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numero uno

 

INTERVISTA A CARLO FIGARI

di Giuliana Pili

1)      Quando ha incominciato ad interessarsi di  Martino Mastinu e Mario Bonarino Marras?

    Quando ho scoperto che a Roma si sarebbe svolto il processo contro sette militari argentini e per il caso di otto desaparecidos cittadini italiani. Circa quattro anni fa avevo letto su un dispaccio di agenzia i nomi di questi otto cittadini e con sorpresa avevo notato che due cognomi erano chiaramente sardi, Mastinu e Marras. A quel punto è scattata la molla di sapere che cosa ci facevano in Argentina, sicuramente erano emigrati o figli di emigrati, com’erano finiti e come vivevano, perché erano stati sequestrati e come e quando erano stati uccisi? Tutte queste cose nella mentalità di un giornalista quando viene a contatto con una notizia esplodono come una cascata. Da qui mi son messo in movimento perché nessuno sapeva qualche cosa.

  2)      Chi erano Mastinu e Marras?

    Erano due emigrati, entrambi nati in Sardegna a Tresnuraghes, emigrati a metà degli anni cinquanta ancora bambini ed erano anche parenti, cognati, perché Marras aveva sposato la sorella di Martino. Una storia che si svolge pertanto in ambiente completamente sardo. Nel paese di Tresnuraghes negli anni cinquanta su 4500 abitanti ne emigrarono circa 500, quindi circa uno per famiglia e tutti finirono in riva a Rio della Plata a Buenos Aires, li si ricostituirono i nuclei familiari, si intrecciarono i rapporti che già esistevano in Sardegna tanto è vero che tutta la tragedia di Martino si svolge in chiave sarda. Quando vanno a cercarlo lui si rifugia in un isolotto dove viveva un altro emigrato di Tresnuraghes, il pastore Juan Masala i cui parenti vivono ancora a Tresnuraghes. Quando viene sequestrato si trova a casa di un’altra famiglia di Tresnuraghes, i Demontis. Erano due operai che crescono a Buenos Aires, in un rione popolare vicino alla città di Tigre. Marras fa l’operaio, mentre Martino entra a lavorare nei cantieri navali: “Gli Astillieros”, enormi cantieri dove si costruivano le navi. Martino in poco tempo diventò un sindacalista molto importante.

  3)      Lei ha incontrato durante le sue ricerche altri Desaparecidos?

    Certo, altri familiari di desaparecidos perché man mano che saltavano fuori le storie ti rimandavano sempre ad altre storie perché questo fenomeno terrificante che è la desaparecion, cioè il sequestro e la scomparsa dei prigionieri fu architettato proprio dai militari argentini per creare un clima di terrore per tenere in pugno tutta la popolazione, colpivano anche alla cieca e cioè sequestravano una persona la portavano nei centri clandestini, la torturavano costringendola a fare i nomi, bastava un nome per essere successivamente sequestrato allargando così la catena. Gli oppositori e i guerriglieri erano pochi, nei trentamila desaparecidos, finirono persone che non avevano alcun rapporto con la politica, con l’opposizione ma il cui nome era stato fatto semplicemente  sotto tortura. Quando una persona è sottoposta a delle sevizie terribili come quella del sottomarino, della picana elettrica, pur di far finire il dolore è pronto a fare qualsiasi nome, quindi si faceva il nome del proprio amico, oppure si diceva: “Si, si è quello…”, confermando un nome che gli veniva fatto da un altro e così il giorno dopo venivano sequestrati anche gli altri.

  4)      Lei ha intervistato anche dei militari che hanno deciso di parlare di ciò che è accaduto in quegli anni…

    Non esattamente, io ho sentito i loro interrogatori nell’aula bunker di Rebibbia durante questo processo che hanno confermato le cose che già avevo sentito, per esempio che avevo letto nei documenti del processo. Io ho avuto modo di prendere in esame le testimonianze degli interrogatori che vennero fatti in Argentina subito dopo la caduta del golpe, ma soprattutto c’è un libro molto importante che è “El vuelo” del giornalista Horacio Verbitsky, uno dei più importanti giornalisti argentini e che è venuto a Roma a testimoniare. Le sue testimonianze raccolte nel libro, rappresentano la confessione dell’unico militare che per primo ha parlato ed ha confessato come si organizzava questo sterminio di massa, come si svolgevano i voli della morte. Ogni mercoledì venivano caricati sugli aerei 20, 30 prigionieri che partivano dai centri clandestini e poi storditi da sedativi venivano buttati nell’Oceano. Martino Mastinu, probabilmente fece questa fine. Ho pertanto avuto modo di risentire questi racconti che sono poi stati confermati anche da altri militari in altre interviste.

  5)      Da giornalista cosa pensa del silenzio dei Mass media sul processo che si stà svolgendo?

    È una cosa terribile che mi spinge ancora di più ad andare avanti nella mia battaglia. Quando ho cominciato ad occuparmi di questa vicenda ciò che mi ha sconcertato è stato il silenzio, l’ignoranza, anche da parte mia di non saper niente di queste storie o poco, anche se all’epoca io ero studente all’Università e quindi parlavamo del Cile, di Pinochet, ma poco o niente di Videla, anzi eravamo dei fans dell’Argentina calcistica che aveva vinto anche i campionati del mondo. L’Argentina ci appariva in modo diverso, man mano che emerge questa terribile storia vien fuori anche la curiosità, adesso accorgermi che i grandi giornali nazionali siano totalmente disinteressati a scoprire le connivenze dell’Ambasciata italiana che non era altro che portavoce della volontà politica del governo di Roma, dei rapporti con la P2, tra Licio Gelli che era di casa in Argentina e la connivenza della chiesa, gravissime, Monsignor Pio Laghi, nunzio apostolico all’epoca. I religiosi sapevano cosa stava capitando ma la maggior parte fece poco o niente, anche se ovviamente ci furono le eccezioni, ci furono quelli che hanno perso la vita e furono uccisi, furono infatti sequestrati anche diversi religiosi, suore, però la corte del silenzio che vigeva allora in Italia, oggi si stà ripetendo. Questo disinteresse si nota nell’aula bunker durante le udienze, son presenti gli avvocati, i giornalisti delle testate in lingua spagnola, dell’ANSA italiana, mentre sono pochissimi i giornalisti dei quotidiani italiani.

(Intervista rilasciata il 3 luglio 2000) 

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