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di KOFI ANNAN
Spetta solo all'Onu disarmare Saddam
Roma 17 FEB - Viviamo una fase di profonda tensione e in molti si
chiedono che cosa stia facendo l'Onu per allontanare le preoccupanti
prospettive che sono di fronte a noi. La nostra organizzazione non s'è
costituita forse "per salvare le prossime generazioni dal flagello della
guerra?". I paesi fondatori dell'Onu erano passati attraverso due conflitti
mondiali e sapevano quali terribili devastazioni e sofferenze comporti la
guerra. Erano intenzionati a risparmiare al mondo l'esperienza d'una nuova
agonia. Non dobbiamo mai dimenticarci di tale visione. La guerra è una
catastrofe per l'umanità un'eventualità che deve esser presa in considerazione
solo quando tutte le altre possibilità si sono esaurite, quando sia evidente
che ogni alternativa è peggiore della guerra stessa. Se in Iraq ci sarà
un'altra guerra, causerà perdite terribili, sofferenze enormi al popolo
iracheno e forse ai popoli confinanti. Noi tutti e per primi i leader iracheni
abbiamo il dovere d'impedire che ciò accada.
I paesi fondatori dell'Onu non erano pacifisti. Sapevano che ci sarebbero
state occasioni in cui la forza si deve fronteggiare solo con il ricorso ad
altra
forza. Scrissero nella Carta delle Nazioni Unite degli articoli severi, che
consentissero alla comunità mondiale d'allearsi contro un'aggressione e di
sconfiggerla. Dodici anni fa, quando l'Iraq invase il Kuwait, il Consiglio di
sicurezza e l'Onu fecero proprio questo. Prima di tutto il Consiglio concesse
all'invasore un'alternativa, quella di ritirarsi pacificamente. Quando
l'offerta
venne respinta, autorizzò il ricorso alla forza. Decisione spaventosa, ma
necessaria. Il Consiglio di sicurezza non si esentò dall'assumersi le sue
responsabilità. Sotto la sua autorità e con la leadership statunitense mise
insieme una vasta coalizione di forze. Almeno 11 dei 26 paesi che inviarono
soldati erano musulmani. Ciò dovrebbe insegnarci qualcosa.
L'Iraq non ha ottemperato agli obblighi presi nel '91. E Bagdad non ha ancora
obbedito al Consiglio di sicurezza in tema di ordigni di distruzione di massa.
Questo comporta rischi per l'intera comunità internazionale. Quando gli Stati
decidono di ricorrere alla forza, non per autodifesa, ma per risolvere gravi
minacce nei confronti della pace e della sicurezza internazionale, non ci può
essere alternativa alla legittimità assoluta del Consiglio di sicurezza. Gli
Stati e i popoli di tutto il mondo attribuiscono un'importanza fondamentale a
questa legittimità e alla supremazia internazionale della legge.
Chiaro esempio d'una simile minaccia è l'orrore che rappresentano le armi di
distruzione di massa. È una questione che obbliga il mondo intero a
riesaminare i presupporti della sua sicurezza. È di vitale importanza che
questa analisi s'effettui nella massima unità, in modo da conferire sicurezza
ai trattati multilaterali riguardanti il disarmo e la non proliferazione,
rafforzandoli e non indebolendoli o mettendoli in discussione. Solo un
approccio multilaterale e collettivo potrà efficacemente interrompere la
proliferazione d'armi di sterminio e rendere il mondo più sicuro.
Noi come Nazioni Unite abbiamo il dovere d'esplorare tutte le possibilità di
una risoluzione pacifica prima di ricorrere all'uso della forza. Appena tre
mesi fa il Consiglio di sicurezza adottò la risoluzione 1441, conferendo agli
ispettori Onu un nuovo mandato in Iraq, più severo e più autorevole. La
risoluzione fu frutto di pazienti e tenaci trattative, e alla fine fu votata
all'unanimità.
Grazie all'autorità di questa risoluzione, gli ispettori sono ritornati in
Iraq
dopo un'assenza di 4 anni. Le ispezioni possono essere utili, come sappiamo
dall'esperienza dei primi anni '90. Inoltre gli ispettori dell'Onu distrussero
molte più armi e strutture di quanto non abbiano fatto i bombardamenti.
È soprattutto grazie alla determinazione della sfida lanciata da Bush se gli
ispettori sono tornati in Iraq. Il 27 gennaio hanno consegnato il primo
rapporto, venerdì ne hanno consegnato un altro. In merito a quel che deve fare
l'Iraq c'è accordo unanime: deve disarmare. Se riusciremo a far sì che
ottemperi e disarmi completamente tramite efficaci e plausibili ispezioni, la
nostra ricompensa sarà enorme. L'Iraq non costituirà più una minaccia, e
avremo mandato anche un segnale forte a tutti gli altri paesi che possono
esser tentati dall'idea di sviluppare o acquisire armi di distruzione di
massa.
Ma se l'Iraq continuerà nell'atteggiamento di sfida, il Consiglio dovrà
prendere un'altra triste decisione, sulla base di quanto appureranno gli
ispettori; una decisione più complessa e forse anche più cruciale di quella
presa nel '90.
Quando verrà quel momento, il Consiglio dovrà far fronte alle proprie
responsabilità. Se il Consiglio sarà compatto avrà migliori chance di
raggiungere l'obiettivo, che deve essere quello d'arrivare a una soluzione che
consenta al popolo iracheno di rientrare nella comunità internazionale. In
diplomazia avere successo significa rendere quanto più vasta possibile la
piattaforma del consenso; oggi significa dar risalto all'autorità del
Consiglio
di sicurezza e rafforzare l'ordine mondiale.
Tutti dobbiamo comprendere che le Nazioni Unite non sono un'entità astratta o
separata, che cerca d'imporre la propria agenda e la propria volontà. L'Onu
siamo tutti noi. Le Nazioni Unite sono un'alleanza globale di 191 Stati, e
tutti hanno un contributo da dare. Quando c'è una forte leadership
statunitense, esercitata tramite una persuasione diplomatica paziente, volta a
costituire una coalizione, l'Onu ha successo e gli Usa hanno successo. Le
Nazioni Unite, quando sono unite e fungono da matrice d'azione collettiva
invece che di discordia, sono quanto di più utile esista per tutti i suoi
membri, compresi gli Stati Uniti.
Kofi Annan
(Aggiornato il 17 Febbraio 2003 ore 10:00)
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