Riprendiamo un vecchio articolo di Giulio Preti, dal titolo Scuola pubblica e scuola privata apparso su Il Politecnico, n. 19 del 2 febbraio 1946, su un tema oggi di grande attualità.
Il contesto storico in cui l'articolo si iscrive è completamente diverso da quello di oggi: l'uscita dalla guerra e dalla rovinosa dittatura fascista; la forma dello Stato ancora da decidere e la Costituzione da elaborare; la Resistenza, esperienza recentissima, molto viva nei suoi valori di riscatto nazionale e popolare, che trovavano fervida espressione nei comunisti e nelle masse organizzate del movimento operaio; la critica feroce alle gerarchie ecclesiastiche e ai valori tradizionali del cattolicesimo fortemente compromesso col regime fascista; la necessità impellente di trasformare la società italiana in tutti i suoi settori in senso popolare e democratico. La scuola quindi in questa operazione ha riconosciuta interamente la sua centralità, come dimostra l'attenzione che il periodico fondato da Vittorini le dedica.
Alcuni giudizi espressi da Preti sono necessariamente superati e vanno corretti o integrati, con altri facciamo fatica a riconoscerci (ad es. i dubbi sulla "maturità" degli studenti, i vari richiami alla disciplina, dietro cui ci potrebbe essere il rischio dell'autoritarismo), ma nel complesso, numerose osservazioni e critiche, non solo alla scuola privata ma anche a quella pubblica, nonostante i cinquant'anni trascorsi, mantengono ancora oggi tutta la loro validità e forza.
Particolarmente interessanti ci sembrano la critica all'esame di Stato, quale meccanismo di involuzione della didattica e di burocratizzazione della scuola, realtà evidenti anche della scuola statale odierna, e la sussidiarietà dell'intervento privato in caso di insufficienza di quello pubblico.
Come alla fine della seconda guerra mondiale, anche oggi viviamo in un periodo di cambiamenti e di riforma della scuola italiana, che sta prendendo però una direzione assolutamente inaccettabile, antipopolare e aziendalista, in ossequio alle sbandierate esigenze del mercato. Differentemente da allora, il supporto a questa linea liberista viene anche da parte di settori tradizionalmente rappresentativi del movimento operaio, governo e sindacato in primis, ai quali i comunisti devono sapersi opporre in maniera coerente ed efficace, a partire dal corretto piano dell'analisi, per adottare le conseguenti e necessarie indicazioni strategiche e organizzative.

[N. d. R. In grassetto nel testo]

 

SCUOLA PUBBLICA E SCUOLA PRIVATA
PER UNA NUOVA DIREZIONE NEL SINDACATO SCUOLA


Febbraio 1946 di Giulio Preti dal Politecnico n.19

 

Abolire la scuola privata?

Il terzo grande problema relativo alla riforma, o meglio alla ricostruzione della scuola media italiana, riguarda l'esistenza della scuola privata e i suoi rapporti con la scuola pubblica o statale.
La riforma Gentile del 1925 e in seguito le leggi Bottai del '38 hanno dato alla scuola privata una sempre maggiore indipendenza per quanto riguarda il controllo dell'insegnamento, i criteri didattici, la direzione, la valutazione degli alunni, gli orari, togliendole contemporaneamente qualsiasi indipendenza politica e imponendo il rispetto dei programmi ufficiali. Alla fine del corso di studi tanto gli studenti delle scuole non statali quanto quelli delle scuole statali dovevano sostenere un esame di Stato di fronte ad una commissione ministeriale formata da un professore universitario, un preside di scuola media e alcuni professori di ruolo delle scuole medie governative - tutti forestieri ed estranei all'"ambiente". In sostanza la scuola privata è divenuta un doppione della scuola statale, una scuola statale di gestione privata accanto alla scuola statale di gestione governativa. È questo un punto da tenere ben fermo perché su di esso si imposta gran parte della discussione. Perché ne deriva un'importante considerazione: oggi la scuola privata italiana non ha alcuna funzione sua propria: essa non rappresenta, come vogliono i suoi sostenitori, un'integrazione della scuola statale, non è un'iniziativa privata che sorga a colmare le lacune e le deficienze - immancabili in un'istituzione burocratizzata - dell'ordinamento governativo dell'istruzione: non tenta nuovi metodi di insegnamento, non tenta nuovi orientamenti dell'organizzazione degli studi, non è neppure un tentativo di far sorgere scuole specializzate in settori in cui occorrono dei tecnici specializzati. Ci sono è vero, anche scuole di quest'ultimo tipo, ma sono poche. Ci sono stati alcuni istituti privati che hanno annunciato a colpi di grancassa di fondarsi su principi pedagogici nuovi, ma erano soltanto una bella truffa. Ci sono infine gli istituti tenuti dai religiosi, preti, frati e monache: ma essi in generale si distinguono soltanto per una maggior unzione, una minore serietà negli studi veri e propri, un "lasciare-andare" nelle promozioni e negli esami, un insegnamento o superficiale o invecchiato (perché le due cose non si escludono affatto). In sostanza, le scuole dei religiosi sono organizzazioni di propaganda clericale (e questo nel migliore dei casi) oppure ottimi investimenti di capitali degli istituti ecclesiastici: ottimi anche per i privilegi fiscali di cui godono, e per i generosi aiuti di pii patroni e patronesse, i cui figli, naturalmente, frequentano le loro scuole...
In realtà, le scuole private sono organizzazioni industriali - la più orribile delle industrie. - Nella migliore delle ipotesi esse hanno la funzione di colmare una lacuna amministrativa della gestione statale, ossia di far sorgere scuole dove quelle governative o mancano o sono insufficienti [È il caso lampante di nidi e materne - N. d. R.]. Ma qui non si tratta che di un problema di gestione: queste ultime scuole, ove veramente rispondano ad un'esigenza di fatto, possono essere assunte direttamente nella gestione statale, oppure essere gestite amministrativamente da enti pubblici (Comune, Provincia) e didatticamente dallo Stato. In generale le scuole private sono forme scandalose di organizzazione commerciale a scopo di lucro. Disciplina, efficienza didattica, moralità, tutto vi lascia a desiderare: e chi scrive lo sa per esperienza diretta. Inoltre esse sono quasi sempre, e lo sono state in particolare in questi ultimi anni, impiantate sulla base di una scandalosa compra-vendita di titoli di studi; al tempo dell'esame di Stato erano il centro che faceva da mediatore interessato di colpevoli e poco puliti accordi fra famiglie ed esaminatori. Scuole corrotte e fonte di corruzione, perciò diseducatrici dei giovani che ci vivono in mezzo e che imparano anche troppo presto come con la corruzione si possa evitare il lavoro e l'impiego. La legge prevedeva un controllo burocratico da parte dei provveditori e di commissari: ma non ha mai funzionato, e si capisce fin troppo bene il perché.
Conclusione: bisognerebbe abolire tutte le scuole private. Questo sarebbe un provvedimento necessario per ridare serietà ed efficienza alla scuola tutta quanta, compresa la scuola statale, che risente anch'essa della concorrenza sleale e della pressione corruttrice di quelle ed è costretta ad abbassare il suo tono e a rilassare la sua disciplina. Ma questa conclusione presta il fianco ad alcune obbiezioni che sarà bene esaminare.

Le obbiezioni

In primo luogo, si dice, la scuola privata costituisce una istanza di libertà contro la tendenza all'irrigidimento della scuola governativa. Ma abbiamo visto che, così come stanno le cose, ciò non è vero. La libertà dovrebbe prima di tutto essere introdotta nella scuola governativa, lasciando gli insegnanti pienamente responsabili dell'indirizzo didattico, politico, morale, religioso del loro insegnamento, senza diritto di controllo da parte di chicchessia; e lasciando anche libertà, almeno entro certi limiti, di concepire e di disporre il "programma". L'attuale libertà della scuola non governativa è la libertà di fare porcherie: libertà che non c'è barba di liberalismo che possa permettere. Certo che l'esigenza di omogeneità, le necessità amministrative, la tendenza naturale dei professori-burocrati al conformismo e al tradizionalismo faranno sempre della scuola governativa una cosa poco vivace e assai restia alle novità, agli esperimenti di forme e discipline nuove. Una partecipazione degli studenti alla direzione didattica della scuola sarebbe assai cosa utile, e potrebbe rappresentare una soluzione: ma chi conosce le masse studentesche di oggi ha molti legittimi dubbi sulla loro attuale maturità per adempiere ad una funzione così importante e delicata. Sopprimere la scuola privata significa togliersi la speranza di un movimento progressivo e rinnovatore dell'istruzione - certo però che non è dalla scuola privata com'è oggi che potrà mai venire un tale movimento progressivo e rinnovatore, né un'istanza liberale di qualunque genere.
La seconda obbiezione è data dal fatto che l'esame di Stato è una forma perfetta o quasi perfetta di controllo da parte del governo su tutta l'istruzione, sia pubblica che privata. L'esame di Stato ha anche oggi moltissimi sostenitori, specialmente fra gli idealisti (non per niente il Gentile, che l'ha istituito, era un maestro dell'idealismo). Si dice che presentandosi al giudizio di una commissione di Stato il giovane si presenta davanti a giudici estranei e imparziali cui deve dare prova della sua maturità qualunque sia il modo (indirizzo didattico, indirizzo di studi, orientamento politico e religioso) con cui l'ha conseguita. Tutto questo, però, è pura teoria: presuppone esaminatori ideali ed esami ideali, cioè tali che in realtà non esistono. In pratica, gli esaminatori esaminano il candidato su di un programma, e guardano se l'ha studiato o no; hanno pochi minuti di tempo (perché i candidati sono molti e il tempo a disposizione è relativamente scarso), e non possono conversare a lungo con lui. Primo difetto essenziale dell'esame di Stato: esso è per eccellenza antiliberale, antiprogressivo, antieducativo, perché fa della scuola una preparazione all'esame e non un dialogo o una ricerca comune. Perciò l'esaminatore che abbia degli scrupoli finisce per allargare le maniche più del bisogno, e far buoni tutti - com'è avvenuto precisamente negli ultimi anni immediatamente precedenti la guerra. Perciò, sotto l'incubo dell'esame, gli insegnanti cercano di ridurre al minimo la loro "personalità" e di insegnare secondo la "cifra" più diffusa fra i loro colleghi dotati di maggiore conformismo e di minore "personalità". Se ciò sia educativo o "liberale" lascio giudicare al lettore.
Ma c'è un terzo argomento, che è il più scottante di tutti: il Concordato con la S. Sede. Secondo questo le scuole tenute dai religiosi devono essere in tutto pari a quelle governative. Il che ci mette nell'alternativa di costituire per le scuole dei religiosi un mostruoso ed anacronistico privilegio, o di allargare la concessione a tutte le scuole non statali. Il fascismo aveva preferita questa seconda soluzione: ma noi diciamo con tutta tranquillità che uno Stato moderno non può tollerare un patto che lo metta in una simile disastrosa alternativa.

Per una sua nuova funzione

E veniamo all'ultimo argomento, il più serio. Si può togliere ogni possibilità alla scuola privata? È stato giustamente rilevato che la scuola del cantiere, dell'officina, del fondo agricolo, è la scuola dell'avvenire. Solo il sorgere e il prosperare di tali scuole darà all'istruzione italiana quell'agilità, quella progressività, quell'adesione concreta alla vita del Paese che la scuola pubblica, burocratizzata e necessariamente chiusa entro le strettoie della legge e dell'amministrazione, non potrà mai avere. Vietare a priori la nascita e lo sviluppo di tali scuole, che anzi dovremmo augurarci florido, sarebbe un delitto. Ma come distinguere le scuole che sorgono per esigenze vitali da quelle che hanno scopi di speculazione? Criteri se ne potrebbero trovare, e precisi: le scuole private ammesse e incoraggiate dallo Stato dovrebbero in primo luogo non essere un doppione di quelle pubbliche, e, per quanto riguarda il loro preciso scopo e la qualità degli alunni (per esempio: scuole serali d'officina per operai e impiegati che di giorno lavorano), non essere in concorrenza con le scuole pubbliche. Ammesse dunque tutte le scuole private che non preparano a conseguire titoli di studio legalmente validi per impieghi pubblici, ammesse quelle che dànno titoli validi per un impiego o un miglioramento di impiego presso l'ente stesso che le gestisce (per esempio, una scuola superiore di tecnica bancaria presso una grande banca; o una scuola di ingegneria presso una grande industria, ecc. - lasciando a questi enti il diritto di preparare e reclutare in questo modo il loro personale tecnico). E finalmente, perché no? anche scuole riservate a particolari categorie di studenti che, privi del titolo di studio, aspirano a frequentare l'università: operai, impiegati, ecc. - Queste dovrebbero essere ben controllate; ci dovrebbe essere la sicurezza che non sono istituite a scopo di lucro, e che sono fatte seriamente; e finalmente sarebbe cosa giusta che agli studenti di queste scuole fosse concesso di fare un esame, serio e accurato quanto si vuole, presso i professori di quella stessa facoltà universitaria (e quello stesso ateneo) presso il quale vorrebbero iscriversi. Questi professori dovrebbero accertarsi unicamente, ma completamente e seriamente, di ciò: che lo stato di cultura degli aspiranti sia tale mettere questi ultimi in grado di seguire con profitto gli studi di quella facoltà.


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