Oggi, il ruolo diretto delle organizzazioni
mafiose nel saccheggio del patrimonio ambientale e culturale del nostro
Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, è un dato acquisito. L'ecomafia è
entrata nel vocabolario della lingua italiana, viene studiata in molte
scuole, è oggetto di tesi universitarie, ispira fumetti e persino
barzellette. Non saremo certo noi a sottovalutare l'importanza culturale di
tutti questi segnali di attenzione. Ma preferiamo ricordarne altri, che
hanno cambiato la "classifica", come sottolinea spesso il nostro presidente
onorario, Ermete Realacci. In maniera permanente e qualche volta, purtroppo,
per una brevissima stagione:
-
la costituzione, a partire dal 1995, di una commissione parlamentare
d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e le attività illecite ad esso connesse,
approvata in ogni legislatura con il consenso unanime di maggioranza e
opposizione;
-
l'introduzione, attraverso l'art.53 bis del decreto Ronchi, del
delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti, che ha portato
nel giro di appena due anni, alla scoperta di colossali traffici di
rifiuti pericolosi, con l'emissione di ben 133 ordinanze di custodia
cautelare;
-
gli abbattimenti di numerosi ecomostri, dal Fuenti alle otto torri del
Villaggio Coppola, solo per citare quelli più conosciuti, che hanno
contribuito a determinare, tra il 1999 e il 2000, una significativa
riduzione del fenomeno dell'abusivismo edilizio;
-
il deciso rafforzamento del Comando tutela ambiente dell'Arma dei
carabinieri, con l'apertura di nuove sedi regionali e provinciali, il
potenziamento del Reparto operativo e della Sezione operativa centrale,
oggi impegnata in numerose e importanti indagini sui traffici illegali di
rifiuti;
-
il pieno riconoscimento delle funzioni di polizia ambientale svolte
dal Corpo forestale dello Stato e dai suoi nuclei investigativi;
-
l'attenzione, crescente, dedicata ai fenomeni d'illegalità ambientale
da parte della Guardia di finanza, in particolare attraverso le sue
Sezioni navali, e le Capitanerie di porto;
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l'attività di analisi e di indagine sviluppata sul ciclo illegale dei
rifiuti dalla Direzione investigativa antimafia e dai servizi di
sicurezza;
-
il crescente rilievo attribuito alla denuncia degli illeciti
ambientali da parte dei procuratori generali delle Corti d'Appello durante
le inaugurazioni degli anni giudiziari;
-
l'apertura di processi importanti, come quello sulla discarica di
Pitelli, a La Spezia (denunciata da Legambiente già nel lontano 1986) e la
conclusione di quello nei confronti dell'ex sindaco di Agrigento, Calogero
Sodano, accusato di aver favorito l'abusivismo edilizio in cambio di voti
condannato, con sentenza della Cassazione, a 18 mesi di reclusione, nonché
al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili, tra cui
Legambiente;
-
la nascita, in diverse province e regioni, degli Osservatori su
ambiente e legalità promossi dalla nostra associazione, a partire dalle
esperienze maturate in Basilicata, nella provincia di Salerno e nell'area
marina protetta di Punta Campanella;
-
l'avvio di approfondite inchieste parlamentari, sollecitate anche da
Legambiente nella precedente edizione del Rapporto Ecomafia, sui traffici
illegali di rifiuti verso la Somalia e gli omicidi di Ilaria Alpi e Miran
Hrovatin, avvenuti dieci anni fa a Mogadiscio.
-
Si tratta di risultati raggiunti anche grazie al nostro contributo. E
l'elenco potrebbe proseguire ancora. Ma non possiamo dimenticare che in
questi dieci anni sono state perse anche delle buone occasioni per
affermare, nel nostro Paese, i principi di legalità e di tutela
dell'ambiente:
-
la mancata approvazione, nella precedente legislatura, del disegno di
legge del governo, promosso dall'allora ministro dell'Ambiente Edo Ronchi
e da quello della Giustizia, Oliviero Diliberto, che avrebbe introdotto
anche nel nostro codice penale i delitti contro l'ambiente, garantendo
efficaci strumenti di prevenzione e repressione;
-
la mancata approvazione, sempre nella precedente legislatura, del
disegno di legge promosso dall'allora ministero dei Lavori pubblici che
avrebbe consentito di superare ritardi, inefficienze e difficoltà
nell'abbattimento degli immobili costruiti illegalmente;
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la mancata approvazione, a tutt'oggi, della nuova legge contro il
maltrattamento degli animali e la piaga dei combattimenti clandestini,
sollecitata con forza dalla Lega Antivivisezione e che consentirebbe di
contrastare con efficacia un'attività estremamente lucrosa per le
organizzazioni mafiose, nonostante le modifiche introdotte.
-
Ma non c'è dubbio che le conseguenze peggiori per la tutela
dell'ambiente, e non solo, sono state determinate dall'approvazione da
parte dell'attuale governo del terzo condono edilizio, che come era facile
prevedere ha innescato una forte ripresa dell'abusivismo edilizio in
Italia. Si è contribuito in questo modo a diffondere nel nostro Paese la
convinzione di una sostanziale impunità, che premia i furbi e penalizza
chi rispetta le regole, anche nel mercato delle costruzioni.
-
Anche l'elenco delle "doglianze" potrebbe essere più lungo. Ma, come
sempre, sono i numeri a dimostrare quanto siano fondate le preoccupazioni
di Legambiente:
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negli ultimi dieci anni (1994-2003), le forze dell'ordine hanno
accertato in Italia ben 246.107 infrazioni in materia ambientale; le
persone denunciate o arrestate sono state 154.804; i sequestri effettuati,
40.258; il 40% di queste infrazioni (esattamente 98.536) si concentra
nelle quattro regionali a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia,
Calabria e Sicilia); una percentuale che sale fino al 43% per quanto
riguarda gli illeciti relativi al ciclo del cemento;
-
nello stesso arco di tempo, sono state realizzate nel nostro Paese
405.606 costruzioni illegali, tra nuovi immobili e trasformazioni d'uso di
rilevanti dimensioni (dalle stalle alle ville, magari con piscina, per
intenderci); il 57% di questo diluvio di cemento illegale si concentra
nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa;
-
il business complessivo delle ecomafie, tra mercato illegale (gestione
illecita dei rifiuti, abusivismo edilizio, racket degli animali,
archeomafia) e investimenti a rischio (appalti per la raccolta di rifiuti
e per la realizzazione di opere pubbliche in Campania, Puglia, Calabria e
Sicilia) viene stimato da Legambiente in circa 132 miliardi di euro;
-
sono, infine, 169 i clan mafiosi con interessi diretti nei circuiti
dell'ecomafia, censiti da Legambiente.
-
L'anno appena trascorso è stato, purtroppo, caratterizzato da un
deciso incremento di tutti i parametri presi in esame dalla nostra
associazione:
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gli illeciti ambientali accertati dalle forze dell'ordine sono stati
25.798, circa il 32,6% in più di quelli riscontrati nel 2002; raddoppiano
le notizie di reato relative agli incendi dolosi registrate dal Corpo
forestale dello Stato (oltre 7mila quelle del 2003) ma crescono anche gli
illeciti relativi al ciclo del cemento (più 16%) e a quello dei rifiuti
(più 10,7%);
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è quasi raddoppiato in un anno il numero dei sequestri giudiziari, un
provvedimento che, com'è noto, segnala la particolare gravità dei reati su
cui s'indaga: sono stati ben 8.650 contro i 4.479 del 2002;
-
aumenta anche il numero delle persone denunciate, 19.665, il 18,1% in
più rispetto al 2002; quasi raddoppiato, invece, il numero degli arresti
eseguiti: 160, contro gli 87 del 2002, un dato che risente, in modo
particolare, delle operazioni compiute dal Reparto operativo del Comando
tutela ambiente dell'Arma dei carabinieri per quanto riguarda i traffici
di rifiuti, ma anche delle inchieste condotte dal Corpo forestale dello
Stato (in materia di rifiuti, di escavazioni abusive e di bracconaggio) e
della Guardia di finanza
-
il maggior numero di illeciti ambientali viene accertato, anche nel
2003, nella regione Campania, seguita dalla Calabria e dal Lazio; in
quest'ultima regione si registra, per il secondo anno consecutivo, un
forte aumento degli illeciti, soprattutto per quanto riguarda il ciclo del
cemento, che vedono proprio il Lazio al primo posto di questa classifica
di "settore"; la Sicilia, invece, si conferma al primo posto per quanto
riguarda gli illeciti relativi al ciclo dei rifiuti;
-
le nuove costruzioni abusive realizzate nel 2003, secondo le stime
elaborate dal Cresme, sono state 40 mila, per una superficie complessiva
equivalente a oltre 5,4 milioni di metri quadrati di cemento illegale e un
valore immobiliare superiore ai 2,7 miliardi di euro; si tratta di oltre
9mila nuove costruzioni illegali in più rispetto al 2002 (tra nuovi
immobili e trasformazioni d'uso di rilevanti dimensioni), che sommate a
quelle del 2002, consentono di attribuire all'effetto condono un'impennata
di oltre il 40% di cemento illegale "regalato" al nostro Paese, senza
considerare l'inevitabile "trascinamento" in alto che si registrerà,
sempre secondo il Cresme, anche nell'anno in corso (soprattutto dopo la
scelta di concedere una proroga per la presentazione delle domande di
condono, finora molto al di sotto delle attese del governo);
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il 55% delle nuove costruzioni abusive si concentra nelle quattro
regioni a tradizionale presenza mafiosa, Campania in testa, che si
conferma al primo posto della classifica anche per quanto riguarda
l'abusivismo edilizio;
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si aggiunge, alle tre montagne di rifiuti spariti nel nulla e già
denunciate nei precedenti Rapporti (rispettivamente di 1.150 metri nel
1988, di 1.120 metri nel 1999, di 1.382 metri nel 2000), una nuova "vetta"
di 1.314 metri di altezza (se può consolare, 68 in meno rispetto all'anno
precedente) e tre ettari di base, pari a 13,1 milioni di tonnellate di
rifiuti speciali, anche pericolosi, di cui si stima la produzione ma non
si conosce l'effettivo smaltimento;
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cresce il business complessivo dell'ecomafia, che nelle stime di
Legambiente supera nel 2003 i 18,9 miliardi di euro, con un incremento del
14,2% rispetto al 2002;
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aumenta, infine, anche il numero dei clan censiti: 11 in più rispetto
al precedente Rapporto Ecomafia, per un totale, come già accennato, di 169
clan.
-
Le poche notizie confortanti, perlomeno per quanto riguarda i numeri
di questo rapporto, arrivano dall'attività in materia di tutela del
patrimonio artistico e culturale:
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diminuisce il numero dei furti, secondo i dati forniti dal Comando
carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (1.293, il 15,9% in
meno rispetto al 2002) e quello delle persone arrestate: 54 nel 2003,
contro le 128 del 2002); la regione più colpita è il Piemonte (221 furti,
con un incremento di circa il 24,1% sul 2002, in controtendenza rispetto
al dato nazionale);
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resta sostanzialmente stabile il numero di opere trafugate (poco oltre
le 18mila, come nel 2002) ma aumentano in modo esponenziale, e qui il dato
torna a farsi preoccupante, quelle considerate di interesse notevole: ben
2.974, contro le "appena" 77 del 2002, a indicare, probabilmente, una
crescente specializzazione di ladri e trafficanti.
Fin qui, i numeri. Ma la lettura del Rapporto Ecomafia rimanda, anche
quest'anno, anche alle numerosissime inchieste giudiziarie, alle denunce,
agli atti e alle relazioni istituzionali, alle notizie raccolte ed elaborate
da Legambiente. Riassumerle tutte è davvero impossibile. Può essere utile,
però, estrapolare alcune di quelle più significative, suddivise per area di
ricerca.
Cominciamo dal ciclo del cemento:
-
abbiamo già segnalato il primato del Lazio per quanto riguarda le
infrazioni accertate dalle forze dell'ordine: sono state ben 1.450, più
del doppio rispetto a quelle registrate nel 2002. E raddoppiano in questa
regione anche i sequestri, che passano da 86 a 180. Buona parte di questi
illeciti sembra consumarsi lungo le coste. Lo confermano i dati delle
Capitanerie di porto, quelli delle Sezioni navali della Guardia di finanza
e le indagini della magistratura. Una in particolare, condotta dalla
Procura di Velletri e affidata ai carabinieri del Noe, ha portato a decine
di sequestri lungo un tratto di litorale della provincia di Roma, tra
Ardea e Tor San Lorenzo, compreso quello di ben 28 appartamenti, per un
valore di circa 4 milioni di euro, costruiti abusivamente da una società
immobiliare su un fosso demaniale;
-
è proseguita con ulteriori arresti l'operazione Acheronte, condotta
dal Corpo forestale dello Stato e dalla procura di Padova, che ha svelato
l'esistenza di un vasto fenomeno di escavazioni abusive di sabbia, in
particolare lungo il Po; si tratta di un'indagine che ha fatto scuola: nel
corso del 2003, infatti, la procura della Repubblica di Belluno ha messo
sotto inchiesta diverse imprese di escavazione nell'ambito dell'operazione
Alluvium, relativa a prelievi abusivi di ghiaia lungo alcuni torrenti;
prosegue, infine, con nuovi sequestri di motodraghe, l'indagine avviata
dalla Procura di Reggio Emilia, sempre in merito alle escavazioni abusive
di sabbia nell'alveo del Po;
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ha avuto sviluppi clamorosi, coinvolgendo due prefetti e un
magistrato, accusato di corruzione in atti giudiziari, l'inchiesta
condotta dalla procura della Repubblica di Genova su diversi casi di
abusivismo edilizio denunciati da Legambiente nell'isola d'Elba;
-
si conferma particolarmente critica la situazione per quanto riguarda
le cave abusive in Calabria, soprattutto nelle province di Cosenza
(numerosi i sequestri eseguiti dal Corpo forestale dello Stato) e di
Catanzaro, in particolare nel territorio di Lametia Terme, al centro di
una vasta operazione di monitoraggio da parte del Nucleo operativo
ecologico dei Carabinieri;
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sempre in questa regione, una nuova inchiesta, l'operazione Dinasty,
ha confermato i reiterati episodi d'infiltrazione della 'ndrangheta nei
lavori di ammodernamento dell'autostrada A3, Salerno-Reggio Calabria; già
lo scorso anno avevamo segnalato un'altra indagine, l'operazione Tamburo,
dalla quale è emerso uno scenario a dir poco inquietante, che conferma le
saldature esistenti, nelle attività dell'ecomafia, tra ciclo del cemento e
ciclo dei rifiuti: durante le indagini, infatti, come spiega la Direzione
investigativa antimafia nella relazione sul secondo semestre 2003, sono
stati acquisisti "elementi investigativi in ordine all'interramento
clandestino di 18mila metri cubi di rifiuti sotto l'asfalto
dell'autostrada", utilizzati per "riempire un tratto che aveva richiesto
l'esecuzione di scavi e sbancamenti";
-
Legambiente non può fare altro che ribadire, anche in questa
occasione, la grande preoccupazione che suscitano gli appetiti della
'ndrangheta e di Cosa nostra intorno alle opere previste per la
realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, un'opera che giudichiamo
inutile e contro la quale continueremo a batterci: già oggi, quando
l'apertura dei cantieri è ancora sulla carta, "non si esclude - afferma la
Dia - che si sia costituito ad hoc un consorzio criminale fra le cosche
reggine, che avrebbero già pianificato le modalità d'intervento".
Dal cemento, ai rifiuti:
-
Quando non ci sono grandi appalti da "inquinare" le cosche mafiose
cercano di sfruttare tutte le occasioni possibili di guadagno: è il caso
della provincia di Agrigento. Sempre secondo la Dia, in questa provincia
"quello dello smaltimento dei rifiuti si sta rivelando una nuova e lucrosa
attività, che è attualmente oggetto di particolare attenzione
investigativa". E probabilmente non è un caso se proprio in Sicilia, come
abbiamo già accennato, si riscontra il maggior numero di illeciti
accertati dalle forze dell'ordine per quanto riguarda il ciclo dei
rifiuti;
-
la situazione di gran lunga più preoccupante resta, comunque, quella
della Campania: la camorra, come ha denunciata la stessa Commissione
parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha puntato "l'affare
emergenza", a partire dalla compravendita delle aree in cui stoccare le
cosiddette ecoballe; sempre in questa regione proseguono incessantemente i
traffici e gli smaltimenti illeciti di rifiuti provenienti soprattutto dal
Centro-Nord, come hanno rivelato diverse inchieste condotte nel 2003 dai
carabinieri del Comando tutela ambiente (dall'operazione "Eldorado" alla
"Re Mida");
-
una situazione di emergenza ambientale caratterizza, ormai da tempo, i
territori dell'Agro aversano, in provincia di Caserta, e di diversi comuni
dell'area a nord di Napoli, in particolare nel triangolo Qualiano,
Giugliano, Villaricca: è la terra dei fuochi, già denunciata nello scorso
Rapporto ecomafia, dove si continuano a bruciare ogni notte ingenti
quantitativi di rifiuti con tecniche sempre più raffinate (dai pneumatici
usati come combustibile alla nuova frontiera delle balle di stracci
imbevute, molto probabilmente, con solventi e altri rifiuti pericolosi);
da questi roghi, com'è noto, si sprigionano rilevanti quantità di
diossina; è molto probabile che proprio questa sorta di "termocombustione",
criminale e diffusa sul territorio, sia all'origine dei gravi fenomeni di
contaminazione, che hanno portato al sequestro e all'abbattimento di
alcune migliaia di capi bovini, in particolare bufale, nonché alla
recentissima emanazione di ordinanze sindacali che vietano, in alcune aree
dei comuni di Frignano e Villa Literno (ma quelli interessati sarebbero in
realtà almeno sette), il pascolo, la detenzione di animali da cortile, la
raccolta del foraggio, che deve essere inviato a "idonei impianti di
incenerimento";
-
alcune indagini giudiziarie condotte tra il 2003 e i primi mesi del
2004 hanno confermato l'estensione su quasi tutto il territorio nazionale
dei traffici illegali di rifiuti; con l'operazione Mosca, condotta dal
Comando tutela ambiente dell'Arma dei carabinieri, sono stati accertati
smaltimenti illeciti di ingenti quantitativi di rifiuti in Molise;
l'operazione Clean Sweep, portata avanti dallo stesso Comando, ha acceso i
riflettori sul profondo nord, la provincia di Cuneo, anch'essa meta di
smaltimenti illeciti; quella Phantom Recycling, condotta dal Nucleo
investigativo di polizia ambientale del Cfs di Brescia ha confermato il
massiccio impiego di capannoni industriali dismessi, che vengono riempiti
di rifiuti e lasciati in eredità alle comunità locali, dalla Lombardia al
Veneto, dall'Emilia Romagna al Friuli; sempre in Veneto, l'operazione
Houdini, condotta di nuovo dal Comando tutela ambiente e coordinata dal
Reparto operativo, ha confermato il ruolo cruciale di questa regione come
luogo di raccolta e "smistamento" di rifiuti speciali, spesso pericolosi,
su tutto il territorio nazionale;
-
sorprende, infine, per l'originalità del sistema di smaltimento
illecito adottato l'operazione Paddock, condotta dal Corpo forestale dello
Stato e dalla Guardia di finanza, in collaborazione con l'Agenzia
regionale per la protezione dell'ambiente della regione Toscana: le
indagini, partite da Barberino del Mugello hanno consentito di individuare
l'impiego di rifiuti (cavi elettrici finemente tritati) mescolati con
sabbia per "allestire" le aree di allenamento dei cavali in numerosi
maneggi della provincia di Firenze, e probabilmente non solo (questo tipo
di traffico ha interessato anche la Lombardia, l'Emilia Romagna e le
Marche); il materiale in questione sarebbe particolarmente adatto perché,
come rivela un comunicato stampa della stessa Arpat, "conferisce una buona
elasticità al fondo e non comporta la formazione di polvere": peccato che
si tratti di rifiuti classificati come pericolosi.
E' stata la rivista Polizia di Stato a segnalare, con un'ampia inchiesta,
un fenomeno crescente per quanto riguarda il racket degli animali, il furto
di cavalli: ne vengono rubati ogni anno almeno 5mila esemplari, spesso
destinati al mercato della macellazione clandestina. A causa delle giuste
preoccupazioni suscitata dalla "mucca pazza", infatti, il consumo di carne
equina in Italia è cresciuto in maniera significativa (circa il 40%) e le
organizzazioni criminali, ovviamente, si adeguano. Senza dimenticare le
tradizionali fonti di guadagno:
-
resta, infatti, assai diffuso il fenomeno del bracconaggio nel nostro
Paese, come dimostra l'Operazione pettirosso, condotta dal Noa, il Nucleo
operativo antibracconaggio del Corpo forestale dello Stato: in 45 giorni
di indagini, lungo le valli bresciane e del bergamasco, sono state
denunciate 102 persone, sequestrati 4.239 archetti e trappole, 157 reti.
Le prede sono sempre le stesse (pettirossi, allodole, fringuelli,
scriccioli) piccoli volatili catturati illegalmente che alimentano un
ricco mercato: un piatto, con il gusto del proibito, di "polenta e osei"
può costare anche 40 euro; un archetto, appena 15 centesimi;
-
si diventa cacciatori di frodo anche solo per "passione", magari dopo
aver lavorato regolarmente dal lunedì al venerdì, dirigendo la filiale di
un istituto di credito: è soltanto un cacciatore di frodo tra i tanti
quello denunciato anche quest'anno sui "laghetti" del litorale Domitio
flegreo, in provincia di Caserta, ma proprio il suo ruolo sociale,
rispettabile, e la sua disponibilità a pagare anche 8 mila euro l'anno per
affittare un capanno abusivo fanno davvero riflettere; anche perché questi
laghetti, in gergo "vasche", dove cercano ristoro moltissimi specie di
migratori, sono spesso gestiti dalla camorra (Legambiente, per inciso, ha
avviato, in collaborazione con la Lipu, un progetto di recupero e
riqualificazione di alcune aree umide di questa provincia, nell'ambito
dell'operazione SalvaItalia, che si avvale del contributo di Tim).
-
"La gente ricca serve per la fortuna di quelli che possono arricchirsi
alle loro spalle": è solo un frammento, ma davvero significativo, della
conversazione, intercettata dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio
culturale di Roma, tra un padre, considerato tra i più esperti ladri e
ricettatori di opere d'arte, in servizio da più di 30 anni, e il figlio. Ma
spiega molto degli interessi che ancora "orbitano" intorno al saccheggio del
patrimonio archeologico, storico e artistico del nostro paese. Partivano
dall'antica Etruria, tra il Lazio e la Toscana, solo per fare un esempio, i
reperti archeologici sequestrati dagli investigatori della Guardia di
finanza, impegnati nelle attività di contrasto dei traffici d'arte. E
finivano in Svizzera: qui in un sofisticato laboratorio ginevrino si
provvedeva al "restauro" prima di collocarli sul mercato internazionale: a
fare da consulenti, un esperto in etruscologia, italiano, e un
collezionista, svizzero, ai quali era affidato il compito di costruire
un'identità legale ai reperti.
Molto più brutale e diretta è la nuova "mafia di campagna". Un fenomeno
su cui indaga una sezione specializzata della Procura nazionale antimafia,
voluta dal Procuratore Piero Luigi Vigna, e che Legambiente ha deciso di
sottolineare, per la sua gravità in questo Rapporto Ecomafia 2004. I numeri
che emergono dal lavoro di ricerca "Campagne sicure 2003: la criminalità in
agricoltura nelle regioni del Sud" (elaborato dalla Fondazione Cesar per
conto della Confederazione italiana dell'agricoltura), non lasciano margini
di dubbio:
-
i reati accertati dalle forze dell'ordine nelle campagne del nostro
Paese, durante il 2002, sono stati ben 228.253;
-
al primo posto figurano i furti di attrezzature e mezzi agricoli
(accompagnati spesso dalla richiesta di un "riscatto", il cosiddetto
"cavallo di ritorno") seguiti dal racket, dall'abigeato, dai furti di
prodotti agricoli, in quantitativi ingenti e direttamente dalle piante.
E' un vero e proprio assalto. Che ha come vittime centinaia di migliaia
di agricoltori italiani, troppo spesso abbandonati al loro destino. E che
vede di nuovo in alcuni territori funestati dal fenomeno dell'ecomafia, come
la provincia di Caserta e quella di Napoli, veri e propri "epicentri" di
queste attività illecite. Che non preoccupano soltanto per le conseguenze
sociali, pure gravissimi, ed economiche.
Queste attività criminali s'intrecciano, spesso, con altri fenomeni, come
la macellazione clandestina, gli allevamenti illegali, il ricorso a farmaci
proibiti per "dopare" gli animali, i traffici di derrate alimentari che non
dovrebbero raggiungere il mercato. Non può non inquietare, solo per fare un
esempio, il sequestro avvenuto in provincia di Frosinone, da parte della
polizia di Cassino, di due autobotti con latte che proveniva da allevamenti
sequestrati della provincia di Caserta, a causa della contaminazione da
diossina. Il latte era destinato a ditte del basso Lazio. E la
preoccupazione cresce, se a questa notizia si affianca quella del sequestro
da parte del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, su delega dalla
Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, di due allevamenti
gestiti da affiliati a clan camorristici.
Non si tratta di fare allarmismo (davvero non se ne avverte il bisogno,
visto il quadro generale che emerge dalle inchieste giudiziarie e da diversi
atti istituzionali) ma è certo che contro la mafia di campagna vanno
sviluppate, rapidamente, forti contromisure, per restituire serenità agli
agricoltori e sicurezza ai consumatori.
Anche quest'anno, il Rapporto Ecomafia ospita un'ampia pagina dedicata ai
cosiddetti "mercati globali" dell'ecocriminalità: i traffici illeciti di
rifiuti (per i quali si segnala una ricerca comparata tra Italia e Spagna,
realizzata da Legambiente in collaborazione con il Gruppo Abele e
l'associazione ambientalista spagnola Gepec), quelli di specie protette (che
si collocano ormai al terzo posto come profitti per le holding criminali,
dopo i traffici di armi e di droga) e quelli di opere d'arte. Gli spunti di
riflessione non mancano, ma anche per ragioni di sintesi, ne vogliamo
sottolineare uno. Che guarda a un tema di grande attualità: l'allargamento
dell'Unione europea. La prima indagine effettuata sulla criminalità
ambientale in Europa, ampiamente citata nel capitolo sugli scenari
internazionali, rivela una significativa frequenza di traffici e smaltimenti
illeciti di rifiuti nei paesi dell'Est, a cominciare dalla Cecoslovacchia.
Sembra quasi un ritorno al passato, prima della caduta del Muro, quando
proprio verso Est (in particolare la Romania) si dirigevano rotte importanti
degli smaltimenti illeciti, che affiancavano quelle tradizionali verso
l'Africa (ancora attive).
Il nostro lavoro di ricerca si conclude, come sempre, con i contributi
dei Centri di azione giuridica di Legambiente: i nostri sportelli della
legalità, a disposizione dei cittadini e attivi in quasi tutte le regioni
italiane. Si tratta di un lavoro che coinvolge decine e decine di avvocati,
a titolo gratuito (quando gli va bene), affiancati, una volta tanto, da
magistrati da sempre attenti alle questioni ambientali.
E' un altro piccolo esempio di quello spirito di cooperazione che
caratterizza le nostre attività associative. E che ispira anche le proposte,
concrete, con le quali vogliamo concludere questa premessa:
-
torniamo a sollecitare, anche quest'anno, l'introduzione dei delitti
contro l'ambiente nel nostro Codice penale; abbiamo positivamente
ascoltato, al riguardo, durante un convegno organizzato proprio dalla
nostro associazione lo scorso 19 marzo a Roma, una sostanziale unità
d'intenti e di obiettivi con la Commissione presieduta dal giudice Carlo
Nordio, impegnata, su delega del ministro della Giustizia nella più
complessiva riforma del Codice penale; sempre in quella occasione è stato
confermato l'impegno, nella stessa direzione, della Commissione
parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, in particolare del suo
presidente, l'on. Paolo Russo; speriamo che queste sinergie consentano di
superare dubbi ed ostacoli e favoriscano l'approvazione, entro questa
legislatura, di una riforma, prevista anche dal Consiglio d'Europa e dalla
Commissione europea;
-
Legambiente propone, al di là degli esiti dei ricorsi pendenti davanti
alla Corte costituzionale contro il terzo condono edilizio (che ci
auguriamo, ovviamente, portino alla bocciatura di questo provvedimento),
l'istituzione di un Ufficio nazionale per la lotta all'abusivismo
edilizio, con funzioni operative e di coordinamento, che supporti Comuni
ed Enti parco nelle attività di demolizione di tutto ciò che è comunque
non sanabile, nonché in quelle di repressione del nuovo abusivismo (quello
successivo, per intenderci, alla data del 31 marzo 2003); questo ufficio,
magari alle dipendenze del ministero dell'Ambiente e del territorio,
potrebbe, solo per fare un esempio, raccogliere e rilanciare il prezioso
lavoro svolto dalla Procura generale di Lecce sulle sentenze di
demolizione passate in giudicato di opere non sanabili: grazie alla
collaborazione avviata anche con le sedi locali dell'Ance (l'Associazione
nazionale costruttori), la Procura generale ha elaborato, tra l'altro,
procedure d'intervento con costi inferiori a quelli praticati dal Genio
militare;
-
la nostra associazione sollecita l'adozione di misure, queste sì
davvero straordinarie, con cui ripristinare la legalità nelle cosiddette
"terre dei fuochi", in particolare l'Agro aversano e i comuni dell'area a
nord della Provincia di Napoli (triangolo Qualiano, Giugliano, Villaricca):
si tratta di agire, a nostro avviso, con lo stesso impegno che ha
caratterizzato l'Operazione Primavera, attraverso la quale, è stato
sostanzialmente stroncato un sistema criminale che teneva in scacco la
provincia di Brindisi. In quel caso si trattava di contrastare bande
sempre più spietate di contrabbandieri di sigarette. Questa nuova
"Operazione Primavera" dovrebbe avere come obiettivo, invece, i
contrabbandieri di rifiuti che avvelenano quei territori, minacciano la
salute dei cittadini e compromettono importanti attività economiche;
-
chiediamo, più in generale, una forte iniziativa
politico-amministrativa per superare, in Campania, Puglia, Calabria e
Sicilia, la stagione, in qualche caso ormai più che decennale, della
gestione commissariale del ciclo dei rifiuti, creando finalmente le
condizioni per un autentico decollo della raccolta differenziata e delle
attività di recupero e riciclaggio, antidoto indispensabile all'azione
delle ecomafia;
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ci aspettiamo, infine, dalla nuova presidenza di Confindustria una
maggiore attenzione verso quanto emerge dalle indagini sui traffici
illegali di rifiuti nel nostro paese, alimentati dai residui di produzione
di importanti cicli produttivi (dalle concerie agli impianti siderurgici
fino agli stabilimenti petrolchimici); la proposta è semplice: elaborare
un "Manuale contro l'ecomafia", rivolto a sistema imprenditoriale, in cui
vengono spiegate le conseguenze di queste attività illecite e si
illustrano i costi effettivi e le procedure necessarie per smaltire
correttamente i rifiuti; si tratterebbe di un piccolo gesto ma, allo
stesso tempo, di una chiara assunzione di responsabilità, che aiuterebbe
peraltro le stesse imprese private che operano, legalmente, nella gestione
dei rifiuti.
Anche in questo caso, siamo pronti a dare il nostro contributo, di idee e
di esperienze maturate in questi dieci anni. Lo faremo con lo spirito che ci
ha sempre contraddistinto: affiancare al rigore della ricerca e al dovere
della denuncia, l'impegno di formulare proposte, fatte soltanto
nell'interesse generale del nostro Paese e dell'ambiente in cui viviamo.
Da Legambiente |