I
Sabini. '' Infra Sabinos Latium est; a latere
Picenum, a tergo Umbria, Appenini Jugis Sabinos utrinque vallantibus.'' Così
Plinio definisce l'antico territorio sabino più esteso di quello attuale. Lungo
il corso del Tevere e a nord-est del Lazio, a sud degli Umbri e dei Piceni
esisteva in epoca preromana - un gruppo d'Italici comunemente chiamato
Sabello-Sannita. Ad esso appartenevano le tribù
dei Sabini, dei Marsi e la grande tribù dei Sanniti. Gli Italici sembra siano scesi in Italia
da nord-est in due ondate successive.
I primi apparvero all'inizio del II° millennio e s'insediarono lungo i
fiumi e i laghi dell'Italia nord-orientale. La
seconda ondata entrò nella Penisola più tardi verso la fine del II°
millennio. La principale differenza tra quest'ultimi e i primi consisteva nel
fatto che non cremavano ma seppellivano i morti. Essi
furono considerati gli antenati dei Sabello-Sanniti. L'identità
sabina si perde progressivamente con la nascita di Roma(VIII secolo a. C.)
attraverso un processo di lenta integrazione nella sua struttura politica e
socio-economica. L'evoluzione della Sabina è un tutt'uno con le vicende
storiche di Roma e di ogni altro territorio periferico ad essa. Le
invasioni barbariche e la fine dell'Impero di Roma. La
rovina dell'Impero di Roma iniziata nella prima metà del III secolo fu
ritardata dall'azione restauratrice di Diocleziano (284 - 385) e di
Costantino (312 - 337). Venuta
meno l'unità romana e avviati a diversi destini l'Impero d'Oriente e quello d'Occidente, si salvò
soltanto il primo. Il
trionfo del Cristianesimo nel IV secolo modificò la struttura ideologica e
politica dell'Impero che divenne romano-cristiano. Dalla
caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476) alla scoperta dell'America
(1492), l'Europa vive il proprio Medioevo durante il quale la società romano
- barbarica visse un travaglio di enormi dimensioni da cui nacquero gli Stati
nazionali. La
Chiesa romana stimolò e guidò quell'incontro tra romanizzati e barbari dal
quale derivarono le nuove Nazioni. La
dominazione dei Longobardi, dei Franchi e il Papato. Il
contesto storico che vide nascere Catino e Poggio Catino è definito dalle
vicende politiche della dominazione longobarda, di quella dei Franchi e dalla
presenza di un Papato che lentamente
consolidava il proprio potere temporale. I
Longobardi invasero l'Italia dalle Alpi Giulie nel 568 d.C. guidati dal Re
Alboino. Originari
della Scandinavia, tipici rappresentanti del germanesimo, provenienti dalla
Romania (la provincia di Roma sulla destra del Danubio). Alboino
s'impadronì di Pavia dopo un lungo assedio e ne fece la capitale del Regno
mentre i suoi compagni si sparsero nella Lombardia, nella Toscana
stabilendosi come Duchi nelle terre conquistate. Ulteriori insediamenti
furono il Ducato di Spoleto e quello di Benevento. I
Duchi, pur riconoscendo la formale dipendenza dalla Corte di Pavia,
governarono con una certa autonomia e
rimasero sempre discretamente ribelli al governo centrale nonostante
l'affiancamento dei Gastaldi come rappresentanti nei Ducati dell'autorità
centrale. La
dominazione longobarda durò fino al 774 e fu caratterizzata da un primo
periodo di violenta sovrapposizione dei vincitori sui vinti e da un secondo
periodo di parziale integrazione nella superiore civiltà dei vinti. Esisteva
il Sacrum Palatium a Pavia, sede del regno. Era indiscusso il potere del Re
in materia di guerra, di pace, alleanze, legislazione, di comando
dell'esercito, d'imposizione ed esazione tributaria e di coniazione
monetaria. I
Longobardi avevano sostituito il sistema provinciale romano (dodici Province)
con una ripartizione più articolata del territorio conquistato: trentasei
Ducati. Dux era il termine latino designante il capo di quei gruppi mobili e
dinamici, le Farae, che effettuavano
servizi mercenari e spedizioni anche in lontane Regioni. Le Farae erano gruppi numeramente
contenuti di persone con solidi legami parentali quindi fortemente aggregate
e costituirono le prime strutture sociali stabilmente insediate nel
territorio. Il
potere dei Duchi assunse ben presto e poi mantenne una consistenza notevole
non solo nei Ducati di maggiore estensione(Trentino, Friuli, Spoleto,
Benevento). La carica di Duca conservò dovunque e fino alla fine carattere
più di principe che non di alto ufficiale del Re con funzioni di organo
esecutivo del potere centrale. I Duchi avevano la loro forte base di potere nelle ricchezze
familiari, nel comando delle milizie del Ducato, nell'esercizio di quei
poteri amministrativi e giudiziari che la Corte regia non esercitava o
riusciva ad esercitare. Assegnazioni di terre, di cariche per costituire,
mantenere e rafforzare un proprio seguito diventano, sia da parte dei Re che
dei Duchi, pratica usuale. Anche se non si tratta ancora di una gerarchia
feudale è tuttavia una struttura che molto le somiglia. L'invasione
longobarda divise l'Italia in due parti - longobarda e bizantina - nettamente
contrapposte per sovranità, legislazione e per condizioni di vita: rimanevano
tra loro irriducibilmente nemici ma impotenti a sopraffarsi e quindi a
ricomporre in qualche modo l'unità. Tra
queste forze contrapposte fu mediatore il più grande pontefice dell'Alto
Medioevo, Gregorio
I° Magno ( 590 - 604 ). Per suo merito la Chiesa di Roma divenne anche
politicamente l'autorità preminente nell'Italia divisa. Il suo più grande
merito è quello di aver piegato la fierezza dei dominatori barbari e di aver
preservato la ''Romanità'' da una completa rovina. Sono
aspetti essenziali di questa storia l'isolamento del Ducato romano (una
sottile striscia di terra da Ravenna a Roma attraverso Perugia), l'inerzia
dei governatori bizantini, l'iniziativa di Gregorio a supplirli nella difesa
dagli attacchi longobardi. Con l'aiuto di Teodolinda, moglie del re
Agilulfo, Gregorio iniziò l'opera di
conversione dei Longobardi. Con
la morte di Rotari si apre il periodo dell'anarchia(652 - 712) che vide i
Duchi longobardi in posizione di forte ribellione verso il potere centrale di
Pavia: il dualismo religioso diveniva dissidio politico e di potere tra la
corte di Pavia, ormai decisamente cattolica, e i Duchi ancora fedeli
all'Arianesimo. Sulla Corte ebbero
molta influenza i monasteri di recente formazione: Bobbio(612) nell'alta
valle della Trebbia, Farfa e San Vincenzo al Volturno insediati ai confini
del Regno come sentinelle avanzate della nazionalità longobarda. Farfa
fronteggiava i bizantini del Ducato romano e San Vincenzo quelli del Ducato
napoletano. In queste Abbazie, alla
luce di una cultura squisitamente latina, cominciarono ad avvicinarsi i
Romani e i Longobardi elevandosi questi al livello di quelli. Le
influenze monastiche sulla Corte che aveva promosso quelle fondazioni fecero
sì che si procedesse sulla via della conciliazione con i Bizantini e i Romani
dirozzando i Longobardi e moderandone la primitiva irruenza. Dovunque
si stabilisse un monastero, questo era una vera fortuna per le popolazioni
circostanti. Vi trovavano rifugio come in un luogo fortificato. In quei
recessi i Monaci lavoravano secondo le loro personali attitudini: chi
attendeva al culto, chi coltivava la terra, chi si dedicava all'insegnamento,
chi a copiare i libri( la tecnica amanuense ha salvato dalla rovina e
dall'oblio gran parte della cultura allora esistente). L'impresa
longobarda era destinata a fallire in quanto tentata troppo tardi quando cioè
la conquista dell'Italia non era più una partita tra Longobardi e Bizantini
ma comprometteva nuovi e forti
interessi: la tendenza autonomistica delle regioni bizantine e il
temporalismo del Papa. Questi trovò il modo di liberarsi di entrambi
chiedendo l'intervento dei Franchi. Le
spedizioni franche di Pipino contro Astolfo(754 e 756) e quelle di Carlo
Magno contro Desiderio(774) portarono alla conseguenza della sconfitta dei
Longobardi con la loro fine politica, la fondazione dello Stato della Chiesa
e la sostituzione dei Franchi ai longobardi nel dominio dell'Italia. La
società feudale ed i Comuni. Un
nuovo sistema politico si formò nel periodo delle lotte dinastiche fra i
discendenti di Carlo Magno: il Feudalesimo. I
secoli IX e X sono caratterizzati da questa nuova istituzione che modifica
profondamente la struttura politica e socio-economica dell'Europa e
dell'Italia. Si configura un nuovo paesaggio anche nel senso proprio della
parola. Le vecchie città romane sono decadenti e spopolate, sorgono certe
strane costruzioni in cima alle alture o nascoste dentro strette valli: i
Castelli (Castra). Abitano
qui i signori feudali (Feudatari) cioè l'aristocrazia terriera e guerriera
che, approfittando della debolezza dello Stato, hanno usurpato ai loro
sovrani quasi tutti i poteri. Sono i padroni della terra, amministrano la giustizia, riscuotono le
tasse. Si
chiamano Feudatari dal nome del territorio (Feudo) di cui sono diventati
signori col titolo di conte o marchese,
titoli che ora hanno un significato diverso da quello che ebbero
nell'ordinamento amministrativo di Carlo Magno(semplici funzionari eletti,
controllati e revocabili). Ora, strappata ai Sovrani la concessione del
territorio ( Investitura ), sono padroni assoluti del Feudo e lo trasmettono
ai discendenti senz'altro legame con l'autorità concedente che un giuramento
di fedeltà spesso rinnegato. Scomparve definitivamente la piccola proprietà e
si formò il latifondo inteso come una
enorme concentrazione di terre in poche mani. L'inquadramento delle
aristocrazie terriere come gerarchie politiche si verificò in forma
definitiva quando istituzioni tipicamente germaniche come il BENEFICIO, il
VASSALLAGGIO e l'IMMUNITA' si concentrarono nel Feudatario Il beneficio
rappresenta l'elemento reale(la terra), il vassallaggio l'elemento personale
(il giuramento di fedeltà ed obbedienza), l'immunità l'elemento
giurisdizionale(diritto di giustizia). Il Feudalesimo assetta la società
in un modo profondamente diverso per
i vincoli di complessa natura che uniscono il grande proprietario e la gente
sottoposta. Si
formano le grandi marche, governate dai Marchesi che divennero una gerarchia
più elevata dei Conti e questi dipesero da quelli come i Marchesi dal Re. A
loro volta i Conti divisero i loro territori fra i propri dipendenti
(valvassori) delegando a costoro tutti i poteri nelle rispettive
circoscrizioni. Un ulteriore frazionamento fatto dal valvassore era a
beneficio del Miles (cavaliere con obbligo militare) come ultimo gradino
della scala gerarchica feudale. Al
di sotto, tutta la massa dei sudditi (sottoposti) ridotti a condizione
servile. L'ordinamento
economico detto sistema curtense s'imperniava sulla Curtis signorile che può
immaginarsi come una grande fattoria. Un'economia agricola ampliata di quei
mestieri che comunque avevano attinenza con il lavoro dei campi e l'attività
bellica. Gli
artigiani (ministeriales) si ridussero a condizione quasi servile. La maggior
parte delle terre erano lavorate dai coloni con particolari contratti ma
tutti erano tenuti a prestazioni gratuite (corvèes) in quella parte del fondo
che il Signore sfruttava per proprio conto (pars dominica). Nelle
Curtis si praticava ogni tipo di coltura poichè, essendo cessati i commerci,
occorreva produrre sul posto quanto era necessario. La Curtis era un'unità
economica di produzione e di consumo senza significativi scambi con i feudi vicini.
A seguito di questa impostazione autarchica dell'economia e per meglio
fronteggiare le necessità si aumentò
la produzione trasformando pascoli e foreste in terra coltivabile. Questo
portò inevitabilmente ad un miglioramento delle condizioni di vita e
all'aumento della popolazione. Il rifiorire dell'attività agricola
determinò una lenta ma sicura ripresa
economica che culminò nelle industrie e nei commerci dell'età comunale. Il Feudalesimo, con il
sistema delle sub - infeudazioni, produsse la formazione della piccola
proprietà contadina e - paradossalmente - sgretolò il latifondo da cui era
nato. Nel secolo XI, data la
particolare posizione geografica e il nuovo assetto monetario dell'economia
in Italia si verificò, in anticipo sugli altri Paesi europei, una ripresa dei
commerci, un significativo arricchimento della popolazione e un deciso
avviamento capitalistico. Le
città risorsero dal loro squallore, si estesero per includere i sobborghi
cresciuti lungo le vie esterne, gli abitanti acquistarono dignità di
cittadini e desiderarono autogovernarsi.
La rinascita del popolo italiano aderente allo spirito latino ma con
una diversa fisionomia che non presenta tuttavia deformazioni barbariche in
quanto gli elementi germanici sono positivamente assorbiti, si concretizza
anche in una decisa ripresa culturale. Nasce
il ''volgare'', la lingua italiana che è la stessa lingua latina trasformata.
Risorgono le tradizioni tipiche che si manifestano nel costume, nella cultura
e in un risorgente spirito religioso. Si và lentamente delineando
l'insorgenza dell'autonomia comunale come effetto della declinante signoria
dei Vescovi - Conti. Riforma della
Chiesa e lotta contro l'Impero, sviluppo delle repubbliche marinare, unificazione
del Mezzogiorno con i Normanni, riconquista del mediterraneo con le
Crociate. Il Comune è un'istituzione
tipica della storia italiana. Per la lontananza e l'impotenza della autorità
centrale (Impero), il moto ascensionale dei ceti cittadini (mercanti,
artigiani, salariati) produsse forme autonome di governo. I cittadini,
divenuti più numerosi, più ricchi e più istruiti non vogliono essere più
soggetti ai vescovi-conti o ai grandi feudatari della campagna e si mettono
sotto il governo di magistrati da loro stessi eletti ( i Consoli ), si radunano a
parlamento in una Piazza o in
una Chiesa per discutere i problemi e
gli interessi della città ed osano persino entrare in guerra contro i
feudatari delle campagne. Ogni città
costituisce un Comune che è un vero e proprio - seppur piccolo - Stato
repubblicano con poteri quasi sovrani: diritto di pace e di guerra,
amministrazione della giustizia, la coniazione della moneta, la riscossione
delle imposte. Una nuova struttura politica che si sostituisce al sistema
feudale fondata su un'economia monetaria.
Nel trapasso dal XII al XIII secolo si rese necessaria la sostituzione
del Podestà ai Consoli poichè il Comune si era notevolmente ingrandito con la
sottimissione del ''Contado'' (il territorio esterno alla città) e con il
conseguente inurbamento dei contadini che erano attratti dalla possibilità di
diventare operai dell'industria ed avere un salario. Il popolo si ordinò
nelle Corporazioni d'arte ( Arti ) che riunivano e associavano quanti
svolgevano attività affini o esercitavano la stessa professione. Le Arti ebbero una funzione fondamentale
nel Comune sotto l'aspetto economico e socio-politico. Con una meticolosa regolamentazione e
organizzazione del lavoro favorirono il progresso tecnologico dell'industria
e disciplinarono, secondo principi di giustizia ed equità, le attività
professionali. Politicamente acquisirono una grande forza e fornirono i
quadri per il governo del Comune.
Poichè i Comuni si erano affermati durante una profonda crisi
dell'Impero (1125 - 1152 ), era inevitabile che con l'acquisizione della
Corona da parte di una forte personalità
non venisse tollerata questa novità politica sorta e affermatasi in
Italia. L'Imperatore
che volle il ritorno alla legalità fu Federico I° il Barbarossa della Casa di
Svevia ( 1152 - 1190) che lottò disperatamente contro i Comuni i quali, con
altrettanta determinazione e virulenza, difesero le libertà e il progresso
conquistati. Col
la vittoria di Legnano della Quinta Lega Lombarda(1176), i Comuni italiani
individuarono nell'Imperatore il nemico e questo ne fu il grande significato
storico e politico. Federico I° fu costretto alla pace di Venezia(1177) a cui
seguì il Trattato di Costanza (1183) con i Comuni. Così si conciliarono le
libertà cittadine con l'ossequio formale all'Imperatore. Un grande scontro
ideologico-politico fu quello tra il Papa Innocenzo III (1198 - 1216 ) e
Federico II (1197 - 1250). Questo Papa intervenne nelle contese per la
successione in Germania riuscendo a farlo elevare alla corona d'Imperatore
(1212). Promosse
la IV Crociata, sconfisse in Francia gli Albigesi, legò molti Principi
europei al Papato con il Patto di vassallaggio, attuando una sostanziale
''Teocrazia''. E' il tempo delle
nuove fondazioni monastiche in particolare quella dei Domenicani di Domenico
di Guzman (1170 - 1221 ) e quella dei Francescani di Francesco d'Assisi ( 1182-1224). L'inadempienza di Federico II alle
promesse fatte ad Innocenzo III (mancata rinuncia al Regno di Sicilia e il
non aver partecipato alla nuova Crociata) fu causa di gravi contrasti col
Papa Gregorio IX (1227-1241) che più volte scomunicò l'Imperatore. La
supremazia politica del Papato declina avendo trovato in Federico II un
oppositore durissimo e ostinato. E'
il tempo dei grandi luminari del pensiero teologico: il francescano San Bonaventura
e i domenicani Alberto Magno ( 1225 - 1274 ) e San Tommaso d'Aquino il quale
con la sua opera Summa Theologiae tentò di conciliare la scienza con la fede
cristianizzando il filosofo greco Aristotele. Dal
trionfo del dogma cattolico doveva inevitabilmente derivare l'intolleranza
più ottusa e determinata. Questo
portò alla persecuzione dell'eresia mediante un'istituzione tristemente
famosa: il Tribunale dell'Inquisizione che perseguiva gli eretici e li
consegnava alle più incredibili sanzioni dell'Autorità laica (il braccio
secolare della Chiesa ). Si riaccese il conflitto tra l'Impero e i Comuni:
l'Imperatore voleva limitare le loro
''franchigie'' almeno nei termini del trattato di Costanza ma i Comuni, avendo
sviluppato nuove libertà, aspiravano ad un'independenza maggiore. I
Comuni, a San Zenone presso Mantova, strinsero una nuova alleanza tra loro
(la seconda Lega Lombarda) che fu sconfitta da Federico II a Cortenuova nel
Bergamasco (1237). La morte di Federico II ( 1250 ) spense un grande nemico
della Chiesa ma anche la possibilità di un'unificazione ghibellina
dell'Italia come giusto contrappeso al potere dei Papi. La fine del Medioevo
si annuncia con il progressivo e inevitabile tramonto del Papato politico e
dell'Impero. L'Abbazia
di Farfa. La
storia di Catino e Poggio Catino è profondamente legata a quella dell'Abbazia
di Farfaper motivi di natura politica, economica e culturale. Conoscere la
storia dell'Abbazia significa definire meglio il contesto storico in cui
certe realtà urbane ed umane sono nate ed evolute. Secondo
l'anonimo autore del Libellus Costructionis Farfensis, l'Abbazia fu costruita
nel 550 sulle rovine di un tempio dedicato alla dea sabina Vacuna da San
Lorenzo Siro, un monaco orientale venuto in Italia con la sorella Susanna e
due compagni, Isacco e Giovanni, durante la persecuzione dell'Imperatore
Anastasio I° (491 - 518 ). San Lorenzo fu dapprima Vescovo a Spoleto poi
passò a Cures e - secondo la tradizione - fu anche vescovo a Forum Novum
(Vescovio). Fondò un edificio di culto cristiano e un primo Cenobio sulle
pendici del Monte Acuziano nella valle attraversata dalle acque del torrente
Farfa. Lasciata la cattedra episcopale, si ritirò a vita monastica. Mori nel 576. L'Abbazia
fu distrutta durante l'invasione del territorio da parte del Longobardi e
ricostruita nel 703 dal Duca di Spoleto Faroaldo II° che v'insediò un gruppo
di monaci giunti dalla Savoia sotto la guida dell'Abate Tommaso. Faroaldo
pose in questo modo l'Abbazia sotto la sua protezione. Il
Monastero si presenta all'inizio del secolo VIII come una realtà storico -
politica di grande importanza situandosi in una posizione strategica ai
confini del Ducato di Spoleto verso i territori del Papato. Durante il secolo
VIII si formò il suo patrimonio di terre e beni con donazioni private e
Conferme imperiali legando la sua storia ai più significativi avvenimenti che
si realizzarono nei territori dell'Italia centrale, partecipe dei non sempre
facili rapporti tra i Duchi longobardi e il Papa, tra quest'ultimo , i Re e i
Duchi franchi poi. Nel
774 avvenne la rottura tra Longobardi e Franchi con le conseguenti azioni
belliche che coinvolsero lo stesso Papato. L'Abate Probato abbandonò la
tradizionale fedeltà al Duca di Spoleto e si schierò dalla parte del
Pontefice Adriano I° passando poi nel 775 sotto la protezione di Carlo Magno
che concesse al Monastero il ''Privilegio'' che lo sottraeva da ogni potere
sia civile che religioso e ne consacrava la definitiva autonomia. La
protezione imperiale dei Franchi definì il momento del massimo splendore
durante il governo dell'Abate Ingoaldo. Nel
corso del IX secolo la sua presenza s'imponeva in tutti i territori
dell'Italia centrale con una fitta maglia di
CELLAE, CURTES e, più tardi, di CASTRA che insieme ai FUNDUS, ai VICI,
ai CASALIA mostrano una organizzazione territoriale a carattere
prevalentemente agricolo sul piano economico e una notevole consistenza
politico-militare. Fu adottato un sistema di conduzione enfiteutica il cui
inizio risale al governo dell'Abate Mauroaldo di Worms (790- 802 ). I
contratti - il primo risale al 792 - con i quali venivano concessi i terreni
per un lungo periodo di tempo in cambio della loro coltivazione, del loro
miglioramento e del versamento di un canone all'Abbazia erano regolarmente
registrati come nella raccolta fatta da Gregorio da Catino nell'XI secolo nel
Liber Largitorius. Nell'anno
890 i Saraceni l'assediarono e dopo sette anni l'Abate Pietro,
nell'impossibilità di continuare la difesa, abbandonò con i propri monaci il
complesso dividendo uomini e beni in tre parti. Un primo gruppo si rifugiò a
Roma, un secondo a Rieti e un terzo, insieme all'Abate, raggiunse i propri
possedimenti nella Marca fermana(portando con sè l'archivio dell'Abbazia)
ospite prima nel Monastero di Sant'Ippolito poi in quello di San
Giovanni quindi sul Monte Matenano
ove provvide a fortificarsi nel Castello che più tardi, in seguito alla
traslocazione delle reliquie del martire di Trebula Mutuesca ( Monteleone
Sabino) ad opera dell'Abate Ratfredo,
assunse il nome di San Vittorio. Con Ratfredo la comunità monastica
tornò a Farfa e questo evento segnò l'inizio dell'opera di ricostruzione
dell'Abbazia. Iniziò
anche il periodo della sua decadenza: le lotte intestine nelle nomine e nei
governi abbaziali, l'impoverimento e il frazionamento dei beni portarono il
Monastero sempre più sotto l'influenza del Papa e della grande aristocrazia
romana: i Crescenzi, Ottaviani, Stefaniani, i Savelli usurparono all'Abbazia
beni e Castelli. Nel 936 l'Abate Ratfredo morì avvelenato dai monaci Campone
e Ildebrando. La
successiva lotta tra costoro indusse Alberico, principe di Roma, ad occupare
con le sue milizie l'Abbazia nel 947 e a cacciarne Campone. La
breve successione di Dagiperto(morì avvelenato da un monaco), il tentativo di
ritorno di Campone segnarono pagine dolorose nella storia del Cenobio
farfense che trova invece nell'abate Giovanni III - a partire dal 967 - un
trentennio di saggio governo. Il patrimonio viene ricostituito e l'Abbazia
ritorna a godere della protezione imperiale suggellata dalla visita di Ottone
III nel 996. Con il giovane monaco Ugo succeduto a Giovanni III inizia la
rinascita del Cenobio. Nel
settembre del 999 l'Abbazia vide riuniti il Pontefice Silvestro II e
l'Imperatore Ottone III che conferma e reintegra tutti i possedimenti perduti
e dispone che da quel momento l'Abate debba essere eletto dai Monaci senza
alcuna influenza esterna. Tale rinascita si deve anche attribuire ad un altro
avvenimento: l'introduzione nel Monastero della riforma Cluniacense - ratificata
con il Costitutum Hugonis - che si vuole legata alla visita di due monaci:
Sant'Odilone di Clunj e San Guglielmo di Digione. Il Borgo farfense, sorto
intorno all'Abbazia in seguito alla nuova concezione monastica(legata più
strettamente ad un habitat cittadino) è forse da attribuirsi alla riforma
cluniacense. L'attività di Ugo a favore dell'Abbazia durata per un
quarantennio è testimoniata da ben duecentoventi documenti raccolti nel
Regesto. Il suo nome è legato all'opera letteraria chelo vide cronista dei
momenti dolorosi del Cenobio con la composizione della Desctructio Farfensis
continuazione dell'anonima Costructio. La
successione di Ugo morto nel Natale del 1038 portò di nuovo l'Abbazia in
attrito con l'Imperatore ma la contesa fu di breve durata e terminò con
l'elezione da parte dei Monaci dell'abate Berardo I°. Sotto il suo governo
(1047 - 1089) il Monastero riassunse di nuovo il ruolo di Abbazia Imperiale:
il 6 Luglio 1060 la Chiesa rinnovata ricevette la
consacrazione del Pontefice Nicola II. La
storia del Monastero negli anni seguenti è segnata ancora dalle conseguenze
della lotta tra Impero e Papato. Nel
1122 si arriva al Concordato di Worms che segnò la fine delle lotte per le
investiture e comportò anche il passaggio del Monastero farfense sotto
l'autorità pontificia e di fatto iniziò la sua decadenza. Gli Abati vivevano
ormai come signori feudali, isolati nel loro palazzo, rappresentati nel
governo del Monastero da due priori e la vita del Cenobio sembrava
interessata unicamente alla conduzione agricola della grande azienda. Con
la Bolla di Urbano IV nel 1261 il Monastero con il clero e il popolo
dipendente era direttamente soggetto alla Santa Sede costituendo poi una
Diocesi a sè stante sotto il governo dell'Abate che fungeva da Vescovo, Abate
che continuerà ad essere scelto dai Monaci ma che dovrà ricevere la conferma
e la consacrazione del Papa. La dipendenza diretta dalla Santa Sede e il progressivo impoverimento
della situazione economica oltre ai
provvedimenti gravissimi come quello della metà del XIV secolo con cui
l'Abbazia venne interdetta e l'Abate scomunicato per non aver pagato le
Decime dovute alla Camera Apostolica fino all'ingerenza delle potenti
famiglie dell'aristocrazia romana: sono la testimonianza reale della
definitiva decadenza. Con
l'avvento degli Orsini si chiude il medioevo farfense e si apre l'epoca
moderna caratte rizzata dalla costruzione della nuova Chiesa consacrata nel
1496 che determinò la distruzione della antica Ecclesia Sanctae Mariae. Nel
1546 gli Orsini perdettero la Commenda di Farfa e nello stesso anno Paolo III
nominò Abate Ranuccio Farnese e succesivamente Alessandro Farnese. Nel
1589 Sisto V tolse all'Abbazia la
fondazione temporale e l'amministrazione dei beni trasferendoli alla Camera
Apostolica. Sotto il pontificato di Urbano VIII la Commenda passò ai
Barberini con il Cardinale Francesco (1627) poi con il Cardinale Carlo (1666) e l'ultimo commendatario fu il Cardinale
Francesco nel 1728. A lui successe il Cardinale Federico Lante della
Rovere(1744) quindi il cardinale Antonio Lante: la carica di Abate si cumulò
con quella di vescovo della Sabina. PREMESSA STORICA Nel
290 a. C. le milizie romane al comando di Manio Curio Dentato conquistarono
la Sabina ed iniziò la sua ''romanizzazione'' che avvenne con l'inserimento
di coloni: soldati romani che avevano già prestato servizio militare e che -
ove necessario - avevano la capacità professionale di provvedere alla difesa
del territorio. La prova che la maggior parte della popolazione fosse di
estrazione romana quindi affidabile
fu la concessione nel 268 a.C., appena 22 anni dopo la conquista, dello Jus
suffragi ferendi (diritto al voto).
La maggior parte del territorio era coperta da boschi e solo il dieci
per cento (solitamente le zone pianeggianti e in vicinanza di corsi d'acqua )
era terreno coltivabile. L'attività
economica era prevalentemente agricola(ulivo e vite le colture preminenti)
più modesti allevamenti di bestiame. Alle
povere capanne si sostituirono nel I° secolo a.C. le Villae che, soprattutto
inizialmente, costituivano piccoli nuclei abitati di tipo rurale. Il Pagus
era, nell'ordinamento romano, una zona rurale abitata da una medesima etnia
sparsa in piccoli centri (Vicus) costituenti distretti territorialmente
definiti ma privi di ogni autonomia giurisdizionale, amministrativa e
finanziaria. L'unità elementare di queste strutture era il Fundus cioè un
piccolo appezzamento di terreno sito in una certa località ed appartenente ad
uno o più proprietari. Dopo
l'Imperatore Costantino (312 - 337) l'Italia venne divisa in 17 Provincie e
la Sabina fu incorporata in quella dell'Umbria e della Tuscia. A
determinare la fine dell'Impero romano concorsero tre fattori: la crisi politica
interna, l'affermazione del Cristianesimo e le invasioni barbariche. Il
trionfo del Cristianesimo nel secolo IV° d.C. cambiò il volto dell'Impero. Si
affermò una nuova concezione del mondo e una ideologia che aveva come
obiettivo una organizzazione sociale in cui erano privilegiati valori nuovi e
diversi da quelli della romanità. Il
colpo di grazia venne dalle invasioni barbariche, un grande scontro tra due
civiltà: la romanità e il gemanesimo. Dalla
rottura visigotica del confine danubiano(376 d.C.) e da quella vandalica del
confine renano (406 d.C.) si svilupparono due direttrici nel movimento
migratorio germanico che avevano come obiettivo fondamentale Roma, dopo la
conquista delle provincie periferiche. I
Visigoti saccheggiarono Roma nel 410 d.C. e si spinsero verso le vicine
pianure sabine depredandole e devastandole. Ad essi seguirono gli Ostrogoti e
i Longobardi. Quest'ultimi invasero l'Italia nel 568, s'impadronirono di
Pavia che ne fecero capitale del loro Regno e si sparsero per l'Italia. I loro
insediamenti più meridionali furono il Ducato di Spoleto (569-570) e quello
di Benevento (571). La
Regione Sabina fu divisa in due parti: quella romana al di là del torrente
Allia (il Corese) amministrata dai Rettori del Patrimonio pontificio di cui costituiva
una delle porzioni più consistenti(Patrimonium Sabinense); l'altra - il
primitivo territorio dei Sabini - fu incorporata nel Ducato di Spoleto. Le
invasioni barbariche oltre a saccheggiare, devastare e distruggere
costrinsero i pochi superstiti a riunirsi in località di più difficile
accesso costruendo strutture urbane fortificate (Castra ovvero castelli) in
cui rifugiarsi e proteggersi. Dal sistema del castrum derivò il Podium
(Poggio, altura) cioè una struttura protetta realizzata in cima a piccoli
colli ma meno fortificata e militarizzata. Nella
Bassa Sabina i Longobardi del Ducato di Spoleto organizzarono il dominio
occupando le posizioni economicamente e strategicamente più favorevoli
fondando Monasteri e Castelli. C A T I N O Catino ebbe origine circa
quattro secoli prima di Poggio Catino. Non è la storia di due
diverse comunità separate territorialmente e politicamente: furono governate
dagli stessi uomini e si sono sempre riconosciute nelle stesse
problematiche. Tuttavia,
trattandosi di due comunità urbanisticamente separate, svilupparono nel
tempo una diversa identità culturale. Questo ha determinato
modeste rivalità ma sempre legate a vicende contingenti piuttosto che a
motivazioni strutturali. Prevalenti sono stati i
motivi di unione e di scarso significato i contrasti: ciò è storicamente
dimostrato dal fatto che non si è mai verificata rottura ma, insieme e
sempre, entrambi i paesi hanno condiviso lo stesso destino. E'
un'ipotesi verosimile che il Castrum
di Catino fosse costruito dai Longobardi in un processo d'incastellamento che
aveva come obiettivo la fortificazione pianificata del territorio per
necessità di sicurezza: era più efficace una difesa decentrata piuttosto che
concentrare, mantenere e rendere operativa una struttura difensiva
centralizzata. Gli insediamenti
rurali o urbani vennero quindi incastellati e questo fenomeno produsse una
ricaduta positiva sull'economia, il popolamento e il sistema dei simboli e
valori sociali. Il Castello è il
luogo e il simbolo di un esercizio signorile del potere, di un dominio
personale gestito '' sine rege et sine lege ''. Il Castello si appropria progressivamente di funzioni più
articolate e si definiscono una diversa struttura socio - economica e nuove
forme politiche. Su un incastellamento di tipo militare con funzioni
strategico - difensive s'innesta un'organizzazione feudale in cui non è
prevalente la difesa del territorio ma il dominio politico ed economico sul singolo
insediamento. La sua origine risale
al periodo della dominazione Longobarda (568 - 774) ma non esiste un
riferimento storico e documentale che consenta di datare con certezza la sua
nascita. La
sua storia evolve nel tempo parallelamente alla storia dell'Abbazia di Farfa
che svolgeva un ruolo politico di aggregazione e riferimento sul piano
economico, sociale e religioso. Durante
il periodo di reggenza dell'Abbazia da parte di Pietro I° (890- 919), Farfa
fu assediata per sette anni dai Saraceni (un popolo semitico proveniente
dall'Arabia). Constatata
l'impossibilità di resistere oltre, l'Abbazia fu abbandonata. I Saraceni la
occuparono ma, affascinati dal suo splendore, non osarono distruggerla e ne
fecero il loro quartier generale. Nottetempo, durante una loro momentanea
assenza, alcuni ladruncoli penetrarono all'interno dell'Abbazia con l'intento
di rubare e in un angolo del Monastero accesero un fuoco probabilmente per
riscaldarsi. Forse spaventati da un improvviso rumorefuggirono in tutta
fretta e il Monastero bruciò.
Questi ladruncoli ( '' fuerunt de oppido Catinense quod noncupatur
Catino'' ) erano di Catino. Tale
evento si verificava nell'anno 898. Si tratta del primo riferimento storico
in cui si nomina Catino e pertanto, al verificarsi di tale evento, Catino già
esisteva. Molto verosimilmente la sua origine risale alla prima metà del VII
secolo cioè prima del 650 e, altrettanto verosimilmente, il nome lo prese
dalla Dolina carsica(i resti della Rocca e la Torre sono all'apice della sua
parete meridionale) che ha la forma di un profondo ''Catino''. Altro
riferimento storico è la ricostruzione della Cappella di San Pietro di Catino
per opera dell'Abate Giovanni III° (966-997). Così I. Schuster nel suo Libro ''L'imperiale Abbazia di
Farfa'' descrive l'evento. ''Ci sfuggono le ragioni per cui la povera
Cappella dell'Apostolo Pietro riuscì tanta cura ai nostri Monaci (di Farfa)
in modo che l'iniziativa dell'Abate fu accolta da tutti col più vivo
entusiasmo. I
predecessori di Giovanni n'avevano ceduto l'enfiteusi a un tal Benedetto e,
smembratane l'antica dotazione, l'avevano data a godere a titolo di censo a
diverse famiglie tra le più agiate del luogo. Un tale Clarissimo, saputa
adunque l'intenzione dell'Abate, aveva già fatto testamento in favore di
Farfa cedendole le sue ragioni sui beni di San Pietro quando, verso il 984,
le soldatesche del Conte Benedetto di Sabina si scontrarono a Sorbilliano coi
vassalli della famiglia di Attone nemica al Conte. Nello scontro morirono
Raniero, figlio di Attone e Clarissimo. I Farfensi allora, nonostante le proteste
dei parenti, entrarono in possesso della parte del suo patrimonio già
anteriormente donato alla Badia di Farfa e, di comune accordo con Giovanni
III°, commisero l'incarico di restaurare la negletta prepositura (il
''Preposito'' è un istituto giuridico che definiva una posizione con speciali
privilegi) cioè la cappella di San Pietro a un tal Giovanni di cui i
documenti del Monastero tessono un elogio magnifico. Trasferitosi
questi a Catino insieme ad un altro monaco e a due religiosi laici posero
tosto mano animosamente a riparare la chiesa in sin dalle fondamenta e in
breve, in un'amena collina fuori dall'abitato tra il verde degli ulivi, si
vide risorgere la nuova chiesa dalle propozioni più vaste, dalle linee
architettoniche elegantissime che davano maggiore risalto agli affreschi che
decoravano l'interno e la facciata del Tempio.'' Tali notizie lo Schuster le
ha attinte dal Regesto Farfense, III, 104. Ancora lo Schuster. ''La nuova
fondazione di Catino ammirata e lodata da tutti prosperava felicemente ma ben
presto la leggerezza di carattere di Giovanni III° e l'amicizia sua per il
giudice longobardo Uberto che in seguito doveva divenire il braccio destro di
Ugo I° per la rivendicazione del patrimonio di Farfa, destarono il sospetto
tra i monaci e nel vicinato che l'Abate, stanco dele cure sostenute, avesse
nascostamente difeso in favore di Uberto e dei figli di un tale diacono di
nome Benedetto, la migliore parte dei beni di San Pietro di Catino. Nel
frattempo giunse la festa di San Pietro, titolare della prepositura di
Catino. Giovanni
III°, in cambio d'incominciare la Messa, così parlò alla folla di Farfa:
''Nessuno fra voi ignora quante ansie e fatiche mi sia costata la Chiesa di
San Pietro di Catino di cui mi
calunniano i miei nemici quasi che io abbia sperperato le rendite. Prendo
perciò a testimone della innocenza mia Dio e i Santi suoi le ossa dei quali
riposano sotto questo altare''. La
Chiesa di San Pietro verosimilmente era ubicata sul Colle di Fontegrotti nei
pressi della Villa di Osterno. In questa località sono stati rinvenuti, anche
in tempi recenti, resti di antiche costruzioni. La Sabina, in età longobarda, era parte del territorio di Rieti
che, a sua volta, faceva parte del Ducato di Spoleto. Intorno
al 781, Carlo Magno restituisce il Patrimonium Sabinese(Bassa Sabina) al Papa
Adriano I° in cambio della sua rinuncia al Ducato di Spoleto che in
precedenza si era consegnato al Papa stesso. Rieti
era governata da un Gastaldo (Gastaldus civitatis): l'intero territorio del
Ducato era suddiviso in otto - forse nove - Gastaldati. Lo
Sculdascio nella gerarchia longobarda era una carica subordinata al Gastaldo
con la funzione di sovrintendere ambiti territoriali e amministrativi minori. Catino
fu sotto il dominio del Ducato di Spoleto per oltre quattro secoli fino circa
all'anno 1000. Con
la caduta dei Longobardi,Carlo Magno divise i Ducati in Contee e Marchesati
non toccando però quelli di Spoleto e Benevento. L'ultimo Duca di Spoleto fu
Corrado Lutzen d'Urslingen il quale nel 1198 rinunciò al Ducato sciogliendo i
suoi Vassalli dal giuramento e sottomettendosi al Papa Innocenzo iii° che ne
assunse direttamente il governo. Catino fu governato in forma oligarchica
cioè da piccoli gruppi di uomini chiamati ''Homines de Catino''. (Venivano
così chiamati gli uomini di più elevato rango sociale che possedevano
consistenti beni fondiari e governavano insieme. In seguito (secolo XII°)
costoro chiamarono alla pubblica amministrazione persone meno nobili e ne
derivò l'istituzione ''Comune'' che provvide all'organizzazione statuale e
politica della Comunità. Franco di Sabino. (1065) Giovanni di Bove con Susanna di Berlengario, genitori di Dono.
Dono con Teodoranda, genitori di Gregorio da Catino e di Donadeo. (1040 -
1067) Dono con la seconda moglie
Rogata. Benedetto di Dono e la moglie Clarice. (1067) Farolfo e Pietro di
Liotone, Giovanni e Leone di Ranieri, Rustico e Uberto d'Inginzone. (1073)
Dono di Crescenzio. (1077) Giovanni e Benedetto. (1082) POGGIO
CATINO In
questo momento storico fu costruito Poggio Catino. Podium
de Catini (Poggio Catino) nacque a seguito di un'operazione di
incastellamento di
un insediamento sparso situato vicino al ''Castrum di Catino'' voluta dall'Abbazia
di Farfa per rendere più efficiente il proprio sistema difensivo e per
accogliere una popolazione più consistente non avendo Catino la possibilità
di un ampliamento urbanistico vista la difficile orografia del suo
posizionamento. Notizie
storiche circa la sua nascita sono riportate nel Regesto Farfense (IV - Doc.
809-An. 1047 - 1089 Pa. 211 ) e nel Chronicon Farfense ( II - Pag. 122 ) di
Gregorio da Catino. L'Abbazia
di Farfa ''castella quae suo
acquisivit tempore Abbas Bernardus: Castelli Catinensis duas partes de
quinque, ex quibus postmodum Podium ibidem fabricavit.'' Fra i beni che l'Abbazia acquista esiste
quindi anche il ''Podium'' che corrisponde al colle di Moricone e su questo
colle Bernardo I° costruì il nuovo Castello verosimilmente nel decennio 1070
- 1080. Nell'anno
1097 (Chronicon Farfense Doc. 1154 - Pag. 158 ) l'Abate Berardo II°
ricostruisce e rinnova la Chiesa e l'Abbazia di Farfa. Per sostenere le
spese, utilizza le rendite di alcuni Castelli. Ad altri, tra cui Poggio
Catino, impone di fornire la calce.
L'Imperatore Enrico V° conferma all'Abbazia di Farfa ( Chronicon
Farfense Doc. 1318 - Pag. 30 2 ) nel 1118 il possesso dei privilegi e dei
beni tra cui i castelli: ''Montem Operis, Foranum, Podium Catini ed altri.'' La
Reverenda Camera Apostolica (Struttura che gestiva il Patrimonio pontificio)
vendette nel 1478 il Feudo di Catino e Poggio Catino al Comune di Rieti il
quale, per comprarlo, ricorse ad un prestito privato. Non essendo in grado di
restituirlo, il Comune di Rieti fu citato in giudizio di fronte al tribunale
dell'Auditor Camerae. Per chiudere la causa intervenne il ricco mercante
genovese Meliaduce Cicala che versò la somma necessaria all'estinzione del
debito e alla chiusura del procedimento giudiziario in cambio del possesso di
Catino e Poggio Catino. Alla
morte di Cicala (1481) Poggio Catino - in base a quanto disposto dal
testatore - fu legato all'erigendo Ospedale San Giovanni Battista dei
Genovesi a Roma. Con
Atto Camerale del papa Sisto IV°, nel settembre del 1483, i due Castelli
furono venduti a Giovanni Paolo Orsini che li comprò con la dote della moglie
Giulia Santacroce Publicola al prezzo di 15 mila fiorini d'oro ed ottenne
anche l'esenzione dal versare l'imposta alla Reverenda Camera Apostolica (Gabella
Emptionis). Nel
1503 i feudi di Catino e Poggio Catino furono confiscati dal papa Alessandro
VI° Borgia agli Orsini per ritorsione al fatto che essi avevano aderito ad
una congiura contro Cesare Borgia.
Alfonso Alcaide venne nominato castellano a Catino e Diolo a Poggio
Catino. Dopo la morte di Alessandro
VI° (18 Agosto 1503) gli Orsini tornarono in possesso dei due Castelli. Paolo Orsini lasciò al figlio Roberto
Poggio Catino e Catino e questi li affidò al Governatore Mario Peccatori di
Rieti, suo cognato. Roberto elesse erede universale suo fratello Camillo il
quale morì il 4 Aprile 1559. Gli successero i figli Paolo, Giovanni e Latino.
Non si sa con certezza se i tre fratelli si fossero divisi i due Castelli ma
sembra che fossero condomini. Solo in seguito i due Feudi risultano governati
da Latino. Latino Orsini morì nel
1580. Gli successero i figli Fabio e Virginio che furono condomini dei due
Castelli. Vennero venduti a Bernardino Savelli nel 1588 per 32 mila
scudi. Bernardino morì due anni dopo
e prese in mano la gestione dei beni la moglie Lucrezia Anguillara, donna
energica, esosa e senza scrupoli. Venne spesso in lite con i due Comuni.
Acquistò foreste dal Comune di Poggio Catino, una panetteria con forno e nel
1590 il molino posto presso il ponte di Catino rivendendolo poi a Bernardino
Guido, Gentilesca Giubilei e Properzio Andreotti. I Savelli posero a Governatori di Poggio Catino Giulio
Grappicoli di Todi e quindi Giovanni
Mazzotti di Senigallia. Nel
1597, oppressi dai debiti, i due feudi furono messi all'asta e acquistati da
Camillo Capizucchi. Costui morì a 70 anni a Komar e fu sepolto a Vienna nella
Chiesa di S. Croce. Una
lapide, in questa Chiesa, ne ricorda la memoria. D. O. M. A
Camillo Capizucchi patrizio romano Marchese
di Poggio Catino e Catino. Gli successe il fratello Mario nel 1598
il quale , nel 1607, rinunciò in favore del suo primogenito Paolo che governò
fino al 1614. Sotto di lui iniziò il declino dei Feudi. La dominazione
degli Olgiati. Il
21 Giugno 1614 Settimio Olgiati acquistò da Paolo Capizucchi i Castelli di
Poggio Catino e Catino dove s'insediò il 26 Marzo 1615 accolto con grande
entusiasmo dalla popolazione. Il Marchese Olgiati morì nel 1623. Fra
i Signori che nel tempo hanno governato non c'è dubbio che gli Olgiati siano
stati quelli che più hanno fatto. Collegò
i due Paesi alla vecchia Salaria costruendo una strada detta ''Galantina''
lungo la riva sinistra del Tevere. Trasferì la Sede Baronale a Poggio Catino
ove restaurò il Palazzo realizzandovi 4 appartamenti di 24 stanze, rimesse,
fienili, magazzini. Comprò una casa per il Governatore vicino al Palazzo con
carceri doppie e stalle. Poi costruì un grande giardino con un muraglione di
cinta, alberi e fontane. Pavimentò
con mattoni la strada che saliva al Palazzo, chiuse la porta del Torrione
presso la fontana di Piazza ricostruendola a mattoni. Fece costruire davanti
alla Chiesa di Santa Caterina una piazza. Risolse
il problema della cronica mancanza di acqua. Pur avendo la riserva sulle
sorgenti del Tancia trasmessagli da Paolo Capizucchi vi rinunciò in
considerazione della grande spesa necessaria per realizzare questo
Acquedotto. Esisteva una ricca vena d'acqua in località ''La Canale'' ,
proprietà boschiva del Comune di Catino. La raccolse e la immise in un
bottino. Costruì un acquedotto con cunicoli, con tubi di piombo e di
terracotta. Il giorno di Santa Croce del 1616 per la prima volta l'acqua
defluì nelle fontane del Giardino, alimentò la fontana della Piazza di Poggio
Catino e il lavatoio pubblico. Alla
sorgente fu posta una lapide stemmata: ' ''
Settimio Olgiati, Marchese e Barone, con autorità di signore e carità di
padre concesse gratuitamente al Popolo assetato l'occulta vena di quest'acqua
salubre che, con paterna sollecitudine rintraccìò, allacciò e raccolse il 3
Maggio 1616 giorno della festa di Santa Croce.'' Poi
anche Catino ebbe l'acqua nel lavatoio pubblico e nella fontana di Piazza
Gregorio Catinense. Costruì
dalle fondamenta, a Poggio Catino, la Chiesa parrocchiale di San Nicola di
Bari e della Concezione di Maria Vergine nel medesimo posto della vecchia
Chiesa ormai in rovina. Fu aperta al culto nel 1621. Successivamente fu
restaurata e consacrata il 19 Luglio 1774 dal Cardinale Carlo Rezzonico,
Vescovo di Sabina. Gli successe suo
figlio Giovanni Battista (1623 - 1669) quindi Marco Antonio Olgiati fino al
1720 quindi suo figlio G.B. Olgiati. Il
Papa Paolo VII° il 6 Luglio 1816 abolì i diritti feudali. Il 19 Ottobre 1816
G.B.Olgiati rinunciò in forma legale
alla giurisdizione baronale di Poggio Catino e Catino. Nel 1817 Poggio Catino aveva 368 abitanti,
era ''appodiato''(frazione) di Poggio Mirteto insieme a Catino che ne aveva
225. Divenne
Comune autonomo con Catino ''Frazione'' nel 1853. I
due insediamenti avevano 751 abitanti, 143 dei quali residenti in campagna, suddivisi
in 157 famiglie che vivevano in 149 case.
Il
superstite di Giovan Battista, Lucio Olgiati provvide a stipulare una
''concordia'' nel 1845 per derimere tutte le questioni in essere con Poggio
Catino e Catino e, in quanto oberato dai debiti, vendette i beni che gli
rimanevano insieme al titolo di marchese ad Andrea Bustelli. Era il 1856. CRONOLOGIA ORIGINE DI CATINO: Prima
metà del VII° secolo (Prima del 650 d.C.) ORIGINE DI POGGIO CATINO:
Tra il 1070 - 1080 DIPENDENZA DAL DUCATO LONGOBARDO DI SPOLETO: Fino al 1084. DIPENDENZA DALL'ABBAZIA DI FARFA: Fino al 1278 quando gli
''Homines de Catino'' prestarono
giuramento di sudditanza al Papa. CONTI DI SANT'EUSTACCHIO: Dal 1308 - 1476 REVERENDA CAMERA APOSTOLICA: 1477 - 1478 COMUNE DI RIETI: 1478 -1479 MELIADUCE CICALA : 1479 - 1481 ORSINI: 1483 - 1587 SAVELLI: 1588 - 1594 CAPIZUCCHI: 1594 - 1614 OLGIATI: 1614 - 1816 Nel 1816 la Famiglia Olgiati rinuncia al Marchesato di Poggio Catino
e Catino che diventano frazioni di Poggio Mirteto. Nel 1853 Poggio Catino diventa Comune autonomo con Catino
frazione. Tutte i cenni storici
sono tratti dal libro “CATINO E POGGIO CATINO” di Rodolfo Cortesi, si
ringrazia l’autore per la gentile concessione |