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ANTONINO CAPONNETTO
La lezione morale di Caponnetto
ROMA 06 DIC - E' passato già un anno: il 6 dicembre
del 2002 si spegneva l'uomo simbolo della lotta alla mafia, Antonino
Caponnetto. Quando ci ha lasciato, il silenzio delle istituzioni è stato più
che assordante: nessuna presenza di ministri, nessun telegramma di stato per
un uomo tanto scomodo; solo gente comune, col cuore spezzato, testimonianza di
un’altra Italia.
E' passato già un anno: il 6 dicembre del 2002 si spegneva l'uomo simbolo
della lotta alla mafia, Antonino Caponnetto.
Magistrato dal 54, fu trasferito nell'83 a Palermo, su sua richiesta, per
prendere il posto del procuratore Rocco Chinnici, barbaramente divelto da una
carica mafiosa di tritolo. Dal 1983 al 1988 fu il capo dell'ufficio istruzione
del Tribunale di Palermo, dove con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, diede
vita al pool antimafia, dal quale scaturì il più incisivo maxi-processo alla
mafia che la storia giudiziaria italiana ricordi. Nel 1990 andò in pensione
con il titolo onorifico di presidente aggiunto della corte suprema di
Cassazione e, dopo le tragiche morti di Falcone e Borsellino, rimase il
testimone unico di quella lotta per la legalità, che aveva restituito dignità
alla Sicilia e all'intero paese. La morte di Falcone fu per lui un primo
durissimo colpo, che si tramutò in sconforto ai funerali di Borsellino, quando
affermò che era "tutto finito".
Paradossalmente, al contrario di quanto si potesse credere, dal 1992 agli
ultimi giorni della sua vita, l’impegno civile di Caponnetto aumentò,
nonostante età e problemi di salute, con lezioni ai ragazzi delle scuole sulla
giustizia, discesa in politica, interviste, partecipazione e promozione di
convegni, organizzazione del vertice annuale di Firenze sulla legalità,
creazione di una fondazione intitolata a Sandro Pertini e, non ultimo,
sostegno al movimento dei Girotondi ed attenzione ai fermenti no-global.
Che Italia ci ritroviamo ad un anno dalla morte di Caponnetto? E’ di sicuro
un'Italia in cui la tensione ed i valori morali appaiono spesso calpestati,
quasi rappresentassero inutili freni al rampantismo modernista, continuamente
proposto come nuovo modello sociale; un'Italia in cui un presunto diritto alla
coerenza serve a giustificare il trasformismo e l'opportunismo, la cui
esemplare applicazione è rintracciabile nei comportamenti della nostra classe
politica; un’Italia in cui la volgarità, l'insinuazione, l'insulto,
l’istigazione razzista rappresentano le nuove forme liberali del confronto
democratico e della propagazione di idee; un'Italia in cui la malcelata
insofferenza per le ultime forme di resistenza democratica si è tradotta
sistematicamente in uno scaltro e personalistico utilizzo dello strumento
legislativo; un’Italia, ancora, in cui l'arrembaggio ad una magistratura non
asservita è stato subdolamente propagandato come difesa dei principi del
garantismo o in cui la furbizia e la sopraffazione hanno trovato terreno
fertile, cavalcando l'indifferenza e la rassegnazione della gente, a discapito
della cultura del diritto; un’Italia in cui, infine, il controllo maniacale ed
assillante di ogni fonte di informazione è servito sempre di più a soffocare,
con subdole forme di manipolazione e censura, qualsiasi manifestazione del
libero pensiero, immiserendo oltretutto culturalmente il concetto stesso di
pensiero.
Di fronte all'attuale emergenza democratica, dovuta alla sistematica ricerca,
da parte del potere, di nuovi punti di cedimento istituzionale, Caponnetto non
ha lesinato bacchettate, censurando severamente l’affarismo dell’attuale modo
di far politica e preoccupandosi di sottolineare quanto fossero in pericolo i
principi fondamentali dell’equilibrio dei poteri o quanto fosse stata
ulteriormente indebolita, grazie ad un uso perverso dello strumento
legislativo, la lotta alla mafia.
Dall’altro lato ha duramente contestato la mollezza di una sinistra, colpevole
ieri di una gestione dormiente nella lotta alla mafia ed ai potentati
criminali; oggi della inettitudine a por rimedio alla desertificazione ed al
disfacimento delle coscienze, proprio quando sarebbe opportuno cogliere la
nuova crescente ansia di far politica, di volerci essere, propria delle
ultimissime generazioni.
Eppure, in ogni occasione e fino alla fine, Caponnetto ha diffuso un messaggio
di speranza, soprattutto verso le nuove generazioni, insegnando che esiste
ancora una via umana per l'onestà, l'integrità morale, la misura, il senso del
dovere e dello stato, anche quando essi comportino sacrifici e rinunce
personali.
Quando Caponnetto ci ha lasciato, il silenzio delle istituzioni è stato più
che assordante: nessuna presenza di ministri, nessun telegramma di stato per
un uomo tanto scomodo; solo gente comune, col cuore spezzato, testimonianza di
un’altra Italia, quella che aveva appena perso un suo eroe, incarnazione umana
di un messaggio di legalità e giustizia.
Caponnetto, in una delle sue ultime interviste, parlando di ideali e valori,
affermava di preferire la regola dello “stai con il più debole, col più
indifeso, con chi ha più bisogno di te” a quella del “mettiti dalla parte del
più forte”. “Certi modi di pensare” - continuava - “sono ormai così diffusi da
sembrare normali, ed invece non per questo cessano di essere distorsioni,
forme patologiche. Allora la scelta diventa se aderire alla patologia o
salvarsene. Reagire”.
(Aggiornato il 06 Dicembre 2003 ore 10:00)
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