato. Oggi il grado di scetticismo che nutrono i lavoratori verso il sindacato è così elevato che da esso null'altro si aspettano se non un po' di consulenza quando ne hanno bisogno.

Ciò di cui abbiamo bisogno è dunque un sindacato con una linea giusta ed efficace, sorretta da una democrazia sostanziale e partecipata. Un sindacato che riconquisti la fiducia di chi dovrebbe rappresentare e ne stimoli le potenzialità di elaborazione intellettuale e di lotta.

Il sindacato deve opporsi all'attacco che viene mosso sia alla scuola pubblica sia ai suoi lavoratori. La difesa deve articolarsi su entrambi i piani: quello più strettamente sindacale della tutela dei diritti dei lavoratori, e quello più propriamente politico della difesa della scuola tout court. La scuola è il nostro ambito di lavoro, e non possiamo vivere e lavorare efficacemente in un ambiente deteriorato. Inoltre una categoria alla quale sia riconosciuto il giusto valore è più motivata ad affrontare un lavoro dal forte contenuto sociale. Il sindacato deve dire chiaro e tondo che la scuola non è e non deve essere un'azienda, da ogni punto di vista.

Il sindacato deve attuare una politica di recupero delle condizioni di vivibilità nella scuola: recupero salariale, controllo dei carichi di lavoro, nuove assunzioni. La differenziazione interna tra i lavoratori della scuola deve essere bloccata e si deve tornare a proporre soluzioni che favoriscano la partecipazione collettiva. Il sindacato deve opporsi alle riduzioni di spesa e battersi invece per la vera riforma che manca al sistema scolastico: l'abbassamento del numero di studenti per classe, per favorire le dinamiche relazionali-affettive docenti-alunni necessarie al successo dei processi educativi. La categoria deve ricominciare a lottare e il sindacato deve fungere da stimolo perché i lavoratori superino l'attuale disorientamento.

La democrazia sindacale deve basarsi sui delegati. I delegati dunque non devono essere coinvolti solo per recepire delle direttive o "essere informati". Le assemblee dei delegati di scuola devono essere convocate spesso, destinando loro la gran parte dei permessi sindacali, e devono divenire i luoghi della decisionalità. Non si può più pensare che siano i direttivi a rappresentare la categoria tra un congresso e l'altro, cioè per un lasso di tempo di tre o quattro anni. I delegati sono il tramite coi lavoratori; per questo è da loro che non solo deve discendere la legittimità delle decisioni sindacali (cosa che volendo formalmente accade già oggi, ad es. con gli attivi unitari), ma deve partire la proposta e l'azione. In determinate occasioni, come quelle contrattuali, si deve ricorrere sempre al referendum. Se non si adotta questa filosofia non si riuscirà a intaccare i meccanismi burocratici che impediscono la democrazia sindacale e che, spesso indipendentemente dalla volontà delle persone, creano ceti separati di funzionari, con linguaggi, logiche e dinamiche tutte interne a se stessi e drammaticamente separati dal resto dei lavoratori.

Oggi pare scontato che chi diventa "sindacalista" lo resti finché non va in pensione: entra in una logica di carriera interna alla struttura sindacale, si stacca cioè lentamente e progressivamente da quelle che erano le motivazioni originarie che lo avevano spinto a dedicare tutto o gran parte del suo tempo al sindacato (la difesa dei lavoratori) per aderire ad altre logiche più sofisticate fatte di equilibrismi, tatticismi e mediazioni e ad altre motivazioni tutte interne all'apparato. Questa dinamica è favorita dal distacco quotidiano dalle condizioni concrete di lavoro e dalla mancanza di ricambio. Per questo motivo i distacchi devono essere a metà tempo, in maniera che il sindacalista continui a vivere anche le condizioni concrete della sua categoria e inoltre devono ruotare: il distaccato deve tornare sul suo posto di lavoro dopo due mandati; nulla impedirà che successivamente possa essere di nuovo distaccato.

La consulenza deve essere qualcosa di attivo e non limitarsi al solo aspetto tecnico; deve divenire leva per portare avanti nelle scuole esperienze di lotte collettive. Per questo la consulenza deve essere decentrata e si devono addestrare i delegati perché sappiano organizzarla in prima persona.

Il segretario non deve essere più una figura onnipotente, ma semplicemente ricoprire un ruolo di coordinamento e di rappresentanza verso l'esterno. Egli stesso, anche per il forte impatto simbolico che ha, deve avere un distacco solo parziale dal lavoro. La segreteria deve avere compiti esclusiva<mente organizzativi, e per questo non può essere espressione della sola componente maggioritaria: le minoranze devono avere garantito, indipendentemente dal loro comportamento, l'accesso proporzionale nella composizione dell'organismo. Si deve inoltre arrivare gradualmente a una separazione tra incarichi dirigenti elettivi (che non richiedono il distacco, se non quello parziale del segretario) e incarichi 'tecnici" (chi si occupa di consulenza, fa le assemblee, aiuta nella contrattazione, ecc.)

La partecipazione deve essere favorita a partire dalla base. Troppo spesso vi sono scuole dove il sindacato ha un unico punto di riferimento che rimane lo stesso per anni e anni. Anche i delegati devono incoraggiare l'allargamento della rappresentanza e il ricambio. L'assemblea sindacale nella scuola è l'organo sovrano che deve essere valorizzato dai delegati interni. Troppo spesso il monte orario a disposizione delle scuole per le assemblee non viene utilizzato per intero.

Il sindacato deve divenire un luogo fondato sulla partecipazione. Il fenomeno del volontariato dimostra che non è sparita la voglia di dedicare il proprio tempo e le proprie energie ad attività "sociali"; è sparita però la voglia di impiegarle nelle strutture classiche del movimento dei lavoratori. E ciò avviene perché queste strutture sono a giusto titolo percepite come burocratizzate e poco attraenti sotto ogni profilo. Il sindacato deve essere una casa, un luogo aperto ai lavoratori. Tutti i lavoratori devono avere libero accesso, poterne occupare le stanze per riunioni, usarne le strutture e le apparecchiature, ecc. La partecipazione delle donne deve essere favorita scegliendo oculatamente l'orario delle riunioni e garantendo quando necessario spazi attrezzati per bambini. L'uso delle risorse deve essere trasparente e utilizzato anche per questi fini. Una fetta delle medesime deve essere destinata a programmi di scambio, contatti e conferenze comuni con i sindacati scuola di altri Paesi.

Noi vogliamo ricostruire il sindacato a partire dalla base. Può sembrare, in questi tempi di riflusso, un'ingenuità o un azzardo. A noi pare l'unico modo per uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo cacciati.

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