O scrofa nera dall’orecchie mozze

  O scrofa nera dall’orecchie mozze,
che danni spandi tra le radical
genti, e ammirazione tra le cozze
  cogli, l’immondo tuo afflato animal
poté sedurre li spiriti mesti,
ma sol quelli. Indomita, lo mal
  nell’aere mandi, certa ben ch’i resti
fetidi tuoi non presto marciranno.
E intanto l’ima cavità tu presti
  all’acerbo germoglio, e ‘l malanno
mortal, strana magia, non piú t’affanna:
i tuo’ degni compari non potranno
  ancor a lungo della prava manna
sé pascer, ed altrui, e del tuo vizio.
Il virgulto ch’ogne die ti scafanna
  conscio non è d’esser fugace sfizio,
ma la tenera età spesso ci porta
a dire amor pur un bieco orifizio.
  Non sarò triste, allor che sarai morta,
vecchia canaglia: ma or ti compiango,
per ogne instante che della tua tòrta
  vita tu burli, coprendo di fango
civili genti, e a piene mani.
Ver è che intra fere del tuo rango
  or ti trovi, le qual già d’altri cani
rabbiosi accolser la turpe favella,
per la qual avre’ pur io molte inani
  fiate spasmato d’infiggere nella
negletta oscurità dell’infelice
alemanno la fava mia. Novella
  questa che la montana meretrice
valorò prima; copioso cortegio
seguilla, e ‘l séguito è noto. Attrice
  mediocre ell’era, e grande dispregio
fece per tal cagione, generando
lo truce biasmo di cu’ or mi fregio.
  Però smarrii ‘l fil del conto, cantando;
dirotti allor, le Muse a me dinanzi,
con umiltade il Sommo emulando:
  Ahi maiala, maiala, ché non stanzi
d’incenerarti sí che piú non duri,
poi che ‘n mal fare il seme tuo avanzi?

Venerdí 18 ottobre 1996
(definitivamente riveduta e corretta
lunedí 18 novembre 1996)
Emilio Colombo

 

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