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Marco Biagi un omicidio pieno di misteri

L´inchiesta sulla scorta, Marina Orlandi: "Trattato come un pezzente".

I giudici: gravi errori
Biagi, le accuse della vedova
"Prima di morire disse: più in alto non potevo andare"

ROMA 02 Lug - L´inchiesta sulla mancata scorta al professor Marco Biagi, assassinato dai brigatisti a Bologna nel marzo del 2002, arriva alla sua conclusione e le accuse dei giudici sono pesanti. «Le colpe dell´apparato sono esorbitanti – scrivono i magistrati – ci fu un approccio superficiale, insofferente e burocratico. Tutto l´apparato si è mosso con ambiguità sacrificando la vita di un servitore dello Stato». Durissima, anche, la vedova dell´economista Marina Orlandi: «Bastava poco per salvarlo, lo hanno trattato come un pezzente». E ancora: «Mio marito, pochi giorni prima di morire mi disse: più in alto di così io non potevo andare, devo prendere atto che non mi si vuole proteggere, usando come scusa che non c'è alcun pericolo per la mia vita».

"Biagi trattato come un pezzente"
L´accusa della moglie. I giudici: bastava poco per salvarlo
Il racconto della donna ai pm: cercava aiuto da chi doveva proteggerlo e invece...
Molti ignorano l´incarico alla Commissione europea, non le Br
Intorno a lui la Questura aveva steso una "cortina di diffidenza"
La mancata scorta non è reato ma la procura sottolinea "i gravi errori" commessi. Ecco il provvedimento:

BOLOGNA - Al centro di tutto c´è un uomo che si prepara a morire. Che cerca aiuto da chi dovrebbe proteggerlo e invece, racconta la moglie ai pm, «viene trattato come un pezzente». Un uomo non creduto, rifiutato, rimandato a casa come uno scocciatore, ogni volta che sale le scale del potere. Marco Biagi, sottolinea la procura, fu la vittima delle «colpe esorbitanti» di «un apparato autoreferenziale»: da un lato l´Antiterrorismo «incapace di capire l´esposizione a rischio del professore», dall´altro la Questura di Bologna «che avrebbe dovuto cogliere l´importanza dei segnali di pericolo emersi nel territorio nazionale, di cui aveva avuto notizia». Il terrorismo in rimonta, gli assassini di D´Antona che erano ancora in libertà. Invece «l´apparato» si mosse «con ambiguità, con spirito ragionieristico, sacrificando la sicurezza dei suoi migliori servitori alle esigenze di recuperare personale dai servizi di protezione, esigenze al fine quantificate in un apodittico "30 per cento"», il taglio delle scorte imposto dalla circolare Scajola. E «nessuno degli indagati ebbe la capacità o il coraggio di invertire una scelta (la revoca della tutela) che da un certo momento in poi sembra legittimata solo dalla cieca e irragionevole tendenza dell´apparato ad autoreferenziarsi».
Conclude con una richiesta di archiviazione la Procura di Bologna: la mancata scorta a Marco Biagi non è un reato. Ma nelle 61 pagine del provvedimento firmato dal procuratore Enrico Di Nicola, l´aggiunto Luigi Persico e i pm Antonello Gustapane e Giovanni Spinosa troverà ampio spazio la parte civile, la famiglia del professore ucciso, oggi più che mai abilitata a chiedere un risarcimento miliardario allo Stato. Perché se gli indagati Carlo De Stefano e Stefano Berrettoni (Antiterrorismo), il questore Romano Argenio e il prefetto Sergio Iovino non hanno colpe penali, «le direttive ministeriali non escludono i gravi errori interpretativi che nella specie sono stati commessi e le conseguenze che, in sede civile e amministrativa, possono eventualmente discendere, in quelle sedi, dagli stessi». Non solo. Biagi poteva essere salvato dal piombo delle Br. «La meno sofisticata fra le forme di protezione - scrive Di Nicola a pagina 52 - sarebbe stata in grado di scongiurare» il delitto del 19 marzo 2002. Ma quella protezione l´aveva persa. Mesi prima aveva chiesto di incontrare il questore Argenio, ha raccontato la moglie Marina Orlandi al procuratore «ma per 10, forse 15 volte ottenne un rifiuto.... Mai nessuno al mondo si era permesso di mancargli di rispetto trattandolo come un pezzente e rifiutandogli di riceverlo».
Il fatto è che intorno a Biagi la Questura di Bologna aveva steso «una cortina di diffidenza, quasi venisse considerato un simulatore per esagerato timore». Al punto che quando il professore che riceve telefonate anonime, denuncia che uno sconosciuto è entrato nel giardino della casa di Pianoro per dirgli "sappiamo che sei solo in casa", nessuno pensa di segnalare la "visita" alla Procura. Ma le responsabilità sono equamente distribuite. Per esempio sia la Direzione centrale della Polizia di prevenzione sia la Questura di Bologna conoscono gli incarichi del professore. L´unico incarico che sembra ignoto a tutti è quello presso la Commissione europea. Noto invece, osservano amari i pm, alle Br che lo citano nella rivendicazione dell´omicidio. La ragione è che a Roma manca un fascicolo personale intestato al professore. La «sconcertante» conferma arriva dallo stesso De Stefano: «I fascicoli personali si instaurano per i pregiudicati, non per le personalità da proteggere». Ha ragione De Stefano, scrive Di Nicola, quando dice che l´Antiterrorismo «non è una casella postale, ma una struttura investigativa che svolge intelligence operativa». Peccato che «sia mancato, viceversa, proprio quel lavoro di intelligence ... Chi ha analizzato le fonti di prova, sa che conducevano con sinistra convergenza al professor Marco Biagi» come prossimo bersaglio.

IL DOCUMENTO
Così Marina Biagi ha raccontato delle scorte negate al procuratore Enrico De Nicola.
"I romani dell´Antiterrorismo hanno responsabilità enormi"

BOLOGNA - Quando vide il corpo del marito steso a terra davanti al portone di casa, Marina Biagi non fu sorpresa. La sua morte era un evento atteso, ha raccontato al procuratore Di Nicola. Gli ultimi erano stati mesi di puro terrore per lei e per Marco. Al punto che alla disperata ricerca di aiuto, «considerato il fatto che a nulla erano valse le richieste di Marco fatte sia personalmente sia attraverso il ministro Maroni per ottenere la conservazione o il ripristino della protezione, dietro mia insistente pressione, lui decise di parlare con l´onorevole Casini, amico di famiglia». Casini fece arrivare la sua voce al capo della Polizia Gianni De Gennaro. Ma senza successo. Perché poi «riferì a Biagi - ha spiegato la signora - secondo De Gennaro non vi erano i motivi per concedere la protezione». Il professore disse alla moglie «in tempo reale la risposta di De Gennaro a Casini». E lei ora chiosa durissima: «Questo tipo di risposta inqualificabile è stata data anche a Stefano Parisi dall´allora ministro Scajola e dal ministro Frattini, nonché da prefetti vari...».
C´è il segno del tragico e inarrestabile meccanismo di sottovalutazione del pericolo corso da Marco Biagi nelle parole di Marina che non è mai intervenuta nelle polemiche politiche rifiutando sempre di uscire da un riserbo tutto privato. Un meccanismo che sembra ineluttabile e che porterà all´assassinio del professore. La signora esce da suo silenzio soltanto per parlare con il procuratore Enrico Di Nicola e alcune delle sue critiche senza perdono sono nella richiesta di archiviazione appena depositata: «Sempre alludendo a Casini Marco mi disse "Marina più in alto di così non potevo arrivare, devo prendere atto che non mi si vuole proteggere, adducendo come scusa che non c´è nessun pericolo per la mia vita, in quanto non c´è più pericolo dei terroristi, anche se questo per ogni persona con un briciolo di intelligenza e di ragionevolezza è una cosa inconcepibile". Era uno degli ultimi giorni prima della sua morte. Come regolarmente avveniva ormai quotidianamente io gli avevo tirato fuori il problema della protezione».
Ma ci sono parole pesantissime anche per «i romani», gli uomini dell´Antiterrorismo che avrebbero dovuto difendere Biagi dai terroristi. Dice la signora: «E´ inaccettabile che il giovedì precedente l´assassinio di mio marito siano comparsi su Panorama i rapporti dei servizi segreti da cui risultava che la prossima vittima sarebbe stata un uomo che in Italia non poteva essere in quel momento che lui e chi di dovere non si fosse neanche preso la briga di sollevare il telefono e chiedere al ministero del Lavoro chi fosse quel povero disgraziato che corrispondeva all´identikit dei servizi. Queste sono le responsabilità dei romani, responsabilità assolutamente enormi che non possono essere liquidate col fatto che erano stati spediti generici fax alle varie Questure italiane».
Quel rapporto, la relazione semestrale del Sisde spaventò moltissimo anche Biagi. Racconta Marina che il professore in quei giorni viveva uno stato d´animo di rassegnazione e di fatalismo. La pubblicazione della relazione  «rafforzò quell'atteggiamento».

da Repubblica - 2 luglio 2003

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