I Sabini.

   '' Infra Sabinos Latium est; a latere Picenum, a tergo Umbria, Appenini Jugis Sabinos utrinque vallantibus.''

Così Plinio definisce l'antico territorio sabino più esteso di quello attuale.

Lungo il corso del Tevere e a nord-est del Lazio, a sud degli Umbri e dei Piceni esisteva in epoca preromana - un gruppo d'Italici comunemente chiamato Sabello-Sannita.

Ad esso appartenevano le tribù dei Sabini, dei Marsi e la grande tribù dei Sanniti.  Gli Italici sembra siano scesi in Italia da nord-est in due ondate successive.  I primi apparvero all'inizio del II° millennio e s'insediarono lungo i fiumi e i laghi dell'Italia nord-orientale.

La seconda ondata entrò nella Penisola più tardi verso la fine del II° millennio. La principale differenza tra quest'ultimi e i primi consisteva nel fatto che non cremavano ma seppellivano i morti.

Essi furono considerati gli antenati dei Sabello-Sanniti.

L'identità sabina si perde progressivamente con la nascita di Roma(VIII secolo a. C.) attraverso un processo di lenta integrazione nella sua struttura politica e socio-economica.  

L'evoluzione  della Sabina è un tutt'uno con le vicende storiche di Roma e di ogni altro territorio periferico ad essa.

 

Le invasioni barbariche e la fine dell'Impero di Roma.

La rovina dell'Impero di Roma iniziata nella prima metà del III secolo fu ritardata dall'azione restauratrice di Diocleziano (284 - 385) e di Costantino (312 - 337).

Venuta meno l'unità romana e avviati a diversi destini l'Impero  d'Oriente e quello d'Occidente, si salvò soltanto il primo.

Il trionfo del Cristianesimo nel IV secolo modificò la struttura ideologica e politica dell'Impero che divenne romano-cristiano.

Dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476) alla scoperta dell'America (1492), l'Europa vive il proprio Medioevo durante il quale la società romano - barbarica visse un travaglio di enormi dimensioni da cui nacquero gli Stati nazionali.

La Chiesa romana stimolò e guidò quell'incontro tra romanizzati e barbari dal quale derivarono le nuove Nazioni.

 

La dominazione  dei  Longobardi, dei Franchi e il Papato.

Il contesto storico che vide nascere Catino e Poggio Catino è definito dalle vicende politiche della dominazione longobarda, di quella dei Franchi e dalla presenza  di un Papato che lentamente consolidava il proprio potere temporale.

I Longobardi invasero l'Italia dalle Alpi Giulie nel 568 d.C. guidati dal Re Alboino.

Originari della Scandinavia, tipici rappresentanti del germanesimo, provenienti dalla Romania (la provincia di Roma sulla destra del Danubio).

Alboino s'impadronì di Pavia dopo un lungo assedio e ne fece la capitale del Regno mentre i suoi compagni si sparsero nella Lombardia, nella Toscana stabilendosi come Duchi nelle terre conquistate. Ulteriori insediamenti furono il Ducato di Spoleto e quello di Benevento.

I Duchi, pur riconoscendo la formale dipendenza dalla Corte di Pavia, governarono  con una certa autonomia e rimasero sempre discretamente ribelli al governo centrale nonostante l'affiancamento dei Gastaldi come rappresentanti nei Ducati dell'autorità centrale.

La dominazione longobarda durò fino al 774 e fu caratterizzata da un primo periodo di violenta sovrapposizione dei vincitori sui vinti e da un secondo periodo di parziale integrazione nella superiore civiltà dei vinti.

Esisteva il Sacrum Palatium a Pavia, sede del regno. Era indiscusso il potere del Re in materia di guerra, di pace, alleanze, legislazione, di comando dell'esercito, d'imposizione ed esazione tributaria e di coniazione monetaria.

I Longobardi avevano sostituito il sistema provinciale romano (dodici Province) con una ripartizione più articolata del territorio conquistato: trentasei Ducati. Dux era il termine latino designante il capo di quei gruppi mobili e dinamici, le Farae,  che effettuavano servizi mercenari e spedizioni anche in lontane Regioni.  Le Farae erano gruppi numeramente contenuti di persone con solidi legami parentali quindi fortemente aggregate e costituirono le prime strutture sociali stabilmente insediate nel territorio.

Il potere dei Duchi assunse ben presto e poi mantenne una consistenza notevole non solo nei Ducati di maggiore estensione(Trentino, Friuli, Spoleto, Benevento). La carica di Duca conservò dovunque e fino alla fine carattere più di principe che non di alto ufficiale del Re con funzioni di organo esecutivo del potere centrale. I Duchi avevano la loro  forte base di potere nelle ricchezze familiari, nel comando delle milizie del Ducato, nell'esercizio di quei poteri amministrativi e giudiziari che la Corte regia non esercitava o riusciva ad esercitare. Assegnazioni di terre, di cariche per costituire, mantenere e rafforzare un proprio seguito diventano, sia da parte dei Re che dei Duchi, pratica usuale. Anche se non si tratta ancora di una gerarchia feudale è tuttavia una struttura che molto le somiglia.

L'invasione longobarda divise l'Italia in due parti - longobarda e bizantina - nettamente contrapposte per sovranità, legislazione e per condizioni di vita: rimanevano tra loro irriducibilmente nemici ma impotenti a sopraffarsi e quindi a ricomporre in qualche modo l'unità.

Tra queste forze contrapposte fu mediatore il più grande pontefice dell'Alto Medioevo,

Gregorio I° Magno ( 590 - 604 ). Per suo merito la Chiesa di Roma divenne anche politicamente l'autorità preminente nell'Italia divisa. Il suo più grande merito è quello di aver piegato la fierezza dei dominatori barbari e di aver preservato la ''Romanità'' da una completa rovina.

Sono aspetti essenziali di questa storia l'isolamento del Ducato romano (una sottile striscia di terra da Ravenna a Roma attraverso Perugia), l'inerzia dei governatori bizantini, l'iniziativa di Gregorio a supplirli nella difesa dagli attacchi longobardi. Con l'aiuto di Teodolinda, moglie del re Agilulfo,  Gregorio iniziò l'opera di conversione dei Longobardi.

Con la morte di Rotari si apre il periodo dell'anarchia(652 - 712) che vide i Duchi longobardi in posizione di forte ribellione verso il potere centrale di Pavia: il dualismo religioso diveniva dissidio politico e di potere tra la corte di Pavia, ormai decisamente cattolica, e i Duchi ancora fedeli all'Arianesimo. Sulla Corte  ebbero molta influenza i monasteri di recente formazione: Bobbio(612) nell'alta valle della Trebbia, Farfa e San Vincenzo al Volturno insediati ai confini del Regno come sentinelle avanzate della nazionalità longobarda. Farfa fronteggiava i bizantini del Ducato romano e San Vincenzo quelli del Ducato napoletano.  In queste Abbazie, alla luce di una cultura squisitamente latina, cominciarono ad avvicinarsi i Romani e i Longobardi elevandosi questi al livello di quelli.

Le influenze monastiche sulla Corte che aveva promosso quelle fondazioni fecero sì che si procedesse sulla via della conciliazione con i Bizantini e i Romani dirozzando i Longobardi e moderandone la primitiva irruenza.

Dovunque si stabilisse un monastero, questo era una vera fortuna per le popolazioni circostanti. Vi trovavano rifugio come in un luogo fortificato. In quei recessi i Monaci lavoravano secondo le loro personali attitudini: chi attendeva al culto, chi coltivava la terra, chi si dedicava all'insegnamento, chi a copiare i libri( la tecnica amanuense ha salvato dalla rovina e dall'oblio gran parte della cultura allora esistente).

L'impresa longobarda era destinata a fallire in quanto tentata troppo tardi quando cioè la conquista dell'Italia non era più una partita tra Longobardi e Bizantini ma comprometteva  nuovi e forti interessi: la tendenza autonomistica delle regioni bizantine e il temporalismo del Papa. Questi trovò il modo di liberarsi di entrambi chiedendo l'intervento dei Franchi.

Le spedizioni franche di Pipino contro Astolfo(754 e 756) e quelle di Carlo Magno contro Desiderio(774) portarono alla conseguenza della sconfitta dei Longobardi con la loro fine politica, la fondazione dello Stato della Chiesa e la sostituzione dei Franchi ai longobardi nel dominio dell'Italia.

 

La società feudale ed i Comuni.

Un nuovo sistema politico si formò nel periodo delle lotte dinastiche fra i discendenti di Carlo Magno: il Feudalesimo.

I secoli IX e X sono caratterizzati da questa nuova istituzione che modifica profondamente la struttura politica e socio-economica dell'Europa e dell'Italia. Si configura un nuovo paesaggio anche nel senso proprio della parola. Le vecchie città romane sono decadenti e spopolate, sorgono certe strane costruzioni in cima alle alture o nascoste dentro strette valli: i Castelli  (Castra).

Abitano qui i signori feudali (Feudatari) cioè l'aristocrazia terriera e guerriera che, approfittando della debolezza dello Stato, hanno usurpato ai loro sovrani quasi tutti i poteri. Sono i padroni della terra,  amministrano la giustizia, riscuotono le tasse.

Si chiamano Feudatari dal nome del territorio (Feudo) di cui sono diventati signori col titolo di conte o

marchese, titoli che ora hanno un significato diverso da quello che ebbero nell'ordinamento amministrativo di Carlo Magno(semplici funzionari eletti, controllati e revocabili). Ora, strappata ai Sovrani la concessione del territorio ( Investitura ), sono padroni assoluti del Feudo e lo trasmettono ai discendenti senz'altro legame con l'autorità concedente che un giuramento di fedeltà spesso rinnegato. Scomparve definitivamente la piccola proprietà e si formò il latifondo inteso come  una enorme concentrazione di terre in poche mani. L'inquadramento delle aristocrazie terriere come gerarchie politiche si verificò in forma definitiva quando istituzioni tipicamente germaniche come il BENEFICIO, il VASSALLAGGIO e l'IMMUNITA' si concentrarono nel Feudatario Il beneficio rappresenta l'elemento reale(la terra), il vassallaggio l'elemento personale (il giuramento di fedeltà ed obbedienza), l'immunità l'elemento giurisdizionale(diritto di giustizia). Il Feudalesimo assetta la società in  un modo profondamente diverso per i vincoli di complessa natura che uniscono il grande proprietario e la gente sottoposta.

Si formano le grandi marche, governate dai Marchesi che divennero una gerarchia più elevata dei Conti e questi dipesero da quelli come i Marchesi dal Re. A loro volta i Conti divisero i loro territori fra i propri dipendenti (valvassori) delegando a costoro tutti i poteri nelle rispettive circoscrizioni. Un ulteriore frazionamento fatto dal valvassore era a beneficio del Miles (cavaliere con obbligo militare) come ultimo gradino della scala gerarchica feudale.

Al di sotto, tutta la massa dei sudditi (sottoposti) ridotti a condizione servile.

L'ordinamento economico detto sistema curtense s'imperniava sulla Curtis signorile che può immaginarsi come una grande fattoria. Un'economia agricola ampliata di quei mestieri che comunque avevano attinenza con il lavoro dei campi e l'attività bellica.

Gli artigiani (ministeriales) si ridussero a condizione quasi servile. La maggior parte delle terre erano lavorate dai coloni con particolari contratti ma tutti erano tenuti a prestazioni gratuite (corvèes) in quella parte del fondo che il Signore sfruttava per proprio conto (pars dominica).

Nelle Curtis si praticava ogni tipo di coltura poichè, essendo cessati i commerci, occorreva produrre sul posto quanto era necessario. La Curtis era un'unità economica di produzione e di consumo senza significativi scambi con i feudi vicini. A seguito di questa impostazione autarchica dell'economia e per meglio fronteggiare le necessità  si aumentò la produzione trasformando pascoli e foreste in terra coltivabile. Questo portò inevitabilmente ad un miglioramento delle condizioni di vita e all'aumento della popolazione. Il rifiorire dell'attività agricola determinò  una lenta ma sicura ripresa economica che culminò nelle industrie e nei commerci dell'età comunale.

Il Feudalesimo, con il sistema delle sub - infeudazioni, produsse la formazione della piccola proprietà contadina e - paradossalmente - sgretolò il latifondo da cui era nato.  Nel secolo XI, data la particolare posizione geografica e il nuovo assetto monetario dell'economia in Italia si verificò, in anticipo sugli altri Paesi europei, una ripresa dei commerci, un significativo arricchimento della popolazione e un deciso avviamento capitalistico.

Le città risorsero dal loro squallore, si estesero per includere i sobborghi cresciuti lungo le vie esterne, gli abitanti acquistarono dignità di cittadini e desiderarono autogovernarsi.  La rinascita del popolo italiano aderente allo spirito latino ma con una diversa fisionomia che non presenta tuttavia deformazioni barbariche in quanto gli elementi germanici sono positivamente assorbiti, si concretizza anche in una decisa ripresa culturale.

Nasce il ''volgare'', la lingua italiana che è la stessa lingua latina trasformata. Risorgono le tradizioni tipiche che si manifestano nel costume, nella cultura e in un risorgente spirito religioso. Si và lentamente delineando l'insorgenza dell'autonomia comunale come effetto della declinante signoria dei Vescovi - Conti. Riforma  della Chiesa e lotta contro l'Impero, sviluppo delle repubbliche marinare, unificazione del Mezzogiorno con i Normanni, riconquista del mediterraneo con le Crociate.  Il Comune è un'istituzione tipica della storia italiana. Per la lontananza e l'impotenza della autorità centrale (Impero), il moto ascensionale dei ceti cittadini (mercanti, artigiani, salariati) produsse forme autonome di governo. I cittadini, divenuti più numerosi, più ricchi e più istruiti non vogliono essere più soggetti ai vescovi-conti o ai grandi feudatari della campagna e si mettono sotto il governo di magistrati da loro stessi eletti ( i Consoli ), si radunano  a  parlamento in una  Piazza o in una Chiesa per discutere i  problemi e gli interessi della città ed osano persino entrare in guerra contro i feudatari delle campagne.  Ogni città costituisce un Comune che è un vero e proprio - seppur piccolo - Stato repubblicano con poteri quasi sovrani: diritto di pace e di guerra, amministrazione della giustizia, la coniazione della moneta, la riscossione delle imposte. Una nuova struttura politica che si sostituisce al sistema feudale fondata su un'economia monetaria.   Nel trapasso dal XII al XIII secolo si rese necessaria la sostituzione del Podestà ai Consoli poichè il Comune si era notevolmente ingrandito con la sottimissione del ''Contado'' (il territorio esterno alla città) e con il conseguente inurbamento dei contadini che erano attratti dalla possibilità di diventare operai dell'industria ed avere un salario. Il popolo si ordinò nelle Corporazioni d'arte ( Arti ) che riunivano e associavano quanti svolgevano attività affini o esercitavano la stessa professione.  Le Arti ebbero una funzione fondamentale nel Comune sotto l'aspetto economico e socio-politico.  Con una meticolosa regolamentazione e organizzazione del lavoro favorirono il progresso tecnologico dell'industria e disciplinarono, secondo principi di giustizia ed equità, le attività professionali. Politicamente acquisirono una grande forza e fornirono i quadri per il governo del Comune.  Poichè i Comuni si erano affermati durante una profonda crisi dell'Impero (1125 - 1152 ), era inevitabile che con l'acquisizione della Corona da parte di una forte personalità  non venisse tollerata questa novità politica sorta e affermatasi in Italia.

L'Imperatore che volle il ritorno alla legalità fu Federico I° il Barbarossa della Casa di Svevia ( 1152 - 1190) che lottò disperatamente contro i Comuni i quali, con altrettanta determinazione e virulenza, difesero le libertà e il progresso conquistati.

Col la vittoria di Legnano della Quinta Lega Lombarda(1176), i Comuni italiani individuarono nell'Imperatore il nemico e questo ne fu il grande significato storico e politico. Federico I° fu costretto alla pace di Venezia(1177) a cui seguì il Trattato di Costanza (1183) con i Comuni. Così si conciliarono le libertà cittadine con l'ossequio formale all'Imperatore. Un grande scontro ideologico-politico fu quello tra il Papa Innocenzo III (1198 - 1216 ) e Federico II (1197 - 1250). Questo Papa intervenne nelle contese per la successione in Germania riuscendo a farlo elevare alla corona d'Imperatore (1212).

Promosse la IV Crociata, sconfisse in Francia gli Albigesi, legò molti Principi europei al Papato con il Patto di vassallaggio, attuando una sostanziale ''Teocrazia''.  E' il tempo delle nuove fondazioni monastiche in particolare quella dei Domenicani di Domenico di Guzman (1170 - 1221 ) e quella dei Francescani di  Francesco d'Assisi ( 1182-1224).  L'inadempienza di Federico II alle promesse fatte ad Innocenzo III (mancata rinuncia al Regno di Sicilia e il non aver partecipato alla nuova Crociata) fu causa di gravi contrasti col Papa Gregorio IX (1227-1241) che più volte scomunicò l'Imperatore.

La supremazia politica del Papato declina avendo trovato in Federico II un oppositore durissimo e ostinato.

E' il tempo dei grandi luminari del pensiero teologico: il francescano San Bonaventura e i domenicani Alberto Magno ( 1225 - 1274 ) e San Tommaso d'Aquino il quale con la sua opera Summa Theologiae tentò di conciliare la scienza con la fede cristianizzando il filosofo greco Aristotele.

Dal trionfo del dogma cattolico doveva inevitabilmente derivare l'intolleranza più ottusa e determinata.

Questo portò alla persecuzione dell'eresia mediante un'istituzione tristemente famosa: il Tribunale dell'Inquisizione che perseguiva gli eretici e li consegnava alle più incredibili sanzioni dell'Autorità laica (il braccio secolare della Chiesa ). Si riaccese il conflitto tra l'Impero e i Comuni: l'Imperatore voleva  limitare le loro ''franchigie'' almeno nei termini del trattato di Costanza ma i Comuni, avendo sviluppato nuove libertà, aspiravano ad un'independenza maggiore.

I Comuni, a San Zenone presso Mantova, strinsero una nuova alleanza tra loro (la seconda Lega Lombarda) che fu sconfitta da Federico II a Cortenuova nel Bergamasco (1237). La morte di Federico II ( 1250 ) spense un grande nemico della Chiesa ma anche la possibilità di un'unificazione ghibellina dell'Italia come giusto contrappeso al potere dei Papi. La fine del Medioevo si annuncia con il progressivo e inevitabile tramonto del Papato politico e dell'Impero.

 

L'Abbazia di Farfa.

La storia di Catino e Poggio Catino è profondamente legata a quella dell'Abbazia di Farfaper motivi di natura politica, economica e culturale. Conoscere la storia dell'Abbazia significa definire meglio il contesto storico in cui certe realtà urbane ed umane sono nate ed evolute.

Secondo l'anonimo autore del Libellus Costructionis Farfensis, l'Abbazia fu costruita nel 550 sulle rovine di un tempio dedicato alla dea sabina Vacuna da San Lorenzo Siro, un monaco orientale venuto in Italia con la sorella Susanna e due compagni, Isacco e Giovanni, durante la persecuzione dell'Imperatore Anastasio I° (491 - 518 ). San Lorenzo fu dapprima Vescovo a Spoleto poi passò a Cures e - secondo la tradizione - fu anche vescovo a Forum Novum (Vescovio). Fondò un edificio di culto cristiano e un primo Cenobio sulle pendici del Monte Acuziano nella valle attraversata dalle acque del torrente Farfa. Lasciata la cattedra episcopale, si ritirò a vita monastica.  Mori nel 576.

L'Abbazia fu distrutta durante l'invasione del territorio da parte del Longobardi e ricostruita nel 703 dal Duca di Spoleto Faroaldo II° che v'insediò un gruppo di monaci giunti dalla Savoia sotto la guida dell'Abate Tommaso. Faroaldo pose in questo modo l'Abbazia sotto la sua protezione.

Il Monastero si presenta all'inizio del secolo VIII come una realtà storico - politica di grande importanza situandosi in una posizione strategica ai confini del Ducato di Spoleto verso i territori del Papato. Durante il secolo VIII si formò il suo patrimonio di terre e beni con donazioni private e Conferme imperiali legando la sua storia ai più significativi avvenimenti che si realizzarono nei territori dell'Italia centrale, partecipe dei non sempre facili rapporti tra i Duchi longobardi e il Papa, tra quest'ultimo , i Re e i Duchi franchi  poi.

Nel 774 avvenne la rottura tra Longobardi e Franchi con le conseguenti azioni belliche che coinvolsero lo stesso Papato. L'Abate Probato abbandonò la tradizionale fedeltà al Duca di Spoleto e si schierò dalla parte del Pontefice Adriano I° passando poi nel 775 sotto la protezione di Carlo Magno che concesse al Monastero il ''Privilegio'' che lo sottraeva da ogni potere sia civile che religioso e ne consacrava la definitiva autonomia. La protezione imperiale dei Franchi definì il momento del massimo splendore durante il governo dell'Abate Ingoaldo.

Nel corso del IX secolo la sua presenza s'imponeva in tutti i territori dell'Italia centrale con una fitta maglia di  CELLAE, CURTES e, più tardi, di CASTRA che insieme ai FUNDUS, ai VICI, ai CASALIA mostrano una organizzazione territoriale a carattere prevalentemente agricolo sul piano economico e una notevole consistenza politico-militare. Fu adottato un sistema di conduzione enfiteutica il cui inizio risale al governo dell'Abate Mauroaldo di Worms (790- 802 ). I contratti - il primo risale al 792 - con i quali venivano concessi i terreni per un lungo periodo di tempo in cambio della loro coltivazione, del loro miglioramento e del versamento di un canone all'Abbazia erano regolarmente registrati come nella raccolta fatta da Gregorio da Catino nell'XI secolo nel Liber Largitorius.

Nell'anno 890 i Saraceni l'assediarono e dopo sette anni l'Abate Pietro, nell'impossibilità di continuare la difesa, abbandonò con i propri monaci il complesso dividendo uomini e beni in tre parti. Un primo gruppo si rifugiò a Roma, un secondo a Rieti e un terzo, insieme all'Abate, raggiunse i propri possedimenti nella Marca fermana(portando con sè l'archivio dell'Abbazia) ospite prima nel Monastero di Sant'Ippolito poi in quello di San Giovanni  quindi sul Monte Matenano ove provvide a fortificarsi nel Castello che più tardi, in seguito alla traslocazione delle reliquie del martire di Trebula Mutuesca ( Monteleone Sabino) ad opera dell'Abate Ratfredo,  assunse il nome di San Vittorio. Con Ratfredo la comunità monastica tornò a Farfa e questo evento segnò l'inizio dell'opera di ricostruzione dell'Abbazia.

Iniziò anche il periodo della sua decadenza: le lotte intestine nelle nomine e nei governi abbaziali, l'impoverimento e il frazionamento dei beni portarono il Monastero sempre più sotto l'influenza del Papa e della grande aristocrazia romana: i Crescenzi, Ottaviani, Stefaniani, i Savelli usurparono all'Abbazia beni e Castelli. Nel 936 l'Abate Ratfredo morì avvelenato dai monaci Campone e Ildebrando.

La successiva lotta tra costoro indusse Alberico, principe di Roma, ad occupare con le sue milizie l'Abbazia nel 947 e a cacciarne Campone.

La breve successione di Dagiperto(morì avvelenato da un monaco), il tentativo di ritorno di Campone segnarono pagine dolorose nella storia del Cenobio farfense che trova invece nell'abate Giovanni III - a partire dal 967 - un trentennio di saggio governo. Il patrimonio viene ricostituito e l'Abbazia ritorna a godere della protezione imperiale suggellata dalla visita di Ottone III nel 996. Con il giovane monaco Ugo succeduto a Giovanni III inizia la rinascita del Cenobio.

Nel settembre del 999 l'Abbazia vide riuniti il Pontefice Silvestro II e l'Imperatore Ottone III che conferma e reintegra tutti i possedimenti perduti e dispone che da quel momento l'Abate debba essere eletto dai Monaci senza alcuna influenza esterna. Tale rinascita si deve anche attribuire ad un altro avvenimento: l'introduzione nel Monastero della riforma Cluniacense - ratificata con il Costitutum Hugonis - che si vuole legata alla visita di due monaci: Sant'Odilone di Clunj e San Guglielmo di Digione. Il Borgo farfense, sorto intorno all'Abbazia in seguito alla nuova concezione monastica(legata più strettamente ad un habitat cittadino) è forse da attribuirsi alla riforma cluniacense. L'attività di Ugo a favore dell'Abbazia durata per un quarantennio è testimoniata da ben duecentoventi documenti raccolti nel Regesto. Il suo nome è legato all'opera letteraria chelo vide cronista dei momenti dolorosi del Cenobio con la composizione della Desctructio Farfensis continuazione dell'anonima Costructio.

La successione di Ugo morto nel Natale del 1038 portò di nuovo l'Abbazia in attrito con l'Imperatore ma la contesa fu di breve durata e terminò con l'elezione da parte dei Monaci dell'abate Berardo I°. Sotto il suo governo (1047 - 1089) il Monastero riassunse di nuovo il ruolo di Abbazia Imperiale: il 6 Luglio  1060  la Chiesa rinnovata ricevette la consacrazione del Pontefice Nicola II.

La storia del Monastero negli anni seguenti è segnata ancora dalle conseguenze della lotta tra Impero e Papato.

Nel 1122 si arriva al Concordato di Worms che segnò la fine delle lotte per le investiture e comportò anche il passaggio del Monastero farfense sotto l'autorità pontificia e di fatto iniziò la sua decadenza. Gli Abati vivevano ormai come signori feudali, isolati nel loro palazzo, rappresentati nel governo del Monastero da due priori e la vita del Cenobio sembrava interessata unicamente alla conduzione agricola della grande azienda.

Con la Bolla di Urbano IV nel 1261 il Monastero con il clero e il popolo dipendente era direttamente soggetto alla Santa Sede costituendo poi una Diocesi a sè stante sotto il governo dell'Abate che fungeva da Vescovo, Abate che continuerà ad essere scelto dai Monaci ma che dovrà ricevere la conferma e la consacrazione del Papa. La dipendenza diretta dalla  Santa Sede e il progressivo impoverimento della situazione economica oltre

ai provvedimenti gravissimi come quello della metà del XIV secolo con cui l'Abbazia venne interdetta e l'Abate scomunicato per non aver pagato le Decime dovute alla Camera Apostolica fino all'ingerenza delle potenti famiglie dell'aristocrazia romana: sono la testimonianza reale della definitiva decadenza.

Con l'avvento degli Orsini si chiude il medioevo farfense e si apre l'epoca moderna caratte rizzata dalla costruzione della nuova Chiesa consacrata nel 1496 che determinò la distruzione della antica Ecclesia Sanctae Mariae.

Nel 1546 gli Orsini perdettero la Commenda di Farfa e nello stesso anno Paolo III nominò Abate Ranuccio Farnese e succesivamente Alessandro Farnese.

Nel 1589 Sisto V  tolse all'Abbazia la fondazione temporale e l'amministrazione dei beni trasferendoli alla Camera Apostolica. Sotto il pontificato di Urbano VIII la Commenda passò ai Barberini con il Cardinale Francesco (1627) poi  con il Cardinale Carlo (1666) e l'ultimo commendatario fu il Cardinale Francesco nel 1728. A lui successe il Cardinale Federico Lante della Rovere(1744) quindi il cardinale Antonio Lante: la carica di Abate si cumulò con quella di vescovo della Sabina.

 

                      PREMESSA  STORICA

Nel 290 a. C. le milizie romane al comando di Manio Curio Dentato conquistarono la Sabina ed iniziò la sua ''romanizzazione'' che avvenne con l'inserimento di coloni: soldati romani che avevano già prestato servizio militare e che - ove necessario - avevano la capacità professionale di provvedere alla difesa del territorio. La prova che la maggior parte della popolazione fosse di estrazione romana  quindi affidabile fu la concessione nel 268 a.C., appena 22 anni dopo la conquista, dello Jus suffragi ferendi (diritto al voto).  La maggior parte del territorio era coperta da boschi e solo il dieci per cento (solitamente le zone pianeggianti e in vicinanza di corsi d'acqua ) era terreno coltivabile.

L'attività economica era prevalentemente agricola(ulivo e vite le colture preminenti) più modesti allevamenti di bestiame.

Alle povere capanne si sostituirono nel I° secolo a.C. le Villae che, soprattutto inizialmente, costituivano piccoli nuclei abitati di tipo rurale. Il Pagus era, nell'ordinamento romano, una zona rurale abitata da una medesima etnia sparsa in piccoli centri (Vicus) costituenti distretti territorialmente definiti ma privi di ogni autonomia giurisdizionale, amministrativa e finanziaria. L'unità elementare di queste strutture era il Fundus cioè un piccolo appezzamento di terreno sito in una certa località ed appartenente ad uno o più proprietari.

Dopo l'Imperatore Costantino (312 - 337) l'Italia venne divisa in 17 Provincie e la Sabina fu incorporata in quella dell'Umbria e della Tuscia.

A determinare la fine dell'Impero romano concorsero tre fattori: la crisi politica interna, l'affermazione del Cristianesimo e le invasioni barbariche.

Il trionfo del Cristianesimo nel secolo IV° d.C. cambiò il volto dell'Impero. Si affermò una nuova concezione del mondo e una ideologia che aveva come obiettivo una organizzazione sociale in cui erano privilegiati valori nuovi e diversi da quelli della romanità.

Il colpo di grazia venne dalle invasioni barbariche, un grande scontro tra due civiltà: la romanità e il gemanesimo.

Dalla rottura visigotica del confine danubiano(376 d.C.) e da quella vandalica del confine renano (406 d.C.) si svilupparono due direttrici nel movimento migratorio germanico che avevano come obiettivo fondamentale Roma, dopo la conquista delle provincie periferiche.

I Visigoti saccheggiarono Roma nel 410 d.C. e si spinsero verso le vicine pianure sabine depredandole e devastandole. Ad essi seguirono gli Ostrogoti e i Longobardi. Quest'ultimi invasero l'Italia nel 568, s'impadronirono di Pavia che ne fecero capitale del loro Regno e si sparsero per l'Italia. I loro insediamenti più meridionali furono il Ducato di Spoleto (569-570) e quello di Benevento (571).

La Regione Sabina fu divisa in due parti: quella romana al di là del torrente Allia (il Corese) amministrata dai Rettori del Patrimonio pontificio di cui costituiva una delle porzioni più consistenti(Patrimonium Sabinense); l'altra - il primitivo territorio dei Sabini - fu incorporata nel Ducato di Spoleto.

Le invasioni barbariche oltre a saccheggiare, devastare e distruggere costrinsero i pochi superstiti a riunirsi in località di più difficile accesso costruendo strutture urbane fortificate (Castra ovvero castelli) in cui rifugiarsi e proteggersi. Dal sistema del castrum derivò il Podium (Poggio, altura) cioè una struttura protetta realizzata in cima a piccoli colli ma meno fortificata e militarizzata.

Nella Bassa Sabina i Longobardi del Ducato di Spoleto organizzarono il dominio occupando le posizioni economicamente e strategicamente più favorevoli fondando Monasteri e Castelli.

 

                                      C A T I N O                            

Catino ebbe origine circa quattro secoli prima di Poggio Catino.

Non è la storia di due diverse comunità separate territorialmente e politicamente: furono governate dagli stessi uomini e si sono sempre riconosciute nelle stesse problematiche.    Tuttavia, trattandosi di due comunità urbanisticamente separate, svilupparono nel tempo  una diversa identità culturale.

Questo ha determinato modeste rivalità ma sempre legate a vicende contingenti piuttosto che a motivazioni strutturali.

Prevalenti sono stati i motivi di unione e di scarso significato i contrasti: ciò è storicamente dimostrato dal fatto che non si è mai verificata rottura ma, insieme e sempre, entrambi i paesi hanno condiviso lo stesso destino.

E' un'ipotesi verosimile  che il Castrum di Catino fosse costruito dai Longobardi in un processo d'incastellamento che aveva come obiettivo la fortificazione pianificata del territorio per necessità di sicurezza: era più efficace una difesa decentrata piuttosto che concentrare, mantenere e rendere operativa una struttura difensiva centralizzata.  Gli insediamenti rurali o urbani vennero quindi incastellati e questo fenomeno produsse una ricaduta positiva sull'economia, il popolamento e il sistema dei simboli e valori sociali.  Il Castello è il luogo e il simbolo di un esercizio signorile del potere, di un dominio personale gestito '' sine rege et sine lege ''.  Il Castello si appropria progressivamente di funzioni più articolate e si definiscono una diversa struttura socio - economica e nuove forme politiche. Su un incastellamento di tipo militare con funzioni strategico - difensive s'innesta un'organizzazione feudale in cui non è prevalente la difesa del territorio ma il dominio politico ed economico sul singolo insediamento.  La sua origine risale al periodo della dominazione Longobarda (568 - 774) ma non esiste un riferimento storico e documentale che consenta di datare con certezza la sua nascita.

La sua storia evolve nel tempo parallelamente alla storia dell'Abbazia di Farfa che svolgeva un ruolo politico di aggregazione e riferimento sul piano economico, sociale e religioso.

Durante il periodo di reggenza dell'Abbazia da parte di Pietro I° (890- 919), Farfa fu assediata per sette anni dai Saraceni (un popolo semitico proveniente dall'Arabia).  Constatata l'impossibilità di resistere oltre, l'Abbazia fu abbandonata. I Saraceni la occuparono ma, affascinati dal suo splendore, non osarono distruggerla e ne fecero il loro quartier generale. Nottetempo, durante una loro momentanea assenza, alcuni ladruncoli penetrarono all'interno dell'Abbazia con l'intento di rubare e in un angolo del Monastero accesero un fuoco probabilmente per riscaldarsi. Forse spaventati da un improvviso rumorefuggirono in tutta fretta e il Monastero bruciò.    Questi ladruncoli ( '' fuerunt de oppido Catinense quod noncupatur Catino'' ) erano di Catino.

Tale evento si verificava nell'anno 898. Si tratta del primo riferimento storico in cui si nomina Catino e pertanto, al verificarsi di tale evento, Catino già esisteva. Molto verosimilmente la sua origine risale alla prima metà del VII secolo cioè prima del 650 e, altrettanto verosimilmente, il nome lo prese dalla Dolina carsica(i resti della Rocca e la Torre sono all'apice della sua parete meridionale) che ha la forma di un profondo ''Catino''.

Altro riferimento storico è la ricostruzione della Cappella di San Pietro di Catino per opera dell'Abate Giovanni III° (966-997).   Così I. Schuster nel suo Libro ''L'imperiale Abbazia di Farfa'' descrive l'evento. ''Ci sfuggono le ragioni per cui la povera Cappella dell'Apostolo Pietro riuscì tanta cura ai nostri Monaci (di Farfa) in modo che l'iniziativa dell'Abate fu accolta da tutti col più vivo entusiasmo.

I predecessori di Giovanni n'avevano ceduto l'enfiteusi a un tal Benedetto e, smembratane l'antica dotazione, l'avevano data a godere a titolo di censo a diverse famiglie tra le più agiate del luogo. Un tale Clarissimo, saputa adunque l'intenzione dell'Abate, aveva già fatto testamento in favore di Farfa cedendole le sue ragioni sui beni di San Pietro quando, verso il 984, le soldatesche del Conte Benedetto di Sabina si scontrarono a Sorbilliano coi vassalli della famiglia di Attone nemica al Conte. Nello scontro morirono Raniero, figlio di Attone e Clarissimo.

 I Farfensi allora, nonostante le proteste dei parenti, entrarono in possesso della parte del suo patrimonio già anteriormente donato alla Badia di Farfa e, di comune accordo con Giovanni III°, commisero l'incarico di restaurare la negletta prepositura (il ''Preposito'' è un istituto giuridico che definiva una posizione con speciali privilegi) cioè la cappella di San Pietro a un tal Giovanni di cui i documenti del Monastero tessono un elogio magnifico.

Trasferitosi questi a Catino insieme ad un altro monaco e a due religiosi laici posero tosto mano animosamente a riparare la chiesa in sin dalle fondamenta e in breve, in un'amena collina fuori dall'abitato tra il verde degli ulivi, si vide risorgere la nuova chiesa dalle propozioni più vaste, dalle linee architettoniche elegantissime che davano maggiore risalto agli affreschi che decoravano l'interno e la facciata del Tempio.'' Tali notizie lo Schuster le ha attinte dal Regesto Farfense, III, 104. Ancora lo Schuster. ''La nuova fondazione di Catino ammirata e lodata da tutti prosperava felicemente ma ben presto la leggerezza di carattere di Giovanni III° e l'amicizia sua per il giudice longobardo Uberto che in seguito doveva divenire il braccio destro di Ugo I° per la rivendicazione del patrimonio di Farfa, destarono il sospetto tra i monaci e nel vicinato che l'Abate, stanco dele cure sostenute, avesse nascostamente difeso in favore di Uberto e dei figli di un tale diacono di nome Benedetto, la migliore parte dei beni di San Pietro di Catino.

Nel frattempo giunse la festa di San Pietro, titolare della prepositura di Catino.

Giovanni III°, in cambio d'incominciare la Messa, così parlò alla folla di Farfa: ''Nessuno fra voi ignora quante ansie e fatiche mi sia costata la Chiesa di San Pietro di Catino di cui  mi calunniano i miei nemici quasi che io abbia sperperato le rendite. Prendo perciò a testimone della innocenza mia Dio e i Santi suoi le ossa dei quali riposano sotto questo altare''.

La Chiesa di San Pietro verosimilmente era ubicata sul Colle di Fontegrotti nei pressi della Villa di Osterno. In questa località sono stati rinvenuti, anche in tempi recenti, resti di antiche costruzioni.  La Sabina, in età longobarda, era parte del territorio di Rieti che, a sua volta, faceva parte del Ducato di Spoleto.

Intorno al 781, Carlo Magno restituisce il Patrimonium Sabinese(Bassa Sabina) al Papa Adriano I° in cambio della sua rinuncia al Ducato di Spoleto che in precedenza si era consegnato al Papa stesso.

Rieti era governata da un Gastaldo (Gastaldus civitatis): l'intero territorio del Ducato era suddiviso in otto - forse nove - Gastaldati.

Lo Sculdascio nella gerarchia longobarda era una carica subordinata al Gastaldo con la funzione di sovrintendere ambiti territoriali e amministrativi minori.

Catino fu sotto il dominio del Ducato di Spoleto per oltre quattro secoli fino circa all'anno 1000.

Con la caduta dei Longobardi,Carlo Magno divise i Ducati in Contee e Marchesati non toccando però quelli di Spoleto e Benevento. L'ultimo Duca di Spoleto fu Corrado Lutzen d'Urslingen il quale nel 1198 rinunciò al Ducato sciogliendo i suoi Vassalli dal giuramento e sottomettendosi al Papa Innocenzo iii° che ne assunse direttamente il governo. Catino fu governato in forma oligarchica cioè da piccoli gruppi di uomini chiamati ''Homines de Catino''.

(Venivano così chiamati gli uomini di più elevato rango sociale che possedevano consistenti beni fondiari e governavano insieme. In seguito (secolo XII°) costoro chiamarono alla pubblica amministrazione persone meno nobili e ne derivò l'istituzione ''Comune'' che provvide all'organizzazione statuale e politica della Comunità. Franco di Sabino. (1065)  Giovanni di Bove con Susanna di Berlengario, genitori di Dono. Dono con Teodoranda, genitori di Gregorio da Catino e di Donadeo. (1040 - 1067)  Dono con la seconda moglie Rogata. Benedetto di Dono e la moglie Clarice. (1067) Farolfo e Pietro di Liotone, Giovanni e Leone di Ranieri, Rustico e Uberto d'Inginzone. (1073) Dono di Crescenzio. (1077) Giovanni e Benedetto. (1082)

 

 

                        POGGIO  CATINO

In questo momento storico fu costruito Poggio Catino.

Podium de Catini (Poggio Catino) nacque a seguito di un'operazione di incastellamento

di un insediamento sparso situato vicino al ''Castrum di Catino'' voluta dall'Abbazia di Farfa per rendere più efficiente il proprio sistema difensivo e per accogliere una popolazione più consistente non avendo Catino la possibilità di un ampliamento urbanistico vista la difficile orografia del suo posizionamento.

Notizie storiche circa la sua nascita sono riportate nel Regesto Farfense (IV - Doc. 809-An. 1047 - 1089 Pa. 211 ) e nel Chronicon Farfense ( II - Pag. 122 ) di Gregorio da Catino.

L'Abbazia di Farfa  ''castella quae suo acquisivit tempore Abbas Bernardus: Castelli Catinensis duas partes de quinque, ex quibus postmodum Podium ibidem fabricavit.''    Fra i beni che l'Abbazia acquista esiste quindi anche il ''Podium'' che corrisponde al colle di Moricone e su questo colle Bernardo I° costruì il nuovo Castello verosimilmente nel decennio 1070 - 1080.

Nell'anno 1097 (Chronicon Farfense Doc. 1154 - Pag. 158 ) l'Abate Berardo II° ricostruisce e rinnova la Chiesa e l'Abbazia di Farfa. Per sostenere le spese, utilizza le rendite di alcuni Castelli. Ad altri, tra cui Poggio Catino, impone di fornire la calce.  L'Imperatore Enrico V° conferma all'Abbazia di Farfa ( Chronicon Farfense Doc. 1318 - Pag. 30 2 ) nel 1118 il possesso dei privilegi e dei beni tra cui i castelli: ''Montem Operis, Foranum, Podium Catini ed altri.''

La Reverenda Camera Apostolica (Struttura che gestiva il Patrimonio pontificio) vendette nel 1478 il Feudo di Catino e Poggio Catino al Comune di Rieti il quale, per comprarlo, ricorse ad un prestito privato. Non essendo in grado di restituirlo, il Comune di Rieti fu citato in giudizio di fronte al tribunale dell'Auditor Camerae. Per chiudere la causa intervenne il ricco mercante genovese Meliaduce Cicala che versò la somma necessaria all'estinzione del debito e alla chiusura del procedimento giudiziario in cambio del possesso di Catino e Poggio Catino.

Alla morte di Cicala (1481) Poggio Catino - in base a quanto disposto dal testatore - fu legato all'erigendo Ospedale San Giovanni Battista dei Genovesi a Roma.

Con Atto Camerale del papa Sisto IV°, nel settembre del 1483, i due Castelli furono venduti a Giovanni Paolo Orsini che li comprò con la dote della moglie Giulia Santacroce Publicola al prezzo di 15 mila fiorini d'oro ed ottenne anche l'esenzione dal versare l'imposta alla Reverenda Camera Apostolica (Gabella Emptionis).

Nel 1503 i feudi di Catino e Poggio Catino furono confiscati dal papa Alessandro VI° Borgia agli Orsini per ritorsione al fatto che essi avevano aderito ad una congiura contro Cesare Borgia.  Alfonso Alcaide venne nominato castellano a Catino e Diolo a Poggio Catino.    Dopo la morte di Alessandro VI° (18 Agosto 1503) gli Orsini tornarono in possesso dei due Castelli.    Paolo Orsini lasciò al figlio Roberto Poggio Catino e Catino e questi li affidò al Governatore Mario Peccatori di Rieti, suo cognato. Roberto elesse erede universale suo fratello Camillo il quale morì il 4 Aprile 1559. Gli successero i figli Paolo, Giovanni e Latino. Non si sa con certezza se i tre fratelli si fossero divisi i due Castelli ma sembra che fossero condomini. Solo in seguito i due Feudi risultano governati da Latino.    Latino Orsini morì nel 1580. Gli successero i figli Fabio e Virginio che furono condomini dei due Castelli. Vennero venduti a Bernardino Savelli nel 1588 per 32 mila scudi.  Bernardino morì due anni dopo e prese in mano la gestione dei beni la moglie Lucrezia Anguillara, donna energica, esosa e senza scrupoli. Venne spesso in lite con i due Comuni. Acquistò foreste dal Comune di Poggio Catino, una panetteria con forno e nel 1590 il molino posto presso il ponte di Catino rivendendolo poi a Bernardino Guido, Gentilesca Giubilei e Properzio Andreotti.    I Savelli posero a Governatori di Poggio Catino Giulio Grappicoli di Todi e quindi Giovanni  Mazzotti di Senigallia.

Nel 1597, oppressi dai debiti, i due feudi furono messi all'asta e acquistati da Camillo Capizucchi. Costui morì a 70 anni a Komar e fu sepolto a Vienna nella Chiesa di S. Croce.

Una lapide, in questa Chiesa, ne ricorda la memoria.

                

                                                            D. O. M.

  

                                    A Camillo Capizucchi patrizio romano

                                    Marchese di Poggio Catino e Catino.

 

   Gli successe il fratello Mario nel 1598 il quale , nel 1607, rinunciò in favore del suo primogenito Paolo che governò fino al 1614.

   Sotto di lui iniziò il declino dei Feudi.

 

 

 

                            La dominazione degli Olgiati.

Il 21 Giugno 1614 Settimio Olgiati acquistò da Paolo Capizucchi i Castelli di Poggio Catino e Catino dove s'insediò il 26 Marzo 1615 accolto con grande entusiasmo dalla popolazione. Il Marchese Olgiati morì nel 1623.

Fra i Signori che nel tempo hanno governato non c'è dubbio che gli Olgiati siano stati quelli che più hanno fatto.

Collegò i due Paesi alla vecchia Salaria costruendo una strada detta ''Galantina'' lungo la riva sinistra del Tevere. Trasferì la Sede Baronale a Poggio Catino ove restaurò il Palazzo realizzandovi 4 appartamenti di 24 stanze, rimesse, fienili, magazzini. Comprò una casa per il Governatore vicino al Palazzo con carceri doppie e stalle. Poi costruì un grande giardino con un muraglione di cinta, alberi e fontane.

Pavimentò con mattoni la strada che saliva al Palazzo, chiuse la porta del Torrione presso la fontana di Piazza ricostruendola a mattoni. Fece costruire davanti alla Chiesa di Santa Caterina una piazza.

Risolse il problema della cronica mancanza di acqua. Pur avendo la riserva sulle sorgenti del Tancia trasmessagli da Paolo Capizucchi vi rinunciò in considerazione della grande spesa necessaria per realizzare questo Acquedotto. Esisteva una ricca vena d'acqua in località ''La Canale'' , proprietà boschiva del Comune di Catino. La raccolse e la immise in un bottino. Costruì un acquedotto con cunicoli, con tubi di piombo e di terracotta. Il giorno di Santa Croce del 1616 per la prima volta l'acqua defluì nelle fontane del Giardino, alimentò la fontana della Piazza di Poggio Catino e il lavatoio pubblico.

Alla sorgente fu posta una lapide stemmata: '

'' Settimio Olgiati, Marchese e Barone, con autorità di signore e carità di padre concesse gratuitamente al Popolo assetato l'occulta vena di quest'acqua salubre che, con paterna sollecitudine rintraccìò, allacciò e raccolse il 3 Maggio 1616 giorno della festa di Santa Croce.''

Poi anche Catino ebbe l'acqua nel lavatoio pubblico e nella fontana di Piazza Gregorio Catinense.

Costruì dalle fondamenta, a Poggio Catino, la Chiesa parrocchiale di San Nicola di Bari e della Concezione di Maria Vergine nel medesimo posto della vecchia Chiesa ormai in rovina. Fu aperta al culto nel 1621. Successivamente fu restaurata e consacrata il 19 Luglio 1774 dal Cardinale Carlo Rezzonico, Vescovo di Sabina.    Gli successe suo figlio Giovanni Battista (1623 - 1669) quindi Marco Antonio Olgiati fino al 1720 quindi suo figlio G.B. Olgiati.

Il Papa Paolo VII° il 6 Luglio 1816 abolì i diritti feudali. Il 19 Ottobre 1816 G.B.Olgiati rinunciò  in forma legale alla giurisdizione baronale di Poggio Catino e Catino.    Nel 1817 Poggio Catino aveva 368 abitanti, era ''appodiato''(frazione) di Poggio Mirteto insieme a Catino che ne aveva 225.

Divenne Comune autonomo con Catino ''Frazione'' nel 1853.

I due insediamenti avevano 751 abitanti, 143 dei quali residenti in campagna, suddivisi in 157 famiglie che vivevano in 149 case. 

Il superstite di Giovan Battista, Lucio Olgiati provvide a stipulare una ''concordia'' nel 1845 per derimere tutte le questioni in essere con Poggio Catino e Catino e, in quanto oberato dai debiti, vendette i beni che gli rimanevano insieme al titolo di marchese ad Andrea Bustelli.    Era il 1856.

  

 

 

CRONOLOGIA

 

 

ORIGINE DI CATINO:  Prima metà del VII° secolo (Prima del 650 d.C.)

 

ORIGINE DI POGGIO CATINO:  Tra il 1070 - 1080

 

DIPENDENZA DAL DUCATO LONGOBARDO DI SPOLETO: Fino al 1084.

 

DIPENDENZA DALL'ABBAZIA DI FARFA: Fino al 1278 quando gli ''Homines de Catino''  prestarono giuramento di sudditanza al Papa.

 

CONTI DI SANT'EUSTACCHIO: Dal 1308 - 1476

 

REVERENDA CAMERA APOSTOLICA: 1477 - 1478

 

COMUNE DI RIETI: 1478 -1479

 

MELIADUCE CICALA : 1479 - 1481

 

ORSINI: 1483 - 1587

 

SAVELLI: 1588 - 1594

 

CAPIZUCCHI: 1594 - 1614

 

OLGIATI: 1614 - 1816

 

Nel 1816 la Famiglia Olgiati rinuncia al Marchesato di Poggio Catino e Catino che diventano frazioni di Poggio Mirteto.

 

Nel 1853 Poggio Catino diventa Comune autonomo con Catino frazione.

 

 

Tutte i cenni storici  sono tratti dal libro “CATINO E POGGIO CATINO” di Rodolfo Cortesi, si ringrazia l’autore per la gentile concessione

 

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