Coltivazione
e paesaggio
La pianta dell’uva, la vitis vinifera caratterizza da
secoli il paesaggio mediterraneo, le fertili terre della Campania e le dolci
colline del Sannio.
Il Sannio, regione prevalentemente collinare, ha tre
valli: Caudina, Telesina e Vitulanese e una catena di monti di notevole altezza
che appartengono al Massiccio - Camposauro e i versanti beneventani del
Partenio e del Matese. E’ attraversata da vari corsi d’acqua tra cui il
Tammaro, il Fortore, l’Isclero, il Sabato e il Calore. E’ una terra ricca di
storia, di cui restano evidenti tracce nel patrimonio artistico e
architettonico. Un viaggio nella terra dei vini del Sannio offre quindi
itinerari insieme storici - artistici, ambientali e eno - gastronomici. Tra i
numerosi prodotti locali, il più tipico e famoso, senza dubbio, è il vino.
La vite, portata in Campania dai Fenici e dai Greci,
ha trovato nel Sannio un contesto climatico e pedologico ideale per la sua
coltivazione, al punto da costruire nei secoli una delle più importanti realtà
della viticoltura italiana. A Benevento e nella sua provincia, nel nostro
VIGNETO SANNIO, in particolare, si producono attualmente numerosi vini di cui
un notevole numero di D.O.C. (Denominazione di Origine Controllata) e due vini
I.G.T. (Indicazione Geografica Tipica). La vite è coltivata nel Beneventano sin
dall’antichità con tecniche usi e tradizioni caratteristiche locali che
conservano la suggestione degli antichi processi di vinificazione ma utilizzano
le recenti acquisizioni tecniche e scientifiche. Ad esempio, i tendoni, che per
anni hanno caratterizzato il paesaggio delle campagne, sono stati sostituiti da
moderni allevamenti a spalliera. Attualmente la vite, allevata piuttosto alta e
generalmente a raggiera, copre buona parte dei terreni di collina, ma non
disdegna la pianura dove, nel caso di nuovi vigneti, è allevata a spalliera con
una certa preferenza per il sistema Guyot che ne garantisce la qualità.
Tra gli altri sistemi d’allevamento prevale la
raggiera espansa che prevede impianti ampi e una carica di gemme elevata.
Sebbene i vecchi vigneti siano stati quasi tutti
soppiantati da quelli specializzati ancora è diffusa la coltura promiscua,
soprattutto con l’olivo.
Negli impianti di vecchia data si assiste ancora
all'ammaritamento della vite (la consuetudine di legare la vite ad un albero
che funge da tutore) con alberi di pioppo o di olmo e alla pratica della
potatura a cordone speronato. Grossi alberi, anche da frutto, si possono
trovare agli angoli dei vigneti in sostituzione dei pali di testata. Nei
cortili delle masserie - caratteristiche case rurali che di solito sorgono al
centro del vigneto e conservano sotterranei freschi e asciutti adibiti a
cantinole - si coltivano ancora piccole pergole, le ultime ad essere visitate
durante la vendemmia. In tempi non remoti, la vendemmia era una occasione di
festa che coinvolgeva intere comunità: attualmente questa fase, delicatissima
per la qualità del vino , è guidata anche dall’enologo che giudica maturazione
e qualità dell’uva.
Negli impianti di collina la vendemmia è ancora
manuale e i mezzi meccanici vengono usati solo per il trasporto delle ceste dal
campo al punto di raccolta aziendale.
Altre fasi, meno evidenti, garantiscono la qualità e
la genuinità dei vini del Sannio: la costante attenzione per le concimazioni,
la difesa contro funghi, insetti, avversità naturali difendono la pianta
dell’uva e la salute dei consumatori.
Guyot: sistema
di allevamento delle viti che prevede che sul fusto della pianta siano legati
fili orizzontali tra i pali: al più basso è legato il capo da frutto, mentre
gli altri rami sono legati ai fili superiori.
I Vitigni
In Campania Benevento, con i suoi 12.000 ettari, è la
provincia che presenta la maggiore superficie coltivata a vite e fornisce oggi
circa 1/3 del vino prodotto nell'intera regione. La produzione di vino DOC nel
Sannio si può considerare ancora limitata rispetto alla superficie investita a
vite e quindi alle potenzialità dell’area. Nel '98 gli ettari vitati
regolarmente denunciati a coltura specializzata, rientranti in zone DOC, erano
poco più di 530. Su questa superficie, con rese medie assai variabili rispetto
alla zona, si riuscivano a produrre circa 40.000 quintali di uva per una resa
in vino piuttosto alta: circa 38.000 ettolitri. Ad esempio il Solopaca, che è
il veterano dei DOC beneventani (riconosciuto con Decreto del Presidente della
Repubblica nel settembre '73) con 19 ettari dichiarati come DOC, ha ammostato
uve per 9500 quintali con una produzione di vino che si aggira attorno ai 1000
ettolitri. La DOC Sannio, in circa 200 ettari dichiarati, ha prodotto 16.300
quintali di uva che equivalgono a 11.500 ettolitri di vino. Tra i vitigni
coltivati nel Sannio hanno un posto di rilievo l'Aglianico e la Falanghina che
testimoniano la migliore tradizione dei vignaioli di queste terre. Le loro uve
danno i mosti che sono alla base o rientrano nella composizione dei vari DOC
prodotti. L'Aglianico, il grande rosso del Sud, è un vitigno di vigore medio o
debole che dà origine a vini di gusto. E' tra i rossi il più nobile e conosciuto
ed è base per il Taurasi dell'Irpinia, unico DOCG del Meridione d'Italia. La
Falanghina, sebbene presenti una bibliografia meno ricca dell'Aglianico, è un
vitigno altrettanto nobile ed antico. Base del Falerno è stato riscoperto da
pochi anni proprio grazie alla rivalorizzazione operata dalla viticoltura
sannita, in particolare nell’area di Sant'Agata de' Goti e Bonea,
riguadagnandosi un ruolo di primo piano nella viticoltura italiana.
SAPERE
ANTICO
Studiando l’Aglianico storia e leggenda spesso si confondono. Si narra, ad
esempio, che durante la seconda Guerra Punica nel 216 a.C., dopo la battaglia
di Canne in Puglia, i Cartaginesi di Annibale usarono questo vino come rimedio
per medicare le ferite!
Ritroviamo ancora l’Aglianico, esaltato come vino degno di re, sulla tavola di
Federico II di Svevia.
Che fosse un vino di grande pregio lo conferma anche Sante Lancerio,
bottigliere ufficiale di Papa Paolo III Farnese, che scrive: "...A volere
conoscere la loro perfettione, vuole essere odorifero, di poco colore et
pastoso. Di tali vini Sua Santità beveva molto volentieri, et dicevali bevanda
delli Vecchi, rispetto alla pienezza".
Carlo d’Angiò ne ordinava per la sua corte "...quattrocento some del buon
vino Aglianico". Andrea Bacci, medico di Sisto V Peretti nel secolo XIV,
lo definiva "...vino ricercato e prestigioso delle mense dei ricchi".
L’Aglianico prima dell’unificazione italiana finì pure sulla tavola di
Ferdinando di Borbone e dopo l’unificazione i primi enotecnici piemontesi
recatisi in Campania non esitarono a definirlo il Barolo del Sud, paragonandolo
al "Re dei vini e vino da Re".
STORIA
L’Aglianico è un vitigno di origine greca che si fa risalire all’antica Hellanica – Hellenica, coltivato sin
dall’antichità nell’Eubea. Alcuni storici sostengono che l’Aglianico è il
vitigno più antico d’Italia e che è arrivato a Napoli portato da mercanti
fenici. Furono comunque i Romani a favorirne la coltivazione e a lavorarlo,
rigorosamente in bianco, per produrre vino.
Il Carlucci ritiene, ad esempio, che l’Aglianico sia stato portato dai Greci in
Italia e che il nome derivi dalla corruzione dell’originario Hellanica in Hellenica, fino al
moderno Aglianico, affermatosi verso la fine del XV secolo durante il dominio
degli Aragonesi nel regno di Napoli. Nel corso degli anni si registrano una
serie di studi in cui l’Aglianico è paragonato ad altri vitigni robusti come il
Mangiaguerra e il Lacrima o è clamorosamente ignorato nella mappa di
distribuzione delle varietà di vini o lo si propone come capostipite del Pinot.
Nell’Ottocento l’espansione dell’Aglianico subisce un brusco arresto a causa
delle malattie americane, tra cui la fillossera,
che mette in ginocchio la viticoltura italiana e parte di quella europea.
L’apertura della scuola di Viticoltura ed Enologia di Avellino, che inizia la
cura della selezione dell’Aglianico contribuisce in modo determinante alla
rivalutazione del vitigno e del vino
[Fillossera: insetto originario dell’america settentrionale che
vive solo sulla vite, di cui attacca foglie e radici, flagellò i vigneti di
tutta Europa nella seconda metà del XIX sec. Fu sconfitta innestando le varietà
europee su quelle americane resistenti ad essa.]
IL VITIGNO
AGLIANICO PIÙ DA VICINO
L'Aglianico è un vitigno a frutto rosso fra i più
pregiati come uva da vino, "Ellenicon in Magna Grecia" ribattezzato
dai Romani "Vitis Hellenica".
Dell'Aglianico si conoscono diverse sottovarietà:
l'Aglianicone, l'Aglianico zerpuluso, l'Aglianico femminile e quello mascolino.
Il più diffuso e stimato resta però l'Aglianico comune detto anche verace o
liscio.
In generale questo vitigno è di vigore medio o debole
e dà le migliori produzioni nei terreni argillo - calcarei.
Ha tralci color nocciola, sottili, di media lunghezza,
con internodi brevi. Il germoglio è cotonoso, biancastro e sfumato di rosa. La
foglia è media pentagonale, a tre o cinque lobi e presenta dentatura larga con
picciuolo di media lunghezza. La pagina superiore della foglia è di colore
verde vivo, mentre l'inferiore è chiara e cotonosa.
L’Aglianico germoglia tardivamente con produzioni
medie o scarse. È abbastanza sensibile alla peronospora e all'iodio ma è
resistente al marciume.
L’uva
Il grappolo è di media grandezza e piuttosto serrato,
dalla forma cilindrica o conica, brevemente alato. L’attaccatura del grappolo
al tralcio (il peduncolo) è di media lunghezza, mentre la connessione degli
acini al grappolo (i pedicelli) è piuttosto corta e dal colore rosso carico.
Gli acini sono medi, rotondi (frequentemente insieme a acini più piccoli
verdi), a buccia spesso coriacea, resistente, di colore azzurro - violaceo cupo
a polpa non soda. L’uva è dolce, un po' aspra con piccoli e verdi vinaccioli.
Il vino
Dalle uve Aglianico si ottiene un vino di colore rosso
granato, brillante, a schiuma rossa sanguigna, vivace con una gradazione
alcolica media o più che media. Al gusto è franco, fresco, assai gradevole.
È un vino molto corposo che si taglia assai bene con
altri vini da pasto anche superiori. In alcune zone può essere giudicato
suscettibile di invecchiamento: dopo due o tre anni raggiunge molta finezza. I
vini Aglianico hanno un buon grado alcolico compreso tra 11 e 13, un’acidità
totale che varia dal 6 al 7 per mille e un estratto secco compreso tra il 23 e
il 30 per mille.
Il ruolo dell’odorato
nell’analisi sensoriale
A cura del Prof.
LUIGI MOIO
Professore associato di Enologia - Dipartimento di
Scienze degli Alimenti - Università Federico II di Napoli.
Nell’analisi sensoriale del vino l’odorato è il senso
maggiormente sollecitato. L’esperienza ha dimostrato che utilizzando i soli
parametri chimico - fisici: grado alcolico, acidità totale, acidità volatile,
pH, estratto secco, ecc., un vino ordinario e un vino di elevata qualità sono
difficilmente distinguibili, nonostante le differenze qualitative apprezzabili
tra essi. Questo perché nei grandi vini esiste qualcosa di difficile
determinazione che condiziona in modo decisivo l’intensità del piacere che essi
possono trasmettere al consumatore. Un ruolo importantissimo nella determinazione
della qualità del vino spetta all’AROMA. Pertanto diventa un esercizio
fondamentale per apprezzare appieno le qualità sensoriali, sentire il vino
utilizzando l’odorato, tra i cinque sensi quello dotato di maggiore capacità di
discriminazione. Sappiamo che gli odori non si percepiscono con tutto il naso
ma con un sottile strato di cellule che costituiscono l’epitelio olfattivo,
situato nella porzione più alta della cavità nasale. E’ importante tener
presente che in base al percorso che le molecole volatili compiono per
raggiungere l’epitelio olfattivo è possibile distinguere due caratteri
sensoriali legati all’odorato: ODORE E AROMA. Si parla di ODORE se le molecole
odorose raggiungono l’epitelio passando attraverso le narici, seguendo la via
nasale diretta; di AROMA se le molecole volatili raggiungono l’epitelio
seguendo la via retronasale, passando cioè dalla bocca e risalendo attraverso
la cavità orale fino al naso. Per fare una valutazione delle caratteristiche
olfattive del vino, data la distinzione esistente tra odore e aroma bisogna
applicare una sequenza cronologica. Da una fase iniziale di intervento
dell’odorato che può definirsi dell’annusamento fino all’espulsione o
ingerimento del vino stesso e quindi alla valutazione della sua persistenza aromatica.
Il lavoro dell’odorato, benché straordinariamente affascinante, è complesso e
difficile, non impossibile. E’ sufficiente possedere una buona impostazione di
base, cioè un buon approccio metodologico, una buona padronanza dei
fondamentali, vale a dire la conoscenza dei criteri di valutazione e sostenere
tante sedute di allenamento, esercitazioni vere e proprie.
carattere
sensoriale percepito direttamente attraverso le narici tramite l'inspirazione.
carattere sensoriale percepito indirettamente
attraverso la boccaper via retronasale tramite espirazione.
Il Vino in Campania (sito consultato: http://www.vinoaglianico.com)